Mi ritorni in mente, ep. 61

Mi prendo una pausa dalla consuete recensioni ma non smetto di consigliarvi buona musica (o almeno spero lo sia anche per voi). Questa volta torno al 2015 quando il secondo album della cantautrice inglese Nadine Shah, intitolato Fast Food, mi era giunto alle orecchie ma per qualche ragione non l’ho mai ascoltato. In questi ultimi tempi sto cercando di recuperare qualche disco che mi sono lasciato scappare e Fast Food sicuramente meritava di essere preso al volo. Ma c’è sempre tempo per recuperare.

La musica della Shah si rifà alle grandi interpreti del rock d’autore, affidandosi al suono delle chitarre ed ad un’atmosfera oscura e tesa. I testi sono forti e affascinanti, tracciati dalla voce profonda di questa cantautrice. Tra le mie preferite di questo album posso citarvi Matador, Living e la trascinate Stealing Cars. Ma la verità è che Fast Food è un album da ascoltare per intero per assaporarne davvero la sua energia e forza.

Oh it’s criminal
I’m stealing cars in my dreams
That neither you or I can drive
Passing the time away, cinema twice a day
Now, I’ve nowt left to see
Put the guilt in me, my anxiety
Check your pulse when I speed

Mi ritorni in mente, ep. 47

Scoprire nuova musica è sempre una cosa piacevole, oltre che uno dei miei passatempi preferiti. Ascoltare nuovi artisti e aggiungere alla propria collezione nuovi album è l’obiettivo del fine settimana, così come scrivere una loro recensione. Questo è solo un lato della medaglia. L’altro lato legato alla triste verità che il tempo passa inesorabile e nuovi album escono e io continuo ad accumulare album. Succede che devo sacrificare qualche uscita in favore delle novità del momento. Gli album vengono pubblicati più velocemente di quanto io riesca a scrivere. Ma nulla andrà perso! Questa rubrica è una buona occasione per recuperare.

Questa volta è il turno di Robyn Stapleton, cantante scozzese, che porta avanti la canzone tradizionale scozzese, inglese e irlandese. Il suo primo album s’intitola Fickle Fortune ed è stato pubblicato nel 2015. Dodici canzoni nel pieno rispetto della tradizione, legate tra loro dalla voce melodiosa della Stapleton. All’inizio di quest’anno ha pubblicato il suo secondo album, The Songs of Robert Burns una raccolta delle più belle composizioni del noto poeta scozzese Robert Burns, vissuto nella seconda metà del ‘700. Fickle Fortune è un album che ho apprezzato molto per la sua purezza e poesia. La voce della Stapleton è davvero eccezionale e paladina di quel “bel canto” che nonostante tutto ancora resiste. Giusto per citare le mie preferite, The Two Sisters, The Shuttle Rins, Bonnie WoodhallJock Hawk’s Adventures in Glasgow, The Lads That Were Reared Amang Heather. L’album The Songs of Robert Burns è nella mia personale wishlist da quando è uscito e sarà mio appena possibile. Nel frattempo concedente un ascolto a The Two Sisters. Non costa nulla.

Mi ritorni in mente, ep. 44

Il mese di Maggio è ricco di nuove uscite interessanti è gli album da ascoltare si accumulano di settimana in settimana. Oltre alle nuove uscite ci aggiungo qualche album degli anni passati e stare al passo è impegnativo ma piacevole. Oggi mi prendo una pausa e torno alla mia rubrica a pubblicazione casuale.

Tra la tanta musica che non ha trovato spazio su questo blog lo scorso anno c’è un EP d’esordio della cantautrice inglese Janileigh Cohen. Nel 2015 ha pubblicato As A Child, un piccolo gioiellino di musica folk composto da cinque canzoni. La straordinaria voce della Cohen rende ogni canzone a suo modo speciale e poetica. Su tutti la title track As A Child , Old Friend e Same Old Road. Vi invito ad ascoltarlo per intero qui: janileighcohen.bandcamp.com, se volete passare qualche minuto in tranquillità e serenità in una domenica come questa.

