Big Pete e i suoi amici

Che Peter Buck fosse un autore molto prolifico è cosa nota ma che arrivasse a pubblicare un album solista a poco più di un anno dallo scioglimento dei R.E.M., di cui lui era lo storico chitarrista e spina dorsale del gruppo, in pochi l’avrebbero detto. Ci si aspettava un lavoro solista più dal collega bassista e amico Mike Mills piuttosto che da lui. Mike Mills e Peter Buck, insieme al ex batterista Bill Berry formavano le fondamenta musicali sulle quali Michael Stipe poteva destreggiarsi con le parole e la voce. Mills ha sempre cantato come seconda voce e talvolta prendendo anche possesso del microfono principale ma Peter Buck non ha mai aperto bocca, almeno non cantando. Ora lo ha fatto. Ha fatto bene? La risposta è scritta in questo album intitolato per l’appunto Peter Buck. Sinceramente non sapevo cosa aspettarmi e forse lo stesso Buck non lo sapeva.

L’album si apre con quello che si può definire il singolo 10 Million BC che francamente mi aveva lasciato un po’ perplesso. Se ha lasciato perplessi anche voi sappiate che è lo specchio dell’album. Segue It’s All Right che fa il paio con la prima traccia in termini di scelta stilistica. Sappiate però che la voce che state sentendo è proprio quella di Peter Buck ma non sta esattamente cantando. Che vi aspettavete? Se non la mai fatto in 50 anni ci sarà un motivo, vero Peter? Per sentire il chitarrista che tanto caratterizzava i R.E.M. dovrete attendere fino alla terza traccia Some Kind Of Velvet Sunday Morning alla quale partecipa anche Mike Mills oltre agli onnipresenti Scott McCaughey e Bill Rieflin (storici collaboratori dei ragazzi di Athens, GA). Quest’ultima è forse la canzone più bella dell’intero lavoro insieme alla successiva Travel Without Arriving dove questa volta è l’amico Scott cantare in perfetto stile americano. Poi Buck fa l’alternativo con Migraine, solo musica, per poi tornare a “cantare” alla stessa maniera Give Me Back My Wig cover dall’originale di Hound Dog Taylor. La palla passa a Mills che ci accompagna in un folk-rock con la solita, ma ben accetta chiatarra alla Buck, nel brano Nothing Matters. Non ho ancora ciatato Lenny Kaye che accompagna con la sua chitarra la coppia Buck&Mills in So Long Johnny in un classico rock’n’roll che ci fa scollinare verso la seconda metà dell’album. A questo punto troviamo un titolo misterioso L.V.M.F., per esteso Lil Village Mother Fucker, che da un nome ad un esperimento musicale remixato dal produttore degli ultimi due album dei R.E.M., Jacknife Lee. Ancora un po’ di REMinscenze del recente passato di Buck in Nothing Means Nothing con alla voce Corin Tucker e questa volta niente sperimentazioni per la gioia di tutti. Peter non resiste e torna a cantare in Hard Old World che non si distingue particolarmente dalle altre. Niente paura ci pensa Scott che sforna una ballata country dal titolo altrettanto country Nowhere No Way, Buck ritorna di nuovo fare quello che sa fare meglio. Peter però ha  ancora un asso nella manica e cantando più o meno allo stesso modo dei tentativi precenti riesce a mettere in piedi un’iniezione di energia dal titolo Vaso Loco. Si tratta forse del brano cantato da Buck meglio riuscito ma non è ancora finita. I’m Alive, cover di una canzone di Tommy James and the Shondells, una band rock’n’roll anni ’60, chiude definitivamente l’opera.

Peter Buck attraverso 14 canzoni ci vuole far sapere che musica gli piace ascoltare e quale gli piace fare. Il risultato è un album vario forse poco corente ma un divertente esperimento. Si sente che Buck si voleva soltanto divertire insieme agli amici di sempre. A proposito, Michal Stipe? La presenza di Mike Mills è sicuramente più discreta, al contrario di quella di Stipe che con la sua voce inconfondibile avrebbe attirato l’attenzione distogliendola dal vero protagonista dell’album. Forse ha preferito non riunire la banda al completo perchè, oltre a sembrare una mossa pubblicitarià, sarebbe risultato anche un po’ patetico. Se Peter vuole riprovarci è sempre il benvenuto ma cantare non è il suo forte e distorcere la voce quando lo fa è un trucchetto da quattro soldi. Un album che non intacca a mio parere l’immagine di Peter Buck che i fan più affezionati come me può apparire in questo lavoro un po’ somigliante ad un rocker maledetto anni ’60. Qualche ascolto in più e quello che sentiamo è un omaccione un po’ imbolsito che schitarra insieme ai vecchi amici del liceo, memore dei bei tempi andati. Ora aspetto solo che il suo amico Mike Mills si convinca a fare un album solista anche lui, perchè l’hai promesso Mike, ricordatelo.

Provviste per l’inverno

In queste ultime settimane ho ripreso ad ascoltare i R.E.M. come non facevo ormai da un paio di anni. Questo allontanamento è stato, paradossalmente, più evidente quando il gruppo si è sciolto il settembre dello scorso anno. Come se il fatto che loro avessero chiuso con la musica significasse che io avessi chiuso con loro. Anche se, proprio il loro addio alle scene, ha rafforzato in me la sensazione di essere un dei tanti fan di un gruppo che ha scritto la storia del rock degli ultimi anni. In qualche modo, il fatto che i R.E.M. non avrebbero fatto più nulla di nuovo ha fatto crescere la mia fame di musica. Sono sempre alla ricerca di un artista che mi garantisca quel futuro che i R.E.M. non mi possono più dare. Voglio fare scorta per i prossimi anni, non voglio che mi stanchi ad ascoltare anche una sola canzone. Sono ritornato ad ascoltare con piacere al loro sconfinata discografia ma con un orecchio diverso. Ogni volta che gli ascolto penso: “Ma quanto erano grandi i R.E.M.? Non ci sarà più nessuno come loro, non ci sarà più nessuno”. Il fan che c’è in me forse esagera un po’ ma non credo si sbagli. I R.E.M. hanno riempito le mie orecchie per anni e ho corso il rischio di stancarmi di loro. Un periodo di pausa mi ha fatto bene, perchè non mi sono affatto stancato. Però ora che le loro canzoni sono finite il rischio è più alto. Forse è proprio questo che mi ha aperto le porte ad altri artisti, ad altra musica. Dallo scorso settembre ho scoperto Amy MacDonald, Agnes Obel, Florence + The Machine e ultimamente Rachel Sermanni. In precedenza quando i tre ragazzi di Athens facevano gruppo tra i miei preferiti c’erano già Editors e Wintersleep.

Parlando di futuro musicale non posso che essere soddisfatto. Quest’anno due nuove uscite come quelle di Amy MacDonald e Wintersleep non hanno deluso le attese. Chi si fa attendere sono invece i due album che sto aspettando per il 2013, il secondo di Ages Obel e il quarto degli Editors. Questi ultimi stanno registrando e a gennaio si potrebbe avere qualche notizia in più. Chi invece da notizie di sè è proprio Agnes Obel ma purtroppo non sono buone. La cantautrice danese ha dovuto sospendere le registrazioni dell’album e annulare due date a dicembre a causa di una forma piuttosto grave di acufene, ovvero un disturbo udutivo che comporta la sensazione di sentire suoni spesso fastidiosi. Non si capisce cosa possa aver provocato l’acufene ma Agnes si sta già curando e si spera possa riprendere al più presto il suo lavoro.