Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 4

Questa è una di quelle volte in cui non so come iniziare un post. Di solito arriva per caso, al momento giusto o quasi, ma questa volta non è arrivata un’idea abbastanza decente da meritarsi di essere messa per iscritto. E allora perché non scrivere proprio di questa assenza di idee? In realtà una mezza idea mi era anche venuta ma non mi aveva convinto molto, perciò per ora la lascio in un cassetto, magari torna utile la prossima volta. Bene, nonostante oggi sia in debito di fantasia e l’unica soluzione e scrivere di questo, la mia introduzione al post in qualche modo l’ho fatta. Il resto del post, con i consueti consigli musicali è qui sotto. La prossima volta mi impegnerò di più…

Continua a leggere “Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 4”

Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 3

Questa settimana ho letto un interessante articolo che riguardava la fruizione della musica nel mondo e in Italia. Per correttezza pubblico il link dal quale l’ho letto: La musica in download vicina all’estinzione. Lo streaming a pagamento è quasi metà del fatturato globale.
Tra l’altro ultimamente, ho l’abitudine di appuntarmi, a chissà quale scopo, gli articoli più interessanti che trovo online. A volte devo ammettere che mi tornano utili, altre volte sinceramente non so perché li metto da parte. Ma torniamo al tema di questo articolo. Il titolo è eloquente, lo streaming musicale si sta divorando il download ma ha ancora pietà per CD e vinili. In Italia chi scarica ancora musica (legalmente s’intende) rappresenta solo l’1% del totale. Sapevo che la mia abitudine di comprare musica in digitale era da tempo passata di moda ma non credevo di essere parte di una così ristretta minoranza.

Continua a leggere “Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 3”

Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 2

A chi segue, come me, le nuove uscite discografiche e qualche notizia musicale qua e là, non sarà sfuggita quella del nuovo singolo di Beyoncé. Perché ha fatto notizia? Prima di tutto per la sua svolta country, un genere spesso considerato “di nicchia” e poi perché lei è afroamericana e qualcuno né ha approfittato per fare polemica. In realtà, questo è solo il punto più alto di una riscoperta della musica country da parte del pop mainstream, di cui Beyoncé è una delle massime esponenti da decenni ormai. Personalmente sono contento di essermi appassionato alla musica country anni fa, prima che diventasse cool e questa rinascita non mi lascia del tutto indifferente.

Continua a leggere “Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 2”

Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 1

Torno a scrivere su questo blog cercando di trovare una nuova forma a questi miei post.  Per il prossimo futuro sono pronti una manciata di articoli nei quali racconterò la mia storia di lettore e del rapporto che ho con i social network. Argomento, quest’ultimo, che in queste ultime settimane è sulla bocca di tutti. Insomma vale ancora il vecchio detto ma rivisto e corretto, chi di social ferisce, di social perisce. Ormai i social non sono più un passatempo per ragazzi ma una vera e propria parte della nostra società, direttamente per chi li usa e indirettamente per chi preferisce starne fuori. Molti non si rendono conto che anche una sola frase pubblicata un po’ per scherzo un po’ per goliardia potrebbe essere potenzialmente letta in tutto il mondo e avere delle conseguenze inaspettate. A maggior ragione potrebbe essere letta dal nostro datore di lavoro, dalla nostra compagna o compagno di vita, da un amico o da persone che non conosciamo e condivisa ovunque, uscendo così dal nostro controllo. Ciò che scriviamo e facciamo oggi sui social potrebbe essere motivo di imbarazzo, o peggio, anche dopo anni. Come avrò modo di approfondire, io non sono mai stato un utente social attivo e interessato alle dinamiche di quel mondo. Preferisco scrivere qui in modo anonimo, senza pretese di essere letto e facendo del mio meglio per essere rispettoso di tutti. Forse è proprio questo che non mi rende un utente social modello ma non mi interessa.

Mentre finisco di preparare questi post di prossima pubblicazione torno a concentrarmi sulla musica, argomento principe da sempre di questo blog.

Continua a leggere “Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 1”

Non mi giudicate – 2023

Un altro anno è arrivato in fondo e come di consueto mi fermo un momento per tirare le somme e cercare di riassumere qui quanto di meglio ho ascoltato quest’anno. Dei 73 album pubblicati quest’anno e che ho ascoltato ho dovuto fare una scelta e a malincuore lasciarne fuori parecchi altrettanto meritevoli. Ecco dunque la mia personalissima lista di fine anno.

