Mi ritorni in mente, ep. 91

Ascolto raramente la radio e quando succede di solito sono in auto e senza la mia scorta di mp3. Per i viaggi più lunghi la porto sempre con me, proprio per evitare di ascoltarla. Ho riciclato un vecchio lettore mp3, che è diventato quasi del tutto insensibile alla pressione dei tasti, collegandolo alla presa usb dell’auto.
Non mi piace ascoltare la radio principalmente perché non si sente altro che pubblicità e quando non è così ci pensano i dj a chiacchierare del più e del meno. Inoltre la musica che passano la maggior parte delle radio non va incontro ai miei gusti. Va da sé che preferisco lasciarla spenta.
Qualche tempo fa però, in una delle rare occasioni nelle quali era accesa, mi è capitato di riascoltare una canzone di diversi anni fa di cui non ricordavo né il titolo né l’artista. L’ho ascoltata fino in fondo confidente sul fatto che il dj facesse il suo lavoro e ricordasse a tutti titolo e artista. E invece niente. Così mi sono precipitato subito nei miei archivi della memoria e ho aperto tutti cassetti.

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Non mi giudicate – 2023

Un altro anno è arrivato in fondo e come di consueto mi fermo un momento per tirare le somme e cercare di riassumere qui quanto di meglio ho ascoltato quest’anno. Dei 73 album pubblicati quest’anno e che ho ascoltato ho dovuto fare una scelta e a malincuore lasciarne fuori parecchi altrettanto meritevoli. Ecco dunque la mia personalissima lista di fine anno.

  • Most Valuable Player: Margo Price
    L’album Strays e la sua successiva versione estesa, ci fanno ascoltare una Margo Price ispirata e finalmente sobria. Ormai questa cantautrice sembra aver trovato la sua strada.
    Una mentina in tasca e una pallottola tra i denti
  • Most Valuable Album: Thank God We Left The Garden
    Questo album di Jeffrey Martin aveva già un posto prenotato in questa lista, tanto era la fiducia in lui. Fiducia pienamente ripagata da un album profondo e personale.
    Alla fine, niente ha importanza, figliolo
  • Best Pop Album: Lauren Daigle
    Lauren Daigle ci regala un album pieno di vita e colori, per tutti i gusti. Una voce meravigliosa che sa toccare le corde giuste e andare al di là del suo particolare genere musicale.
    Vedo angeli che camminano per la città
  • Best Folk Album: A Seed Of Gold
    Scelta non facile ma ho voluto premiare il folk tradizionale di Rosie Hood e la sua band. Un ritorno fatto di ottime canzoni caratterizzate dalla voce unica di quest’artista.
    Un regalo riservato agli amici lontani
  • Best Country Album: Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet
    Nonostante la spietata concorrenza, la spunta Brennen Leigh, con un album ben scritto e orecchiabile. Il suo stile unico e riconoscibile rendono questo album semplicemente perfetto.
    A volte sento di non avere un posto dove andare
  • Best Singer/Songwriter Album: Dreamer Awake
    Tanti ottimi album potevano rientrare in questa categoria ma questo di Rachel Sermanni è un ritorno molto gradito e rende giustizia al suo talento di cantautrice.
    Lascia che i segreti entrino dalla porta
  • Best Instrumental Album: Haar
    Lauren MacColl è una delle violiniste più prolifiche della scena folk scozzese, anche grazie alle sue numerose collaborazioni. Quando si mette in proprio ci regala sempre ottimi brani strumentali.
  • Rookie of the Year: Snows of Yesteryear
    Non sono pochi i debutti di quest’anno a questo trio ma Snows of Yesteryear mi ha sorpreso più degli altri con il suo album omonimo. Un ottimo mix di canzoni folk con contaminazioni rock e alternative che conquista subito.
    La neve dei tempi andati
  • Sixth Player of the Year: Ida Wenøe
    Pochi dubbi, la sorpresa di quest’anno si rivela essere la riscoperta di questa cantautrice danese con il suo Undersea. Un  album di canzoni folk di ottima fattura.
    Non ho mai saputo niente dell’amore
  • Defensive Player of the Year: Bille Marten
    Drop Cherries è l’album che ci si aspettava da questa cantautrice che continua a portare le sue sonorità distese e riflessive. Sempre un piacere ascoltarla.
    Non è rimasto niente per cui piangere
  • Most Improved Player: Kassi Valazza
    Con il suo Kassi Valazza Knows Nothing, dimostra un cambio di approccio alla sua musica, ora fatto di ballate in bilico tra classico e moderno. Un nuovo interessante inizio per lei.
    Non sai come funziona il fuoco
  • Throwback Album of the Year: Peculiar, Missouri
    Non sono molti gli album che sono andato a pescare dagli anni passati ma la scelta non è stata semplice. Willi Carlisle però si è distinto particolarmente con il suo country vario e carismatico.
    Mi ritorni in mente, ep. 88
  • Earworm of the Year: The Coyote & The Cowboy
    Non volevo lasciare fuori il buon Colter Wall da questa lista e dopotutto questa canzone, una cover di Ian Tyson, è così riuscita ed orecchiabile che mi è entrata subito in testa.
    Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni
  • Best Extended Play: Forever Means
    Angel Olsen non delude mai anche quando si limita a proporre una manciata di canzoni. Ormai questa cantautrice è una garanzia e anche in questa occasione si dimostra una delle migliori del suo genere.
  • Honourable Mention: Jamie Wyatt
    Questo suo nuovo album intitolato Feel Good è un deciso passo in avanti e un cambio di rotta davvero sorprendente e non poteva mancare in questa lista di fine anno.
    Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Non abbiamo bisogno di morire senza ricordi

