C’è vita laggiù nei posti più bui

Ho un ricordo legato all’album Dear Happy della cantautrice inglese Gabrielle Aplin: è stato uno degli ultimi album che ho ascoltato prima che l’epidemia cambiasse improvvisamente le nostre abitudini. L’album infatti risale a fine gennaio di quell’anno che tutti noi ricordiamo ma sono passati più di dieci anni da quando ascoltai per la prima volta quest’artista. Più passano gli anni e più si avvera il mio desiderio di partecipare al processo di crescita di un artista nel corso della sua carriera. Per la Aplin è arrivato il momento del suo quarto album, intitolato Phosphorescent. Dopo le vaghe contaminazioni folk degli esordi è passata più o meno rapidamente ad un pop cantautorale dal gusto squisitamente british. Con Dear Happy la svolta pop è stata decisamente più marcata e appariva più come la fine di un capitolo piuttosto che l’inizio di uno nuovo. Questo nuovo album, fin dai primi singoli, si è mostrato più maturo ed introspettivo rispetto al suo predecessore.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

Phosphorescent non si discosta molto dal pop proposto dalla Aplin in questi ultimi anni e canzoni come Skylight, Take It Easy e Don’t Say, che poggiano su beat elettronici e ritornelli orecchiabili, si lasciano ascoltare più volentieri. In brani come Good Enough o l’ottimo singolo Call Me si possono riascoltare le sonorità più intense e leggere per le quali quest’artista ha sempre avuto particolare abilità nel dar loro equilibrio, anche grazie alla voce morbida e innocente. Non mancano canzoni nel quali emerge un sound pop soul come in Anyway o Wish Didnt Press Send che per lo meno ci offrono qualcosa di diverso da parte della Aplin. Spazio anche a ritmi danzerecci con Never Be The Same che scorre via senza pensieri, ripercorrendo il solco tracciato dal precedente Dear Happy. Per trovare l’anima di questo album bisogna cercarla in canzoni come Don’t Know What I Want o l’ottima Mariana Trench nelle quali la nostra si spoglia di qualsiasi orpello pop e scava dentro sé stessa. In quest’ultima in particolare, la voce della Aplin è sola con il pianoforte, come in passato è già successo e con ottimi risultati. Le atmosfere distese e effimere si ritrovano anche in Half In Half Out che incanta dando il giusto spazio all’influenza di un pop moderno e giovane.

Nonostante le apparenze, Gabrielle Aplin non è più una ragazzina e questo Phosphorescent in qualche modo sembra voler sottolineare questo passaggio importante. La spensieratezza lascia spazio alla riflessione ma non necessariamente alla tristezza o alla malinconia. La sua voce educata è tratto che più caratterizza le canzoni nelle quali ritrovano, in parte, le sonorità e le influenze degli esordi. Gabrielle ripercorre con Phosphorescent la strada intrapresa nel 2015 con Light Up The Dark (il mio preferito in assoluto tra i suoi) e successivamente smarrita, in alcune occasioni, nella ricerca di un pop moderno ma spesso poco personale e prevedibile. Phosphorescent è dunque un album ben riuscito che, tra alti e bassi, ci restituisce una Gabrielle Aplin ispirata e sulla via di una maturità artistica da tempo ricercata. Resta inteso che lei avrà sempre un posticino speciale tra la mia musica, che si è conquistato negli anni nonostante il suo non sia tra i miei generi preferiti. Per questo ha doppiamente il merito di esserci riuscita.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube

Errori, felicità e caramelle

L’ultimo album della cantautrice inglese Gabrielle Aplin risale al 2015 e si intitola Light Up The Dark. Da allora questa giovane artista ha pubblicato un paio di EP, Miss You e Avalon, dove lasciava intendere che la decisa svolta pop era una cosa seria. Seguo Gabrielle Aplin sin dai suoi esordi e l’evoluzione della sua musica è stata rapida e decisa. Il nuovo Dear Happy ha avuto una lunga gestazione ma alla fine ha visto la luce, ribaltando, a partire dalla copertina, il buio grigiore del suo predecessore. Anche se i singoli tendevano ad un pop moderno e mainstream, non incontrando i miei gusti musicali, non potevo tirarmi indietro. Gabrielle Aplin è una di quelle artiste che, avendole seguite fin dagli inizi, hanno un posto speciale nella mia musica.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