  • Most Valuable Player: Margo Price
    L’album Strays e la sua successiva versione estesa, ci fanno ascoltare una Margo Price ispirata e finalmente sobria. Ormai questa cantautrice sembra aver trovato la sua strada.
    Una mentina in tasca e una pallottola tra i denti
  • Most Valuable Album: Thank God We Left The Garden
    Questo album di Jeffrey Martin aveva già un posto prenotato in questa lista, tanto era la fiducia in lui. Fiducia pienamente ripagata da un album profondo e personale.
    Alla fine, niente ha importanza, figliolo
  • Best Pop Album: Lauren Daigle
    Lauren Daigle ci regala un album pieno di vita e colori, per tutti i gusti. Una voce meravigliosa che sa toccare le corde giuste e andare al di là del suo particolare genere musicale.
    Vedo angeli che camminano per la città
  • Best Folk Album: A Seed Of Gold
    Scelta non facile ma ho voluto premiare il folk tradizionale di Rosie Hood e la sua band. Un ritorno fatto di ottime canzoni caratterizzate dalla voce unica di quest’artista.
    Un regalo riservato agli amici lontani
  • Best Country Album: Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet
    Nonostante la spietata concorrenza, la spunta Brennen Leigh, con un album ben scritto e orecchiabile. Il suo stile unico e riconoscibile rendono questo album semplicemente perfetto.
    A volte sento di non avere un posto dove andare
  • Best Singer/Songwriter Album: Dreamer Awake
    Tanti ottimi album potevano rientrare in questa categoria ma questo di Rachel Sermanni è un ritorno molto gradito e rende giustizia al suo talento di cantautrice.
    Lascia che i segreti entrino dalla porta
  • Best Instrumental Album: Haar
    Lauren MacColl è una delle violiniste più prolifiche della scena folk scozzese, anche grazie alle sue numerose collaborazioni. Quando si mette in proprio ci regala sempre ottimi brani strumentali.
  • Rookie of the Year: Snows of Yesteryear
    Non sono pochi i debutti di quest’anno a questo trio ma Snows of Yesteryear mi ha sorpreso più degli altri con il suo album omonimo. Un ottimo mix di canzoni folk con contaminazioni rock e alternative che conquista subito.
    La neve dei tempi andati
  • Sixth Player of the Year: Ida Wenøe
    Pochi dubbi, la sorpresa di quest’anno si rivela essere la riscoperta di questa cantautrice danese con il suo Undersea. Un  album di canzoni folk di ottima fattura.
    Non ho mai saputo niente dell’amore
  • Defensive Player of the Year: Bille Marten
    Drop Cherries è l’album che ci si aspettava da questa cantautrice che continua a portare le sue sonorità distese e riflessive. Sempre un piacere ascoltarla.
    Non è rimasto niente per cui piangere
  • Most Improved Player: Kassi Valazza
    Con il suo Kassi Valazza Knows Nothing, dimostra un cambio di approccio alla sua musica, ora fatto di ballate in bilico tra classico e moderno. Un nuovo interessante inizio per lei.
    Non sai come funziona il fuoco
  • Throwback Album of the Year: Peculiar, Missouri
    Non sono molti gli album che sono andato a pescare dagli anni passati ma la scelta non è stata semplice. Willi Carlisle però si è distinto particolarmente con il suo country vario e carismatico.
    Mi ritorni in mente, ep. 88
  • Earworm of the Year: The Coyote & The Cowboy
    Non volevo lasciare fuori il buon Colter Wall da questa lista e dopotutto questa canzone, una cover di Ian Tyson, è così riuscita ed orecchiabile che mi è entrata subito in testa.
    Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni
  • Best Extended Play: Forever Means
    Angel Olsen non delude mai anche quando si limita a proporre una manciata di canzoni. Ormai questa cantautrice è una garanzia e anche in questa occasione si dimostra una delle migliori del suo genere.
  • Honourable Mention: Jamie Wyatt
    Questo suo nuovo album intitolato Feel Good è un deciso passo in avanti e un cambio di rotta davvero sorprendente e non poteva mancare in questa lista di fine anno.
    Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Non potevo chiudere l’anno senza consigliarvi il nuovo album della cantautrice americana Jaime Wyatt, intitolato Feel Good. Il suo predecessore, Neon Cross, si poteva considerare quasi un debutto ed uscì nel 2020 consolidando le mie buone impressioni riguardo la sua musica. Non mi aspettavo però un cambio di passo così deciso e una scelta stilistica così marcata per questo nuovo disco. Siamo sempre nei territori del country ma con forti influenze soul e southern rock che ben si sposano con la voce carismatica di quest’artista.

