Una mano sul volante, finestrini abbassati

Un paio di anni fa era passato da queste parti un artista che si esibiva con il nome di Almighty American. Il suo esordio risaliva però al 2017 e da allora ne avevo perso le tracce. Quest’anno però è arrivato un nuovo album, intitolato Make It Right, che vede il cantautore americano scegliere suo nome di battesimo, ovvero Michael Gay. Una scelta forse orientata ad esprimere un maggiore senso di sincerità e ottenere un contatto diretto con chi ascolta. Il suo è un country folk cantautorale, spesso scarno nei suoni ma ricco nella scrittura, caratterizzato dalla voce carismatica del suo interprete ed autore.

Michael Gay
Michael Gay

Enjoy The Ride, si apre con un giro di chitarra che introduce la voce di Gay, che ci racconta del viaggio come metafora della vita. Tra incertezze e difficoltà, l’importante è godersi il viaggio, “I’m always getting lost, and I’m finding all time / It don’t usually matter like I think / May forget just where I’m going / Guess I’ll know when I arrive / ‘Til then it’s one hand on the wheel, windows down / Enjoy the ride“. La strada che scorre veloce è protagonista anche in Sleeper Cab. Un amore on the road che sembra non voler finire mai. Le chitarre guidano il ritmo e la canzone scorre via, lasciando sensazioni positive, “She’s got her feet up on the dash / Traffic’s going slow / And we’re singing along to some Johnny Cash / That’s playing on the radio / We’re going to Jackson / We’re gonna mess around / Big rig relaxin’ / Eastbound and down“. Good Enough è una ballata che loda la vita semplice, nella quale ci si accontenta di quanto di buono essa ci offre. Una delle canzoni che preferisco di questo album, per quanto è poetica e sincera, “That’s good enough / Everything’s alright / There’s no sign of trouble / No worry on my mind / My scales are level / When you’re at my side / Oh, It’s good enough to call you mine“. La title track Make It Right è una canzone malinconica che riflette sulla vita e i suoi fallimenti. Però c’è la volontà di non mollare ed andare avanti, “These stories I keep selling, they’re just spit-shined pulp romances / You can ask my friends, they’ll all agree that I’m out of second chances / I can point to where it all went wrong, draw the play-by-play in the ashes / Where I was doing what I knew to make it right / Now I’m doing what I can to make it right“. La successiva Born To Fix ci racconta la fine di un amore che diviene un’occasione per scrivere una canzone. Ancora una canzone sincera che non nasconde le debolezze di questo cantautore, “You’re not a problem I was born to fix / There’s no way to talk me out of this / I’m not gonna die up on that cross / Good luck with moving on / Hell, maybe this’ll make a good country song / But I’ve no use for old dogs who won’t learn tricks / And boy, you’re not a problem I was born to fix“. Una storia di amicizia si rivela in You Can Run, con una melodia triste e la voce che la segue, cantando parole cariche di malinconia. Una canzone che dimostra tutta la spiccata sensibilità di questo artista, “You turned to me and smiled and said / “You know as well as I / There’s something you don’t want to say” / Staring straight ahead, I said / “That fight may go a few more rounds today”“. Two Cups Of Coffee racconta della solitudine di un uomo e della tragica dipartita della moglie. Per ricordarla, ogni volta prepara due tazze di caffè. Una canzone triste e toccante, davvero ben scritta ed interpretata, “Nearly 30 years I joked I hoped I got to be the first to go / Then that bastard in his Lexus left me high and dry without a hand to hold / Between you and I she was the stronger of the two of us by far / Now only thing I know to do is sing my songs and wish upon a star“. Beautiful Bastard è di tutt’altro tenore, è un elogio nei confronti di un altro artista. C’è ancora tristezza nelle parole di Gay ma anche stima e rispetto, “There’s magic you made in the way that you sang / I’ll know for the rest of my life / I’ll keep writing songs, try to spell out my blues / But I’ll never sing them like you / You had a fire in your eyes / You made that whole room come alive“. Only Heaven Knows è una canzone fatta di immagini, di pensieri in libertà. Micheal Gay non si nasconde e si confida con chi lo ascolta, “Only heaven knows all the secrets I’ve been keeping / Only heaven knows how I’ve bent the devil’s ear / Only heaven knows all the shades of blue I’m feeling / Only heaven knows what the hell I’m doing here“. Chiude l’album Younger Man’s Game, una ballata al pianoforte che riflette su tempo che passa. Si comincia ad essere più così giovani e si tirano le somme della propria vita confrontandola con quella degli altri, “All of my friends turned a page / To wedding bands and steady wage / Now there’s kids and bills to pay / I’m happy for them anyway / I always see them smiling on the screen / And I wonder, do they ever think of me?“.

Make It Right è un album nel quale Michael Gay si apre con sincerità a chi lo ascolta, e credo che la rinuncia al nome Almighty American si esplicativa in tal senso. I temi sono ricorrenti, uno su tutti la sua vita da cantautore, l’amicizia, l’amore e gli anni che passano. Un cantautore solitario che sa trovare però conforto in ciò che la vita gli offre. Il suo stile guarda alla tradizione americana, fatta di storie e quotidianità e le canzoni sono spesso malinconiche ma sempre con una vena di speranza e resistenza che le percorrono. Se questo rappresenta un nuovo inizio per Michael Gay allora direi che ci sono i presupposti per un futuro interessante, augurandogli che possa continuare ancora per molti anni.

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Baciami gli stivali

A volte non serve altro che una buona canzone per approfondire la conoscenza di un nuovo artista. In realtà il nome di Charlie Marie era già finito nel mio radar tempo fa ma l’avevo messo da parte, data l’assenza di un album d’esordio. Preferisco così, iniziare a scoprire un nuovo artista dal suo primo album se possibile. Non si è fatto attendere molto Ramble On e io non mi sono fatto pregare. Era chiaro fin da subito che si trattava di buona musica country made in USA e quindi andavo sul sicuro. Ma in realtà Charlie Marie si è rivelata al di sopra delle mi aspettative e entra di diritto tra le sorprese di quest’anno.

Charlie Marie
Charlie Marie

Si comincia con Soul Train, un bel country caratterizzato dalla sua voce che sembra nata per questo genere di musica. Non mancano la pedal steel, il piano e le chitarre che fanno da sfondo ad un testo ricco di riferimenti alla cultura country,”Rich folks, middle class / All end up beneath the tracks / Life’s good, people are too / There’s no difference between me and you“. Un amore fugace e senza impegno in Tequila & Lime. Una canzone spensierata e trascinante, con un ritornello che funziona. Un invito a prendere la vita per quello che è, “No need to worry about tomorrow / I won’t call you mine / Lets act like we’re living on borrowed time / Boy I’m tequila and you’re the lime“. El Paso è una ballata triste su un amore finito. Lei è stata tradita, lui ama un altro uomo. I tempi cambiano ma le canzoni d’amore restano le stesse. Charlie Marie da prova del suo talento come cantautrice, “He left me in a lone star state / He left me on a sunny day / He left me with the desert sand / He left me at the Rio Grande / He left me for a man“. Lauren è un’altra ballata carica di sentimento e malinconia. Un uomo che non vuole dimenticare la sua amata e si rifugia tra le sue montagne. Il suono della pedal steel è l’anima della musica country e senza, questa canzone, non sarebbe la stessa, “Your eyes are black as coal / But I can see into your soul / I know your hearts been broken / A part of you still loves Lauren“. Di tutt’altro tenore la successiva Bad Seed. C’è ancora di mezzo l’amore ma questa volta qualche cosa è andato storto. Un bel ritmo, una melodia orecchiabile. Cos’altro serve? Una storia di raccontare? C’è anche quella, “You act like James Dean / A nightmare disguised in a sweet dream / You thought I was foolish didn’t think I’d see / Your M.O’s making a good girls heart bleed / Baby you were born a bad seed“. 40 Miles from Memphis racconta di un amore che deve fare i conti con le distanze. Un country blues che ben sia adatta alla voce carismatica di Charlie Marie, 40 Miles from Memphis / I’m driving all night through / You never know a good thing till its gone / Took a while to get this / I’m on my way back to you / Hope it’s not too late when I get home / 40 Miles from Memphis. Daddy racconta di un padre preoccupato per la propria figlia, ma lei lo rassicura. Una bella canzone, ben bilanciata e tutt’altro che banale, “Life’s a never ending turning twisting road / But I know I can find my way back home / Oh daddy don’t, daddy don’t, daddy don’t worry about me / Oh daddy don’t, daddy don’t, daddy don’t worry about me“. Heard It Through The Red Wine è una dei pezzi forti di quest’album. Un bicchiere di troppo rivela la verità, il tradimento è una certezza, in vino veritas, come si dice. Questa è una canzone country come si comanda. Da ascoltare, “I thank god I heard it through the red wine / Praise the lord I finally see the truth / Turns out maybe drinking ain’t the worst crime / Cause that bottle made an honest man of you“. Segue Tough Kitty, e c’è ancora di mezzo l’amore, anche questa volta le cose non sono andate per il verso giusto. Ma è una ragazza tosta e sa incassare il colpo, “You said you loved me, that was a lie / You broke my heart and made me cry / What a pity, baby I’m a tough kitty“. Cowboys & Indians prende spunto dall’eterno scontro tra due mondi per descrivere un amore complicato. Il gioco è bello quando dura poco e Charlie Marie ce lo fa capire con una canzone dalle melodie latine, “Baby I love you, but I don’t want to play / Cause in the end you always ride away / My heart don’t want to walk out that door / I don’t want to play cowboys and Indians anymore“. La title track Ramble On Man è una delle mie preferite. Una cavalcata country senza sosta che ci vuole raccontare la storia di un artista che dedica la vita alla musica. I concerti, il pubblico e i viaggi, senza di essi sarebbe nulla, “Only feel alive underneath the spotlight / A different stage every night / A new girl holding you tight / All you want to do is put miles on your van / You ramble on man / Ramble On Man“. Si chiude con Kiss My Boots è una ballata per dirsi addio. La voce di Charlie Marie si fa dolce e malinconica. Ancora una volta è tutto perfetto, “But now I’ve got somebody else on my arm / And now you want me back cause, tonight I shine like a star / Kiss my boots goodbye, Only in it for the high / Hope you’re feeling low, Watch them as they go“.

Ramble On è un album di canzoni country e tanto basta ma Charlie Marie, con un piglio sicuro e voce carismatica, sa prendersi la scena e sorprendere. Ci sono vecchi schemi che funzionano sempre e nuove idee che vanno ad inserirsi alla perfezione nel rodato meccanismo della musica country. Ci sono le ballate, un po’ di honky tonk per ballare e qualche storia da raccontare. Non si può parlare altro che bene di questo Ramble On, che ad ogni ascolto si rivela essere più ricco ed interessante di quanto appaia. Non ha bisgno di altro questo album, ogni canzone è un piacere da ascoltare e riascoltare. Charlie Marie sicuramente è un nome da segnare tra quelli da tenere d’occhio in futuro.

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Mi ritorni in mente, ep. 79

Al giorno d’oggi non è facile ascoltare nuove canzoni che si possano fischiettare sovrappensiero. Si dà il caso però che nell’ultimo EP della band canadese The Sheepdogs, ci sia una canzone che si presta benissimo a quanto sopra. Il titolo del disco è No Simple Thing (niente di più vero, sic) e raccoglie sei brani di questa band che fa del revival il suo punto di forza. Ci sono ottime canzoni all’interno, come ad esempio Rock And Roll (Ain’t No Simple Thing), oppure Talk It Over che invita a smettere di parlare per niente piuttosto che ascoltare e dialogare davvero. Poi c’è Jesse Please che è una trascinatane canzone d’amore nel perfetto stile di questa band.

Tra le altre spicca però Keep On Loving You. Una canzone fresca, orecchiabile e spensierata. E poi c’è quel motivetto che puoi fischiettare mentre stai facendo altro. Perfetta per l’estate, per questo momento dell’anno in cui stiamo facendo il conto alla rovescia verso le meritate vacanze. Ascoltatela qui sotto. Non mi assumo nessuna responsabilità in caso di dipendenza.

Those nights were long and filled with tears
Felt like disaster for a thousand years
And if you tell me that your love is true
I’m gonna keep on loving you

Sogni oscuri

Correva l’anno 2018 quando ascoltai l’album di debutto di Tori Forsyth, intitolato Dawn Of The Dark. Lo scorso maggio è stato pubblicato Provlépseis che segna una svolta, in termini di stile, rispetto al suo predecessore. I singoli che hanno anticipato l’album denotavano una chiara svolta rock che metteva da parte le vibrazioni country. Il titolo dell’album è ispirato dalla parola greca che significa predizioni ed è stato scelto dopo le registrazioni, avvenute prima dell’epidemia, quasi a voler sottolineare alcuni aspetti, legati alla vita della cantautrice australiana, che l’album sembra aver anticipato. Ecco dunque un nuovo capitolo per quest’artista che seguo fin dagli esordi, grazie alla sua voce particolare e lo stile decisamente nelle mie corde.