Until The Sun Comes Up apre l’album con il suo pop che inizia in modo sommesso per esplodere poi nel ritornello. La Aplin non rinuncia alla melodia ma lascia ampio spazio ai ritmi elettronici del pop di oggi, “We’ve got a life but it’s never enough / It got us down so we’re givin’ it up / We don’t care if it’s right or it’s real love / We’re not lettin’ go of tonight till the sun comes up“. La successiva Invisible ribadisce le atmosfere del brano precedente, rafforzandole con maggiore convinzione. Si muove bene, la Aplin, facendo attenzione a non risultare troppo scontata, “Gettin’ through to you can feel like runnin’ on flames / You’re tryna chase your troubles away / And you’re burnin’ like a storm that’s gettin’ ready to break / Give nothin’ away, no“. Non mancano le ballate e One Of Those Days è una di queste. Una canzone che è una riflessione sulla vita, sui momenti difficili che si possono presentare e hanno toccato da vicino questa artista e la sua musica, “It’s just one of those days / It’s just one of those days / It’s just one of those days / When grace seems far away / Maybe I will never change / Tell me I’m goin’ through a phase / ‘Cause it’s just one of those days / When grace seems far away“. Kintsugi prende spunto dalla pratica giapponese di riparare la ceramica con l’oro. Qui c’è da rimettere insieme i pezzi della vita e chissà se c’è qualcuno in grado di farlo rendendola ancora più preziosa, “My life will be a map you can trace / Every little part of the story / Make it beautiful and golden with grace / But keep a little stain to remind me“. Strange prende spunto da buona parte delle sonorità del pop moderno. Una venatura dark e un groove ben riuscito, danno dimostrazione del talento della Aplin, “Isn’t it strange? / I don’t wanna walk away / I just wanna go wherever heaven takes me / Even through the flames / Isn’t it strange, / How I don’t want to play it safe? / This ain’t gonna be forever / Like the petals on the rose you gave / But isn’t it strange?“. La canzone più bella è My Mistake. Gabrielle Aplin si mostra fragile in una toccante dichiarazione di debolezza. La voce sembra sul punto di spezzarsi più volte e il messaggio è chiaro e intenso, dando prova di maturità. Da ascoltare senza indugi, “Am I jaded? / Am I meant to feel this way? / I’m a loser, getting beat by my own game / But if I falter, well at least it was my mistake / Oh, at least it was my mistake / ‘Cause I choose to be this way / I’m a loser, and I self-deprecate / So when I falter, well at least it was my mistake“. Con Like You Say You Do si torna al pop leggero e spensierato. Orecchiabile e di presa facile, questa canzone si incastra alla perfezione nello spirito dell’album, “Oh, maybe I’m blind, losing my mind, but / I just can’t see it, the way you say you’re feeling / I don’t want your words, give me a sign / Just act like you mean it / ‘Cause I’m only gonna tell you one more time“. Losing Me vede la partecipazione JP Cooper trascina anche la Aplin in un pop rappato che non brilla di originalità ma che vince facile, “Just take a breath love / Fill your lungs up / Rest your head / There’s no sense in losing sleep“. Segue So Far So Good che si poggia sulle pulsazioni elettroniche che accompagnano le parole, scelte più per il loro suono che il significato, “We’ve come so far / And so far, it’s been out of sight / We’ve come so far / And so far, it’s been what I like / We’ve come so far / And so far, so good / So good, so good, so good, so good“. Anche Nothing Really Matters punta tutto sull’energia del pop e la vitalità della sua interprete. Deve ammettere che ha un buon tiro ed è tra quelle che salverei, “I always thought that the grass somewhere was greener / And I accept that I’ve always been a dreamer / Tryna control, I learn to let go, just / Don’t let me go, no“. Magic prova a riscoprire la magia dell’amore, che si è un po’ persa nella frenesia dei giorni nostri. Gabrielle dimostra di essere a suo agio e la canzone scivola via, leggera, “No we don’t feel the need for colorful displays / ‘Cause it’s not the kind of game we play / And why should we show the world how we feel / When it’s not about them anyway“. Love Back si allontana dalla strada tracciata in precedenza e si appoggia ad un bel pop rock. Quasi sorprende trovare una canzone come questa, dal gusto dei duemila, all’interno di questo album. Brava Gabrielle, “Always your way / Won’t bend, we break / I give, you take / And now I’m runnin’ out / Of patience, I’m waitin’ / You’re so disappointin’ / ‘Cause I give, you take / And now I’m runnin’ out“. Miss You non è inedita, faceva già parte dell’EP omonimo ma ben si inserisce in questo disco. In qualche modo a precorso i tempi, svelandoci la nuova veste di questa artista, “Will you be my best friend? / Will you be my last? / I need somebody who can love me like that / You be my best friend / Will you be my last? / I need somebody who can love me like that“. La title track Dear Happy è una deliziosa ballata al pianoforte che cresce verso un pop epico. La Aplin ben interpreta lo spirito della canzone, lasciando che la sua voce diventi veicolo di sensazioni più delle parole, “Dear Happy, don’t go / Not there but I’m close / I just always thought I’d never win / Dear Happy, you see / It’s not easy for me / But I know that I’m close“.

Non posso nascondere le perplessità che nutrivo riguardo al nuovo corso intrapreso da Gabrielle Aplin e il suo Dear Happy che avrebbe potuto rappresentare un definitivo abbandono delle sonorità acustiche e il pop cantautorale. Se il precedente album si poneva a metà tra pop mainstream e indie, questo nuovo lavoro pende decisamente a favore del primo. Delle quattordici tracce che lo compongono forse due o tre potevano essere tenute da parte ma dato che si tratta del primo album dopo cinque anni, è giusto che vadano a completare l’opera. Al di là del pop moderno, che non mi fa impazzire ma per il quale la Aplin si fa comunque apprezzare, ci sono delle ottime canzoni lì in mezzo. La Gabrielle che ho conosciuto in passato non è affatto scomparsa, è solo un po’ nascosta, fagocitata forse, dal pop facile. Come ho già scritto in passato, queste canzoni sono come caramelle, non placano la fame e una ogni tanto non fa male.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Soundcloud / YouTube