Gli altri siamo noi

Come è già successo qualche tempo fa, ho voluto approfondire la conoscenza della musica di un artista, non limitandomi ad un solo EP, quello più recente, ma mettendone insieme un paio. Questa volta è successo con due EP della cantautrice inglese Emma Ballantine che recentemente ha pubblicato Somebody’s Story che raccoglie quattro canzoni ispirate ad altrettante storie vere. In precedenza avevo avuto il piacere di ascoltare due sue canzoni come The Love I Seek e Perfect Crime. Ero rimasto davvero impressionato dallo stile e dalla voce della Ballantine, così ho messo insieme, per questa recensione, l’EP Tourist del 2015 e il più recente Somebody’s Story.

Emma Ballantine
Emma Ballantine

Tourist si apre con la bella The Love I Seek, una canzone intensa sulla forza dell’amore. Fin dai primi ascolti, cattura grazie alla sua energia e quella chitarra che ha un ritmo spagnolo. Da ascoltare, “Weigh up the pros and cons / I see your calculation but your answer is wrong / And I’m not an equation or a final exam / Why can’t you love me as I am?“. La successiva Perfect Crime è una vibrante canzone dalle sfumature rock, che trova la sua forza nella voce della Ballantine. Una voce versatile che sa trasmettere, in questo caso, un senso di urgenza e tensione. Una dimostrazione di talento, “The perfect crime / The perfect crime / The scars are out, are out of sight / My eyes are blind / My hands are tied / Your victim is in my mind“. Tourist è una canzone poetica e intensa. Il ritornello è gioia per le orecchie, Emma Ballantine tira fuori il meglio di sé. Una delle canzoni più emozionanti di questo EP, “Cause ooh, I’m just passing through / We barely met at all / So I’m barely leaving you / Tell me this before I go / Is your heart built for this? / For falling in love with a tourist“. Segue una bella cover, The Queen & The Soldier di Suzanne Vega. Una versione non lontana dall’originale, solo dalle sonorità più folk, “A soldier came knocking upon the queen’s door / He said, “I am not fighting for you any more” / And the queen knew she’d seen his face someplace before / And slowly she let him inside“. Chiude Fall, che affascina per le sue atmosfere delicate e malinconiche. Una canzone che, con la sua semplicità, esalta il talento di questa cantautrice, ricordandomi un’altra artista come Hattie Briggs “I was born in September when the leaves were turning brown / Halfway between the summer and the wintertime / And that may be why I never make up my mind, who knows?“.
L’EP Somebody’s Story inizia con l’ottima Secret Tunnel. C’è stata un’evoluzione musicale che ha portato Emma Ballantine verso uno stile più moderno ma ugualmente efficace. Questa canzone è ispirata dalla storia di Lisa, che dopo anni di abusi subiti dal padre, trova una nuova famiglia pronta a difenderla. La successiva è la triste Harmonise, ispirata alla storia di Brian che fino all’ultimo, a dispetto della malattia, ha continuato a suonare per amore della musica. Astronaut racconta la storia di Vicki che, negli anni ’50 lascia la sua casa in Inghilterra per raggiungere e sposare Jack, di stanza in Kenya. Il messaggio è semplice, l’amore abbatte i confini e le distanze. Through Your Eyes si ispira alla storia di James, affetto da autismo, che riesce a vedere il mondo in modo diverso, trovando la gioia nelle piccole cose di questo mondo distratto. Tutte le storie complete si possono leggere qui: somebodysstory.com

Emma Ballantine riesce, attraverso le sue canzoni, ha esprimere il meglio del cantautorato femminile inglese degli ultimi anni, spaziando dai brani più acustici e folk, passando per il rock fino al pop. Tourist rappresenta al meglio questa caratteristica, facendo emergere il suo aspetto poetico e musicale. Il recente Somebody’s Story, invece sorprende per la sensibilità di Emma. Mettere in musica storie che non la riguardavano direttamente non è cosa semplice. Scrivere una canzone cercando ispirazione nelle storie altrui è una responsabilità importante che necessità di una buona dose di sensibilità e una capacità di immedesimazione non banali. Emma Ballantine è una cantautrice che fa quello che tutte le cantautrici, e cantautori, dovrebbero fare: rendere eterne e vicine le emozioni, che siano esse le nostre o quelle degli altri.

