L’estate si avvicina

Questo è un buon momento dell’anno per recuperare qualche uscita dello 2017. Ci sono album che sono finiti nella mia wishlist per poi rimanere sotterrati dalle nuove uscite. Lo scorso mese, ad esempio, è stato foriero di tanta nuova musica ma questo aprile si è rivelato più tranquillo in questo senso. Perciò mi sembrava il momento di recuperare questi album rimasti in lista d’attesa. Uno è Wild & Wicked Youth, terzo album della cantautrice inglese Kim Lowings e la sua band The Greenwood. Il suo folk in bilico tra tradizione e modernità era già giunto alle mie orecchie con l’album Historia del 2015 ma non avevo approfondito. Per conoscere la musica di Kim Lowings dovevo pur iniziare da qualche album e questo Wild & Wicked Youth è quello che ho scelto.

Kim Lowings and The Greenwood
Kim Lowings and The Greenwood

Si comincia con In Spirit, una ballata folk dove la musica gioiosa contrasta con il testo. Il fantasma senza pace di un suicida conduce alla morte altri uomini, trascinandoli nelle profondità del mare, “We may get seven years or more / Of life and love both rich and poor / Before the song it calls me back to sea. / Then I will pull you through the door, / Bid a farewell to the shore. / Drag you under, bring you home with me“. Segue Oyster Girl, la prima delle ballate folk tradizionali di questo album. Una scelta musicale azzeccata, racconta la storia di un francese in visita a Londra che viene truffato da una ragazza che vende ostriche, “We’d not been in the room scarcely but a half an hour / Before she picked my pockets of fifty pounds and more / And out of the doorway so nimbly she did trip / And left me with her basket of oysters“. Farewell, My Love So Dear si apre con un coro di voci maschili che lascia spazio alle note del contrabbasso. Un canzone più oscura delle precedenti, con un’atmosfera ben calibrata, “Farewell my love so dear / For now the time is near / From thee I’m going. / But I will come again / When frost is on the pane / And storms are blowing“. The Cuckoo è un altro brano tradizionale, riproposto in una veste accattivante. Kim Lowings con la sua voce riesce trasmettere quel senso di inquietudine, reso più pungente dal suono del violino, “Oh the cuckoo she’s a pretty bird, / She sings as she flies. / She brings us glad tidings, / She tells us no lies. / She drinks from wild flowers / To keep her voice clear / And when she sings cuckoo / The summer draws near“. The Tortoise And The Hare si rifà alla nota fiaba della tartaruga e la lepre per rappresentare un amore che va a due velocità diverse. Una ballata folk colorata e positiva che mostra tutto il talento della Lowings e della sua band, “I’m like the tortoise and you’re like the hare. / You’re quick off the blocks while I tread with care. / I’d rather be cautious it’s a harsh world out there. / And your smug smile it tells me that I’d better beware“. La successiva Firestone si poggia sulle note di un pianoforte. Senza dubbio uno dei brani più affascinanti di questo album, oscuro e toccante con una spiccata personalità pop, “But I will not stray from the pathway. / My steps will not falter nor fail. / Though this burning inside me / May try to deny me / The firestone will tell its own tale“. Wyle Cop / The Wonderful Mr Clark è una gioiosa ballata folk che affonda a piene mani nella tradizione inglese. L’intro di violino ci apre a lieti e sconfinati scenari, la voce della Lowings ci racconta tutto il fascino di Mr Clark, “With pockets full of charm, / That twinkle in his eye. / See how all the ladies swoon as Mr Clark walks by / And you may try and tell him / But this he will deny / There’s nobody as wonderful as Mr Clark“. Segue Bold Riley, una ballata tradizionale, proposta in una versione corale. Queste canzoni hanno passato il vaglio dei secoli e giungono a noi intatte anche grazie ad artisti come Kim Lowings, “Goodbye me sweetheart, / Goodbye me dear-o / Bold Riley-o, Bold Riley, / Goodbye me darlin’, / Goodbye me dear-o, / Bold Riley-o has gone away“. Oh The Wind and Rain è una classica murder ballad spesso riproposta dagli artisti folk. Conosciuta anche con il titolo di The Two Sisters, racconta la storia di due sorelle che s’innamorano dello stesso uomo e una sorella uccide l’altra per gelosia, “They pushed her into the river to drown / ‘Oh the wind and rain’ / Watched her as she floated on down / ‘Crying oh the dreadful wind and rain’“. La successiva Away Ye Merry Lassies è una cover dell’originale di Georje Holper del ’89. Anche questa volta c’è spazio per una gioiosa ballata con un ritornello orecchiabile e accattivante, “Oh the moon is wax tonight / Don’t you like the fellas? / I prefer the girls tonight / I’m goin’ to ride the wind. / ‘Cause it’s the girls’ night out. / Away ye merry lassies! / Get your brooms, get ‘em out. / We’ll ride the wind tonight“. The Newry Highwayman
è una delle canzoni che preferisco di questo album. Un brano della tradizione, che racconta la storia di un uomo che vive la sua vita nell’illegalità finendo per essere ripudiato anche dai suoi cari, “I robbed Lord Golding I do declare, / And Lady Mansel in Grosvenor Square. / I closed the shutters, bid them goodnight. / And carried their gold to my heart’s delight“. C’è spazio per un’altra ballata al pianoforte per chiudere l’album. Si intitola Fly Away ed è una delle canzoni originali di questo album. Un testo toccante e intenso che mette in luce tutte le doti di cantautrice della Lowings, “Hold on to innocence my child. / You’ll miss it when you’re older… / I’ll fly away, fly away oh glory. I’ll fly away. / When I die hallelujah by and by. I’ll fly away“.