Caramelle gommose

Quando pensi che un’artista che segui abbia trovato la sua strada, ecco che questa si trasforma e cambia. Se nell’ultimo Light Up The Dark del 2015 vincevano sui colori il bianco e il nero, nel nuovo EP intitolato Miss You sono proprio i colori a prendersi una rivincita. Gabrielle Aplin è una giovane cantautrice inglese che seguo fin dai suoi esordi e al termine dello scorso anno ha pubblicato un nuovo EP che potrebbe significare un nuovo inizio per lei. La scelta di fare un EP di tre inediti (più una versione acustica) potrebbe servire a sondare il terreno per un futuro album che strizza l’occhio ad un pop mainstream. Questa svolta, anche se per ora limitata a questo Miss You, mi ha fatto inizialmente storcere il naso ma io non volto le spalle ad un’artista così facilmente. Gabrielle Aplin non fa eccezione.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

La title track Miss You simboleggia questa svolta pop. Niente più chitarre, nè pianoforte ma si vive a colpi di beat. La Aplin non perde il piglio da cantautrice e in questa forma appare più accattivante anche se forse meno originale. Resta comunque un brano più che piacevole da ascoltare, “So what were we thinking? / You got me cab and we said we were done / And I thought I was fine / But the days were so long and they rolled into one / And I, I couldn’t believe you were taking it in your stride / Then you tell me that you miss me and I’m like“. La successiva Night Bus è un pulsante pop dalle atmosfere notturne. La voce della Aplin si sposa bene con le nuove sonorità, trovando i suoi spazi senza che sia assorbita troppo dalla musica. In questo caso si intravedono degli ottimi spunti per il futuro, “Suddenly I know / That I’m on my way home / To you for the last time / It’s not what you wanted / But I know you got this / And you’re gonna be fine“. Il terzo inedito è Run For Cover. Delicata e sognante, ha inizio soft ma la canzone cresce lentamente. Il ritornello è orecchiabile e la produzione non eccessiva. Qui i fan di vecchia data troveranno una Gabrielle più vicina alle ultime sue creazioni, “I’ve already packed my promises / They’re waiting by the door / The house is burning / Better run for cover / Run for cover“. Chiude l’EP un riproposizione di Miss You suonata al pianoforte. La canzone c’è e questo fa ben sperare.

Miss You è forse un EP che lascia aperto qualche interrogativo ma la sua ridotta durata lo fanno scivolare via senza intoppi. Gabrielle Aplin prova qualcosa di diverso, e le riconosco il coraggio, ma forse questa scelta la avvicina troppo a qualcosa di “già sentito” che se da un lato funziona dall’altro allontana chi vorrebbe un pop più cantautorale e genuino. Apprezzo la scelta di pubblicare Miss You prima di un eventuale terzo album che, se dovesse proseguire su questa strada, sarebbe una svolta importante ma non necessariamente sbagliata o vincolante. In definitiva Miss You si lascia ascoltare e toglie quello sfizio, quel bisogno di pop quasi fosse una caramella.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Soundcloud / YouTube

Non mi giudicate – 2015

Avanti un altro. Anche quest’anno è diventato vecchio quanto gli altri ed è ora di cambiarlo. Come ogni trecentrosessantacinque giorni ci ritroveremo festeggiare l’arrivo di un anno migliore di questo. O almeno si spera. Il mondo cambia e forse noi non siamo pronti, forse non lo saremo mai. L’importante è cercare di passare il guado e anche questa volta pare che l’abbiamo sfangata. Me lo auguro sia così per tutti voi. Non resta che rimboccarci le maniche e affrontare altri trecentrosessantacinque (anzi trecentrosessantasei questa volta) giorni con rinnovato entusiasmo, come succedeva sempre ad ogni Settembre di fronte al nuovo anno scolastico. Ma basta con questa digressione, meglio voltarsi indietro per l’ultima volta e vedere un po’ cosa ci ha offerto di bello quest’anno di musica. Per la prima volta in questo blog ho deciso di premiare alcuni artisti o album che mi sono particolaremente piaciuti, ispirandomi ai premi NBA. Non mi piace dare voti o fare classifiche ma faccio uno strappo alla regola (“Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me” cit.). Ovviamente per decretare chi è meglio di chi avrei dovuto ascoltare tutta la musica uscita quest’anno, nessuno escluso. Come avrei potuto farlo? A mancare è soprattutto il tempo ma anche la voglia di ascoltare tutto (ma proprio tutto). Dunque la mia è una visione ristretta a ciò che ho voluto e potuto ascoltare dal primo Gennaio a oggi. Chi non è d’accordo… bhè se ne faccia una ragione.