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Fuori legge

Definiscono la loro musica come bloodgrass, una musica dalla quale nessuno esce vivo. Interessante, mi sono detto, quando per la prima volta ho letto di questo gruppo. I Murder Murder sono sei ragazzi canadesi che si presentano con ballate che spaziano dal country al bluegrass, riuscendo subito ad accendere la curiosità con il loro gusto retrò e tradizionale ma fuori legge e un po’ cattive. In men che non si dica ci ritroviamo immersi nelle foreste dell’Ontario, tra risse da bar, storie sfortunate, di gelosia e tradimenti. Il tutto raccolto nel loro secondo album, pubblicato nel 2015 e intitolato From The Stillhouse.

Murder Murder
Murder Murder

Si parte con l’incalzante Sweet Revenge, una stroria di vendetta a bordo di un treno nero che viaggia senza sosta. Un brano che evoca immagini nitide dei paesaggi western di frontiera, “I dream I am flying out through the pines / Through to the Devil’s mouth / There’s some folks down there, they gotta pay for their sins / Eye for an eye, blood for blood / Sweet revenge“. Where The Water Runs Black è una straordinaria ballata guidata da un violino e accompaganta da un’immancabilie banjo. Una voce tagliente e carismatica ci racconta una stroria di tradimento. Una delle migliori canzoni dell’album che trova la sua perfezione nella sua tradizionalità e melodie famigliari, “And if you wanted I could take you / I walked that road ‘til the water runs black / I loved that woman but she left me lonely / She broke my heart, lord, she never turned back“. Si nasconde una storia di violenza sotto il titolo di Evil Wind. Facile lasciarsi ingannare dalle melodie gioiose ma è solo un’apparenza. I Murder Murder sono divertenti e spietati, “Well now I can’t remember / what was going through my head / My blood turned to fire / And my face turned red / And I flew into that room / Like a moth to a torch / An evil wind, an evil wind is gonna blow“. Duck Cove è una triste ballata che mette in luce tutto il talento di questa band, in grado di raccontare storie e mettendole in musica. Tutto suona tradizionale tuttavia allo stesso tempo c’è qualcosa di nuovo nel loro modo di porsi, “I never felt so low, / I looked through the port hole / And I saw the drop boat / headed for Duck Cove / The thought of my lover / out with another / Somebody else than the / one who has loved him“. Una storia di riscatto nella bella Movin On, una delle canzoni più positive dell’album. I Murder Murder spingono sempre sul pedale dell’acceleratore, sono un treno in corsa tra le foreste dell’Ontario, “I got friends in Brown and Hardy / And a brother down in Carling / I got family up north in Sudbury / Everybody knows / that I can’t set foot back in Mowat / There’s folks there’d like / to get their hands on me“. When The Lord Calls Your Name è una ballata lenta e strappalacrime. I Murder Murder propongono una canzone dal sapore vintage con una grinta e intensità di grande impatto, “So gather the angels, / and sing us a prayer / When his sights are upon you, / you can’t hide anywhere / Now accept and rejoice him, / not with pride, not with shame / And you’ll know my intentions, / when the lord calls your name“. The Last Gunfighter Ballad è la cover di un classico country scritto da Marty Robbins. La versione dei Murder Murder è più brillante e scanzonata dell’originale, “Stand in the street at the turn of a joke / Oh, the smell of the black powder smoke / And the stand in the street / at the turn of a joke“. Tanto breve quanto bella, Half Hitch Knot. Irresistibile ballata up tempo, dove le parole escono veloci, scappa anche qualche parolaccia. Cattivi ragazzi, “You’re a polite motherfucker / with your hands tied up / Like a barnyard pig just about to get stuck / The knife’s coming down if you like it or not / You won’t never get out of my half hitch knot“. La successiva Alberta Oil è una classica murder ballad, veloce e senza respiro. Ancora una volta i Murder Murder sono irresistibili in tutto e per tutto, “He was buried with his passport / in a black Alberta ditch / His life was cut far too short / by a cold Alberta bitch / We all knew what had happened / and it gave us all a fright / He was buried with his passport that night“. Bridge County ’41 è una bella ballata blues. Senza dubbio una delle canzone più intense di questo album, storia di un contrabbandiere, fuori legge come questo gruppo, “The law found me in the middle of the night / When I’s lyin’ on my back / in the pale moonlight / Couldn’t tell if I was dead or alive / Until they caught that little hint of blood / in my eye“. Chiude l’album un’altra ballata intitolata Jon & Mary. C’è poco altro che posso aggiungere arrivati alla fine di queste undici canzoni, se non avvisarvi che la tentazione di ricominciare dall’inizio è forte, “I parted with things / that I never though I’d sell. / It’s got to where I barely recognize myself. / The boy I was is gone, / it’s written on my face. / All the time that he spent dying, / her beauty never waned“.

