Ieri ho visto dei fiori

Tra le uscite dello scorso anno mi ero segnato l’album di debutto della cantautrice inglese Katie Spencer, intitolato Weather Beaten. In seguito ho dato priorità alle nuove uscite ed è finito inevitabilmente in fondo alla lista. Eppure lui era sempre lì che mi guardava, con quella foto in bianco e nero in copertina, il fiume Hull che da il nome alla città di questa artista. Così alla prima occasione, quando Bandcamp ha deciso di lasciare la sua parte sul prezzo degli album agli artisti, ho deciso di prendere anche Weather Beaten. Finalmente era arrivato il momento di ascoltare questo album e scoprire qualcosa di più oltre la copertina.

Katie Spencer
Katie Spencer

Incense Skin apre l’album facendoci subito apprezzare le doti di chitarrista della Spencer. Una canzone breve e di poche parole, che preferisce lasciare spazio alla magia della musica, “Breathe in your incense skin / It stops our smoky hearts from touching / Soothing blues eyes that have become akin / To seeing“. Drinking The Same Water continua sulla stessa scia della precedente, la chitarra in primo piano e la voce della Specer si traducono in una canzone poetica e nostalgica, “And sometimes I smile when I realise that we’re / Breathing the same air / And we’re drinking the same water / All the while, never mind I just hope / That you’re thinking of your daughter“. La title track Weather Beaten è una canzone che parla d’amore, che galleggia sulle note delle chitarra e di un clarinetto. Essenziale e delicata è tra le più belle di questo album, “I didn’t expect to see your face today / Even if I’d have wanted to I really would have looked the other way / You’re weather beaten and war torn on the inside / You’re so fresh and fruity and wide-eyed on the outside“. La successiva You Came Like An Hurricane è la storia di un colpo di fulmine guidato dalla melodia della chitarra. Katie Spencer lascia che la sua voce sia in balìa della melodia e la musica resti la principale protagonista, “You came just like a hurricane, hey hey / Ripping into new scenes / Oh ripping into new blue jeans / Now you’re a kiss on my cheek and I’m so happy“. Tra le canzoni che preferisco di questo album c’è Hello Sun. Sembra prefetta per questi mesi di lockdown in piena primavera. Piena di speranza e leggera come una brezza estiva, “Hello sun, it’s been so long / It’s May Day / April showers cannot fool us, anymore / Hello sun, wouldn’t it be nice / To spend some time together / Wouldn’t it be nice, hey“. Helsa è un brano strumentale che lascia cantare la chitarra acustica della Spencer, seguendo le atmosfere distese e malinconiche di questo album. Un’occasione per sottolineare l’importanza di questo strumento per questa artista. Tra le canzoni più belle c’è Too High Alone. Una bella melodia accompagna il canto, un testo poetico davvero ben scritto. Ogni cosa è perfettamente al suo posto, una canzone da ascoltare, “Yesterday I saw some flowers / Their heads were bent for you’re leaving / You’re heading west / That’s where you build your towers / And I know, I can already feel the party grieving“. L’unica canzone non originale è Spencer The Rover. Si tratta infatti di una rivisitazione di un brano tradizionale che va ad incastrarsi molto bene in questo album, “This tune was composed by Spencer the Rover / Valiant a man as ever I knew / He had been much reduced and he caused great confusion / That was the reason he started to roam“. The Best Thing Abuot Leaving è una canzone dalle trame più scure rispetto al resto dell’album eccetto nel finale. Ancora una volta c’è la scelta di lasciare spazio alla chitarra e limitare il testo a poche ma evocative parole, “They say the best thing about leaving is the sun upon your back / And I don’t know if I know best, so find out for yourself“. Si chiude con The Hunter. Qui la Spencer dà sfoggio del suo talento di cantautrice, confezionando un’altra canzone ricca di immagini ed ispirata, “I am not the hunter you say I am / The birds nest it’s always in my head / Never in my hand / The cuckoo flew this morning / Scratching and yawning / Discontent with rented goods“.

Weather Beaten è un album che si lascia apprezzare per molte ragioni. C’è una Katie Spencer chitarrista che viene fuori in ogni canzone e c’è una Katie Spencer cantautrice capace di scrivere testi davvero poetici ed efficaci. Queste due cose messe insieme rendono questo album un debutto eccezionale e maturo. La copertina dell’album è lo specchio delle sue canzoni, nelle quali si respira un’aria di familiarità e di straordinaria ordinarietà. Katie Spencer è un’artista da tenere d’occhio per il futuro ma già oggi ci fa sentire qualcosa di diverso e fresco nel panorama del cantautorato inglese di nuova generazione.