Wild & Wicked Youth è da inserire tra i migliori album folk dello scorso anno. Kim Lowings e la sua band sono riusciti a proporre un folk ricco ed intenso, che guarda alle sonorità più contemporanee di questo genere. I brani originali e quelli tradizionali si mescolano alla perfezione avendo come filo che li unisce la voce educata e morbida della Lowings. La mia, seppur lenta, ma costante scoperta del folk d’oltre Manica, mi ha portato ad ascoltare diverse versioni delle stesse ballate ed ognuna di esse è speciale a modo suo e quelle di Wild & Wicked Youth non fanno eccezione. Le sonorità più allegre si contrappongono felicemente ad quelle più oscure e tristi, dando una forte impressione di essere complementari l’une alle altre. Sì, Kim Lowings & The Greenwood meritano un approfondimento e non posso evitare di ripercorre la loro discografia ed evitare così di lasciarmi scappare ancora qualcosa di buono.

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Mi ritorni in mente, ep. 51

Questo album l’ho ascoltato per la prima volta la scorsa estate ma finora non aveva trovato spazio su questo blog. Nelle mie scorribande su Bandcamp sono stato attratto dalla sua copertina, sulla quale il cranio di un cervo giace nelle acque di qualche torrente. Quando ho ascoltato la prima canzone ho subito riconosciuto una voce famigliare. Si trattava infatti di un componente della band canadese Murder Murder, ovvero Barry Miles.

Questo album intitolato Whatever In Creation risale al 2016 raccoglie nove canzoni squisitamente dal sapore americano. Sonorità bluegrass e splendide ballate malinconiche sono il piatto forte in casa Miles. Da non perdere canzoni come Vermillion Gold e Shine Over The Mill. Da sottolineare anche la presenza di Where The Water Runs Black successivamente riproposta in un’altra versione con in Murder Murder. Un album on the road e nostalgico come testimoniano canzoni come Trouble On The Mainline e Albuquerque. Un album da non lasciarsi scappare per gli appassionati del genere e non.

Nessuna traccia

A distanza di tre anni dal suo primo album da solista, il cantautore svedese Kristoffer Bolander è tornato con What Never Was Will Always Be. Tempo fa era il leader della band Holmes che proponeva un folk americano influenzato dalle atmosfere del nord Europa, un progetto che sembra ormai accantonato dopo quattro album. Bolander però ha intrapreso una nuova carriera solista, permettendoci così di continuare ad ascoltare la sua voce magnetica. Il precedente I Forgive Nothing non era poi così lontano da quello che proponevano gli Holmes ma già si percepiva il lento distacco dalle sonorità folk. Questo nuovo album è un ulteriore passo in avanti in tale direzione.

