Periodo blu

Non capita spesso che un artista pubblichi due album di inediti nello stesso anno. Ma quando capita la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: era proprio necessario? Per rispondere bisogna innanzitutto ascoltare l’album in questione. In questo caso è toccato a Lana Del Rey essere oggetto di tale domanda. Il suo secondo album del 2021, Blue Banisters, nonché settimo della sua carriera, ha avuto una genesi un po’ travagliata, tra annunci e smentite sulla sua uscita. Nel mezzo anche l’addio ai social network della cantautrice americana. Poco male per quanto mi riguarda, ciò che mi interessa è poter ascoltare la sua musica e il fatto di avere due album nuovi così ravvicinati mi fa solo piacere. Ecco, appunto, ma era proprio necessario?

Lana Del Rey
Lana Del Rey

Si comincia con Text Book e si percepisce subito che in questo album c’è la volontà di tornare alle sonorità degli esordi. Musica essenziale ed oscura sulla quale corre leggera la voce ammaliante della Del Rey, “I guess you could call it textbook / I was lookin’ for the father I wanted back / And I thought I found it in Brentwood / It seemed only appropriate you’d easily have my back“. Segue la title track Blue Banisters nella quale la nostra Elizabeth sfodera la versione sorniona e malinconica della sua voce. La ricetta è sempre la stessa ma non da noia, anche grazie alla continua ricerca di una melodia orecchiabile ma non troppo, “Jenny jumped into the pool / She was swimmin’ with Nikki Lane / She said, “Most men don’t want a woman / With a legacy, it’s of age” / She said “You can’t be a muse and be happy, too / You can’t blacken the pages with Russian poetry / And be happy” / And that scared me / ‘Cause I met a man who“. Tra le mie preferite di questo album c’è senza ombra di dubbio Arcadia. Un pianoforte fa da sfondo ad un testo poetico e fatto di quella tristezza che solo la Del Rey riesce a dipingere. Un ritornello melodioso, quasi angelico che non risparmia qualche brivido. Da ascoltare, “In Arcadia, Arcadia / All roads that lead to you as integral to me as arteries / That pump the blood that flows straight to the heart of me / America, America / I can’t sleep at home tonight, send me a Hilton Hotel / Or a cross on the hill, I’m a lost little girl / Findin’ my way to ya / Arcadia“. Segue la strumentale Interlude – The Trio, omaggio in chiave trap al maestro Morricone della durata di poco più di un minuto. Black Bathing Suit è ancora un altro esempio di come quest’artista abbia voluto riprendere certe sonorità da qualche tempo abbandonate. Nel finale prova soluzioni vocali del tutto inedite e come sentiremo poi, non resterà un caso isolato, “Grenadine quarantine, I like you a lot / It’s LA, “Hey” on Zoom, Target parking lot / And if this is the end, I want a boyfriend / Someone to eat ice cream with and watch television / Or walk home from the mall with / ‘Cause what I really meant is when I’m being honest / I’m tired of this shit“. If You Lie Down With Me richiama le sonorità di Ultraviolence dal quale è stata scartata. Voce calda e sensuale, sempre un po’ con quel fare svogliato alla quale ormai ci ha abituato, “Dance me all around the room / Spin me like a ballerina, super high / Dance me all around the moon / Light me up like the Fourth of July / Once, twice, three times the guy I / Ever thought I would meet, so / Don’t say you’re over me / When we both know that you lie“. Beautiful è una delle classiche ballate al pianoforte tipiche della Del Rey. In questa occasione appare quasi più fragile del solito. Una riflessione sulla tristezza e sulla sua importanza nell’arte, “What if someone had asked Picasso not to be sad? / Never known who he was or the man he’d become / There would be no blue period / Let me run with the wolves, let me do what I do / Let me show you how sadness can turn into happiness / I can turn blue into something“. Violets For Roses è una canzone personale e come sempre arricchita da un ritornello ben architettato e orecchiabile. Lana Del Rey continua a dimostrare tutto il suo talento di cantautrice, “There’s something in the air / I hope it doesn’t change, that it’s for real / The beginning of something big happening / And by the murder alleys / In the streets have ceased / And still the shadows haunt the avenue / The silence is deafening“. Segue Dealer che vede la partecipazione di Miles Kane, leader dei Last Shadow Puppets. Sonorità inedite per la Del Rey che si lascia andare a virtuosismi vocali fin qui inediti per lei. Qualcosa di nuovo che rompe le consuetudini alla quale ci ha abituati, Please don’t try to find me through my dealer / He won’t pick up his phone / Please don’t try my doctor either / He won’t take any calls / He’s no fucking spirit healer / He just can’t stop to talk / But he’s gone now for the weekend“. Thunder è ritorna alle sue sonorità riconoscibili, raccontandoci di un amore pericoloso. Una Lana Del Rey sui generis ma sempre benvenuta, “You roll like thunder / When you come crashin’ in / Town ain’t been the same / Since you left with all your friends / You roll like thunder / When you come crashing in / Regattas in the wind / That’s why you’re visiting“. Wildflower Wildfire riflette sul suo difficile rapporto con la madre. Una ballata sorretta dalle note del pianoforte e dalla voce fragile, pronta a spezzarsi in qualsiasi momento, “My father never stepped in when his wife would rage at me / So I ended up awkward but sweet / Later then hospitals, and still on my feet / Comfortably numb, but with lithium came poetry“. Nectar Of The Gods si spoglia di qualsiasi orpello e si affida al suono di una chitarra acustica. Lana Del Rey tiene bene la scena con la sola voce, attirando l’attenzione con la sua solita interpretazione, “What cruel world is this? Nectar of the Gods / Heroin gold in my veins, and you in my thoughts / I’m on the freeway racing at a million and I just can’t stop / I call you up twice, hang up the phone, call again, I wanna talk“. Living Legend parla ancora d’amore e non si discosta molto dallo stile di questo album. La semplicità resta la caratteristica più evidente in canzoni come questa, “But baby you, all them things you do / And those ways you moved, send me straight to heaven / And baby you, I never said to you / You really are my living legend“. La successiva Cherry Blossom, altra esclusa da Ultraviolence, è l’ennesima ballata di questo album. C’è il pianoforte e c’è la voce soave e leggera, non manca nulla, “And when you’re scared / I’ll be right here / You feel afraid / Mommy is there / It’s a cruel, cruel world / But we don’t care / ‘Cause what we’ve got / We’ve got to share“. L’album si chiude con Sweet Carolina è una ninna nanna scritta per la sorella in dolce attesa. Una canzone quindi molto personale e intima che mostra un altro lato della Del Rey, “Pink slippers all on the floor and woven nets over the door / It’s as close as we’ll get to the dream that they had / In the one night sixties, and / Jason is out in the lawn / And he powerwashes every time things go wrong / If you’re stressed out, just know you can dance to your song / ‘Cause we got you“.