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C’è una crepa in ogni cosa

Risale a tre anni fa l’ultima uscita discografica della cantautrice di origine canadese Whitney Rose che ha avuto la sfortuna, come tanti altri artisti, di programmare il nuovo album in piena pandemia. La sua quarta fatica, intitolata We Still Go To Rodeos, è uscita lo scorso mese così come era stato previsto, offrendo così a noi fan, nuova musica da ascoltare durante il lockdown. Il country alternativo e indie di Whitney Rose, caratterizza de sempre la musica di quest’artista ma in questa occasione si possono notare piccoli ma significativi cambiamenti. Incuriosito e contento che ci fosse un album nuovo di zecca da ascoltare, mi sono precipitato su We Still Go To Rodeos, ottimista e fiducioso su quello che ci avrei trovato.

Whitney Rose
Whitney Rose

Just Circumstance è una storia una giovane ragazza che vive la sua vita tra mille problemi. Un country dalle venature rock che rinfresca il sound della Rose rispetto al suo album precedente ed apre a nuovi panorami, “Three years move pretty slow / When you’re sittin’ there staring at a cell window / She didn’t hold her when she had the chance / Just straight into the happy couple’s hands“. Segue Home With You che richiama lo stile del country più classico. Una canzone romantica che esprime un desiderio di intimità con leggerezza e sentimento, “I wanna go home with you / Be alone with you / Maybe sit out in the yard and get stoned with you / I wanna make you laugh / Make you a nightcap or two / I wanna go home with you“. Believe Me, Angela è una canzone forse ironica o forse no, con una donna tradita non si scherza. Whitney Rose dimostra ancora una volta il suo talento nella scrittura, “I wanna hate your every move, every single inch of you / Call you names and key your car reveal the woman that you are / ‘Cause that man was mine / I had his kids, became his wife / I’ll just leave you alone so he / Can do you just like he did me“. La successiva In A Rut è un bel rock che ricorda quello degli anni ’90. Una Rose in forma che pensa più a divertirsi e divertire senza troppi pensieri, “I’m walking and I don’t feel my own feet / My clothes don’t fit, it’s getting hard to breathe / This is just a phase and it’s all gonna be ok / I hear it every damn day“. A Hundred Shades Of Blue vira verso atmosfere più tristi e malinconiche. Un country blues che è un lento non insolito per questa artista. Davvero una canzone ben riuscita, “I know a hundred shades of blue / Yes I do, yes I do / If I described each one to you / What would you do? / What would you do? / Would you understand? / Or would you reprimand each of those hundred shades of blue“. Un rock bello energico fa capolino con I’d Rather Be Alone. Una storia d’amore, che non sta andando affatto bene, è alla base di uno dei brani di questo album che meglio identifica il nuovo corso, “‘Cause now you don’t even look at me / Your empty gaze goes past me / These days are killing me slowly / I’d rather be alone than lonely“. You’d Blame Me For The Rain richiama alla memoria il sound del secondo album e non può che fare piacere. C’è però sempre quel pizzico di rock che arricchisce la musica di Whitney Rose, “You’re too good for your job / You think you should be the boss / But you weren’t dealt a fair hand / And you were so cool back in high school / I came and messed up your plans“. Una ballata romantica e ancora una volta malinconica, si cela sotto il titolo di Through The Cracks. Una canzone che nelle corde di quest’artista che ci regala ancora una prova cantautorale davvero ottima, “We fell through the cracks of something mostly good / What we had it wasn’t broken / Just cracked like aging wood / That has seen a lot of rain / A lot of sunshine too / No pieces to put back / We fell through the cracks“. Don’t Give Up On Me è una canzone che fa della semplicità la sua forza. In primo piano c’è il suono delle chitarre, il resto è affidato alla voce della Rose e alla melodia, “If I could go back I would have made things easier for you / Giving you a reason to leave was the last thing I meant to do / But it ain’t if, it’s when the devil asks you for a dance / And you don’t mean to, but you give him your hand“. Con Better Man si torna ad un bel rock trascinante ed dal gusto classico. C’è anche tanto country sottotraccia. Una canzone che racchiude lo spirito di questo album e le nuove scelte musicali, “I had a dream that you were made of clay / I was shaping you just right / I tore away your insecurities / And put some kindness in your eyes“. La successiva Thanks For Trying è una ballata country rock come non se ne sentono più. Whitney Rose racconta la fine di un amore cercandone il lato positivo, dando ancora prova del suo talento, “You couldn’t keep me down, you couldn’t keep me quiet / But thanks for tryin’, thanks for tryin’ / You couldn’t fool me with those blue angelic eyes / But thanks for tryin’, thanks for tryin’ / You were never good at lyin’ / But thanks for tryin’“. In fondo a questo album troviamo la title track We Still Go To The Rodeos. Una elegante e romantica ballata dalle sonorità vintage. Un affascinante viaggio indietro nel tempo, “We ain’t got a fancy car / But we held hands and walked the streets of Rome / We pay rent to keep a bed / It’s fine ‘cause with eachother we are home“.