  • Most Valuable Player: Laura Marling
    Quest’anno è iniziato con un grande ritorno. Quello di Laura Marling, sempre meravigliosa nonostante abbia ritoccato il suo sound. Avere venticinque anni e cinque ottimi album alle spalle non è cosa da tutti. Soprattutto essere già diventati così influenti è ancora più raro. La migliore.
    Laura Marling – False Hope
  • Most Valuable Album: How Big How Blue How Beautiful
    I Florence + The Machine quest’anno hanno sfornato un album grandioso. Un grande riscatto, carico di emozioni ed energia. Florence Welch con la sua voce domina incontrastata, inimitabile e unica. Senza dubbio l’album più forte dell’anno, da ascoltare se non l’avete ancora fatto.
    Florence + The Machine – Delilah
  • Best Pop Album: Light Out The Dark
    Il secondo album Gabrielle Aplin è convincente e lancia la giovane cantautrice inglese tra quegli artisti da tenere assolutamente d’occhio in futuro. Anzi forse il futuro è già qui. Io ho avuto la fortuna di scoprirla agli esordi, prima del suo debutto e sono molto contento che abbia trovato la sua strada.
    Gabrielle Aplin – Light Up The Dark
  • Best Folk Album: The Firewatcher’s Daughter
    Forse considerare folk The Firewatcher’s Daughter è riduttivo, lo stesso vale per Brandi Carlile ma dovevo assolutamente inserire la cantautrice americana in questa lista. Brandi Carlile migliora con gli anni e il successo di questo album se lo merita pienamente. Una voce emozionante senza eguali.
    Brandi Carlile – Wherever Is Your Heart
  • Best Singer/Songwriter Album: Tied To The Moon
    Rachel Sermanni è tornata con Tied To The Moon, riconfermandosi come cantautrice di talento e sensibilità. Anche per lei è arrivato il momento di cambiare sound ma lo fa con attenzione senza strappi con il passato. Voce e chitarra acustica è una ricetta semplice ma eccezionale quando si parla di questa giovane cantautrice scozzese.
    Rachel Sermanni – Banks Are Broken
  • Rookie of the Year: Lael Neale
    Tra gli esordi di quest’anno è difficile scegliere quale sia il migliore. Voglio premiare la cantautrice americana Lael Neale che con il suo I’ll Be Your Man ha dimostrato di saper scrivere canzoni magiche ed emozionanti. Spero per lei che in futuro possa avere più visibilità perchè è un’artista che non merita di stare nascosta.
    Lael Neale – To Be Sad
  • Sixth Man of the Year: Kacey Musgraves
    Per sesto uomo si intende colui il quale parte dalla panchina ma dimostra di avere un ruolo importante nella squadra. Kacey Musgraves partiva da un buon album ma niente di eccezionale. L’avevo quasi accantonata quando il suo secondo Pageant Material la eleva a country star. Kacey saprà sicuramente deliziarvi con la sua musica.
    Kacey Musgraves – Are You Sure ft. Willie Nelson
  • Defensive Player of the Year:  The Weather Station
    Ovvero l’artista più “difensivo”. Tamara Lindeman e il suo Loyalty la riconferma come cantautrice intima e familiare. Sempre delicata, non cerca visibilità e successo ma solo un orecchio al quale porgere le sue confidenze. Un piacere ascoltare The Weather Station e lasciarsi abbracciare dalla sua musica.
    The Weather Station – Way It Is, Way It Could Be
  • Most Improved Player: The Staves
    Niente da dire. Le tre sorelle inglesi Staveley-Taylor sotto l’ala di Justin Vernon hanno fatto un album che ruba la scena al buon esordio. If I Was è malinconico ma anche rock, le The Staves non sono mai state così convincenti e abili. Speriamo che in futuro la collaborazione di ripeta perchè abbiamo bisogno di voci come quelle di Jessica, Emlily e Camilla.
    The Staves – Steady
  • Throwback Album of the Year: Blonde
    L’album Blonde della cantautrice canadese Cœur de pirate è del 2011 ma solo quest’anno ho avuto il piacere di ascoltarlo. L’ho ascoltato a ripetizione per settimane, catturato dalla voce dolce e dai testi in francese di Béatrice Martin. Un album pop dal gusto retrò che ha trovato il suo erede (più contemporaneo) in Roses, pubblicato quest’anno.
    Cœur de pirate – Ava
  • Earworm of the Year: Biscuits
    Non avrei voluto che un’artista apparisse in due categorie diverse ma non posso fare a meno di premiare Biscuits di Kacey Musgraves. Mi ha martellato la testa per settimane.“Just hoe your own row and raise your own babies / Smoke your own smoke and grow your own daisies / Mend your own fences and own your own crazy / Mind your own biscuits and life will be gravy / Mind your own biscuits and life will be gravy“.
    Kacey Musgraves – Biscuits
  • Most Valuable Book: Moby Dick
    In questo blog, saltuariamente, scrivo anche di libri. Non tutti quelli che leggo durante l’anno ma quasi. Senza dubbio Moby Dick è il migliore. Un classico, un libro a tutto tondo. Non è una semplice storia, non è un avventura ma un’esperienza come lettore. Un’enciclopedia sulle balene, dialoghi teatrali, scene comiche e drammatiche, digressioni filosofiche. Tutto in un solo libro.

A conti fatti, ho premiato un po’ tutti. Chi è rimasto escluso è solo perchè altrimenti avrei dovuto inventarmi una categoria per ognuno di essi! Sarebbe stato sinceramente un po’ patetico oltre che inutile. Un altro anno è qui davanti, carico di musica nuova e meno nuova da ascoltare e riascoltare. Ci saranno tanti graditi ritorni…