Jaime Wyatt
Jaime Wyatt

Il singolo World Worth Keeping spiega bene quali siano le caratteristiche del nuovo album e lo fa con una riflessione carica di amore per questa Terra e di speranza nelle nuove generazioni. La title track Feel Good apre alle sonorità soul cavalcando la voce della Wyatt mentre la successiva Back To The Country vira verso un trascinante southern rock ed entrando fin dai primi ascolti tra le mie preferite. Love Is A Place è un ottimo pezzo country soul, un inno di speranza che scorre via piacevolmente. Hold Me One Last Time è una ballata vecchio stile che apre la parte centrale dell’album caratterizzata da un ritmo lento, come in Where The Damned Only Go. Una canzone oscura e dolorosa, graffiata dalla voce unica della Wyatt. Si torna alle sonorità soul con la bella Althea, orecchiabile e misteriosa allo stesso tempo. Fugitive torna sulle sonorità country alla quale quest’artista ci aveva abituato, il risultato è un brano sincero e diretto. Che dire poi di Jukebox Holiday, un pezzo davvero ben riuscito ed accattivante. Ain’t Enough Whiskey è un classico brano country che racconta di un amore finito. L’ultima canzone di questo album è Moonlighter, una bella ballata che dimostra il talento della Wyatt nello scrivere i testi delle sue canzoni.

Feel Good è un album che cattura sempre di più ad ogni ascolto, capace di mescolare una forte componente emotiva ad un’altra più spensierata e rock. Jamie Wyatt con questo album sembra aver preso in mano la sua carriera, facendo delle scelte chiare ed ottenendo un ottimo risultato sotto tutti i punti di vista. Feel Good può rappresentare davvero un nuovo inizio, la strada giusta da intraprendere per trovare finalmente ciò che la fa “sentire bene”.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

Alla fine, niente ha importanza, figliolo

Sei anni. Tanto si è fatto attendere il cantautore americano Jeffrey Martin. Sei anni nei quali ho consumato il suo album One Go Around e ascoltato e riascoltato il precedente Dogs In The Daylight, aggiungendoci anche l’EP Build A Home. Finalmente è arrivato il momento di ascoltare undici nuove canzoni raccolte sotto il titolo di Thank God We Left The Garden, il quarto della sua carriera. Undici tracce registrate in un piccolo capanno con due microfoni, con l’idea di farne delle demo da portare in studio ma che poi sono finite direttamente nell’album. Voce e chitarra (e il contributo di Jon Neufeld) sono più che sufficienti a Martin per regalarci ancora delle canzoni straordinarie.

Jeffrey Martin
Jeffrey Martin

Lost Dog apre l’album e ci propone un Martin notturno e triste, dalle sonorità vicine agli esordi. Proseguendo poi con Garden si può scoprire quali nuove melodie ci riserva. Un testo personale, pervaso da sentimenti più positivi e di speranza. Tutta la forza della scrittura di Martin emerge nella splendida Quiet Man. Un susseguirsi di riflessioni e immagini di vita che scavano a fondo dell’animo con la consueta onestà. Red Station Wagon affronta, in maniera chiara e sincera, il tema del pregiudizio nei confronti dell’omosessualità, non facendo la morale ma, anzi, ammettendo di essere stato lui stesso colpevole e esprimendo così un sincero pentimento. Da ascoltare. Paper Crown è una di quelle canzoni di Martin che ti fanno drizzare le orecchie. Una riflessione sul nostro tempo, spesso pieno di cose vuote e superficiali, fatte per nascondere altro. There Is A Treasure ci mette di fronte alla fragilità della vita in un mondo che va avanti lo stesso, qualsiasi cosa succeda. Anche se può sembrare una canzone triste e rassegnata, c’è un sentimento di speranza che la pervade, un sentimento che corre lungo tutte le tracce di questo album. La successiva All My Love ci fa ascoltare la poesia della penna di questo cantautore, capace di regalarci anche un gioiellino come Daylight. Ma Martin ha ancora in serbo tre ottime canzoni, cominciando da I Didn’t Know. Una canzone molto personale fatta di commoventi e toccanti ricordi d’infanzia. Segue Sculptor, uno dei momenti più alti dell’album, che con il suo susseguirsi di immagini ci restituisce qualcosa su cui riflettere, grazie al talento di questo cantautore. Si chiude con Walking, altra meraviglia, un affresco di un mondo che va sempre avanti e nel quale è importante trovare un momento per sé per guardarsi intorno.

