Ancora un altro libro, ep. 9

Al termine dello scorso anno ho consigliato qui una manciata di libri, ora è arrivato il momento di consigliarne (o sconsigliarne) altri tre, partendo da Il guardiano degli innocenti di Andrzej Sapkowski, primo capitolo della serie di The Witcher. Conoscevo in parte le vicende dello strigo Geralt di Rivia attraverso il videogioco (che non ho mai finito, non sono un abile videogiocatore) e in questa raccolta di racconti ho ritrovato le stesse atmosfere. Sapkowski è un abile narratore che non si perde in lunghe descrizioni del mondo nel quale si muove Geralt ma si concentra piuttosto sull’intreccio e sui personaggi che sono spesso ambigui e ben delineati. Lo stesso Geralt non è il perfetto eroe d’azione e ma preferisce usare prima la testa della spada. Mi hanno sorpreso i numerosi riferimenti alle fiabe classiche, ben nascosti in un’ambientazione decisamente poco fiabesca. Un fantasy nel quale non mancano scene forti, linguaggio volgare e qualche momento divertente. Era quello che cercavo in un fantasy. Credevo in qualcosa di più classico e invece Sapkowski ha saputo mettere su carta un fantasy molto più interessante. Pare che questo libro sia molto diverso dai successivi che per ora dovranno aspettare. Tornerò sulle tracce di Geralt appena ne avrò voglia.

Sono sempre scettico riguardo un certo tipo di letteratura italiana ma le ottime recensioni che avevo letto riguardo Le ripetizioni di Giulio Mozzi. Difficile scrivere qualcosa riguardo questo romanzo. I suoi capitoli sono frammenti di memoria, quasi tutti del protagonista Mario, spesso in bilico tra realtà e fantasia. Mario vive tre vite o almeno così sembra, tutte raccontate senza ordine cronologico e, a volte, nemmeno logico. Al di là di questo, volto a generare una sensazione di smarrimento nel lettore, il romanzo si sofferma troppo sulle vicende morbose dei suoi personaggi. Le pratiche estreme sembrano nascere dal nulla, non hanno una genesi che in qualche modo le giustifichi. L’autore non riesce a creare empatia tra i personaggi, a cominciare proprio da Mario, e il lettore, nonostante l’ottima scrittura. Il suo stile è scorrevole e brillante ma diventa indigesto nel capitolo “Una lettera” e in quelli successivi, con continue ripetizioni (appunto) e un paranoico soffermarsi su dettagli inutili. Non so se Mozzi voleva suscitare disgusto o liberare le sue fantasie perverse ma, questo dubbio è la sola cosa che alla fine mi è rimasta del romanzo. Nient’altro. Non un libro per tutti, questo è certo.

Ho voluto spazzare vie le brutture del precedente libro, gettandomi in qualcosa di decisamente fantasioso, ma per me ignoto, come Tito di Gormenghast di Mervyn Peake. Ebbene, ci sono autori in grado di fare uscire i personaggi dalle pagine in cui sono stati rinchiusi e Peake è uno di questi. Questo primo capitolo della trilogia di Gormenghast è bizzarro, grottesco. La scrittura di Peake è straordinaria, le sue descrizioni dei protagonisti sono incredibili. Il loro aspetto sembra uscito da un cartone animato ma è così minuziosamente riportato, anche più volte ma in modi sempre diversi, da risultare verosimile. Si alternano momenti divertenti ad altri drammatici. Alcuni tesi e scorrevoli (lo scontro finale tra Sugna e Lisca ad esempio) altri lenti e forse un po’ superflui (i capitoli di Keda). Ma il microcosmo di Gormenghast vive nella scrittura di Peake, nella sua prosa ricca ma mai inutilmente prolissa che compensa alcuni passaggi lenti e ridondanti. La nascita Tito sconvolge le abitudini e le tradizioni del castello, scuotendo le sue fondamenta anche per colpa dell’abile Ferraguzzo, uno dei personaggi più enigmatici del romanzo. Una storia senza tempo, una vera sorpresa almeno per me.

Sotto un vecchio familiare bagliore

Il tempo vola. Sono passati quattro anni dall’ultimo album della cantautrice americana Erin Rae, Putting On Airs, e non me ne sono nemmeno accorto. Il nuovo Lighten Up apre, su questo blog, la nuova stagione. Si tratta infatti del primo album del 2022 che mi appresto ad ascoltare. Erin Rae è una cantautrice alla quale riservo sempre un posto speciale nella mia musica, una di quelle che mi ha regalato canzoni che non posso dimenticare. Questo suo terzo disco lo accolgo a braccia aperte, sapendo già che andrò incontro a splendide canzoni country folk dallo spirito contemporaneo ma legate alle melodie classiche di questo genere. A partire dalla copertina, dai colori e dal titolo, Lighten Up, promette molto bene.