Questo From The Stillhouse ci porta altrove, velocemente come un treno a vapore. I Murder Muder sembrano venire dal passato, ci riempiono le orecchie di buona musica, dal sapore d’altri tempi, sporca e impolverata. Hanno la faccia da duri come gli eroi dei film western ma un animo buono. Una particolarità di questo gruppo è che non hanno un vero proprio frontman ma si alternano al microfono dando ad ogni brano un’impronta personale e diversa. Qui sotto trovere una versione live di Bridge County ’41 ma non posso fare a meno di consigliarvi di ascoltare l’album completo, se volete essere anche voi per un attimo dei fuori legge, sporchi e impolverati.

Pecore nere e ciliegie

Una ciliegia tira l’altra e io cado sempre nella trappola dei consigli di internet. Appena qualche deviazione nella musica country e subito mi si è aperto un mondo verso il quale mi sono sempre tenuto alla larga. Non perchè non mi piacesse ma proprio perchè sentivo di avere un debole per questo genere di musica che mi avrebbe portato in mezzo a proposte commerciali più che artisti. Ma lentamente ho cercato di entrare in questo mondo country, gurdandomi intorno e trovando qualcosa di interessante. Il nome di Hailey Whitters l’avevo già notato lo scorso anno ma ho aspettato e aspettato, finchè è arrivata l’estate è mi sono convinto a concedere un ascolto a Black Sheep, album d’esordio della giovane cantautrice americana. Eccomi dunque di nuovo di fronte al country, con il solito dubbio su cosa aspettarmi.