Buon 2016.
Anno bisesto, anno funesto. 😀

Dolce far niente

Ricordo ancora quando ascoltai per la prima volta Gabrielle Aplin qualche anno fa. Questo blog mi ricorda che sono passati esattamente tre anni (Ogni cosa a suo tempo). La sua Home, nella versione del 2011, pose la giovane cantautrice di Bath (allora diciannovenne) tra gli artisti da tenere d’occhio nel futuro. Nel 2012 ha pubblicato il suo album d’esordio English Rain che tutt’ora ascolto volentieri. Quest’anno la bella Aplin è tornata con la sua seconda fatica, intitolata Light Up The Dark. Nel suo esordio si potevano trovare canzoni un po’ adolescenziali e altre più mature, generando un album diviso in due parti. Questo Light Up The Dark nasce tutto d’un pezzo e potrebbe rappresentare una pietra miliare della sua discografia. L’impressione è che quest’artista abbia scelto la sua strada. Ancora una volta Gabrielle Aplin mi ha affascinato, come tre anni fa, con un album più che convincente. La versione deluxe con diciotto brani, la dice lunga sulla vena creativa di questa cantautrice alla quale avevo promesso, tempo fa, di correrle accanto. Lo seguita per tre anni ed eccoci qui di nuovo fianco a fianco. Bentornata Gabrielle.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

L’album si apre con la titletrack Light Up The Dark che ci introduce nel nuovo sound della Aplin. Un pop rock chiaroscuro, vibrante ma addolcito dalla sua voce. La canzone è orecchiabile, d’impatto e siamo solo all’inizio, “There’s so little I’m afraid of when it comes to an end / But I can’t leave you on your own / When the chaos turns to silence and your enemies your friends / I will run away the storm“. Skeleton è ancora più rock e oscura. Chitarre distorte e batteria pesante compongono uno sfondo musicale complemetare alla voce della Aplin, che appare fragile ma ferma e energica. Da mettere tra le migliori dell’album, “There’s nothing I’m your skeleton / Your heart is gone / You’re acting like you doesn’t even matter / Like I don’t even matter / The way you work the rush of lights / You can’t make it out loud / You’re acting like you doesn’t even matter / Like I don’t even matter“. La successiva Fools Love è ancora una volta piena di energia e con un tocco soul che risentiremo più avanti. Forse non brilla di originalità ma è comunque una bella canzone, “You know I’m not sleeping / Black coffee in the evening / Hands ticking past midnight / I even miss the fighting /I know you’ve denied that / You’ve done this before and  /Why can’t you feel guilty? / You find it all too easy“. Rallenta il ritmo con Slip Away. Calda e morbida è la voce della Aplin ma nel ritornello esplode. Come da titolo la canzone scivola via ma non lascia indifferenti. Questa cantaurice inglese sembra sempre a suo agio e ha altre occasioni per dimostrarlo,How could you do this to me? / It’s getting harder to breathe / Can’t hold me down, can’t drown me out / Cause I’ll slip away slowly / The closer you hold me“. Sweet Nothing è un bel pezzo pop, fresco e più in linea con l’album procedente. Anche questa volta la ragazza ha fatto centro con una canzone irresitibile. Da ascoltare, “I feel your arms around me / You say you feel the love / And oh I feel alone / You think you understand me / But I don’t even understand me at all / I feel alone“. La nostra Aplin si fa seria e si prende la scena in Heavy Heart. C’è ancora una venatura soul in questa canzone, la più cupa di questo lavoro. Qui si percepiscono i passi avanti che questa cantautrice ha compiuto in questi anni e la sua sopraggiunta maturità, “I got a heavy heart / Too much for you to hold / We always come apart / And then I treat you so cold“. Tra le più belle (e non sono poche) non si può escludere Shallow Love. Si sente tutta la purezza della voce della Aplin che regna incontrastata. Una canzone che ricorda le atmosfere dell’ultimo album, catturando ancora con il suo ritornello. Brava, “Give me a reason to let you go / Cause I am drowning in your shallow love / Give me a reason, won’t you let me know? / This heart of mine is sinking like a stone / Shallow love, let me go / Shallow love, let me go“. Anybody Out There non è da meno. Un pop rock accattivante, illuminato dalla voce della Aplin. Una canzone che si unisce al gruppo delle migliori perchè qui è condesata l’anima dell’album, “There might as well be space / Right outside my window / Is there anybody out there? / Anybody out there? / I’m followed by your ghost / I’m stepping on your shadow / Is there anybody out there? / Anybody out there?“. Hurt è semplice ma intensa. Atmosfere di malinconia e di dolore riempiono l’aria e trovano sfogo nel ritornello. Non c’è altro da aggiungere, Gabrielle continua a stupire, “Oh, you are so good, I know that this is gonna hurt / I don’t think we should, you know it’s never gonna work / There’s things that you can’t see / You’re way too close to me / This one is gonna hurt“. Segue Together, indie pop squisito ma forse un po’ abusato. C’è di buono che la Aplin è inappuntabile quando ci mette questa energia a cantare. Un momento di svago e leggerezza in un album che concede poco spazio alla spensieratezza, “I’m not looking for redemption / I don’t wanna see the light / All I want is your attention / All I want, all I want is love / I don’t think you can deny me / Let’s go smoke and make a fire“. What Did You Do? è un altro momento alto dell’album. Qui si passa al pop folk corale perchè non c’è limite per quest’artista. Ti viene voglia di cantarla insieme a lei. Irresistibile, “I’m in the dark / I’m such a mess / Wherever we are. Here in this now / So look what you’ve done wasn’t my fault / You’ll see the worst if you stick around“. Chiude l’album, in versione “base”, la toccante A While. Solitaria ballata per pianoforte che mette in luce la dolcezza consolatoria della voce della Aplin. Cos’altro chiedere di meglio, “There be nothing left to talk about / No one left to hear / and a while we’ll put water on this aches and this walls will disapear / For a while, we’ve been coring the cold light of day“. Si aggiunge Don’t Break Your Heart On Me, un folk sussurrato che non poteva rimanere nascosto chissà dove. Non è la prima volta che Gabrielle ci riserva belle canzoni nelle tracce bonus, “We can’t always grow / From the seeds we sow / But still you watch them from your window / There’s no wounds to heal / No pain to kill / Don’t you break / Don’t break your heart on me“. Così come per The Side Of The Moon, ondeggiante pop rock, “And I swear he brings it on himself / He’s the reason that you make me melt / I am done with this fighting / I need to break it down“. La sorpresa arriva con Coming Home. Brano folk dal sapore americano che per ora rappresenta un’eccezione nella sua musica, “Coming home, coming home / Standing underneath the sky / With nothing of my own / I’m here picking flowers / But all my seeds are left unsown / Better off if he was coming home“. Si prosegue ancora con la bella Letting You Go. Gabielle sembra non fremarsi mai, “The harder you hold / The higher you go / The further you fall / Breaking your bones / It’s time to let go / The harder you try to follow the light / The brighter it shines / Burning your eyes / It’s time to let go“. The House We Never Built è sembra condita con quel soul che da corpo ad una delusione d’amore, “Tell me you love her / And I’ll be gone / Tell me you love her / And my heart was simply wrong / Just say the words and I’ll turn around / I’ll be gone without a sound / And burn this house to the ground“. Ultima ma non ultima, You Don’t Like Dancing, brillante canzone pop, un’esplosione di colori. Brava Gabrielle, non so più come dirtelo, “You don’t like dancing / But don’t you every say / We’re going nowhere? / There’s always somewhere we can be“.