Thank God We Left The Garden è Jeffrey Martin nella sua forma più intima ed essenziale. La sua voce e le sue parole sono l’essenza stessa delle sue canzoni e la sua scelta di tenere buone queste registrazioni dimostra quanto non sia necessario aggiungere altro a queste undici tracce. Martin non perde la lucidità della sua visione del mondo, riesce sempre ad andare oltre le apparenze e a trovare la chiave per esprimere qualcosa che va al di là delle parole, sempre con onestà e sincerità. In questa occasione riesce a farlo senza restare sopraffatto dalla malinconia, rimanendo aggrappato a quel filo di speranza e riscatto che la raggiunta maturità artistica gli suggerisce di tenere ben saldo. In definitiva Thank God We Left The Garden è un ottimo album che soddisfa appieno ogni aspettativa e ci dà riprova di tutto il talento di Jeffrey Martin.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni

Questa estate è stata particolarmente ricca di nuove uscite discografiche di mio interesse e la maggioranza di essere sono state di musica country. Tra tutte queste non potevo ignorare uno dei più interessanti cantautori country ovvero Colter Wall. Questo artista canadese nonostante la giovane età, ventotto anni, è già un punto di rifermento di questo genere, grazie al suo carisma e alla sua voce unica. Se non avete mai ascoltato una canzone di Wall è bene che vi decidiate a farlo, che il country sia il vostro genere o no. Il nuovo Little Songs è lì ad aspettarvi, non vi resta che ascoltare.

Colter Wall
Colter Wall

Si comincia alla grande con Prairie Evening / Sagebush Waltz che conferma le doti inimitabili del buon Colter, regalandoci un finale strumentale. Da una ballata western ad un pezzo honky tonk, intitolato Standing Here, seguita da una ballata personale e triste, Corralling The Blues. Una canzone poetica ed essenziale che contrasta con la successiva The Coyote & The Cowboy. L’originale è di Ian Tyson e non è la prima volta che Wall propone una cover e non è la prima volta che riesce a renderla migliore dell’originale. Da ascoltare. Non è affatto una cover Honky Tonk Nighthawk che celebra il piacere di fare musica country e nemmeno la ballata For A Long While. Colter Wall si era già cimentato nello yodel e ci riprova questa volta con Cow / Calf Blue Yodel, che ci racconta la vita da cowboy alle prese con la mandria. La title track Little Songs ci porta verso un country rock orecchiabile ma allo stesso tempo malinconico. La seconda cover dell’album è Evangelina, dall’originale cantata da Hoyt Wayne. Anche qui Wall ci mette qualcosa di suo, rendendola di fatto una sua canzone. L’album si chiude con The Last Loving Words, una ballata country malinconica e notturna resa unica dalla voce dell’artista canadese.

Little Songs è ancora una volta un ottimo album country western che riconferma il talento di Colter Wall come interprete e come autore. La sua musica è genuina, senza fronzoli e questa volta più personale rispetto alle precedenti occasioni. Little Songs è uno di quegli album in grado di trasportarti altrove, di incantarti con la sua poesia e le sue melodie. Colter Wall continua sulla sua strada e non potrebbe fare altrimenti. Sembra nato per tutto questo. Non posso convincervi ad ascoltare questo cantautore a parole, è necessario ascoltarlo. E qui sotto c’è una canzone dalla quale vale la pena cominciare.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram

A volte sento di non avere un posto dove andare

La scorsa settimana ero quasi tentato di fare una doppia recensione, una sorta di “honky tonk battle” tra Summer Dean e Brennen Leigh. Poi ci ho rinunciato anche perché volevo riservare a quest’ultima un post tutto suo. Infatti a distanza di un anno dal suo ultimo album, questa cantautrice americana è tornata con dodici nuove canzoni, raccolte nell’album Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet. Non mi aspettavo nulla di diverso da un buon country vecchia scuola ed è proprio quello che ci ho trovato, eppure c’è qualcosa che riesce ancora a sorprendermi.