Non potevo chiudere l’anno senza consigliarvi il nuovo album della cantautrice americana Jaime Wyatt, intitolato Feel Good. Il suo predecessore, Neon Cross, si poteva considerare quasi un debutto ed uscì nel 2020 consolidando le mie buone impressioni riguardo la sua musica. Non mi aspettavo però un cambio di passo così deciso e una scelta stilistica così marcata per questo nuovo disco. Siamo sempre nei territori del country ma con forti influenze soul e southern rock che ben si sposano con la voce carismatica di quest’artista.

Jaime Wyatt
Jaime Wyatt

Il singolo World Worth Keeping spiega bene quali siano le caratteristiche del nuovo album e lo fa con una riflessione carica di amore per questa Terra e di speranza nelle nuove generazioni. La title track Feel Good apre alle sonorità soul cavalcando la voce della Wyatt mentre la successiva Back To The Country vira verso un trascinante southern rock ed entrando fin dai primi ascolti tra le mie preferite. Love Is A Place è un ottimo pezzo country soul, un inno di speranza che scorre via piacevolmente. Hold Me One Last Time è una ballata vecchio stile che apre la parte centrale dell’album caratterizzata da un ritmo lento, come in Where The Damned Only Go. Una canzone oscura e dolorosa, graffiata dalla voce unica della Wyatt. Si torna alle sonorità soul con la bella Althea, orecchiabile e misteriosa allo stesso tempo. Fugitive torna sulle sonorità country alla quale quest’artista ci aveva abituato, il risultato è un brano sincero e diretto. Che dire poi di Jukebox Holiday, un pezzo davvero ben riuscito ed accattivante. Ain’t Enough Whiskey è un classico brano country che racconta di un amore finito. L’ultima canzone di questo album è Moonlighter, una bella ballata che dimostra il talento della Wyatt nello scrivere i testi delle sue canzoni.