Hailey Whitters
Hailey Whitters

Long Come To Jesus apre l’album ed è subito country rock. La Whitters graffia con la voce e sa come attirare l’attenzione grazie all’energia che mette nelle sue canzoni. Sono bastati pochi istanti di questa canzone per convicermi che stavo ascoltando del buon country. La successiva City Girl ha un retrogusto blues, orecchiabile e accattivante. Tutte le canzoni sono state scritte dalla Whitters ad eccezione di un paio, e una è proprio questa. La cantautrice americana però è perfettamente sul pezzo, “I want wear high heels shoes / And have something to do / But I’m living in a middle of nowhere / Singing this country blues“. Late Bloomer è forse la più autobiografica dell’album. Una ballata rock che verte sulla voce della Whitters per dirci che non è importante se nella vita siamo dei late bloomer. La title track Black Sheep è un country rock più duro nel quale la Whitters svela un lato più “arrabbiato”. Un bel pezzo che spicca all’interno delle dieci canzoni, per energia e carica, “Who really wants to be white as snow? / The thing about black is the dirt don’t show“. Una ballata lenta si nasconde sotto il titolo di Low All Afternoon che colpisce per l’interpretazione sincera e accorata della Whitters. Niente di nuovo sotto sole ma è sempre bello ascoltare queste canzoni che puntano dritto senza troppe complicazioni. Un country nostaligico e appassionato quello di One More Hell che trae ispirazione e forza dalla morte del fratello. Un testo intenso e un’interpretazione sincera, ne fanno una delle migliori canzoni dell’album, “I’ve heard that in time the pain will go away / My tears will all dry up and I’ll smile when I hear your name / Mama’s not right and daddy’s still mad / He says he wants to kicks God’s ass / ‘Cause he says it ain’t right that he took you so fast“. Con Heartbreaker si torna ad un country rock collaudato e un po’ ruffiano. Hailey Whitters mette in mostra tutta l’energia nella voce senza badare troppo ai dettagli e fa bene. Non esiste country senza ballate, quindi ce ne vuole un’altra. People Like You è romantica e carica di buoni sentimenti. Ci vuole anche questo nella vita e la Whitters evidentemente lo sa bene e questa canzone ci allieta per qualche minuto, niente di più, me è sufficiente. Pocket Change è l’altra canzone della quale la nostra non ne è l’autrice. Tutto è già sentito, classico ma non è detto che debba essere un male. Se non fosse così non sarebbe country o sbaglio? Si chiude con Get Around, ballata dolce e fresca, quasi in contrasto con il resto dell’album. Ma è come un dessert, lo magiamo solo perchè ci piace e non perchè serve.

Hailey Whitters con il suo Black Sheep ci accompagna per una mezz’ora abbondante con ballate e pezzi dall’anima rock. Non è certo questo il caso di gridare al miracolo ma c’è tanto di buono in questo album che non potremo fare a meno di ascoltarlo tutto d’un fiato. Hailey Whitters parte bene con questo album e sono sicuro saprà crescere sempre di più, rimanendo con i piedi per terra o almeno mi piacerebbe sia così. Anche questa volta cado vittima del country e di una bionda dagli occhi azzurri, come mi era già successo con Logan Brill. Che ci devo fare? C‘est la vie.

Tesoro sepolto

Ecco un’altra delle uscite dello scorso anno che mi sono lasciato scappare. The Lingering della cantautrice norvegese Siv Jakobsen, in realtà, non mi era sfuggito al radar ma l’avevo accantonato in vista di ascolti futuri. Recentemente l’ho recuperato, un po’ alla cieca, memore delle buone impressioni che avevo avuto a rigurdo. Mi aspettavo un album un po’ sonnolento e cupo ed invece Siv Jakobsen si rivela essere una sorpendente cantautrice dal piglio pop, mai troppo brioso o banale, un po’ feddo forse ma eccezionalmente delicato ed toccante. Un album breve senza orpelli che nasconde una curiosa cover.