Erin Rae
Erin Rae

Candy + Curry apre l’album con le consuete melodie di quest’artista. Un accompagnamento etereo fa da sfondo alla voce delicata della Rae. Una canzone che parla di solitudine, probabilmente legata al lockdown, “I’m pickin’ / Little purple violets from / Out in the side yard / I am learning wildflower recipes / I am practicing sun salutations / I am askin’ for / Right direction / On my knees“. Molto bella la successiva Can’t See Stars. Il desiderio di vedere le stelle nascoste dall’inquinamento luminoso, la volontà di tornare all’essenza delle cose. Una canzone nostalgica che vede la preziosa partecipazione di Kevin Morby, “Well, I ain’t seen stars in a million moons / ‘Cause of that light pollution / If they think of a solution I / Hope they let us know / So I drive out to that further place / Where there are no interruptions / Just me alone, just me beneath / An old familiar glow“. True Love’s Face è una canzone dai ritmi country pop, una canzone che parla d’amore. Erin Rae con la sua voce dolce la rende orecchiabile e leggera, “And I will know it when I see it / I will not turn it away / I won’t question everything / As I have done until today / I will know it when I see it / I will not turn it away / I won’t question everything / As I have done until today“. Non possono mancare le ballate malinconiche come Gonna Be Strange. Tutta la sensibilità di questa artista emerge ispirata da un addio e si sentono le sonorità degli esordi, “In this hallowed hallway before the big reveal / It’s heavy on my heart, the way that I was then / Is this how it’s always gonna have to feel? / Or will we ride out into the sun again / My friend / My friend“. Tra le canzoni che preferisco c’è California Belongs To You. La Rae traccia con la voce la melodia di una poesia misteriosa e triste. Tutto è in perfetta armonia e non si può chiedere di meglio, “Any mention of the coast / I think of you the most / Before shell or sea or sand / Before salty air or suntan / It was a year ago today / You were showing me the way / So I would not miss a thing / Where to eat or drink or play“. Cosmic Sigh è un’altra canzone splendida, poetica e sognante. Una canzone sfuggente e senza tempo, lontana dalle sonorità alla quale la Rae ci ha abituati, “But on the way, the sun / Day is dawning in the soul / And warms the melancholy / And come what may, she’s won / There’s no need to be afraid / With her illusions falling“. Un inno alle donne di oggi è Modern Woman. Una luminosa canzone dalle tinte pop folk che invita a riflettere. Erin Rae non sbaglia nemmeno in questa occasione, “Round up the old perceptions / Lay them on down / They’re only tellin’ stories and they’re / Gettin’ in the way right now / ‘Cause you can’t see the future / Can’t change the past / Come see a modern woman“. Drift Away è un’altra canzone malinconica che si affida alla melodiosa voce della Rae che sa come incantare l’ascoltatore, “How come time slowed down today? / Nothing getting in the way / I can not describe / Or put a finger on what changed / But dreams are coming true before my eyes / And I am tryin’ not to get into my head about it / Where you know they’ll go to die“. Segue Enemy, nella quale Erin torna nella sua dimensione più intima e confidenziale che solo lei sa esprimere. Ogni parola è quella giusta, ogni nota quella che serve, “Wait a minute / I’m gonna wise up / Gonna rise up to the occasion / Don’t turn away / I was just chasing my demons“. Mind-Heart è un brano che corre sulle note di una chitarra, lasciando che le parole emergano dal canto della Rae. Una canzone fragile e carica di sentimenti, “I had a vision of you / Comin’ to my rescue / You were not equipped to / But you did not know it / I had a heart in two / Funny dreams of what is true / Wanted to get close to you / But I could not show it“. Lighten Up And Try è una canzone d’amore e di speranza, una canzone leggera che lascia buone sensazioni come spesso capita con quest’artista, “What are you gonna do for love? / See a spark and just let it lie? / What are you gonna do for love? / Fan the flame, lighten up and try“. L’album si chiude con la bella Undone che si affida alla melodia e al canto per parlarci di un dolore che è difficile da mandare via, “I held a sword and a shield / A young defence and / Know it’s senseless / To hide a wound that don’t heal / It turns a burden / To heavy to wield“.