Arrivati in fondo a questo Light Up The Dark, che sorpassa l’ora di una manciata di minuti, si ha sensazione di aver ascoltato un piccolo capolavoro. Non è certo un album rivoluzionario, né una pietra miliare in assoluto ma potrebbe rappresentare un punto di svolta molto importante nella carriera di questa cantautrice. Gabrielle Aplin non si è posta limiti e ha scritto diciotto canzoni incredibili per la sua età ed esperienza, dimostrando di non essere più una ragazzina. Con questo album sembra voler rivendicare un posto nel pop che conta, se non internazionale, quantomeno britannico. Light Up The Dark si è rivelato al di sopra di ogni mia aspettativa e la mia fame di musica è più che soddisfatta. L’ispirazione non gli è mancata e con un paio di canzoni in più e avrebbe potuto fare un doppio album che a ventitre anni non è cosa da tutti. Un album più che consigliato se volete ascoltare del buon pop in tutte le sue forme e conoscere un’artista che si appresta a diventare un nome importante del pop cantautorale internazionale.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Inconsapevoli speranze

Un’altra delle novità che ho ascoltato quest’estate è il primo EP della giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. Avevo già scritto di lei in occasione dell’uscita di Ribbon, che ora ho potuto ascoltare interamente. Inutile nascondere la sua età, quattordici anni, perchè ormai lo sanno tutti e si vede. Ma non si sente. L’interpretazione dei brani e la loro straordinaria maturità non sembrano essere attribuibili ad una adolescente che ancora non si può definire del tutto tale. Certo non si tratta di canzoni che sembrano fatte da una trentenne ma da una ventenne di certo sì.

Billie Marten
Billie Marten

La traccia di apertura è anche quella che da il titolo all’EP, ovvero Ribbon. A mio parere la canzone più bella delle quattro che lo compongono e quella nella quale si intravedono le potenzialità della ragazza. Rilassante, delicata e cantata sottovoce quasi a non voler disturbare l’ascoltatore. Un piccolo gioiellino che ricorda Laura Marling, alla quale è stata paragonata più volte. La successiva Unaware ha sonorità meno folk rispetto alla precedente ma è ugualmente valida e fresca dalla quale viene fuori maggiormente la giovane età dell’interprete. In For The Kill è una cover dell’originale di La Roux. Sarà perchè la musica di La Roux non è il mio genere ma questa cover è decisamente meglio dell’originale. Una dimostrazione di talento. Questo EP si chiude con I’d Rather. Forse la canzone meno sorprendente di tutte che viaggia su binari pop piuttosto collaudati ma non significa che ciò sia un male.

Billie Marten è stata accostata a diverse interpreti femminili del nuovo folk cantautorale ma a mio avviso ho sentito maggiori assonanze con la collega e connazionale Gabrielle Aplin. Quest’ultima privilegia un pop fresco e poco radiofonico e la Marten non mi sembra molto lontana da lei, considerando gli eventuali sviluppi che avrà la sua musica di pari passo con l’età. Non mi resta che tenere sott’occhio Billie Marten e aspettare qualche uscita un po’ più corposa per capire se è un fuoco di paglia o la luce di una stella pronta a nascere.

Mi ritorni in mente, ep. 19

Un anno e più è passato dall’uscita dell’album d’esordio di Gabrielle Aplin. Ascolto ancora oggi English Rain con piacere e devo ammettere che mi piace più di allora. Una canzone però si ripropone spesso nella mia testa e questa canzone è Take Me Away, bonus track dell’album in questione. Trovo che questo brano sia uno dei migliori della giovane cantautrice inglese. Una canzone semplice e sincera, riproposta di recente da questo video realizzato durante le registrazioni dell’album d’esordio. Spero che la Aplin torni il prossimo anno con un nuovo album. Il 2015 si prospetta ricco di nuove uscite per me, anche perchè questo si è rivelato un po’ magro.