Feel Good è un album che cattura sempre di più ad ogni ascolto, capace di mescolare una forte componente emotiva ad un’altra più spensierata e rock. Jamie Wyatt con questo album sembra aver preso in mano la sua carriera, facendo delle scelte chiare ed ottenendo un ottimo risultato sotto tutti i punti di vista. Feel Good può rappresentare davvero un nuovo inizio, la strada giusta da intraprendere per trovare finalmente ciò che la fa “sentire bene”.

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Vedo angeli che camminano per la città

Nel 2019, esplorando il vasto mondo della musica pop, sono inciampato nel nome di Lauren Daigle, cantautrice americana che l’anno precedente ebbe un discreto successo con il suo secondo album Look Up Child. Non ci sarebbe nulla di eccezionale se non fosse che la musica della Daigle ha una matrice fortemente cristiana. Anche se da noi, qui in Italia, ci pare impensabile che della musica pop di ispirazione religiosa riempia i palazzetti, in USA è piuttosto comune. Resta pur sempre un genere con un target preciso e perciò difficilmente un artista ha un successo su larga scala. Eppure Lauren Daigle è riuscita in qualche modo a rompere questa consuetudine grazie a canzoni orecchiabili e di più ampio respiro, una voce eccezionale e, perché no, una bella presenza (che nella musica pop non guasta mai). Anche io ne sono rimasto incuriosito e devo ammettere che Look Up Child l’ho ascoltato parecchie volte in questi anni. Sarà lo stesso per il nuovo album omonimo, Lauren Daigle?

Lauren Daigle
Lauren Daigle

La traccia di apertura nonché singolo di punta Thank God I Do riprende laddove terminava Look Up Child. Voce calda e spesso graffiata, che canta la bellezza di aver trovato Dio, con un accompagnamento essenziale ma efficace. Tra le mie preferite c’è sicuramente la bella Saint Ferdinand, che vede la partecipazione di Jon Batiste e Natalie Hemby. Una canzone di rinascita, orecchiabile e leggera. Canzoni come New e Ego si rifanno ad un pop soul caro alla Daigle, a suo agio anche grazie alle sue doti vocali che ben si prestano allo scopo. Il pop di Waiting è carico di energie con i suo ritmo trascinante che ritroviamo anche in These Are The Days, in maniera ancora più marcata. Non mancano i momenti più riflessivi come la bella To Know Me, illuminata dalle note del pianoforte e dalla splendida voce della Daigle. Allo stesso modo Don’t Believe Them si poggia su in testo forte, che fa riflettere, circondato da un’atmosfera scura e affascinante. Valuable è la classica canzone di conforto che funziona sempre ma che la Daigle riesce comunque a rendere piacevole. Kaleidoscope Jesus esce un po’ dai binari dell’album, nella forma ma non nella sostanza. Anzi è molto più esplicito nei rifermenti religiosi rispetto al resto dell’album.

Al di là del messaggio religioso che questo album porta inevitabilmente con sé, spesso solo accennato e a volte più marcato, Lauren Daigle riesce ancora una volta a lasciare aperta interpretazione ai suoi ascoltatori. I temi affrontati e i sentimenti positivi permeano ogni nota di questo disco che, pur riservando qualche sorpresa, si mantiene fedele alle atmosfere del suo predecessore. Tra pop e soul, questo Lauren Daigle, conferma il talento di una cantautrice che ha saputo ottenere successo insistendo su di un genere musicale lontano dal consueto immaginario della musica pop. Insomma, se volete ascoltare della buona musica pop che non sia fatta di banali canzoni d’amore, autocompiacimenti e figaggine, tenete in considerazione Lauren Daigle e non rimarrete delusi, anche se l’idea di un pop cristiano vi pare un po’ bizzarra.

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Mi ritorni in mente, ep. 87

Arriva il Natale e non possono mancare le innumerevoli versioni delle varie canzoni natalizie. Dai classici senza tempo a quelle più particolari, passando per alcune originali. Ovviamente capita spesso che artisti diversi propongano le stessa canzoni riviste secondo il loro stile e gusto.