Lighten Up è un album che ci restituisce il meglio di Erin Rae. Dopo la svolta intrapresa con il precedente, qui si ritorna a fare affidamento alle sonorità che hanno caratterizzato il suo esordio. Ascoltare la musica di quest’artista è come trovare una voce amica che ci vuole rassicurare ma anche mettere in evidenza le difficoltà della vita. La voce della Rae è sempre educata e pulita, a volte angelica, ma le sue parole sono di questo mondo e fanno parte di ciascuno di noi. Lighten Up è un album molto bello e non era difficile prevederlo. Erin Rae è una certezza come poche altre e ancora una volta ha fatto centro. Le parole qui diventano superflue e lascio che la sua musica parli per lei.

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Inciso tra le lettere

I miei radar sono sempre all’erta quando si tratta di cercare nuova musica da ascoltare. Quando però l’artista in questione non è particolarmente noto a livello internazionale, tanto meno in questo paese, capita che perda qualche colpo. Ma ogni tanto scorro i nomi della mia collezione e mi aggiorno su i più silenti. Mi è balzato all’occhio il nome di Kristoffer Bolander, cantautore svedese ex frontman degli Holmes. Scopro così solo pochi giorni fa che lo scorso anno a pubblicato il suo terzo album solista, intitolato semplicemente 3. Mi sono subito precipitato ad ascoltare la voce unica di Bolander senza perdere altro tempo, ero già clamorosamente in ritardo.

Kristoffer Bolander
Kristoffer Bolander

L’album si apre con The Child, introdotto dalle fragili note di una chitarra. La voce di Bolander si conferma magnetica e unica e da sempre dà un tratto riconoscibile alla sua musica, “Head off and walk alone, let it reach you boy / Head off and walk alone, through the storm / Head off you’re not alone, find your reasons boy / Get up we’re all alone, you’ve seen it“. Am I Wrong? percorre sonorità più indie rock, sulle quale si rincorrono le parole. Una delle canzoni che preferisco di questo album, nel quale si mescolano passato e presente di questo cantautore, “I’ve been stalling out / Pretending I’ve come to fight it off / And have ascended high / If I had a coin for every time I’ve lied / I’d retire alone, to a private isle“. La successiva Evelyn è un delicato folk pop che rivela tutta la sensibilità di Bolander. Il desiderio di confidarsi, di cercare una spalla per i momenti difficili. Una canzone orecchiabile e ben scritta, “Evelyn, I’m in the city / And I’ll no longer hide from you / Evelyn, it’s somewhat silly / But I would like to confide in you / It’s been years since I saw you / I’ve been spinning / It’s been years since I broke the truce“. Replace Me è una canzone che riprende le sonorità più più oscure degli album precedenti. La voce emerge sulla musica, graffiata dal suono della chitarra, “There’s someone caught up / That’ll obtain my spot / Let someone else be brought up / I’m not the one that you thought / I’ve given all I’ve got / Now let me be absolved“. The Rogue segna un ritorno al folk. Una chitarra acustica in sottofondo lascia spazio al canto di Bolander nella prima metà, per poi essere spazzata via dal suono più profondo della sorella elettrica, “I outgrew remorse / Portrayed what they saw / I’d lie and steal to sustain / Once I’d hasten to help / I was shunned because I strayed / And now what you’ve dealt we shall play / Had you known“. Le sonorità degli Holmes riemergono prepotentemente nella bella Attaboy. La chitarra di Bolander galoppa tracciando la melodia e regalandoci una delle canzoni più belle dell’album, “And the wealth she’ll offer you / Carrying ease and gold / You’ll be walking around asleep, send her on / And the gray suits will come for you / Trying to plead enrollment / You’ll be marching to their beat / Let em leave alone“. Her World è una delicata ballata indie rock poetica e luminosa. Kristoffer Bolander dimostra tutto il suo talento di cantautore, “Winter sleeps / The frost is thawed / She’ll abdicate her throne / The birds in return / Relieve my concerns / I fall asleep alone“. L’album si chiude con The Animal, un brano teso ed oscuro. Il canto si insinua tra le note di una chitarra, dando vita ad immagini vivide e potenti, “I thought it would come together / The soon I’d become / Engraved amongst the letters / And then I’d belong / And I have been brought along / Leeching like an heir / But it’s like I’ve forgotten something / You seem to share“.

Kristoffer Bolander con 3 mette a fuoco la sua carriera solista, trovando maggiore equilibrio tra il suo passato folk e la sua anima rock. Si alternano canzoni delicate e positive ad altre più malinconiche e criptiche. La voce e la chitarra restano le sue uniche due costanti, sempre riconoscibili ed efficaci, capaci di toccare le corde giuste di chi ascolta. 3 è un album prezioso e per certi versi fragile che mette in evidenza la sensibilità di questo autore, un po’ in contrasto con la sua immagine sicura e severa, che appare sempre più come una corazza che come lo specchio della sua anima.

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