Al termine dello scorso anno ho consigliato qui una manciata di libri, ora è arrivato il momento di consigliarne (o sconsigliarne) altri tre, partendo da Il guardiano degli innocenti di Andrzej Sapkowski, primo capitolo della serie di The Witcher. Conoscevo in parte le vicende dello strigo Geralt di Rivia attraverso il videogioco (che non ho mai finito, non sono un abile videogiocatore) e in questa raccolta di racconti ho ritrovato le stesse atmosfere. Sapkowski è un abile narratore che non si perde in lunghe descrizioni del mondo nel quale si muove Geralt ma si concentra piuttosto sull’intreccio e sui personaggi che sono spesso ambigui e ben delineati. Lo stesso Geralt non è il perfetto eroe d’azione e ma preferisce usare prima la testa della spada. Mi hanno sorpreso i numerosi riferimenti alle fiabe classiche, ben nascosti in un’ambientazione decisamente poco fiabesca. Un fantasy nel quale non mancano scene forti, linguaggio volgare e qualche momento divertente. Era quello che cercavo in un fantasy. Credevo in qualcosa di più classico e invece Sapkowski ha saputo mettere su carta un fantasy molto più interessante. Pare che questo libro sia molto diverso dai successivi che per ora dovranno aspettare. Tornerò sulle tracce di Geralt appena ne avrò voglia.
Sono sempre scettico riguardo un certo tipo di letteratura italiana ma le ottime recensioni che avevo letto riguardo Le ripetizioni di Giulio Mozzi. Difficile scrivere qualcosa riguardo questo romanzo. I suoi capitoli sono frammenti di memoria, quasi tutti del protagonista Mario, spesso in bilico tra realtà e fantasia. Mario vive tre vite o almeno così sembra, tutte raccontate senza ordine cronologico e, a volte, nemmeno logico. Al di là di questo, volto a generare una sensazione di smarrimento nel lettore, il romanzo si sofferma troppo sulle vicende morbose dei suoi personaggi. Le pratiche estreme sembrano nascere dal nulla, non hanno una genesi che in qualche modo le giustifichi. L’autore non riesce a creare empatia tra i personaggi, a cominciare proprio da Mario, e il lettore, nonostante l’ottima scrittura. Il suo stile è scorrevole e brillante ma diventa indigesto nel capitolo “Una lettera” e in quelli successivi, con continue ripetizioni (appunto) e un paranoico soffermarsi su dettagli inutili. Non so se Mozzi voleva suscitare disgusto o liberare le sue fantasie perverse ma, questo dubbio è la sola cosa che alla fine mi è rimasta del romanzo. Nient’altro. Non un libro per tutti, questo è certo.
Ho voluto spazzare vie le brutture del precedente libro, gettandomi in qualcosa di decisamente fantasioso, ma per me ignoto, come Tito di Gormenghast di Mervyn Peake. Ebbene, ci sono autori in grado di fare uscire i personaggi dalle pagine in cui sono stati rinchiusi e Peake è uno di questi. Questo primo capitolo della trilogia di Gormenghast è bizzarro, grottesco. La scrittura di Peake è straordinaria, le sue descrizioni dei protagonisti sono incredibili. Il loro aspetto sembra uscito da un cartone animato ma è così minuziosamente riportato, anche più volte ma in modi sempre diversi, da risultare verosimile. Si alternano momenti divertenti ad altri drammatici. Alcuni tesi e scorrevoli (lo scontro finale tra Sugna e Lisca ad esempio) altri lenti e forse un po’ superflui (i capitoli di Keda). Ma il microcosmo di Gormenghast vive nella scrittura di Peake, nella sua prosa ricca ma mai inutilmente prolissa che compensa alcuni passaggi lenti e ridondanti. La nascita Tito sconvolge le abitudini e le tradizioni del castello, scuotendo le sue fondamenta anche per colpa dell’abile Ferraguzzo, uno dei personaggi più enigmatici del romanzo. Una storia senza tempo, una vera sorpresa almeno per me.