Kristoffer Bolander
Kristoffer Bolander

L’album comincia con l’oscura Untraceable. Bolander con la sua musica ci trasporta di scenari epici e solitari. Il nuovo sound, più elettronico che in passato, fa emergere ancora di più le caratteristiche uniche della sua voce. Il singolo Cities è una delle più belle canzoni di questo cantautore. Come un volo sui tetti delle città del nord, la musica sostiene leggera il canto. Sono riconoscibili come sempre il piglio epico e quella venatura malinconica tipicamente sue. Heat affonda le sue radici in terreni più indie rock, dove le chitarre e i suoni elettronici si susseguono in un crescendo. La voce fredda di Bolander è una lama che fende il groviglio dei suoni. Le ballate non possono mancare e To Come Back è una di queste. Effetti sonori ed echi si vanno ad aggiungere alle chitarre dando forma ad una delle canzoni più magiche di questo album. La successiva The Liar si apre affidando quasi esclusivamente alla voce di Kristoffer. Una canzone che esplode poi nelle consuete architetture epiche e ampie. Questo è un ottimo esempio della musica del nostro Bolander. Animals va a toccare sonorità dance con l’aiuto dei synth, discostandosi ancora di più dalle consuete atmosfere del cantautore svedese. La sua voce rimane l’unico tratto immutabile nel turbine dei suoni. Unborn ritorna sui sentieri già battuti dal cantautore svedese ma che conservano il loro fascino solitario. Le chitarre trovano il loro spazio tra le melodie tessute dalla voce melodiosa di Bolander. Stråt è un crescente ed ipnotico indie rock sorretto dalla batteria e dalle chitarre. La voce distorta conferma la volontà di sperimentare nuove soluzioni con l’elettronica arrivando ad un finale liberatorio e grandioso. In soli due minuti, Bolander ci riporta alle sue consuete melodie, questa volta affidandosi sopratutto ai synth. Il risultato è notevole e sorprendente. A Massive Opiate ci fa sprofondare in un modo rallentato e indefinito. La voce di Bolander è ancora distorta, resa indefinita con un effetto sonoro. Anche la musica è ovattata e appare distante. La canzone più coraggiosa e sperimentale di questo album. Segue True Romance che, sorprendentemente, segna un ritorno al folk ed ad un suono più acustico. Kristoffer Bolander sfodera il lato più delicato della sua voce, apparendo meno freddo ma ugualmente malinconico, poggiandosi quasi esclusivamente sul suono della chitarra. Non poteva mancare un finale epico, ed ecco Florian’s Dream. Un brano per lunghi tratti unicamente strumentale che mette più in luce le doti di musicista di Bolander, dando il giusto spazio anche alla sua band.

What Never Was Will Always Be è un evidente cambio di sonorità per Kristoffer Bolander che riesce però a non snaturare la particolarità della sua voce. Una produzione attenta e mai sopra le righe la mette sempre al centro. In questo album la band che lo accompagna si dimostra più influente che nelle più recenti produzioni dando forma ad ogni brano. Anche se non avremo, molto probabilmente, la fortuna di ascoltare qualcosa di nuovo dagli Holmes e la loro scandinavian americana, Kristoffer Bolander sa riportarci laddove ci aveva portato in passato. La sua propensione alle atmosfere dark, non opprimenti ma di ampio respiro, e quella vena di malinconia inevitabilmente legata alla sua voce, sanno incantare come pochi altri artisti. What Never Was Will Always Be è un evoluzione del precedente album dove questo cantautore esplora nuovi spazi rimanendo sempre fedele a sé stesso e soddisfacendo appieno le aspettative.