We Still Go To The Rodeos vede una Whitney Rose prendere per le redini la sua carriera e mettere da parte il country in favore di un rock classico e dal sapore degli anni ’90. Una scelta azzeccata a mio parere, che ha permesso a questa cantautrice di uscire da quelle sabbie mobili che chiamano con il nome di americana. Whitney Rose non ha rinunciato alla sua personalità e allo spirito del country ma ha saputo imbrigliarlo in un ottimo rock ‘n’ roll. Non mi sembra vero che siano passati tre anni dal suo ultimo disco ma, mentre io ero distratto da altro, Whitney Rose ha saputo trasformare la sua musica nel miglior modo possibile, dando inizio ad un nuovo capitolo della sua avventura.

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L’amore è una malattia curata dal tempo

C’è qualche artista che in questi momenti ha deciso di andare contro corrente. Mentre altri posticipano le loro nuove uscite, in attesa di tempi migliori, c’è chi ha scelto di anticipare il suo nuovo album. E anche di molto a quanto sembra. Laura Marling ha scelto di essere vicina ai suoi fan in questi giorni difficili e rivelare il suo settimo album, Song For Our Daughter. A tre anni di distanza dall’ottimo Semper Femina, il prodigio del folk inglese è tornato, attirando su sé tutta l’attenzione di pubblico e critica. Una carriera da far invidia a chiunque, che la vede a trent’anni, alle prese con un desiderio di maternità e una nuova visione del mondo. Ecco come si presenta questo disco, ecco a voi il ritorno di Laura Marling.

Laura Marling
Laura Marling

Alexandra dà il via questo album così come la Marling ci ha abituati. La chitarra in primo piano e la sua voce melodiosa stupiscono sempre e non stancano mai. Una donna è protagonista di questa canzone e sembra legarsi al filo conduttore del precedente album, “Alexandra had no fear / She lived out in the woods / She’d tell you what you’re doing wrong / If she thinks she’ll be understood / Pulls her socks up to her knees / Finds diamonds in the drain / One more diamond to add to her chain“. Il singolo Held Down anticipa il mood dell’album. Un bel rock d’autore fa da sfondo alle confidenze della Marling che, che sempre, non ha paura di nascondersi. Il lato più forte di quest’artista prende il sopravvento, “I woke up, it was four in the morning / Clear as all hell that you’d already gone / Your note said, ‘Dear, you know I hate to disappear / But the days are short and the nights are getting long’“. Strange Girl spalanca le porte ad una positività vista raramente nelle canzoni di questa cantautrice. Una canzone ribelle, che prende spunto dai conflitti che ogni giorno vivono dentro di noi e ne sono di fatto una parte essenziale per renderci quello che siamo, “Woke up in a country who refused to hold your hand / Kept falling for narcissists who insist you call them ‘man’ / You work late for a job you hate that’s never fit the plan / Stay low, keep brave“. Solo Laura Marling può fare canzoni come Only The Strong. Ballata triste e scarna, dove la sua voce tratteggia una melodia solitaria. Si resta affascinati da come la semplicità, anche solo apparente, renda queste canzoni così profonde, “Most I have forgot are all very fine / Love is a sickness cured by time / Love is a sickness cured by time / Bruises all end up benign / Love is a sickness cured by time“. Quando pensi che sia difficile trovare un’altra canzone così in questo album, ecco che arriva Blow By Blow. Messa da parte la chitarra per un momento, ci sono le note di un pianoforte ad accompagnare la Marling in una delle sue canzoni più belle, “I don’t know what else to say / I think I did my best / Momma’s on the phone already talking to the press / Tell them that I’m doing fine / Underplay distress / I’m working out a story and there’s so much to address“. La title track Song For Our Daughter non riserva sorprese ma ci permette di ascoltare una Marling accorata ed emozionante. Siamo di fronte ad una riflessione sulla vita, il tempo e la maternità. Temi di una maturità che quest’artista sembra avvertire come non mai, “Lately I’ve been thinking about our daughter growing old / All of the bullshit that she might be told / There’s blood on the floor / Maybe now you’ll believe her for sure / She remembers what I said / The book I left by her bed / The words that some survivor read“. Fortune è forse la canzone più poetica tra queste. Una melodia meravigliosa, svela una serie di immagini di grande espressività che non ci possono che far amare ancora di più questa artista unica, “You spent all that money that your momma had saved / Told me she kept it for running away / Never quite found the right way to say / I’m sorry, my darling, my mind it has been changed / Release me from this unbearable pain“. The End Of The Affair, la fine di una storia, è a partire dal titolo, una triste ballata, tratteggiata dalla voce sincera della Marling. Tutto è così delicatamente bilanciato tra ragione e sentimento, “Threw my head into his chest / I think we did our best / But now we must make good on words to God / And sit with a weary breath / No need to say the rest / I fear that we’ve been lost here for to long“. Hope We Meet Again è una canzone nel classico stile della Marling dove vince la nostalgia. Ancora una chitarra e poco altro, bastano per mettere in piedi una canzone meravigliosamente essenziale ed efficacie, “Home, this is not a home anymore / You just threw your pieces, they washed up on my shore / I have not lived any other way / It is my right to wander, I might choose to stay“. Si chiude con For You. Un’altra canzone dalla quale emerge un sentimento positivo. Un modo per lasciarsi con un bel ricordo di questo album, “I thank a God I’ve never met / Never loved, never wanted (For you) / I write it so I don’t forget / Never let it get away / I wear a picture of you / Just to keep you safe“.