Tori Forsyth
Tori Forsyth

Be Here dà inizio all’album, le chitarre graffiano e accompagnano la voce carismatica della Forsyth. Marcatemente rock, che trasuda rabbia e libertà, così diverso da quanto ascoltato finora da quest’artista, “Hold my face, my glazed eyes / Covered up, told a lie / Want you out when you’re inside / I’m so tired my glazed eyes / Spit me up, chew me out / My well done, it’s been lost now / Relapse hurts like promises / My well done, matters less“. All For You rallenta ma non si discosta dalle sonorità precedenti. Un sentimento doloroso serpeggia tra le parole della canzone. La voce della Forsyth sa essere ruvida quando serve e qui è tutto perfetto, “Ingest the medicine I had all along / Don’t know if it’s god / But I’ll give anything a shot / Breathe through the obscure dreams / Don’t know what it means / I read into almost everything“. La successiva Cosmetic Cuts si affida ad un revival anni ’90. Atmosfere cupe che ben si addicono alla voce di quest’artista e rappresentano l’animo di questo album, “My insecurities / Aren’t few and far between / I’ll take care of you / But the price is me / And then I’ll paint my heart / And I’ll serve it up / Serve it to myself / With its cosmetic cuts“. Redundant è un rock tirato che richiama le sonorità tipiche del grunge. La rabbia emerge dalle parole ed è ben supportata dalla chitarre. Un cambio di passo che segna questo album, “Cutting everything and turning over tables / Gnashing my teeth on live electric cable / Put me on the stand I’m waiting for my trial / Forgot, who I am, and now I’m in denial“. Courtney Love è una ballata rock, malinconica e graffiata. Sotto la superficie si possono sentire le influenze country dell’esordio ma ad affascinare di più è la forza di questa canzone, “I paid rent, so long / Empty house, broken throne / Where there’s resistance, there’s commitment / To corruption, but there’s no substance / She’s got no substance“. Last Man Stands è un lenta cavalcata rock che si affida molto alla voce graffiata delle Forsyth. Una melodia decadente che esprime un malessere profondo, “Let me fall, break my bones / Show you mine, show me yours / Last man stands, I give you that / For half the day, then straight away I’ll take it back“. Keeper va in una direzione diversa. Un testo più poetico che lascia più spazio alle emozioni che emergono con forza dalle parole. Tori Forsyth qui dimostra tutto il talento di cantautrice, “Wish I was a little less dramatic / I didn’t turn to panic / As the first emotions / How I wish I could control them / Am I too sarcastic? / I use it as a blanket / I promise I’ll try harder / When outside gets warmer“. Si torna a qualcosa di più rock con Blaming Me. La voce di fa calda ma ruvida e incornicia un ritornello ben rustico e orecchiabile. Non nascondo che è una delle canzoni che preferisco di questo album, “Place your bets as it’s called off / Take what’s mine just because / And lie your way to the next extreme / Spent too much on your time blaming me“. Nothing At All si riaffida alla ballata e la voce della Forsyth ci racconta un sentimento di rassegnazione, “Now I’m too tired from being so wired / My nerves have been shot to the floor / I try to mend them but I’m sick of pretending / I actually care anymore / But sometimes it’s better to bleed than feel nothing at all / Sometimes it’s better to bleed than feel nothing at all“. Shapeshifter è un rock veloce e tirato, affondato in un mare di parole. Ben si destreggia la Forsyth nel ritmo veloce di questa canzone, “Tight lip unzip on the first round / Loyalty gone with a dead mouth / Sick lounge undone cheap threads now / Begging me on borrowed time and stealing like a free foul“. Kid è un’altra bella canzone che ancora fa un’operazione di revival più che riuscita. Un rock che esprime ancora un sentimento di rabbia che corre veloce lungo le note di tutto l’album, “We’re all meant to cry, confess when we lie / Spend what we earn, kill ‘em and die / Cheapen the stakes with our own lives / I gamble myself, soon I’ll be fine“. Down Below è il punto di collegamento tra passato e presente della musica di questa artista. Ancora una canzone che esprime un senso di inquietudine senza soluzione, “And honey you’re next, I bet you’d like to know / You’ll be safe and sound, no matter where you go / Everyone’s a bitch, they follow me home / Remind me what you did, I’ll take you with me down below“. Chiude l’album Martyr, carica di parole e immagini che si susseguono in un pop rock orecchiabile, “And I’m a martyr at my grave and I’m laughing at me / I was blinded for the kill I was deafened so they could speak / They took what was mine, they put it in a gun / They point it at my head as if they’d already won / They already won“.

Provlépseis rapprensenta ovviamente una svolta, un cambio netto di sonorità. Esistono due tipi di artisti a mio parere. Chi cambia snaturando sé stesso e chi sa farlo senza rinnegare il proprio passato. Ebbene Tori Forsyth con questo album è riuscita a cambiare, non di poco, ma in qualche modo l’ha fatto rimanendo fedele al suo esordio. Tutto suona molto più rock, perfino grunge, le sonorità country sono un ricordo, eppure c’è qualcosa che sopravvive. Provlépseis è un album lungo, denso e monocromatico, senza momenti leggeri o luminosi. Sembra di stare dentro la testa di questa cantautrice dove i pensieri e le emozioni scorrono veloci e si susseguono senza sosta. Il coraggio e la voglia di cambiare vanno sempre premiati e questa volta non fa eccezione.

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