Brennen Leigh
Brennen Leigh

Proprio la title track I Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet chiarisce subito lo spirito dell’album e della musica della Leigh. La passione per il country viene prima di tutto per questa cantautrice. In The Bar Should Say Thanks, Brennen si diverte a celebrare i bei momenti in qualche locale nel quale si rimane anche per la bella Somebody’s Drinking About You. Un amore finito è protagonista di I’m Still Looking For You, forse una delle canzoni più immediate di questo album. Le ballate con Brennen Leigh non possono mancare e Mississippi Rendezvous è la più romantica di tutte e dal sapore un po’ retrò. Every Time I Do è forse quella che preferisco nonostante sia un po’ sdolcinata ma è comunque irresistibile. Si potevano forse evitare malinconia e solitudine in un album come questo? Certo che no, e When Lonely Came To Town fa il suo dovere più che egregiamente. C’è spazio per qualcosa di più leggero con Throwing Away A Precious Jewel ma l’altra faccia più spensierata e ironica della Leigh si prende la scena con altre canzoni. Una su tutte Carole With An E che segna uno dei momenti più alti dell’album e ci informa che sulla strada viaggia una camionista piuttosto tosta. You Turned Into A Dragon ci racconta che fine fa un tatuaggio d’amore quando questo finisce. Irresistibile e nel perfetto stile di quest’artista è Running Out of Hope, Arkansas. Un nuovo inizio, un viaggio senza meta ma pieno di sogni. Lascio per ultima la mia preferita di questo album ovvero, The Red Flags You Were Waving. Semplicemente fantastica nella sua semplicità, da ascoltare assolutamente.

Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet è un album country ottimo sotto ogni punto di vista. Brennen Leigh attraverso il suo modo elegante e pulito di cantare riesce a trasmettere sentimenti diversi, riscendo a volte ad essere dolce e volte dura. La sua passione per le sonorità più classiche del country si respira ad ogni nota, trasportandoci in un mondo che forse non esiste più. Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet l’ho già ascoltato un’infinità di volte e sono sicuro che lo riascolterò ancora. Brennen Leigh non sbaglia un colpo, va sul sicuro è vero, ma pochi lo sanno fare come lei di questo tempi.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instragram / YouTube / Bandcamp

La strada ritrovata

Anche se non troverete il nome di Summer Dean tra le pagine di questo blog, non significa che il suo album di debutto del 2021, intitolato Bad Romantic, non sia tra i miei preferiti di quell’anno. Un debutto il suo arrivato a poco più di quarant’anni, quando Summer ha deciso di dismettere i panni di insegnante e dedicarsi completamente alla vita di cantautrice country. Una scelta rischiosa ma dettata da quell’urgenza, quel fuoco che brucia dentro e non a cui non è facile resistere. Il suo nuovo album The Biggest Life è prima di tutto la conferma che la strada è presa e che la scelta è stata quella giusta. Cos’ha di speciale la musica di Summer Dean? La voce unica. Ha qualcosa di speciale, quel genere di voce che incanta al primo ascolto e vorreste riascoltarla ancora e ancora. Diventando così una voce familiare, che ci canta quanto è bello fare ciò che si ama.

Summer Dean
Summer Dean

Se vi piacciono le ballate country, Summer Dean ne ha da offrirvene a sporte, a cominciare dalla bella Big Ol Truck, passando per I’ll Forget Again Tomorrow. L’amore e la vita sono una costante ispirazione per la Dean come la triste She Ain’t Me o la riflessiva Other Women, nella quale la protagonista desidera uscire dalla routine quotidiana di madre. Lonely Girl’s Lament è un’altra ballata solitaria e malinconica che poggia sulla voce carismatica della Dean, capace di regalare sempre qualche brivido. Le ballate terminano con Can’t Hide The Heartache From Her Face, un valzer country che è pura poesia. Una dei quella canzoni che non mi stancherei mai di ascoltare. Queste ballate fanno da contrasto per la parte dell’album più scanzonata e tipicamente honky tonk, a cominciare dalla traccia che dà il titolo all’album The Biggest Life Worth Living Is the Small, una celebrazione della vita fatta di piccole cose. Ancora più trascinate è Might Be Getting Over You, che fa coppia con Clean Up Your Act If You Wanna Talk Dirty To Me, dal piglio rock e divertente come l’irresistibile The Sun’s Gonna Rise Again. Ma non è finita qui, Summer Dean ha altri assi nella manica e ci regala due canzoni che rappresentano una variazione sul tema dell’album. Move Along Devil esplora territori più blues ma che ben si sposano con la voce della Dean. Voce che incanta anche senza cantare come succede in Baling Wire.

The Biggest Life è un ottimo album country, c’è poco da aggiungere. Potrei scrivere della voce di Summer Dean e della sua passione per questo genere musicale che trasmette ad ogni singola nota, per la sua scelta di vita, per la sua terra ma sarebbe tutto inutile per che non servirebbe a nulla. È sufficiente ascoltare questo album (e anche il precedente Bad Romantic) per trovare parole migliori di quelle che potrei scrivere io qui. Quindi mi faccio da parte e lascio che sia Summer Dean a spiegarvi cosa sia la musica country e come andrebbe fatta. L’unico difetto di questo album che mi mette in difficoltà nello scegliere una sola canzone da farvi ascoltare per convincervi The Biggest Life va ascoltato per intero con tutte le sue tredici canzoni.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram