Si deve riempire il grande vuoto con piccole canzoni

Questa estate è stata particolarmente ricca di nuove uscite discografiche di mio interesse e la maggioranza di essere sono state di musica country. Tra tutte queste non potevo ignorare uno dei più interessanti cantautori country ovvero Colter Wall. Questo artista canadese nonostante la giovane età, ventotto anni, è già un punto di rifermento di questo genere, grazie al suo carisma e alla sua voce unica. Se non avete mai ascoltato una canzone di Wall è bene che vi decidiate a farlo, che il country sia il vostro genere o no. Il nuovo Little Songs è lì ad aspettarvi, non vi resta che ascoltare.

Colter Wall
Colter Wall

Si comincia alla grande con Prairie Evening / Sagebush Waltz che conferma le doti inimitabili del buon Colter, regalandoci un finale strumentale. Da una ballata western ad un pezzo honky tonk, intitolato Standing Here, seguita da una ballata personale e triste, Corralling The Blues. Una canzone poetica ed essenziale che contrasta con la successiva The Coyote & The Cowboy. L’originale è di Ian Tyson e non è la prima volta che Wall propone una cover e non è la prima volta che riesce a renderla migliore dell’originale. Da ascoltare. Non è affatto una cover Honky Tonk Nighthawk che celebra il piacere di fare musica country e nemmeno la ballata For A Long While. Colter Wall si era già cimentato nello yodel e ci riprova questa volta con Cow / Calf Blue Yodel, che ci racconta la vita da cowboy alle prese con la mandria. La title track Little Songs ci porta verso un country rock orecchiabile ma allo stesso tempo malinconico. La seconda cover dell’album è Evangelina, dall’originale cantata da Hoyt Wayne. Anche qui Wall ci mette qualcosa di suo, rendendola di fatto una sua canzone. L’album si chiude con The Last Loving Words, una ballata country malinconica e notturna resa unica dalla voce dell’artista canadese.

Little Songs è ancora una volta un ottimo album country western che riconferma il talento di Colter Wall come interprete e come autore. La sua musica è genuina, senza fronzoli e questa volta più personale rispetto alle precedenti occasioni. Little Songs è uno di quegli album in grado di trasportarti altrove, di incantarti con la sua poesia e le sue melodie. Colter Wall continua sulla sua strada e non potrebbe fare altrimenti. Sembra nato per tutto questo. Non posso convincervi ad ascoltare questo cantautore a parole, è necessario ascoltarlo. E qui sotto c’è una canzone dalla quale vale la pena cominciare.

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Ancora un altro libro, ep. 14

Mi sono accorto che l’ultimo episodio di questa rubrica risale addirittura allo scorso febbraio. Credo sia arrivato il momento di riassumere qui le mie letture più recenti.

Cominciamo con La ragazza dai capelli strani, breve raccolta di racconti in cui possiamo ammirare il talento, ancora acerbo, di David Foster Wallace e la sua capacità di analisi della società moderna. Ogni racconto ha un tono e uno stile diversi, spesso con una struttura frammentata, con continui cambiamenti nel punto di vista e persino della forma. Nonostante siano passati più di trent’anni dalla sua pubblicazione, lo stile di questo autore continua ad essere innovativo e sorprendente. I periodi lunghissimi, le continue associazioni mentali e le situazioni assurde e geniali sono le caratteristiche che più emergono dalla sua lettura. Sotto la superficie c’è la volontà di Wallace di dare forma ai pensieri più complessi senza rinunciare alla sua visione lucida del mondo nel quale viviamo, una visione che è ha anticipato i tempi. Se cercate racconti con una trama ed un finale, in questa raccolta, non ne troverete nemmeno uno.

Decisamente una lettura più leggera quella de La spada del destino, ovvero il secondo volume della saga dello strigo Geralt di Rivia. Si tratta ancora una raccolta di racconti ma a differenza del primo, ho trovato questo un po’ meno avvincente. Nei tre primi racconti lo strigo non ha un ruolo attivo all’interno della storia, è uno spettatore al pari di alcuni personaggi secondari, pure poco caratterizzati. Nei successivi tre invece, Geralt mette finalmente mano alla spada e rende giustizia al suo ruolo. Una raccolta divisa in due metà, una trascurabile e un po’ lenta, e l’altra più convincente e in linea con lo spirito della saga mostrato finora. Indubbiamente Andrzej Sapkowskici sa fare, il suo stile è diretto e asciutto, con una particolare attenzione ai dialoghi. Forse solo le vicende amorose tra Yennefer e Geralt risultano, a volte, un po’ stucchevoli e fuori luogo. Non mi resta che scoprire cosa riserva il primo romanzo della saga.