Quest’anno ho voluto raddoppiare e farvi ascoltare due versioni di The Little Drummer Boy, anche conosciuta come The Carol of the Drum. L’originale è della compositrice statunitense Katherine K. Davis che la scrisse nel 1941. In Italia non è molto conosciuta ma se vi interessa esiste anche la versione italiana intitolata Il Piccolo Tamburino. Io vi propongo due versioni diametralmente opposte. Una più classica e vagamente soul di Lauren Daigle, che punta tutto sulla splendida voce di quest’artista, e l’altra è decisamente più sperimentale e alternativa. I Wintersleep e il loro “little dummer boy” Loel Campbell ci danno dentro. Ognuno ha il Natale che preferisce e qualsiasi sia il vostro, vi faccio i miei sinceri auguri.

La parte del nichilista

Nel 2018 con il suo album di debutto, Dead Capital, il nome del cantautore irlandese, ma di stanza a Londra, Louis Brennan è finito dritto tra quelli degli artisti più interessanti degli ultimi anni. Con voce profonda e carismatica, cantava il nostro tempo e i momenti difficili che lo hanno portato verso una nuova vita. Quest’anno è tornato con Love Island, progetto che appare più ambizioso del precedente e che si propone come conferma del talento di questo cantautore. Se il primo aveva una copertina più soggettiva e cupa, il suo successore ne ha una più ironica e vivace. Le copertine dicono più di quanto si possa pensare e non resta che scoprire se è davvero Love Island è davvero come sembra.

Louis Brennan
Louis Brennan

Si comincia con God Is Dead nel quale ritroviamo sia la voce unica di Brennan che il suo stile folk. Anche le tematiche riprendono un discorso iniziato con il precedente album. Una disamina di una società decadente che sembra senza speranza di redenzione, “So let us rejoice / Under the all seeing eye / Just click on the link / It costs nothing to apply / Kingdom or caliphate / It does not discriminate / It uses a part of the brain we evolved to survive“. Non nascondo che The Post-Truth Blues è tra le mie preferite di questo album. Qui Brennan viaggia briglia sciolta e con piglio ironico ricostruisce un mondo contraddittorio e ipocrita, bastato sulla cosiddetta post-verità, “Oh I know just how my coffee’s grown / That Chinese children made my phone / With cobalt exacerbating conflict situations / In the poorest regions of the Congo basin / I’s a shame / But what can you do? / If you need someone to blame / You can always pin it on the ….“. Con la successiva Cruel Britannia se la prende con il Regno Unito e la deriva di questi ultimi anni. Louis Brennan non le manda certo a dire e anche in questo caso condisce il tutto con un accompagnamento in contrasto con il tono delle parole, “But the people have spoken / The country is broken / The politicians have lost all respect / And you can’t wave the flag / ‘cause some liberal rag / Says you’ve got to be politically correct“. The Nobel Price è un sogno di gloria a metà verità e finzione. Il testo è pungente e l’abilità di questo cantautore di trovare le parole giuste e mai banali, è stato ed è uno dei suoi punti di forza, “When I win the Nobel Prize / And the public finally recognise me / They will show their gratitude / Offering their firstborn daughters / As virginal brides / When I win the Nobel Prize“. La title track Love Island è guidata dalle note di un pianoforte e racconta una dolorosa presa di coscienza. Un amore finito, senza speranza di rinascere. Una canzone intima che scava in fondo all’anima, “There is no cash prize / No way for the public to decide / On love island / We’ll be consumed by the rising tide / There is no hotline / No recorded message on the end of the phone / On love island / It’s just you and I alone“. A Zero-Sum Game è un irriverente country folk che prende di mira ancora la falsità della nostra società. Brennan sembra avere quell’urgenza artistica che pochi artisti possono sperimentare, “‘Cause everybody wants a slice of the cake / Oh, but I own the oven in which it was baked / I own all the bakers and all the flour / I’ve got my finger on the trip switch to all of the power / So, when you get up to the front of the line / Just take your goddamn crumbs and remember to smile“. The Big Tomorrow è un’altra ballata riflessiva e dura. Le parole come sassi che mettono il luce un’amara verità e ci colpiscono, una dopo l’altra, “Now I’ve got no one but myself to blame / For this hubris of identity / All this bitterness and shame / So I’ll be waiting tables / While your friends all reproduce / I’ll play the part of the nihilist / To another empty room“. Leftover Meat è accompagnata da una melodia rilassante e confidenziale ma le parole del testo vanno in direzione opposta. Louis Brennan dimostra di non aver esaurito gli argomenti e continua a spingere, “Making a living as an act of contrition / It’s a race to the bottom / And it feels like I’m winning / Screaming internally through the clinking glasses / Leftover meat for the unwashed masses“. My Favourite Disguise torna a fare emergere riflessioni personali, sempre più arrendevoli e cupe. Il suono confortevole della pedal steel addolcisce una pillola sempre più amara, “Inflatable rafts / In the straits of Gibraltar / It’s someone else’s problem / It’s someone else’s daughter / I act like I care / ‘cause I know that I ought to / But really I’m empty inside“. L’album si chiude con l’oscura Naked And Afraid, un flusso di coscienza, guidato dalla voce di questo cantautore. Forse c’è una speranza in tutto questo ma meglio non illudersi troppo, “I lay down where once I had stood / I bit down on my lip / Just so I could taste the blood / Of arteries connected to the heart / A cipher in the flesh / A flashlight in the dark / Hold on to something“.

Love Island dimostra che Louis Brennan è uno che non molla e va per la sua strada. Avrebbe potuto mordersi la lingua e scrivere canzoni d’amore con un ritornello orecchiabile, invece no. Ha scelto di riprendere laddove Dead Capital era finito, con un pizzico di cinismo e mezza dose di ironia in più. Louis Brennan si può ascoltare superficialmente mettendolo in quella categoria di cantautori che “hanno qualcosa da dire” oppure provare a comprendere da dove viene questa sua capacità di cogliere le brutture della nostra società ma anche di noi stessi. Provare a vedere con occhi diversi, sperando di trovare qualcosa da salvare. Forse la sua è una battaglia senza speranza, persa in partenza ma non per questo una battaglia inutile. Love Island è un album che conferma il talento di Louis Brennan che con mano ferma tratteggia un mondo decadente di cui noi ne siamo parte.

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Non mi giudicate – 2020

Siamo arrivati in fondo a questo strano anno. Il 2020 è stato davvero particolare per tutti noi ma avrò modo di scriverne più avanti. Ora è arrivato il consueto appuntamento di decidere quelli che, secondo me, sono stati i migliori album che ho ascoltato quest’anno (e un libro scelto tra quelli letti da Gennaio). Nessuna classifica, impossibile per me farne una, ma solo premi individuali. Il mio pc mi dice che sono 56 i dischi usciti quest’anno ed entrati a far parte della mia collezione e quelli scelti qui sotto sono solo 14, va da sé che molti di essi ho dovuto scartarli. Ma non temete, quelli degni di nota li trovate tutti qui 2020. Molti album non sono passati per questo blog anche se mi sono piaciuti. Ma il tempo è inclemente e faccio quello che posso. Anche questo argomento troverà spazio nei prossimi giorni su questo blog. Se in queste festività, ognuno a casa propria, avanzate un po’ di tempo per ascoltare della buona musica, ecco cosa ho scelto per voi quest’anno.