 

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Un fiore nel cemento

Sono passati cinque anni da quando, per una fortunata serie di coincidenze, sono incappato nella musica di Kacey Musgraves. L’album di allora, intitolato Same Trailer Different Park aveva fatto conoscere al grande pubblico questa cantautrice country americana. Con il successivo Pageant Material ha fatto il definitivo salto di qualità, ritagliandosi il suo spazio nel panorama country. La voce dolce e i testi a volte pungenti della Musgraves la hanno resa unica e riconoscibile. A tre anni di distanza dall’ultimo album la nostra cantautrice era attesa al varco. Il successo, si sa, ha il suo prezzo e per rimanere sulla cresta dell’onda è necessario fare delle scelte. Il nuovo Golden Hour era un album molto atteso nel quale si nutrivano grandi aspettative. Ma la domanda era soltanto una: Kacey Musgraves averebbe continuato a proporre il suo country oppure si sarebbe piegata ad un facile pop da classifica? La risposta è tutta in questo album. Conoscendo la Musgraves, però, ero sicuro che la risposta non sarebbe stata tanto scontata.

Kacey Musgraves
Kacey Musgraves

Slow Burn apre nel migliore di modi l’album. Un country pop autobiografico che ci introduce nelle nuove sonorità vagamente psichedeliche. Un invito a vivere la vita secondo i propri tempi, in un mondo che va sempre più di fretta, “I’m alright with a slow burn / Taking my time, let the world turn / I’m gonna do it my way, it’ll be alright / If we burn it down and it takes all night / It’s a slow burn, yeah“. Lonely Weekend ritorna su quelle atmosfere malinconiche che non sono mai mancate nella musica delle Musgraves. Un ritornello orecchiabile e fresco, che regala un momento di spensieratezza, “It’s a lo.. it’s a lo.. it’s a lonely weekend (So lonely) / It’s a lo.. it’s a lo.. it’s a lonely feelin’ without you / I guess everybody else is out tonight (Out tonight) / Guess I’m hangin’ by myself, but I don’t mind (I don’t mind) / It’s a lo.. it’s a lo.. it’s a lonely weekend, yeah“. Il singolo Butterflies svela una Kacey romanticona in un pezzo prevalentemente pop, dal retrogusto di inizio millennio. Un brano colorato e forse eccessivamente sentimentale ma funziona, “Kiss full of color, makes me wonder where you’ve always been / I was hiding in doubt, ‘til you brought me out of my chrysalis / And I came out new / All because of you“. L’intro di Oh, What A World con la voce distorta lascia presagire una svolta elettronica ma non è così. La canzone continua poi sulle sonorità in linea con il resto dell’album, declamando una sorta di amore cosmico, “Oh, what a world, don’t wanna leave / All kinds of magic all around us, it’s hard to believe / Thank God it’s not too good to be true / Oh, what a world, and then there is you“. Mother, scritta sotto gli effetti del LSD, dura poco più di un minuto ma è una delle più intense dell’album. Poche parole e un pianoforte che accompagna la voce delicata della Musgraves. Una canzone apparentemente semplice ma sorprendentemente forte, “Wish we didn’t live, wish we didn’t live so far from each other / I’m just sitting here thinking ‘bout the time that’s slipping / And missing my mother, mother / And she’s probably sitting there / Thinking ‘bout the time that’s slipping“. La successiva Love Is A Wild Thing è forse la canzone più country di questo album. Rassicurante e malinconica quanto basta, farà contenti i fan della prima ora, “Running like a river trying to find the ocean / Flowers in the concrete / Climbing over fences, blooming in the shadows / Places that you can’t see / Coming through the melody when the night bird sings / Love is a wild thing“. A dispetto del titolo, Space Cowboy, non ha nulla a che fare con mandriani intergalattici. Una ballata sulle difficoltà dell’amore arricchita da suoni distorti che sottolineano l’anima psichedelica dell’album, “You look out the window / While I look at you / Sayin’ I don’t know / Would be like saying that the sky ain’t blue / And boots weren’t made for sitting by the door / Since you don’t wanna stay anymore“. Non so perché ma Happy & Sad una delle canzoni che preferisco di questo album. Non sarà la migliore, sarà eccessivamente zuccherosa, però a me piace. Il suo ritornello così liberatorio e solare, il suo stile un po’ anni ’90 ha un nonsoché di nostalgico, “Is there a word for the way that I’m feeling tonight? / Happy and sad at the same time / You got me smiling with tears in my eyes / I never felt so high“. Velvet Elvis è il primo dei due brani nel quale ogni traccia di country viene accantonata per un attimo a favore di ritmi più pop. Il suo contenuto leggero e il beat piuttosto pompato fanno scivolare via questa canzone senza particolari sussulti, “I don’t really care ‘bout the Mona Lisa / I need a Graceland kind of man who’s always on my mind / I wanna show you off every evening / Go out with you in powder blue and tease my hair up high“. Wonder Woman è un gradevole brano pop dal ritornello fresco ed estivo. Una canzone dove si ammettono le proprie debolezze, smontando l’immagine di una donna perfetta e sicura di sé in amore, “‘Cause, baby, I ain’t Wonder Woman / I don’t know how to lasso the truth out of you / Don’t you know I’m only human? / And if I let you down, I don’t mean to / All I need’s a place to land / I don’t need a Superman to win my lovin’“. Poi c’è High Horse. Una canzone in stile Daft Punk, che ha diviso i fan. Personalmente trovo sia una buona canzone ma sono contento che sia l’eccezione all’interno di questo album. Forse è l’unica canzone nella quale si può ritrovare lo stile pungente che ha caratterizzato in passato le canzoni della Musgraves, “I bet you think you’re first place / Yeah, someone should give you a ribbon / And put you in the hall of fame / For all the games that you think that you’re winning“. La title track Golden Hour è la classica canzone d’amore romantica e carica di buoni sentimenti. La classe e l’eleganza della voce sono indiscutibili e il resto viene da sé, “Baby don’t you know? / That you’re my golden hour / The color of my sky / You’ve set my world on fire, yeah / And I know, I know everything’s gonna be alright, mhm“. Chiude l’album la straordinaria ballata Rainbow. Rassicurante e commovente, questa canzone è da inserire tra le più belle di questa artista. Un pianoforte e un testo che faranno palpitare i cuori più sensibili, “Well, the sky is finally opened, the rain and wind stopped blowin’ / But you’re stuck out in the same old storm again / You hold tight to your umbrella, but darlin’ I’m just tryin’ to tell ya / That there’s always been a rainbow hangin’ over your head“.