Solo Stephen King poteva scrivere un romanzo su di un’automobile assassina senza essere banale e grottesco. Non sapevo cosa aspettarmi da Christine ma ha saputo sorprendermi anche questa volta. Nella prima parte King definisce i personaggi, i rapporti che li legano e il contesto nel quale vivono la loro vita serena. Finché il giovane Arnie non sceglie Christine. Nella seconda parte tutto cambia e si entra in un susseguirsi di eventi che sembra impossibile da fermare. Il male che continua oltre la vita e non conosce riposo. Il passato che apre vecchie ferite e il futuro incerto dei giovani protagonisti. Il finale riserva delle sorprese nel perfetto stile di questo autore, evitando spettacolari colpi di scena. Senza dubbio tra i migliori romanzi di questo autore che ho letto finora e consigliato anche a chi vuole iniziare a scoprire il Re.

La repubblica dei ladri è terzo capitolo della saga dei Bastardi Galantuomini e quello nel quale facciamo finalmente la conoscenza di Sabetha, personaggio fin qui solo nominato. Scott Lynch ci racconta anche di più sul passato di questa banda di ladri, svelandoci l’episodio del teatro già citato nei libri precedenti. Nel frattempo ritroviamo Locke e Jean impegnati nelle elezioni nella città dei maghi. Forse queste elezioni sono un pretesto un po’ debole per portare avanti la storia, soprattutto perché non è chiarissimo il ruolo dei due protagonisti, ma alla fine si spiega tutto o quasi. Questo romanzo appare più come un prologo per quello che seguirà. Il colpo di scena finale, infatti, apre a nuovi e inquietanti sviluppi. L’unico modo per scoprire quali saranno è leggere il prossimo The Thorn of Emberlain che però è in attesa di pubblicazione da dieci anni.

La battaglia di Ravenspur, il finale della quadrilogia della Guerra delle Due Rose, è quanto ci si poteva aspettare dopo il deludente terzo volume. Conn Iggulden non riesce a dare forma al romanzo che diventa così in una sorta di docufilm, dove alcune parti sono caratterizzate da dialoghi e azione, altre, più frequenti, non sono altro che una voce fuori campo che riassume velocemente i fatti più salienti. La sensazione è che l’autore non avesse le idee ben chiare e questo a portato all’assenza di una struttura, con personaggi poco caratterizzati e approfonditi. Le riflessioni dei protagonisti sono spesso ripetitive e alla lunga annoiano, dando l’impressione che servano solo ad riempire qualche pagina in più. La gran quantità di personaggi che hanno preso parte a questo conflitto, durato trent’anni, forse avrebbe meritato ben più di quattro libri o, in alternativa, un solo libro meno dettagliato ma più chiaro di quello che ha realizzato Iggulden. Questa serie di libri si è rivelata una delusione, soprattutto dopo i primi due buoni volumi. Non entro nel merito della fedeltà ai fatti storici che sono esposti nella nota storica in chiusura ma, a ben vedere, riassume, in una decina di pagine e in modo più chiaro, le altre centinaia appena concluse. Nota a margine: il titolo italiano è fuorviante. Non c’è stata nessuna battaglia a Ravenspur, anche se ha un ruolo centrale nelle vicende. Molto meglio il titolo originale: Wars of the Roses. Ravenspur: Rise of the Tudors.

A volte sento di non avere un posto dove andare

La scorsa settimana ero quasi tentato di fare una doppia recensione, una sorta di “honky tonk battle” tra Summer Dean e Brennen Leigh. Poi ci ho rinunciato anche perché volevo riservare a quest’ultima un post tutto suo. Infatti a distanza di un anno dal suo ultimo album, questa cantautrice americana è tornata con dodici nuove canzoni, raccolte nell’album Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet. Non mi aspettavo nulla di diverso da un buon country vecchia scuola ed è proprio quello che ci ho trovato, eppure c’è qualcosa che riesce ancora a sorprendermi.

Brennen Leigh
Brennen Leigh

Proprio la title track I Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet chiarisce subito lo spirito dell’album e della musica della Leigh. La passione per il country viene prima di tutto per questa cantautrice. In The Bar Should Say Thanks, Brennen si diverte a celebrare i bei momenti in qualche locale nel quale si rimane anche per la bella Somebody’s Drinking About You. Un amore finito è protagonista di I’m Still Looking For You, forse una delle canzoni più immediate di questo album. Le ballate con Brennen Leigh non possono mancare e Mississippi Rendezvous è la più romantica di tutte e dal sapore un po’ retrò. Every Time I Do è forse quella che preferisco nonostante sia un po’ sdolcinata ma è comunque irresistibile. Si potevano forse evitare malinconia e solitudine in un album come questo? Certo che no, e When Lonely Came To Town fa il suo dovere più che egregiamente. C’è spazio per qualcosa di più leggero con Throwing Away A Precious Jewel ma l’altra faccia più spensierata e ironica della Leigh si prende la scena con altre canzoni. Una su tutte Carole With An E che segna uno dei momenti più alti dell’album e ci informa che sulla strada viaggia una camionista piuttosto tosta. You Turned Into A Dragon ci racconta che fine fa un tatuaggio d’amore quando questo finisce. Irresistibile e nel perfetto stile di quest’artista è Running Out of Hope, Arkansas. Un nuovo inizio, un viaggio senza meta ma pieno di sogni. Lascio per ultima la mia preferita di questo album ovvero, The Red Flags You Were Waving. Semplicemente fantastica nella sua semplicità, da ascoltare assolutamente.

Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet è un album country ottimo sotto ogni punto di vista. Brennen Leigh attraverso il suo modo elegante e pulito di cantare riesce a trasmettere sentimenti diversi, riscendo a volte ad essere dolce e volte dura. La sua passione per le sonorità più classiche del country si respira ad ogni nota, trasportandoci in un mondo che forse non esiste più. Ain’t Through Honky Tonkin’ Yet l’ho già ascoltato un’infinità di volte e sono sicuro che lo riascolterò ancora. Brennen Leigh non sbaglia un colpo, va sul sicuro è vero, ma pochi lo sanno fare come lei di questo tempi.

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La strada ritrovata

Anche se non troverete il nome di Summer Dean tra le pagine di questo blog, non significa che il suo album di debutto del 2021, intitolato Bad Romantic, non sia tra i miei preferiti di quell’anno. Un debutto il suo arrivato a poco più di quarant’anni, quando Summer ha deciso di dismettere i panni di insegnante e dedicarsi completamente alla vita di cantautrice country. Una scelta rischiosa ma dettata da quell’urgenza, quel fuoco che brucia dentro e non a cui non è facile resistere. Il suo nuovo album The Biggest Life è prima di tutto la conferma che la strada è presa e che la scelta è stata quella giusta. Cos’ha di speciale la musica di Summer Dean? La voce unica. Ha qualcosa di speciale, quel genere di voce che incanta al primo ascolto e vorreste riascoltarla ancora e ancora. Diventando così una voce familiare, che ci canta quanto è bello fare ciò che si ama.

Summer Dean
Summer Dean

Se vi piacciono le ballate country, Summer Dean ne ha da offrirvene a sporte, a cominciare dalla bella Big Ol Truck, passando per I’ll Forget Again Tomorrow. L’amore e la vita sono una costante ispirazione per la Dean come la triste She Ain’t Me o la riflessiva Other Women, nella quale la protagonista desidera uscire dalla routine quotidiana di madre. Lonely Girl’s Lament è un’altra ballata solitaria e malinconica che poggia sulla voce carismatica della Dean, capace di regalare sempre qualche brivido. Le ballate terminano con Can’t Hide The Heartache From Her Face, un valzer country che è pura poesia. Una dei quella canzoni che non mi stancherei mai di ascoltare. Queste ballate fanno da contrasto per la parte dell’album più scanzonata e tipicamente honky tonk, a cominciare dalla traccia che dà il titolo all’album The Biggest Life Worth Living Is the Small, una celebrazione della vita fatta di piccole cose. Ancora più trascinate è Might Be Getting Over You, che fa coppia con Clean Up Your Act If You Wanna Talk Dirty To Me, dal piglio rock e divertente come l’irresistibile The Sun’s Gonna Rise Again. Ma non è finita qui, Summer Dean ha altri assi nella manica e ci regala due canzoni che rappresentano una variazione sul tema dell’album. Move Along Devil esplora territori più blues ma che ben si sposano con la voce della Dean. Voce che incanta anche senza cantare come succede in Baling Wire.

The Biggest Life è un ottimo album country, c’è poco da aggiungere. Potrei scrivere della voce di Summer Dean e della sua passione per questo genere musicale che trasmette ad ogni singola nota, per la sua scelta di vita, per la sua terra ma sarebbe tutto inutile per che non servirebbe a nulla. È sufficiente ascoltare questo album (e anche il precedente Bad Romantic) per trovare parole migliori di quelle che potrei scrivere io qui. Quindi mi faccio da parte e lascio che sia Summer Dean a spiegarvi cosa sia la musica country e come andrebbe fatta. L’unico difetto di questo album che mi mette in difficoltà nello scegliere una sola canzone da farvi ascoltare per convincervi The Biggest Life va ascoltato per intero con tutte le sue tredici canzoni.

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Non mancano mai le donne con gli stivali

Queste ultime settimane sono state davvero ricche di nuove uscite e paradossalmente ho avuto meno tempo da dedicare loro. Spero nelle ferie estive nelle quali recuperare le mie mancanze. In qualche modo però la musica trova sempre spazio nella mia giornata e il nuovo album della cantautrice texana Jess Williamson è riuscito a ritagliarsi il suo spazio. S’intitola Time Ain’t Accidental e si tratta del suo quinto album, il secondo che ho avuto il piacere di ascoltare e riportare qui sul blog e il primo dopo l’esperienza con Katie Crutchfield e il loro progetto Plains, che ha esordito lo scorso anno.

Jess Williamson
Jess Williamson

L’album si apre con la title track Time Ain’t Accidental che, senza sorprese, riprende le sonorità del duo Plains. Una scelta più che azzeccata che si ripete in canzoni come la bella God In Everything, orecchiabile e ben scritta, e nella conclusiva Roads, una canzone di speranza e rinascita. Anche Something’s In the Way si potrebbe inserire nel gruppo, grazie all’accompagnamento vario ed originale. Il singolo Hunter punta su eteree sonorità pop per raccontare la voglia di riabbracciare le cose reali dopo gli anni difficili della pandemia. Chasing Spirits è una canzone riflessiva e persona, una canzone sulle canzoni d’amore nella quale brilla tutto il talento della Williamson. Non manca una ballata di grande impatto e porta il titolo di Stampede. Un impossibile amore a distanza è l’ispirazione per una canzone che viaggia sulle note di un pianoforte. A Few Season, scritta per un amore finito, non si allontana da quelle atmosfere, aggiungendo però una buona dose di tristezza. Ancora l’amore, questa volta non ricambiato, è protagonista nell’essenziale e fragile I’d Come To Your Call. Completano l’album la coppia di brani intitolati Tobacco Two Step e Topanga Two Step due canzoni notturne e malinconiche, una più folk e l’altra di ispirazione più pop.

Time Ain’t Accidental è un album che ci presenta una Jess Williamson ispirata e meno inaccessibile che in passato. Buona parte di queste canzoni sono orecchiabile ma mai banali, capaci di farci cogliere con facilità il messaggio che ognuna di esse porta con sé. Difficile inquadrare lo stile o il genere della musica di quest’artista che abbraccia tutte le sfumature dell’americana e del country alternativo, senza disdegnare influenze indie rock. Time Ain’t Accidental segna dunque un punto importante della carriera della Williamson che prende confidenza con le proprie capacità di autrice ed interprete, dando alla luce l’album che potrebbe dare il via ad una carriera ricca di soddisfazioni, meno in ombra di quanto lo sia stata finora.

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