Anche se a dire il vero un’uscita che mi riguardava c’è stata. Si tratta di Ultraviolence di Lana Del Rey, artista della quale avevo già scritto su questo blog nel Gennaio dello scorso anno. Non mi era affatto dispiaciuta, l’ho sempre considerata “a simple prop to occupy my time” (cit.) e niente di più. Questo suo secondo album non è che lo attendessi con la bava alla bocca e infatti mi sono deciso solo ora ad ascoltarlo. L’estate non ha portato novità particolarmente interessanti e allora rieccoci con Lana Del Rey. In aggiunta già, che c’ero, mi sono impossessato di Birthdays di Keaton Henson, Magnolia EP di Wilsen e Native Dreamer Kin delle Joseph. Tutti ascolti “alla cieca” e vada come vada. Questa estate ho dovuto riempirla con un po’ di nuova musica e mi dedicherò all’ascolto di questi album non prima di passare per i Patch & The Giant, Bille Marten e Laura Marling. Così mi preparo per le nuove uscite dell’autunno (forse qualcosa anche in Agosto e Settembre potrebbe arrivare), per il quale, voci di corridoio, è previsto il nuovo di Florence + The Machine. Vabbè, ora non pensiamoci, mi sono fatto una bella scorta per le prossime settimane. Ora però faccio un passo indietro e ritorno ad ascoltare Gabrielle Aplin.

Take me away from the demons in my brain
Take me out to the world
Take me out into the day
And let me find
My peace of mind

Una voce nella pioggia inglese

Verso la fine dell’estate scorsa ho avuto il piacere di vedere e ascoltare, del tutto casualmente, il video di Home e non avevo mancato di riportarlo tra le pagine di questo blog. Questa canzone fa parte dell’EP omonimo della cantautrice inglese Gabrielle Aplin. Già allora la ragazza faceva intendere che la data dell’uscita del suo primo album non sarebbe tardata ad arrivare e così è stato. Lo scorso mese ha visto la luce English Rain che apre la strada del successo alla giovane Gabrielle. La prima cosa che mi ha colpito di lei è senza dubbio la voce dolce e pulita e quel pizzico di umiltà che spesso manca nei giovani artisti nostrani. Questo esordio è stato in un certo modo una sorpresa che ha dimostrato che Gabrielle Aplin è maturata dai tempi della sopra citata Home e lo dimostrano diverse canzoni inserite nell’album. La versione Deluxe aggiunge due tracce inedite (più una per iTunes) e varie versioni acustiche oltre alle dodici tracce che compongono English Rain.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

Apre l’album il singolo Panic Cord, già contenuto nell’EP Never Fade del 2011. Il brano è piacevole e con un ritornello orecchiabile anche se in generele la canzone è un po’ adolescenziale ma è giustificata dal fatto che è un eredità del recente passato dell’artista, “Maybe I pulled the panic cord / Maybe you were happy, I was bored / Maybe I wanted you to change / Maybe I’m the one to blame“. Keep On Walking è un riuscito mix di folk e pop dove la voce della Aplin corre tra il ritmo serrato delle chitarre, “I feel so much better now you’re not around / There’s no one to kick me while I’m down / No one to burn my bridges anymore / So keep on walking. A questo punto ci sarà chiaro lo stile e il genere di canzoni che piace scrivere e cantare alla nostra Gabrielle ma le sorprese non mancano. A seguire, l’altro singolo, una canzone che è la sorella maggiore della precendente Panic Cord, ovvero Please Don’t Say You Love Me. Non brillerà certo per originalità ma è la voce straordinaria della Aplin a metterci qualcosa in più, “There used to be an empty space / A photograph without a face / But with your presence, and your grace / Everything falls into place“. La prima delle sorprese dimostra che la maturità artistica di questa cantautrice è vicina, How Do You Feel Today ci permette di ascoltare l’altra voce, più calda e avvolgente e in un certo senso anche più seria, “The sound of your laugh has a ring of weariness / The night has a thousand eyes and your smile of heaviness“. Segue la già nota Home, in una nuova versione. Per qualche motivo che no riesco a spiegare, preferisco la versione originale anche se questa non è poi così diversa nè ne intacca l’atmosfera. Resta comunque una delle migliori canzoni dell’album, “With every small disaster / I’ll let the waters still, / Take me away to some place real“. Ma il vero colpo al cuore arriva con il piccolo gioiello che si presenta sotto il nome di Salvation, nel quale si sente una Gabrielle Aplin finalmente lontana dalle terre dell’adolescenza e più vicina a qualcosa di più maturo. Di nuovo quella voce calda e un semplice giro di pianoforte aprono meravigliosamente la canzone che raggiunge il suo apice in un’epica esplosione di musica. Da notare che questo brano è stato scelto per la colonna sonora del film Diana di prossima uscita, “Just a trick of light / To bring me back around again / Those wild eyes / A pshychedelic silhouette“. Con Ready To Question si ritorna a qualcosa che ricorda i brani di apertura e fondamentalmente non aggiunge nulla se non qualche gradevole minuto in compagnia della voce della Aplin, “But I’m ready to question / That life is a blessing / So give me a sign, am I following blind? / Is there anyone listening?“. The Power Of Love la conosciamo tutti e la nostra ne fa una rivisitazione in chiave personale, riuscendo a fare un’ottima cover. La successiva Alive è in perfetto stile Aplin, ma di più ampio respiro, e anche in questo caso gran parte del lavoro è affidato alla voce. Si ritorna al pop-folk energico con Human che si distingue per la costruzione della canzone che per altro, “Show me that you’re human, you won’t break“. November è una perla pop capace di qualche brivido, “I always used to love November / But now it always floods with rain / Oh how can I forgive? / Those words will stain forever“. La conclusiva Start Of Time tenta di replicare la perfetta epicità di Salvation ma quel che ne esce è un po’ appesantito. Nonstante tutto le doti vocali della Aplin dimostrano che non è poi da buttare. Due tracce bonus su tre, ovvero Evaporate e Wake Up With Me non riservano grosse soprese. La terza bonus track, Take Me Away è invece una spanna sopra le altre, al sopra anche di alcuni brani dell’album. Di nuovo una voce calda e profonda riempie le orecchie come solo Salvation era riuscita a fare ma qui niente di grandioso anzi è tutto più intimo e famigliare. Qualche dubbio sul perchè non sia stata inserita nell’album lo avuto e forse si è solo voluto privilegiare i brani già noti come Home, Panic Cord o a maggior ragione The Power Of Love.