Blue Banisters mi ha ricordato un po’ quello che fu Paradise dopo Born To Die. Una sorta di raccolta di canzoni, a volte un po’ slegate tra loro, che vogliono in qualche modo chiudere un capitolo. Quattrodici canzoni (più un breve strumentale) che a quanto pare non potevano andare perse. Come se uno scrittore pubblicasse i suoi appunti dopo una vita di romanzi. Lana Del Rey ripesca vecchie canzoni scartate e da forma ad emozioni private che non hanno trovato sufficiente spazio negli album precedenti a questo. Blue Banisters può risultare quindi un po’ frammentato ma è quella la sua natura, fragile e incerta come a volte appare la voce. Dunque qual è la risposta alla domanda sorta spontanea? Era necessario un album così più per la stessa Lana che per noi ascoltatori, che comunque ringraziamo e mettiamo Blue Banisters a fianco degli altri suoi album, consapevoli di non essere mai stati delusi dalla nostra Lizzy.

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Punto di rottura

Mi ha colto un po’ di sorpresa la collaborazione tra queste due cantautrici americane, entrambe da tempo presenti nella mia collezione. Non avrei mai pensato di vedere riunite sotto un unico nome Aubrie Sellers e Jade Jackson ma il progetto Jackson+Sellers è proprio questo e debutta con l’album Breaking Point. In realtà a pensarci bene, le influenze musicali delle due ragazze non sono poi così distanti. Entrambe propongono un country alternativo, più rock per la Jackson e più garage per la Sellers ma comunque perfettamente paragonabili. Quindi questa collaborazione l’ho accolta fin da subito con curiosità, sicuro della sua buona riuscita.

Jackson+Sellers
Jackson+Sellers

L’apertura è affidata alla cover di Devil Is An Angel, scritta ed interpretata da Julie Miller nel 1997. L’affiatamento c’è e le due voci stanno bene insieme, la più dolce della Sellers e quella più ruvida della Jackson,”You look just like an angel / You sound so bright and true / You seem so sweet coming down my street, but the devil is an angel, too / Yeah the devil is an angel, too“. La title track Breaking Point, scritta dalla Sellers, è vicina al suo stile garage country. Il suono delle chitarre riecheggia, lasciando che il canto tratteggi la melodia, “I’m at the breaking point / You’re breaking me, baby / Everything you say to me, it’s driving me crazy / I know what you’re doing, but you need a new toy / ‘Cause you’re breaking me / I’m at the breaking point“. As You Run è scritta dalla Jackson ed è lei a prendersi la scena con la sua voce, questa volta più morbida. Una ballata rock, una delle tante alle quali ci ha abituato, “Why so scared / Of looking back / Following footsteps / And covering up your tracks / Won’t you stay one more night / Let me make it alright“. The Word Is Black è una canzone della Sellers nella sua versione più dark. Istantanee cittadine e di solitudine prendono forma tra le chitarre distorte, sulle quali galleggia la voce, “Eleven cars hauling strangers / Everybody on their phones / Staring down at their papers / Everybody all alone“. Segue Waste Your Time che ricorda le sonorità anni ’70 ed è una canzone nella quale si può tornare ad apprezzare meglio l’unione delle due voci. Un ritornello ripetitivo ed orecchiabile racconta di un amore difficile, “Gem on my necklace hit me like a heartbeat / As we ran in the street / Gold chain wrapped around your fingers when you kissed me / The love that I wanted I knew I wouldn’t get / But I still tried / I still tried“. Hush è una malinconica ballata a due voci. Nonostante in questo brano abbiano rinunciato al rock, le Jackson+Sellers riescono a dare alla luce una delle canzoni più belle di questo album, “Wind’s wild, sparrow beguiled / By a rose of fragrance so sweet / She swooped down low like wind to an arrow / And crashed in its soil and seed“. Con Fair Weather si ritorna alle sonorità più in linea con quelle della Sellers. Le chitarre contrastano con la sua voce delicata e tutto è leggero come in un sogno, “Fair weather, we’ll be together / Always, forever / You’ll never leave me alone / Long as the sun is shining / We don’t need a silver lining / But fast as a cold wind blows, / Fair weather comes and it goes“. Wound Up è decisamente più rock e con un piglio blues che ben si sposa con l’interpretazione delle due ragazze. Molto simile a quanto ci ha fatto sentire la Sellers nel suo ultimo album, “Can you live up to / My mirage of you / Wound up, wound up / The day’s way too long / And the night’s not long enough / I’m weak-kneed, so kiss me / Come on and light me up“. La mia preferita è sicuramente la cover di The Wild One, l’originale è del 1974 ed interpretata da Suzi Quatro in un veste decisamente più punk. L’alternarsi delle voci, la melodia orecchiabile la rendono perfetta per entrambe. Da ascoltare, “I’m a red-hot fox, I can take the knocks / I’m a hammer from hell, honey, can’t you tell / I’m the wild one / Yes, I’m the wild one“. Chiude l’album Has Been che prende ancora spunto dal passato per offrirci un altro bel rock a due voci. Le chitarre restano in primo piano e le voci si uniscono, “They’ll say, “passé, out of date” / They’ll run away from you / Oh, you ain’t nothin’ but a has been / So old news, so last year / You ain’t nothin’ but a has been / Go ask anyone“.

Breaking Point è un album nel quale Aubrie Sellers e Jade Jackson si danno spesso il cambio alla guida e raramente le si può sentire entrambi al microfono. Considerato che questo si può considerare un album di debutto è comprensibile che le due cantautrici abbiano portato alla causa ciascuna il loro contributo. Nelle cover si intravede maggiormente il potenziale e l’affiatamento del duo che, libero dalla propria personale scrittura di ciascuna, riesce a rendere al meglio. Breaking Point è un album ben fatto, nel quale le due cantautrici stanno cercando il punto di equilibrio tra due personalità musicali simili ma non identiche. Jackson+Sellers è un esperimento riuscito che soddisfa le aspettative e che speriamo sia solo l’inizio di una collaborazione lunga e produttiva.

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Il cuore su questi ciottoli

È possibile sorprendere senza fare nulla di nuovo? La risposta è sì. Ci sono riusciti quattro giovani ragazzi inglesi che si presentano sotto il nome di The Lathums. In mezzo a rapper, trapper e compagnia ecco spuntare una paio di chitarre, un basso e una batteria. Tutto già visto, già sentito. Eppure era da un po’ che non si sentiva nulla del genere. How Beautiful Life Can Be segna l’atteso esordio di una band che ripropone tutte le sonorità più note che hanno caratterizzato gli anni d’oro del pop rock made in UK. Sono tante le influenze che si possono citare ascoltando questo album, una su tutti i The Smiths. Ma non mi piace fare confronti, se posso li evito. Quindi non resta che ascoltare questo How Beautiful Life Can Be dimenticando per un attimo quel senso di déjà vu che può suscitare.

The Lathums
The Lathums

Cirles Of Faith apre l’album e subito si è immersi nel suono delle chitarre e dalla voce di Alex Moore. Un sound familiare ma che vibra di un’energia giovane, un testo ispirato e un ritornello orecchiabile. Serve altro? “Circles of faith in an undisputed land / I’ve taken up my refuge / I’m sticking to my plan / We all carry things we dare not speak / It’s humbling down here / At the bottom of the heap / And I will define the things I’vе seen“. Più luminosa e leggera I’ll Get By. La band rivela un lato sentimentale che non è per nulla scontato di questo tempi. Una canzone gioiosa che non cade mai nel banale e non può non far piacere ascoltare, “I’ll get high on the things you like / And we’ll be alright, I know / And if you want to, I can help you / Help you feel alright“. Fight On si apre con le note di una chitarra che ci cattura subito, lasciando poi spazio alla voce che canta un testo di resistenza alle battaglie di tutti i giorni. Una voce che corre veloce e sicura, “So fight on / My little bird / Oh I’m running jumping flying / Gunning faster fighting / Faster than the world / So fight on / My little bird / Oh I’m running jumping flying / Gunning faster feeling / Faster than the world“. How Beautiful Life Can Be è la title track, nonché singolo di punta dell’album. Una rasserenante riflessione sulle cose belle e semplici della vita. Un gioiellino da ascoltare, “Just how beautiful life can be / When one allows her to breathe / Let the children have their chance to see / Just how beautiful life can be“. The Great Escape è un po’ il cavallo di battaglia di questa band. Un piccolo compendio del brit pop, fatto di immagini lucide e tenute insieme da una melodia orecchiabile e un giro di chitarra che ti entra in testa, “And they could call it the great / The great escape of the world / And I don’t need diamonds and pearls / Just to vanish off the face of the earth / Is there any life on Mars / Or will I be arriving first? / Will I be arriving first?“. Segue I Won’t Lie, è una scanzonata cavalcata pop rock che galleggia leggera, lasciando che i pensieri scorrano liberi. Questa band mette a segno un altro punto a loro favore, “I’ll wait beside her, a constant reminder of when we were young / But I’ll let my guard down, pour all my heart out on these here cobblestones / In good time, lay my-my / In my life, I’ve been hurt some / I won’t lie, I won’t lie“. I See Your Ghost mette in mostra le capacità di Alex Moore, le sue parole sono veloci e corrono sulle note delle chitarre, “My chain, I know it, is particularly fancy / Means a lot to me, but if you come a little closer, you might find / Is there anything you’d like to say to me? / I find it very funny but I likely turn to anger very quick“. Segue Oh My Love che ancora una volta ci sorprende con la sua leggerezza e vitalità. La vita è troppo breve per viverla con negatività, “Time is weak and demanding of me / They will crumble at your fingertips / If you want to be happy / Then happy you will be / Oh, my love / Oh, my love“. I’ll Never Forget The Time I Spent With You è una ballata molto bella, guidata dal suono di una chitarra acustica. Questo dimostra di avere una spiccata sensibilità, senza paura di fare affidamento a melodie collaudate, “I won’t forget the time I spent with you / Before we’d even met I’d spent a lifetime with you / If only in your imagination but where else can we go? / You’re a shooting star I know / You’re a shooting star I know“. I Know That Much è una canzone che nasce dai sogni di questi ragazzi, la voglia di lasciare volti e luoghi conosciuti per esplorare il mondo e la vita, “But I put names to their faces / So I don’t make the same mistakes / And I’ve seen grey clouds up above / But I won’t let them take my love / I’ve come too far and I’ve lost too much / I won’t stop now I know that much / I know that much“. Artificial Screens si riferisce alla dipendenza dagli schermi degli smartphone, un tema moderno supportato da chitarre d’altri tempi. Un’altra canzone riuscita alla perfezione, “I think you are / Under a spell / And you don’t even know yourself / Everywhere I go / Everybody that I see / They’re looking down on the artificial screens“. Si chiude con l’epica The Redemption Of Sonic Beauty, un inno alla musica. Una canzone diversa del resto dell’album, che inizia al piano ma cresce in tripudio rock, “The redemption of sonic beauty / Here to save your souls / It’s the redemption of sonic beauty / I wonder do you know your role / It’s the redemption of sonic beauty, oh“.

How Beautiful Life Can Be è un debutto eccezionale, nel quale il talento della band è ancora coperto dai numerosi riferimenti del passato. Ma non c’è nulla di male in tutto questo. Non importa quali artisti vi possano ricordare, non importa se avete la sensazione di aver già ascoltato qualcosa di simile, i The Lathums sanno scrivere canzoni. Basta ascoltarli per rendersi conto che le basi di questa band sono solidissime e in controtendenza con le mode. Un ritorno alle chitarre, ai ritornelli orecchiabili e alla gioia di fare musica. Un ritorno nelle strade delle periferie inglesi dove quattro ragazzi hanno inseguito un sogno di mettere su una band e provare a vedere se la storia si può ripetere.

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C’est parfait si l’on tremble

Non è passato molto tempo da quando la cantautrice canadese Béatrice Martin ha voluto dare alla luce un album esclusivamente strumentale, eppure ecco qui tra le mani il suo quinto album. Cœur de pirate, questo il suo nome d’arte, è tornata con dieci canzoni pop raccolte sotto il titolo di Impossible à aimer. Lo fa affidandosi ancora alla lingua francese, abbandonando definitivamente quella inglese con la quale aveva flirtato del 2015. Cœur de pirate è una cantautrice pop dalla spiccata vena compositiva, spesso sincera, capace di sfornare canzoni orecchiabili ma allo stesso tempo poetiche e profonde. Sarà stata in grado di ripetersi ai livelli fin qui raggiunti? Non resta che ascoltare Impossible à aimer.