Siv Jakobsen
Siv Jakobsen

Dark apre l’album, introducendoci nel mondo scuro e denso della cantautrice norvegese. La sua voce fredda contrasta con gli archi e il pianoforte. Rimarremo incantati dalla magia di questa canzone, “Someone told me there is light at the end of every tunnel / Said there’s a light there waiting for me / But I don’t believe it, not now, not ever / It’s always dark when I go home / I am the dark one in my bloodline / I fear my shadow like a beast“. La successiva How We Used To Love batte sullo stesso tasto. Una tristezza profonda pervade la voce e il testo ma la musica riesce a dare una speranza. La Jakobesen dimostra un incredibile talento mosso da una forte ispirazione, “I’m afraid for our future / I’m afraid it won’t last / ‘Cause you’ve got too many scars to hide / And I haven’t got enough to understand why / Why are you always so sad / Why are you always so / Why are you always so sad? / How we used to love / How we used to love“. Fix You è illuminata dal ritornello, dove la voce delle Jakobesen vibra di emozione e fa salire qualche brivido lungo la schiena. Ancora una canzone delicata, preziosamente triste e malinconica. Un mix fatale, “Every word you say / Poison in my blood / But there’s a fire in my veins / When you say you’ll stay / With your hands on my chest / Your lips on my neck / And you say “I’m broken” / “Oh baby, I’m broken” / ch: I can’t fix you / But I want to try / I can’t fix you“. A sorpresa c’è una cover, quasi irriconoscibile se non fosse per il testo. Il suo titolo è Toxic, proprio quella di Britney Spears ma rallentata, svuotata di ogni orpello e ritmo. Una curiosa scelta ma che dimostra le capacita di questa cantautrice, “With a taste of your lips / I’m on a ride / You’re toxic I’m slipping under / With a taste of a poison paradise / I’m addicted to you / Don’t you know that you’re toxic / And I love what you do / Don’t you know that you’re toxic“. Una ballata smorzata dalla voce della Jakobsen si nasconde sotto il titolo di Buried In Treasure. Una delle canzoni più tristi e cupe dell’album ma in grado di evocare atmosfere difficili da descrivere. Meglio ascoltare, “His fingers are trembling through dresses and skirts / Searching through mountains of sweaters and shirts / For a sign or the smell of her smile / To keep them together, to keep her alive / So he won’t remember the day when she died / As his heart oh it travels back in time“. La successiva Caroline è invece più dolce e luminosa delle precedenti, dove trova spazio il lato più melodioso della voce della Jakobsen. Un raggio di sole tra la nebbia di una fredda giornata del nord, “Caroline’s reflection doesn’t match it’s mate / Blinks in vain, because the image stays the same / The mirror’s careless to the hollow gaze / Staring blankly without a trace of hope to lean on“. Bullet ha un’anima solitaria ma cresce piano piano, racchiudendo quella magia che questo album nasconde. Un’incantesimo che termina qui ma torna quando vuole, “You’re like a bullet in my chest / Your aim is perfect / Every time I lay myself down for you / I paint a circle on my chest / To make it easier for you to aim just right“.

The Lingering non arriva nemmeno a mezz’ora di durata ma riesce a portare l’ascoltatore in un mondo incantato, triste ma dolce. Siv Jakobsen ci delizia con la sua voce, sostenuta da immancabili archi che amplificano il fascino e la delicatezza delle sue canzoni. Vi innamorete in fretta di Siv, basta poco. Un peccato aver lasciato da parte questo album per così tanto tempo. Sono contento però di aver recuperato questo piccolo tesoro. Un album da ascoltare da soli, in tutta tranquillità, per cogliere ogni nota, ogni singola sfumatura.

Cinque dita

Ultimamente sto ascoltando diversi EP. In genere non sono particolarmente attratto da questi mezzi album ma mi rendo conto che sono un ottimo modo per conoscere un artista partendo da una manciata di sue canzoni. Attraverso Twitter ho conosciuto Tori Forsyth, cantautrice australiana che ha pubblicato lo scorso anno il suo EP d’esordio Black Bird. Un’occasione buona per ascoltare un po’ di musica country e aggiungerla alla, ormai lunga, lista di aristi da tenere d’occhio quest’anno. Magari uscirà il suo album d’esordio quest’anno, chissà.

Tori Forsyth
Tori Forsyth

Apre la bella title track Black Bird. Atmosfere country scure e misterioso escono dalla musica e dalla voce della Forsyth. Una voce un po’ graffiata la sua ma allo stesso tempo capace di essere profonda. Chi ben comincia è a metà dell’opera. La successiva New Wall è una ballata folk romantica dallo stampo classico ma sempre efficace. Tori Forsyth cattura l’attenzione su di sè, accompagnandosi con un chitarra e una seconda voce. July ha quel sapore americano al quale è difficile resistere. Un’altra canzone piacevole da ascoltare e, perchè no, canticchiare. Singolo dell’EP è Johnny and June, un bel pezzo country dedicato alla storia d’amore della coppia simbolo del country americano, Johnny Cash e June Carter. Chiude Cards, un altro brano un po’ oscuro sorretto dalla voce della sua intreprete. Una delle canzoni più mature di questo album nonchè una delle più affascinanti.