English Rain è un album riuscito a metà. Da una parte abbiamo le prove che con quella voce Gabrielle Aplin può cantare cose meravigliose e la capacità si scriverle di sicuro non le manca e tutto ciò fa ben sperare per il futuro. Dall’altra, a volte cade in qualche passaggio banale e adolescenziale che era, forse, inevitabile data la giovane età dell’artista. Un’album di passaggio all’età adulta che in alcune canzoni già avviene ma che non ha del tutto preso forma. Sono sicuro che Gabrielle migliorerà con l’età e con l’esperienza perchè c’è tutto l’occorrente per fare qualcosa di grande.

Le mezze stagioni

Si potrebbe affermare che, in un certo senso, l’anno inizi in queste settimane. Non sempre un anno inizia a Gennaio, quello scolastico, ad esempio inizia a Settembre. Ebbene l’imminente arrivo della primavera che sancisce di fatto la fine dell’inverno che ci trasciniamo dietro del 2012, segna un nuovo inizio. Anche se si dice che le mezze stagioni non ci sono più, personalmente sono quelle che preferisco. Sarà perchè sono un eterno indeciso e stare li nel mezzo mi fa sentire a mio agio. Quando non si sa di cosa parlare si comincia sempre a farlo con il meteo e le stagioni. Perchè non di politica come dicevano i miei carissimi R.E.M. in Pop Song 89, “Should we talk about the weather? / Should we talk about the government?”. Ma forse è meglio lasciar perdere la politica di questi tempi (ci sarà mai un tempo in cui ne potremo parlare bene?). Ogni giorno che passa mi sembra di vedere Orwell e Huxley, ovunque si trovino ora, che scuotono la testa in senso affermativo con un sinistro sorrissetto che sembra dire “Vedi? Avevamo ragione… e la chiamavano fantascienza“. Chi ci può salvare? Ci restano Supergiovane e Shpalmen.

Ma a proposito di musica, che cosa si vede all’orizzonte? Un pò di cosette interessanti. Si parte con gli Editors che dall’ultimo album sono passati 4 anni e un chitarrista in meno. Sembra che finalmente abbiano finito di registrare, chissà se prima dell’estate si potrà ascoltare almeno il singolo. Non mi lancio in previsioni perchè in passato lo fatto e ho fallito miseramente. Sempre da questa parte dell’oceano è pronta Gabrielle Aplin che sinceramente devo ancora inquadrare ma non potrò farlo prima del 13 Maggio, giorno di uscita del suo primo album, English Rain. Un’altra donna quest’anno ha imbracciato (?) il suo pianoforte e ha cominciato a registare il suo secondo album. Il nuovo sigolo di Agnes Obel si potrà, molto probabilmente ascoltare a Maggio e per l’album mi toccherà aspettare fino a dopo l’estate. C’è dell’altro? Sicuramente qualcosa ancora da scoprire arrivera nel frattempo, compreso il nuovo di Anna Calvi. Quattro album nuovi per il 2013, un bel bottino. Per ora ho ancora lì in sala d’attesa per il loro turno, il secondo di Florence + The Machine e un ancora inesplorato esordio della mia coetanea Lucy Rose. Poi poco tempo fa è riemersa dalle sabbie anche Brandi Carlile che la scorsa estate aveva levato le tende ben presto da quello spazio che ho tra le orecchie, lasciandosi dietro la sola Turpentine. L’ho rincorsa per restiuirgliela e sono stato folgorato nel mezzo del cammino dall’album The Story. A proposito di folk rock, dai Paesi Bassi sono arrivati quattro ragazzi ai quali ho concesso qualche ascolto ma non abbastanza per trarre conclusioni. I Mister And Mississippi hanno però tutte le carte in regola. Ancora un controllino e possono passare anche loro la dogana. Prima finisco di assaporare gli ultimi inediti di Lana Del Rey dei quali ho già le idee chiare ma che nel frattempo sta preparando un album nuovo anche lei.

Buon inizio…