  • Most Valuable Player: Courtney Marie Andrews
    Questa cantautrice non delude mai e il suo Old Flowers ne è la conferma. Un album emozionante come pochi altri quest’anno e non potevo escluderlo da questa lista.
    Come navi nella notte
  • Most Valuable Album: Huam
    Il trio di artisti scozzesi Salt House pubblica un album magnificamente ispirato. Fin dal primo ascolto si percepisce la sensazioni di non essere davanti ad un disco qualunque.
    La speranza è quella cosa piumata
  • Best Pop Album: The Human Demands
    Amy Macdonald è Amy Macdonald. Questo album è probabilmente il migliore dei suoi finora. L’ho ascoltato un’infinità di volte e non ne ho mai abbastanza. Ho detto tutto.
    Una pallottola al cuore
  • Best Folk Album: An Sionnach Dubh
    Scelta non facile quest’anno ma quello di Dàibhidh Stiùbhard è l’album folk che più mi ha affascinato quest’anno. L’irlandese e gaelico scozzese possono risultare incomprensibili ma la musica è un linguaggio universale.
    La volpe nera
  • Best Country Album: That’s How Rumors Get Started
    Anche in questo caso avevo l’imbarazzo della scelta ma Margo Price con il suo terzo album l’ha spuntata sui concorrenti. Cambio di marcia per questa cantautrice che non tradisce sé stessa.
    Una luna piena sopra una strada vuota
  • Best Singer/Songwriter Album: Song For Our Daughter
    C’è qualcuno che può competere con Laura Marling quando si tratta di cantautrici? Difficile dirlo con obbiettività ma per me lei è tra le migliori in assoluto e lo sarà ancora a lungo.
    L’amore è una malattia curata dal tempo
  • Best Instrumental Album: Shine
    Sto allargando i miei interessi agli album strumentali e questo della musicista irlandese Caroline Keane è tra quelli che ho ascoltato di più.
    Musica tradizionale irlandese per concertina che allieta l’animo.
    Mi ritorni in mente, ep. 70
  • Rookie of the Year: Diana DeMuth
    Pochi dubbi a riguardo. Misadventure è un gran debutto, convincente sotto ogni aspetto. I contendenti non erano pochi ma quest’artista si è guadagnata questo premio con largo anticipo.
    Lo stesso vecchio gioco
  • Sixth Player of the Year: Shayna Adler
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. Wander è un album, per l’appunto, sorprendente e se lo merita tutto. Un folk americano diverso dal solito, un viaggio affascinante.
    Ho visto tante, tante cose
  • Defensive Player of the Year:  Siv Jakobsen
    Chi invece non è una sorpresa ma una certezza è questa cantautrice norvegese che quest’anno a pubblicato A Temporary Soothing. Un album sincero e personale, anche molto fragile.
    Un lenitivo temporaneo
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La scelta alla fine è ricaduta su di lei e il suo The Dream che mi ha accompagnato nei momenti più bui della prima ondata. Un buon country, positivo ed orecchiabile. Cos’altro chiedere?
    Bougainvillea, whiskey e un sogno
  • Throwback Album of the Year: In All Weather
    Dedicato all’album non uscito quest’anno. A mani basse lo vince Josienne Clarke. Una cantautrice unica che devo ancora scoprire ma senza fretta. Ogni volta che lo ascolto è come la prima volta.
    Bel tempo si spera
  • Earworm of the Year: Supernasty
    Non è stato un anno di canzoni particolarmente martellanti ma questa di Lynne Jackaman lo è stata senza dubbio. Tutto l’album One Shot merita un ascolto. Non vi deluderà.
    Mi ritorni in mente, ep. 72
  • Best Extended Play: Marmalade
    Il terzo EP della cantautrice Sophie Morgan è andato al di là delle mie aspettative. Si merita una menzione in questa lista di fine anno. Speriamo in un album nel prossimo. Sto già aspettando.
    Mi ritorni in mente, ep. 68
  • Most Valuable Book: Le sette morti di Evelyn Hardcastle
    Ho letto più libri del solito quest’anno ma nessuno come questo. Un giallo tanto appassionante quanto ingarbugliato. Stuart Turton ha fatto un ottimo lavoro. E siamo solo al suo debutto.
    Ancora un altro libro, ep. 3

Mi ritorni in mente, ep. 72

Mi capita a volte di uscire dalle strade sicure dei generi musicali che più amo e scoprire qualche artista interessante. Questo è il caso di Lynne Jackaman, cantautrice inglese, al suo debutto come solista, dopo l’esperienza nella band Saint Jude. One Shot, questo è il titolo dell’album, si appoggia alla straordinaria voce della Jackaman e spazia dal soul a funk, dal r&b al jazz, passando per il pop e il rock. Insomma è un album carico di energia ed emozione, partendo proprio da Supernasty, singolo di punta che prestava il nome all’EP che ha preceduto questo album.

Ci sono altre canzoni che meritano più di un ascolto, come Copy Cat o Nothing But My Records On o il trascinante jazz di Soon Or Later. Se preferire il rock c’è Red House oppure I’ll Allow You. Se preferite qualcosa di più malinconico c’è On My Own Stage. Insomma ce ne per tutti i gusti. Non si può rimanere indifferenti di fronte alla voce di Lynne Jackaman, capace di graffiare quando necessario ma anche di accarezzare con un tono più morbido e confidenziale. Davvero un notevole debutto. Spero che Supernasty, qui sotto, sia sufficiente a convincervi ad ascoltare One Shot, perché altrimenti sarebbe un peccato.

Una luna piena sopra una strada vuota

Quest’anno sono stati diversi gli album che rimandati causa pandemia. Tra le nazioni più colpite ci sono proprio gli Stati Uniti, terra natia di Margo Price, cantautrice country tra le più apprezzate di nuova generazione. Proprio il suo nuovo That’s How Rumors Get Started è stato rinviato allo scorso luglio, nella speranza che le cose migliorassero. Non è stato così ma il suo terzo, e atteso, album è arrivato lo stesso. Sotto la direzione di Sturgill Simpson, il disco ha preso sempre più forma, spingendo la Price lontano dal country, ma non troppo, e avvicinandola a nuove ed interessanti vie musicali. Personalmente ero curioso di ascoltarlo ed ero certo di trovarci ancora una volta tanta buona musica.