Tori Forsyth si presenta bene con questo Black Bird. Un’anima americana trapiantata dall’altra parte del mondo ma la musica non conosce confini. Cinque canzoni delle quali è difficile scegliere quali sia la migliore. Sono tutte canzoni belle per la loro semplicità e bontà. Mi piacerebbe ascoltare un suo album, prima o poi, per capire dove può arrivare. Nell’attesa ho pronti altri EP da ascoltare. Quest’anno si sta rivelando pieno di questi piccoli album che un po’ non sopporto perchè troppo corti e un po’ mi piacciono per lo stesso motivo.

Ape regina

Dovrei cominciare a segnarmi come arrivo ad ascoltare certa musica. Sincermente non ricordo come sono arrivato a Logan Brill. Sicuramente per caso ma è altrettanto sicuro che la chioma bionda e gli occhi azzurri di questa cantautrice americana, hanno giocato un ruolo fondamentale. Siamo sinceri, chi non gli concederebbe un ascolto, anche solo per curiosità? Eccomi dunque tra le mani, il secondo album di Logan Brill intitolato Shuteye e pubblicato lo scorso anno. Il suo è un country dal forte accento americano, un po’ commerciale è vero ma non lasciatevi ingannare. Dietro quel bel visino si nasconde una cantautrice abile che con la sua musica arriva dritta, ci da una scossa e se ne va, lasciandoci qualche bel ritornello da canticchiare.

Logan Brill
Logan Brill

Apre la titletrack Shuteye, energico contry rock illuminato dalle chitarre e dalla voce potente della Brill. Un inizio scoppientate che fa presagire un album caricato a molla, “It’s a quick little cat nap here / A little Red Bull in a cup of coffee / And I can keep up the pace / Someday this sugar rush might just kill me / But I’ll go with a smile on my face“. World Still Round è il singolo di punta dell’album e vira su un pop un po’ ruffiano ma piacevole. Logan Brill cuce i testi sulla musica alla perfezione. Tutto scivola via, catturati dal forte accento americano della giovane cantautrice, “I hear you knocking at my door / You don’t have to tell me what you came here for / If you’re gonna leave me, don’t gotta let me down easy / Just let me go“. C’è spazio anche per qualche ballata d’amore con The Woman On Your Mind. La voce della Brill è calda e confidenziale ma non rinuncia alla sua energia consueta. Un’altra bella canzone orecchiabile e sincera, “Like the tattoo on your arm / That you got of someone’s name / Reminding you some things don’t leave / Somethings only fade / You cover it up with a red rose / To hide away the blue / When the light hits it just right / It’s still a part of you“. Un banjo attacca in Don’t Pick It Up e si perde in un contry blues affascinante. Una canzone che trasmette tutto l’entusiasmo di questa ragazza, “Don’t pick it up / There’s no tellin what I’d say / Just let it ring / Yeah just let the voicemail play / Don’t say hello, then I’ll know, that door is closed and window’s shut / Don’t pick it up don’t pick it up don’t pick it up“. Far Cry From You è un pezzo pop rock un po’ malinconico. Logan Brill risponde sempre presente, protagonista della scena ma senza alzare troppo la voce, “Hey, I left a few on your old sweater / I watched them fall on a love sick letter / And I cried a river, cried a mile wide one / I’ve ever cried some crocodile ones“. Con The Bees si torna al country più genuino e sincero. L’atmosfera bucolica e il testo, tutt’altro che banale, ne fanno la migliore dell’album. Da ascoltare, “But I can hear the bees buzzing through the walls / Making their honey and singing their song / They say I work for the queen all day / Yeah, I work for the queen all day / Ooooh, ooooh“. Un po’ di southern rock con Where Rainbows Never Dies. Chitarre squillanti e ritornello accattivante, sono ingredienti che funzionano sempre. Logan Brill evidentemente lo sa bene e io ci casco sempre, “I will make my way / Across the fields of cotton / And wade through the muddy waters / One last time / And in my dreams, I’m comin’ out clean / When I reach the other side / West of where the sun sets / Where the rainbows never die“. Hafway Home è un’altra bella ballata notturna e solitaria. Logan Brill ci mette sempre del suo per arricchire qualcosa di già sentito e ci riesce sempre, merito della sua voce e del suo talento, “Halfway home / You ain’t so sure he’s the one / 4AM and you drive alone / With last nights clothes on / Halfway home / Tell yourself you’re still strong / Wondering what’s so damn wrong / With needing someone“. Tupelo è made in USA. C’è tutto quello che ci si aspetta dal country. Questa ragazza del Tennessee ne sa qualcosa di come si fa e stavolta ha fatto centro. Viene quasi voglia di tornare anche a me a Tupelo, anche se non ci sono mai stato, I’m going back to Tupelo / Headed south on a greyhound fare / Nobody gonna miss me ain’t nothing left for me here / I’ve struck out here in the city / I almost forgot about you / And the fireflies in cotton fields of June“. La fine dell’album è affidata a I Wish You Loved Me, ballata romantica che non brilla certo di originalità ma è comunque un piacere da ascoltare, “And I wish the full moon / Would float into your room / Leave you a sweet dream / Of what used to be / And I wish this whiskey / Didn’t burn like your memory / I wish you loved me / As much as you don’t“.