Cœur de pirate
Cœur de pirate

Une chanson brisée richiama alla memoria le sonorità degli esordi. Il pianoforte, la voce melodiosa e malinconica. Una canzone per un amore finito male, una canzone rotta per chi non si merita altro. Strano modo di cominciare un album, “Mais qu’importe tu m’aimes oui / Ça justifie tous tes oublis / Mais qu’importe le temps joue / Une chanson sur mes plaies qui s’entrouvrent / Tu sais que j’en ai plus qu’assez / T’es con en plus t’as pas compris / Que j’allais plutôt te laisser / Tu ne mérites qu’une chanson brisée, désolée“. Con On s’aimera toujours si torna prepotentemente al pop. Lo stile è quello della Martin, il testo è schietto, tutto è perfetto. Un singolo che funziona con un ritornello che è una gioia per le orecchie, “Et je sens mon cœur s’étendre / Quand mes yeux se fondent au vert des tiens / Si le passé nous secoue tu sais / C’est qu’on pense au lendemain / Si on revit de nos cendres / C’est parfait si l’on tremble“. Une complainte dans le vent è una ballata pop che corre sulle note di una chitarra. Ancora una canzone d’amore, ancora un amore finito. L’interpretazione della Martin è impeccabile, sempre venata di una dolorosa malinconia, “Je longerai l’anse vers toi, pour tes soupirs / Les rives d’un fjord m’attendent, j’en perds mes vivres / Je ne comprends plus pourquoi on ne chantait plus / Une complainte dans le vent / Mon amour perdu“. La successiva Le Pacifique è un pop leggero ed impalpabile in contrasto con le immagini che evoca il testo. Una delle canzoni più belle di questo album, con un altro ritornello a dir poco perfetto, “Mais moi je t’attendrai là-bas / Sur les rives, morte de froid / Dans l’espoir que j’ai partagé avec moi seule pour constater / Que tu ne m’atteins pas et c’est comme tous ces pas / Que le sable pourra effacer / Du Pacifique, tant aimé“. Tu ne seras jamais là è una canzone che viaggia sulle note di un pianoforte suonato dall’artista canadese Alexandra Stréliski. Poesia e musica si fondono in un altro gioiellino nato da una collaborazione più che riuscita, “Mais quand tu partiras au large / Essaie de rester loin de moi / Ton retour n’est plus qu’un mirage / J’essaie de rester comme avant / Quand tu n’étais pas là, quand tu n’étais pas là, et tu n’étais pas là, tu ne seras jamais là“. Spazio al pop e al ritmo con Dans l’obscurité. Cœur de pirate non si accontenta della musica accattivante e l’arricchisce di un testo che vuole trasmettere tutta la forza dell’amore, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Segue Tu peux crever là-bas che viaggia negli stessi territori ma questa volta non c’è spazio per sentimentalismi. Un tradimento diventa ispirazione, Cœur de pirate, sotto una melodia accattivante, non le manda a dire, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Un pop anni ’80 si espande nell’aria con Crépuscule. Un’altra canzone perfetta, nello stile ormai riconoscibile e irresistibile di questa cantautrice, “Et le temps d’avant / Nous tend ce que l’on caressait / À vif, nos vies, ne laissaient que nos / Cris au loin, crédules, nos peaux au crépuscule / Et pourtant j’espère encore que l’enfant que j’étais / Retrouve enfin, une parcelle de paix / De rires, de liberté, sans fin“. Fin dal titolo, Le monopole de la douleur, si presenta come una sommessa ballata che si srotola sulle note di un’arpa. Parole e musica sono pura poesia, “Que je crie plus fort que toi, tu n’entends plus rien / Que je maudisse tes actions, tu n’y vois qu’un autre destin / Et les rêves qu’on chérissait deviennent les pires des cauchemars / Mais j’en ai marre qu’on garde espoir“. La conclusione dell’album arriva con Hélas. C’è solo la voce ma distorta e sdoppiata, in modo da amplificarne l’effetto musicale. Un’inedita trovata per la Martin che non sbaglia scelta, riuscendo ad esprimere un senso di solitudine con grande efficacia, “Hélas, je pensais être seule / Et ce retour vient me noyer / Dans les abysses de l’inconnu, que je ne croyais toucher“.

Impossible à aimer, come il precedente, sembra voler ripercorrere la carriera di Cœur de pirate iniziata nel 2008 con l’album omonimo. C’è il pianoforte, le canzoni d’amore e poi ancora il pop orecchiabile e la leggerezza dell’accompagnamento con gli archi. Béatrice Martin torna con un album perfetto, senza sbavature, ben bilanciato ed ispirato. Ancora una volta c’è un’attenzione particolare alla composizione, all’idea di trovare al melodia perfetta. Impossible à aimer è un ottimo album, un esempio di come per me deve essere la musica pop. Un album che non delude ma anzi conferma Cœur de pirate come un eccezionale cantautrice pop che ha saputo, in più di dieci anni, mantenere sempre alta la qualità delle sue canzoni, rimanendo fedele alle sue scelte.

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