Il primo album di questa cantautrice danese è uscito dieci anni fa e, anche se io l’ho scoperta l’anno successivo, è incredibile pensare che lei ci sia sempre stata con la sua musica. Mi ricordo quando ascoltai per la prima volta Philharmonics, rapito da quelle melodie magiche ed evocative. Quello era solo l’inizio della luminosa carriera di Agnes Obel, arrivata lo scorso febbraio al suo quarto album intitolato Myopia. Il suo percorso artistico è sempre stato in evoluzione, lasciando meno spazio alle parole e più alla musica, esprimendosi più come compositrice che come cantautrice. Ogni suo album è avvolto da un alone di mistero e di fascino, che sono pronto ad affrontare anche questa volta.
Si comincia con Camera’s Rolling dove ritroviamo le atmosfere tanto care alla Obel. Un brano etereo e sfocato, intriso di mistero che poggia sulla sua voce. La voce che è anch’essa uno strumento musicale che va oltre al significato delle parole, “The script is burning / On heavy fuel / No time to lose / What will you do? / Camera’s rolling / What will you do? / What will you do? / That you can’t undo?“. La successiva Broken Sleep è più sperimentale e vi fa entrare in un mondo notturno e fatto di sogni. La voce si trasforma, si sdoppia, intrecciandosi come spire di fumo. La Obel qui si mostra in una delle sue forme migliori, “I would like to fall, silence every call / (Will you level me with a dream?) / If I could fall, fall / I would like to fall (fall asleep), silence every call / (Will you level me with a dream?) / If I could fall, I would like to fall“. Island Of Doom è il primo singolo che ha anticipato l’album e la scelta è stata perfetta. Qui la voce della Obel si pone in primo piano, tornando in parte alle sonorità degli esordi. Ma è il ritornello a sorprendere, dove la sua voce alterata forma un coro a tre di grande impatto. Espediente già usato nel precedente album e che dimostra la volontà di creare e sorprendere di quest’artista, “Destiny made her way and found you in a room / They told me, they told me / To undo the rule of mind and body / And nature laughed away as their voices grew / They told me, they told me / Clean out the room and bury the body“. Roscian è un intermezzo esclusivamente strumentale, in linea con sui precedenti lavori. Ritroviamo il suono del pianoforte in perfetto stile Obel, che traccia un fil rouge lungo questi dieci anni. La title track Myopia è una delle più affascinanti dei questo album. Melodia e ritmo si incontrano, avvolti dalla voce morbida e impalpabile della Obel. Una discesa nel buio, nelle profondità più recondite dell’animo, “Your god is some one / Who would glow when you go along / Through so many eyes / In the dark with someone / Will you go, will you go along? / Like fire runs“. Ancora un brano strumentale, intitolato Drosera. Il titolo fa riferimento ad una pianta carnivora e il brano parte lento e poi va in crescendo, quasi a sottolineare la sua lentezza e letalità. Cant’ Be è un’altra affascinate prova del talento compositivo della Obel e della sua band. Siamo ancora attratti e trascinati in un sogno senza fine, incomprensibile e sfuggente, di rara bellezza che ha solo bisogno di essere ascoltato, “I can’t be, I can’t be / Keep digging, keep digging deep / Can’t keep me calm / Can’t keep me whole, can’t keep me whole / Can’t reach the sun“. Parliament Of Owl è un’altro brano strumentale. Il pianoforte apre e gli archi tessono una melodia triste ma profondamente epica. Un senso di nostalgia e quella strana sensazione di vedere attraverso la musica prendono il sopravvento. Uno dei momenti più belli e classici di questo album. Promise Keeper è un altro gioiellino della Obel. Essenziale e sognante, lascia l’ascoltatore in sospeso tra la notte e il giorno, cullato dalla voce unica di quest’artista, “Dream away, dream away / A game of numbers, will take us under / You would leave me under oath / Blazing thunder at all / Leave me under the sun / And I’ll / Dream of the sea / Dream of the sea“. Questo meraviglioso viaggio si chiude con Won’t You Call Me. La voce calda della Obel ci accompagna una ballata delicata ed elegante. C’è tutto quello che ho amato di quest’artista ed è bello ritrovarlo intatto in canzoni come questa, “No one knows what the devil did / What disguises hid from our eyes / So don’t burn your fire for their sake / Miracles of fate got no enemy but time“.
Con Myopia, Agnes Obel ci prende per mano e ci accompagna in un mondo notturno, fatto di sogni ma anche di incubi e insicurezze. Forse l’album più sperimentale di quest’artista che però non rinuncia ai suoi strumenti preferiti, pianoforte ed archi. La voce, mai come in questa occasione, è il veicolo per il suono delle parole più che per il loro significato. Agnes Obel dà prova, ancora una volta, del suo talento come compositrice, continuando ad affascinare con eleganza ma senza rinunciare a sorprendere come fece dieci anni fa. Myopia rinnova il legame tra me e quest’artista che è, e resterà, a mio parere, una delle più misteriose e talentuose degli utimi anni. Myopia è un album da ascoltare in religioso silenzio, quasi fosse un messaggio proveniente da una dimensione a noi sconosciuta, che si rivela con immagini evocate dal potere della musica.
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