Song For Our Daughter non troverete una Laura Marling inedita o ad un punto di svolta della sua carriera. No, troverete Laura Marling nella sua forma più semplice e sincera. Non è il momento di sperimentare o di cercare nuove vie espressive, qui questa cantautrice entra in un territorio sicuro nel quale emerge con forza la volontà di entrare in una nuova fase della sua vita, irrimediabilmente legata alla musica. Un album che, in generale, appare più positivo rispetto a ciò che ci ha abituato la Marling in questi anni, ma che non manca di momenti di insicurezza e malinconia. Song For Our Daughter non sorprende per molti aspetti, ma è forse proprio questa marcata volontà di non ricercare qualcosa di speciale o più complesso, che lo rende sincero, avvicinandoci ancora di più ad un’artista che spesso poteva apparire un po’ distaccata.

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Le vene della città

La scorsa estate, prima delle vacanze, ho cercato qualche disco nuovo da ascoltare. Tra gli altri c’era Trinity Lane della cantautrice americana Lilly Hiatt, uscito nel 2017. Il suo rock dalle chiare influenze americane mi ha subito conquistato, rivelandosi una delle scoperte più interessanti dello scorso anno. Il nome di Lilly Hiatt, in realtà, non mi era del tutto sconosciuto ma Trinity Lane si trattava del suo primo album che ascoltavo. Lo scorso marzo è uscito Walking Proof, il suo quarto disco e non potevo perdermelo. Di questi tempi poi, nei quali molti artisti scelgono di posticipare l’uscita dei loro album, è bello poter ascoltare nuova musica come mai prima.