Shuteye è un album da ascoltare tutto d’un fiato, con la mente sgombra e la voglia di lasciarsi accompagnare dalla voce di Logan Brill. Un album che non richiede impegno, che entra subito in circolo al primo ascolto. Di belle ragazze che fanno country ce ne sono tante ma Logan Brill potrebbe sorprendervi per la sua energia e semplicità. Ora quella curiosità per quella ragazza bionda con gli occhi azzurri si è trasformata in un interesse che devo approfondire con il suo primo album Walking Wires. Quindi se vi va di ascoltare un po’ di buon country al femminile e passare una piacevole mezz’ora questa è l’occasione per farlo.

Bianca poesia

Questo EP è uscito un anno fa ma solo di recente è giunto alle mie orecchie. Ho sempre qualche album che metto in una lista dei desideri ideale e Home di Hattie Whitehead è uno di questi. Non riesco a resistere alla semplicità del folk voce e chitarra e questa cantautrice è una di quelle che si aggiungono alla mia collezione personale. Gli ingredienti sono gli stessi e si ripetono ma c’è sempre qualcosa che mi affascina, come una magia, che non riesco a spiegare. Hattie Whitehead ha questa magia.

Hattie Whitehead
Hattie Whitehead

Apre la titletrack Home, delicata e spensierata con una vena di malinconia. C’è qualcosa della prima Laura Marling nella sua voce e nel modo di cantare e c’è anche il sapore del folk americano. La successiva This Ship è più solitaria e triste. La Whitehead riesce ha incantare lungo tutti i cinque minuti abbondanti del brano senza risultare affatto noiosa. Un piccolo gioiellino incastonato in questo EP. La più bella è però Confused And Untied. Una canzone sincera e luminosa, dove esce fuori tutto l’entusiasmo della sua giovane età. Hattie Whitehead qui da il meglio di sè, dimostrando tutto il suo talento. Sonny è dolce e malinconica con una melodia cucita sulla sua voce. Difficile resistere. Chiude Twenty-Three un’altra canzone folk che ha tutto quello che si chiede. La Whitehead trova sempre la melodia giusta, il lato poetico della musica. Chiude in crescendo così come ha iniziato.

Hattie Whitehead esordisce con un EP di tutto rispetto. Non posso nascondere che in più occasioni ho sentito Laura Marling nella sua musica e questo è bene. La Marling è senza dubbio una buona maestra e questa giovane cantautrice non poteva scegliere di meglio.Sarei curioso di ascoltarla in un album e chissà se questo è l’anno buono. La poesia di questo Home è sincera e spontanea. Un EP che potrebbe essere solo l’inizio di una carriera interessante.