La prima cosa che mi è venuta in mente ascoltando Golden Hour è una frase della stessa Kacey Musgraves, contenuta nella sua canzone Dime Store Cowgirl, che recitava: “You can take me out of the country / But you can’t take the country out of me“. Si potrebbe accusarla di non aver tenuto fede a quella dichiarazione ma io penso che sia invece l’opposto. Kacey Musgraves ha abbracciato sonorità più pop, arrivando anche ad abbandonare completamente quelle country (come con High Horse). Ma in qualche modo, per certi versi sfuggente, è riuscita ad essere la Kacey Musgraves che abbiamo sempre conosciuto. Il country c’è, è rimasto dentro di lei, sottotraccia. Ma voler assegnare a tutti i costi un genere o uno stile ad un album come questo è spesso una grande perdita di tempo. Io ho ritrovato la Kacey Musgraves che conoscevo ed è abbastanza per dire che Golden Hour mi piace, con i suoi difetti. In conclusione Golden Hour è un album che dimostra ancora una volta il talento di questa cantautrice.

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Cuore solitario

Un paio di anni fa è passato da queste parti un album davvero eccezionale, intitolato Honest Life della cantautrice americana Courtney Marie Andrews. Quell’album è finito dritto tra i migliori del 2016 e ancora oggi lo ascolto più che volentieri. A soli ventisette anni, quest’anno ha pubblicato il suo settimo album, May Your Kindness Remain. Non ho avuto bisogno di singoli o preview varie per decidere cosa fare. Non ho esitato ad ascoltare questo album nonostante abbia letto recensioni discordanti in merito. Ma in genere non mi lascio condizionare, soprattutto se si tratta di un artista che già conosco, e quindi ecco qui May Your Kindness Remain tutto da scoprire canzone dopo canzone.