Lilly Hiatt
Lilly Hiatt

Si comincia con Rae, un bel indie rock guidato dal suono delle chitarre. La voce della Hiatt appare nella sua forma più fragile e malinconica ma dal quale traspare un’anima rock difficile da nascondere, “Sometimes I pretend this isn’t who I am / I throw caution to the wind / And don’t give a damn / But I can’t get away / I know you’ve been there my sweet Rae“. La successiva P-Town esplode in un rock trascinante che rispecchia la personalità della Hiatt. Canzoni come questa definiscono il nuovo sound, scelto da quest’artista, che mette da parte le sonorità del precedente lavoro, “Looking at pictures of us in Portland, Oregon / I still can’t figure out why we didn’t have fun / And I said “My family yells” / You said “Mine doesn’t at all” / You know us passionate girls / We’ve all got our claws“. Little Believer si snoda su una musica alternative rock piuttosto inedita per lei. Pochi semplici ingredienti rilanciano l’ispirazione ed il talento della Hiatt, capace di non sbagliare un colpo, “I haven’t been there much for you / At least not how I’ve wanted to / Forgive me, I was somewhere else / But I’d die for you baby, can’t you tell / I wanna be your little believer“. Some King Of Drugs è quel genere di canzone intorno alla quale sembra girare tutto il resto dell’album. Delicata e potente allo stesso tempo, racconta di una città che sta invecchiando. Una delle canzoni più belle di questo album che vede partecipazione di John Hiatt, suo padre nonché noto cantautore, “The veins of this city, so small and pretty / You couldn’t pump her up with some kind of drug / Her arms are open, wild eyed and hoping / Somebody could give her that kind of love“. Candy Lunch è una ballata rock personale molto ben riuscita. Qui la Hiatt ci mostra il lato più riflessivo ed interiore della sua musica, “Why does every boy I meet / Try to tell me how to live or what to eat / I’ve always had a grip on it, / I’ve always done my own weird thing / Sometimes that means I want candy for my lunch“. La title track Walking Proof si rifà alle sonorità del genere americana richiamando le radici folk della sua musica. In questo caso l’energia del rock lascia spazio al caldo suono del violino di Amanda Shires, “Lord, release my hands / I have joined a rock n roll band / And it’s put me on the road / Away from everyone I know“. Quest’ultima dà il suo contributo anche in Drawl. Si nota come la parte centrale di questo album proceda più lentamente, passando attraverso ballate indie rock di eccezionale qualità. Caratteristica questa che sottolinea in parte le scelte della Hiatt per questo disco, “I know this can be a hell of a town / Wanna go off the grid / Wanna hammer it down / People trying to cheer you up / They’re just talking at you, enough’s enough“. Si ritorna ad un luminoso rock con Brightest Star che ha funzionato bene come singolo. Sono sempre le chitarre a tracciare la strada alla voce della Hiatt, “Hey I can be mean, I know you can be mean / But I’ve always seen your true soul / So give ‘em hell kid, / Don’t worry about the rest of it / Let it roll“. Una bella canzone orecchiabile e piena di energia, così come la successiva Never Play Guitar che richiama le atmosfere del precedente album. C’è tutto il bello del rock americano degli anni d’oro e questo dimostra che Lilly Haitt è una cantautrice di razza, con le idee chiare quando si tratta di musica. Move rallenta, scivolando via come il paesaggio durante un viaggio. Si sente la pedal steel che richiama alla mente il confortevole country americano, “Now I’m counting on you / You’re scared as shit / You don’t wanna deal with it / But you’re gonna have to learn / How to deal with it / The only thing you know how to do is move“. L’album si chiude con Scream, un urlo silenzioso che striscia dentro. Molto diversa dal resto dell’album, questa canzone ricopre un ruolo speciale al suo interno. Lenta e avvolgente come poche, “Me and my baby looking at Christmas lights / I was angry and he drove ‘til my head was right / Year after year running from home / I want somewhere that’s just my own to scream / And I ain’t slowing down for nobody“.

Con Walking Proof, Lilly Hiatt rinnova il suo sound senza per questo stravolgere la sua personalità, anzi. Con coraggio ha virato verso un indie rock più deciso che non rinuncia però a strizzare l’occhio alla tradizione americana. Si percepisce tutta la maturità di un’artista che potrebbe trovarsi di fronte al momento più alto della sua carriera. Insomma se volete ascoltare del buon rock cantautorale americano, Walking Proof è quello che fa per voi. Per qualche motivo questo album si legherà, nella mia memoria, in modo particolare a questo periodo di lockdown. Lilly Hiatt è riuscita a risollevarmi l’umore più di una volta con la sua contagiosa energia e sincerità. Spero possa essere così anche per voi.

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Mi ritorni in mente, ep. 68

Mentre il mondo la fuori si è fermato e chissà quando tornerà ad essere più o meno come prima, mi fermo anche io con le consuete recensioni e mi prendo un po’ di tempo per ascoltare gli album usciti nelle scorse settimane. Un po’ mi mancano i viaggi in treno ad ascoltare musica e leggere libri. Sto cercando di ritagliare nuovi spazi per queste due cose e so che dovrò abituarmici. In aiuto arrivano gli EP, questi brevi assaggi di musica, che spesso sono preludio ad un album ed altre volte no, come nel caso di Sophie Morgan. Questa giovane cantautrice inglese è al suo terzo EP intitolato Marmalade. Quattro canzoni davvero molto belle che hanno fatto fare il salto di qualità a quest’artista.

Oltre alla title track Marmalade, una romantica canzone d’amore, e la nostalgica Bar To Bar, che trovate entrambe su YouTube accompagnate da altrettanti videoclip, c’è una canzone che più di tutte mi è piaciuta. Si tratta di On Fire che potrete ascoltare qui sotto. Ma già che ci siete ascoltate anche Old England, l’ultima delle quattro canzoni che compongono questo EP e non ne rimarrete delusi.