Margo Price
Margo Price

Si comincia proprio con la title track That’s How Rumors Get Started, un malinconico country rock ammorbidito dalla voce della Price. Si può già intuire il nuovo corso di questo album e la sua distanza dal country più classico, “And here you are / Still doin’ you / Never worked out / But it never stopped you / All I know is every time / That your lips are parted / Right behind my back / That’s how rumors get started / That’s how rumors get started“. Segue Letting Me Down che spinge con più decisione verso un blues rock. La storia di una deludente storia d’amore fa da sfondo ad un brano tra più accattivanti di questo album, “You were in another dream I had / Still running from your dead beat dad / I had a feeling it would turn out bad / And I never woke up / Bad luck you know it don’t come cheap / But shit changes baby, nothing’s concrete / A full moon above an empty street / I only wanted your love“. Twinkle Twinkle è il singolo scelto per promuovere l’album e ha fatto storcere i naso a qualcuno. Qui la svolta verso un rock più marcato è completa ma resta un’eccezione. Una rabbia sottile e la voglia di riscatto pervadono le parole di questa canzone, “Drive-in movies, Coca-Cola / Sweet 16, that kiss of death / Don’t you cry when you should laugh / I smell liquor on your breath / I smell liquor on your breath“. Tra le mie preferite c’è la bella Stone Me. Una triste melodia nasconde una storia difficile e sofferta. Margo Price canta con voce fragile ma sicura, senza risparmiarsi con le parole, “Through the mud and rain you can drag my name / You can say I’ve spent my life in vain / But I won’t be ashamed of what I am / For your judgement day I don’t give a damn“. La successiva Hey Child non è un inedito. Fu pubblicato, infatti, all’interno dell’album Test Your Love dei Buffalo Clover, gruppo di cui faceva parte la stessa Price. Una canzone dalle tinte soul che ben si confà alle sonorità di questo album, “Your lamp is burnin’ low, and the streets are cold and wet / You’re just a face without a name / But when you wake up and find there’s nothin’ left / Oh, honey, baby, ain’t it a shame?“. Un rock dai richiami anni ’80 con Heartless Mind. La voce della Price è in contrasto con l’accompagnamento ruvido e sporco. Un esperimento, tutto sommato, finito bene, “I got a restless feeling that I’m wasting my time / You got a mindless heart, you got a heartless mind / Before you use me, try to treat me kind / You got a heartless mind, you got a heartless mind“. Si rallenta con Gone To Stay, che ritorna verso qualcosa più simile al country ma senza rinunciare al rock. Una bella canzone che ci fa apprezzare anche le doti di scrittura di quest’artista, “Baby, when I’m gone / You’re learnin’ how to live / Remember not to take so much / So you have something left to give / Just think of me in the love that I leave behind / Let it grow around you / Like a tie that binds“. Decisamente blues What Happened To Our Love? che riflette su una storia d’amore finita. Una canzone poetica ma che esplode in un finale rock liberatorio, “He asked you questions only I could answer / You were the music and I was the dancer / You were the medicine and I was the cancer / What happened to our love?”. La più country di tutte è probabilmente Prisoner Of The Highway ma non mancano contaminazioni soul. Una vita sempre in viaggio, tra sacrifici e un vagare senza meta. Da ascoltare, “I passed by farms and trailers / As I drove through little towns / I found trouble in the city / I never set my suitcase down / And in those empty alleys / Where retaining walls decay / I just kept a-moving as a prisoner of the highway“. La conclusiva I’d Die For You ha il pregio di chiudere in modo epico, abbastanza insolito per la Price. Un’accorata dichiarazione d’amore, con tutta l’energia possibile, “But all I want, make no mistake / Oh, I don’t have a side to take / And I can’t live for them, it’s true / But honey, I would die for you / Oh baby, I would die for you / I would die for you / I’d die for you“.

That’s How Rumors Get Started porta la musica di Margo Price, lontano dai territori pianeggianti ma insidiosi del country. In questi ultimi tre anni, quest’artista sembra aver trovato una nuova strada da percorrere. Tra sonorità soul, rock e blues, il folk americano e il country si perdono in un eco lontana. Una Margo Price nuova ma non per questo diversa. C’è la sua voce, il suo stile sincero e diretto che qualsiasi cosa si possa fare rimarrà sempre incollato a lei. In questo album non viene rinnegato il passato ma, anzi, si estende lungo nuove vie, che aprono alla Price un futuro interessante, tutto da esplorare.  That’s How Rumors Get Started è un gran bell’album che potrebbe rappresentare davvero una svolta importante per la cantautrice americana.

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Mi ritorni in mente, ep. 67

Tra la musica che ho avuto modo di ascoltare in questo strano periodo, c’è un artista che mi ha conquistato fin dal primo ascolto. Lo ammetto, conosco davvero poco riguardo a Zac Wilkerson, se non che è texano ed è al suo terzo album di inediti. Quello che mi è piaciuto di più della sua musica è quel mix di country, soul e folk americano nel quale mi sono trovato subito a mio agio. Ad accompagnare Zac è il suono della chitarra che spesso oggi viene messo un po’ da parte ma che in questo caso è sempre in primo piano.

Il suo album Evergreen è davvero un bel disco che va a coprire varie sfumature della musica americana, con energia e sentimento. Tra ballate e cavalcate rock, Zac Wilkerson con la sua voce potente e soul, vi riporterà indietro nel tempo. Qui sotto un assaggio della sua musica con l’introduttiva Incantation I e Give Your Heart To Love. Ascoltare per credere.