Courtney Marie Andrews
Courtney Marie Andrews

La titletrack May Your Kindness Remain apre l’album. Un organo in sottofondo lascia spazio alla voce melodiosa e potente della Andrews. Una riflessione sulla ricchezza dei sentimenti e non dei beni materiali con un piglio più soul che in passato, “And if your money runs out / And your good looks fade / May your kindness remain / Oh, may your kindness remain“. La successiva Lift My Lonely From My Heart torna ad affrontare il tema della solitudine, da sempre caro alla Andrews. Una canzone che ricalca gli schemi più classici del country ma che gode della sua emozionante voce, “When morning comes, whistling comes a bluebird / While I try to find a will to wake / My loneliness, it blurs the days together / My loneliness, it pushes you away“. Two Cold Nights In Buffalo è un country on the road che richiama le sonorità del precedente album. Una carrellata di immagini di un America che si allontana da quel sogno che si è costruita, “Snowy prison out on Main Street, heaters hang from the cells / A bum searches for shelter, so cold he dreams of hell / It’s that American Dream dying, I hear the whispers of each ghost / Of a wealthy man who once died in downtown Buffalo“. Rough Around The Edges è una ballata solitaria alla quale la Andrews non è nuova e accetta di guardarsi dentro e confidarsi a chi l’ascolta. La sua voce è veicolo di sentimenti ed emozioni come poche sanno fare, “Curtains closed so I can sleep in late / Nothin’ on the TV, but it always plays / Dirty dishes, buds in the ash try / Don’t feel like pickin’ up the damn phone today“. Border vede la cantautrice americana alle prese con un country blues rilassato ma ruvido. Non è un cambio di ritmo ma solo una variazione sul tema principale dell’album, peraltro ben riuscita, “There is always a reason / A story to tell / But you cannot measure a man until you’ve been down the deepest well“. Si ritorna alle ballate con Took You Up. Un piano forte e delle chitarre distorte accompagnano il canto della Andrews. Ancora la malinconia e la solitudine sono al centro di una canzone, sono parte di lei, “Good friends, good company / In every corner of this country / But none of them quite get me / The way you get me / Long drives through the countryside / Cheap motels, diners, and dice / Callin’ numbers on the billboard signs / See who picks up on the other line“. This House è ancora una ballata che si ispira agli scorci che una casa può offrire. Immagini confortanti, forse imperfette ma sincere evocate da un testo poetico, “The faucet might leak, the staircase might creak / The heater takes a while to kick in / But there’s a whole lot of laughter and love / This house, this house is our home“. Ancora la gentilezza in Kindness Of Strangers un vibrante soul dal animo country. Cercare di essere sempre gentili non è affatto facile e Courtney Marie Andrews lo sa bene, “People come and people go / And some will make their mark / Like an iron to the bowl / A cymbal in your heart / And the ones that stick around / Are the hardest ones to find / And if you can’t find the closest / You need the kindness to survive“. I’ve Hurt Worse è una deliziosa poesia in musica sulle difficoltà dell’amore. Poche frasi che si ripetono, dove ritornello e strofe quasi si confondo ma che danno la misura del talento della Andrews, “I like when I have to call you a second time / It keeps me wondering if you are mine / Mother says we love who we think we deserve / But I’ve hurt worse, I’ve hurt worse“. L’ultimo brano dal titolo Long Road Back To Home è una lunga ballata notturna. Lo stile è quello tipico di questa cantautrice ma con ancora sfumature soul che toccano, delicatamente, le corde giuste del cuore, “Call me when you get to Austin / When you’re fillin’ up at that Chevron station / Get yourself a coffee and power through / It’s a long, long road back to you“.

Riguardo a May Your Kindness Remain ho letto che il suo punto debole è la poca varietà nelle tonalità ed è vero ma solo ad un ascolto superficiale. Ad ogni ascolto emerge sempre qualcosa di nuovo, nuove sfumature e sensazioni. Le tematiche ricorrenti, come la solitudine, non offrono molti colori alla sua tavolozza ma Courtney Marie Andrews se li fa bastare, sfruttando il suo talento. Chi lo definisce monocorde non ha compreso, o semplicemente non può comprendere, quel sentimento di fondo che pervade l’album, il quale lascia spazio a poco altro. May Your Kindness Remain è un album mosso profondamente dai sentimenti dove l’attenzione non si concentra sulla canzone fine a sé stessa ma sulla volontà di trasmettere un brivido di empatia che un ascolto affrettato non può provocare. In conclusione Courtney Marie Andrews ci regala un album meno immediato del precedente ma ancora più profondo e personale.

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