C’est parfait si l’on tremble

Non è passato molto tempo da quando la cantautrice canadese Béatrice Martin ha voluto dare alla luce un album esclusivamente strumentale, eppure ecco qui tra le mani il suo quinto album. Cœur de pirate, questo il suo nome d’arte, è tornata con dieci canzoni pop raccolte sotto il titolo di Impossible à aimer. Lo fa affidandosi ancora alla lingua francese, abbandonando definitivamente quella inglese con la quale aveva flirtato del 2015. Cœur de pirate è una cantautrice pop dalla spiccata vena compositiva, spesso sincera, capace di sfornare canzoni orecchiabili ma allo stesso tempo poetiche e profonde. Sarà stata in grado di ripetersi ai livelli fin qui raggiunti? Non resta che ascoltare Impossible à aimer.

Cœur de pirate
Cœur de pirate

Une chanson brisée richiama alla memoria le sonorità degli esordi. Il pianoforte, la voce melodiosa e malinconica. Una canzone per un amore finito male, una canzone rotta per chi non si merita altro. Strano modo di cominciare un album, “Mais qu’importe tu m’aimes oui / Ça justifie tous tes oublis / Mais qu’importe le temps joue / Une chanson sur mes plaies qui s’entrouvrent / Tu sais que j’en ai plus qu’assez / T’es con en plus t’as pas compris / Que j’allais plutôt te laisser / Tu ne mérites qu’une chanson brisée, désolée“. Con On s’aimera toujours si torna prepotentemente al pop. Lo stile è quello della Martin, il testo è schietto, tutto è perfetto. Un singolo che funziona con un ritornello che è una gioia per le orecchie, “Et je sens mon cœur s’étendre / Quand mes yeux se fondent au vert des tiens / Si le passé nous secoue tu sais / C’est qu’on pense au lendemain / Si on revit de nos cendres / C’est parfait si l’on tremble“. Une complainte dans le vent è una ballata pop che corre sulle note di una chitarra. Ancora una canzone d’amore, ancora un amore finito. L’interpretazione della Martin è impeccabile, sempre venata di una dolorosa malinconia, “Je longerai l’anse vers toi, pour tes soupirs / Les rives d’un fjord m’attendent, j’en perds mes vivres / Je ne comprends plus pourquoi on ne chantait plus / Une complainte dans le vent / Mon amour perdu“. La successiva Le Pacifique è un pop leggero ed impalpabile in contrasto con le immagini che evoca il testo. Una delle canzoni più belle di questo album, con un altro ritornello a dir poco perfetto, “Mais moi je t’attendrai là-bas / Sur les rives, morte de froid / Dans l’espoir que j’ai partagé avec moi seule pour constater / Que tu ne m’atteins pas et c’est comme tous ces pas / Que le sable pourra effacer / Du Pacifique, tant aimé“. Tu ne seras jamais là è una canzone che viaggia sulle note di un pianoforte suonato dall’artista canadese Alexandra Stréliski. Poesia e musica si fondono in un altro gioiellino nato da una collaborazione più che riuscita, “Mais quand tu partiras au large / Essaie de rester loin de moi / Ton retour n’est plus qu’un mirage / J’essaie de rester comme avant / Quand tu n’étais pas là, quand tu n’étais pas là, et tu n’étais pas là, tu ne seras jamais là“. Spazio al pop e al ritmo con Dans l’obscurité. Cœur de pirate non si accontenta della musica accattivante e l’arricchisce di un testo che vuole trasmettere tutta la forza dell’amore, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Segue Tu peux crever là-bas che viaggia negli stessi territori ma questa volta non c’è spazio per sentimentalismi. Un tradimento diventa ispirazione, Cœur de pirate, sotto una melodia accattivante, non le manda a dire, “Pourrais-je la voir sourire / Dans un monde comme le mien / Je ferais tomber les murs entre nous cette fois / Malgré les interdits / Traverser les eaux plus troubles qu’autrefois / Affronter le passé, qu’on s’impose dans l’obscurité“. Un pop anni ’80 si espande nell’aria con Crépuscule. Un’altra canzone perfetta, nello stile ormai riconoscibile e irresistibile di questa cantautrice, “Et le temps d’avant / Nous tend ce que l’on caressait / À vif, nos vies, ne laissaient que nos / Cris au loin, crédules, nos peaux au crépuscule / Et pourtant j’espère encore que l’enfant que j’étais / Retrouve enfin, une parcelle de paix / De rires, de liberté, sans fin“. Fin dal titolo, Le monopole de la douleur, si presenta come una sommessa ballata che si srotola sulle note di un’arpa. Parole e musica sono pura poesia, “Que je crie plus fort que toi, tu n’entends plus rien / Que je maudisse tes actions, tu n’y vois qu’un autre destin / Et les rêves qu’on chérissait deviennent les pires des cauchemars / Mais j’en ai marre qu’on garde espoir“. La conclusione dell’album arriva con Hélas. C’è solo la voce ma distorta e sdoppiata, in modo da amplificarne l’effetto musicale. Un’inedita trovata per la Martin che non sbaglia scelta, riuscendo ad esprimere un senso di solitudine con grande efficacia, “Hélas, je pensais être seule / Et ce retour vient me noyer / Dans les abysses de l’inconnu, que je ne croyais toucher“.

Impossible à aimer, come il precedente, sembra voler ripercorrere la carriera di Cœur de pirate iniziata nel 2008 con l’album omonimo. C’è il pianoforte, le canzoni d’amore e poi ancora il pop orecchiabile e la leggerezza dell’accompagnamento con gli archi. Béatrice Martin torna con un album perfetto, senza sbavature, ben bilanciato ed ispirato. Ancora una volta c’è un’attenzione particolare alla composizione, all’idea di trovare al melodia perfetta. Impossible à aimer è un ottimo album, un esempio di come per me deve essere la musica pop. Un album che non delude ma anzi conferma Cœur de pirate come un eccezionale cantautrice pop che ha saputo, in più di dieci anni, mantenere sempre alta la qualità delle sue canzoni, rimanendo fedele alle sue scelte.

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Sans voix

A sorpresa lo scorso mese è uscito un album strumentale della cantautrice canadese Béatrice Martin, in arte Cœur de Pirate. L’album, intitolato Perséides, è composto da 10 tracce realizzate solo con il pianoforte. Il motivo di questa scelta è legato all’impossibilita della Martin di cantare, e perfino parlare, durata diverse settimane a causa di un’operazione alle corde vocali. Il suo talento di pianista e di compositrice si è risvegliato dando vita a questi brani brevi ma che riescono a racchiudere l’animo che da sempre caratterizza la musica di quest’artista. Non sono solito scrivere di album strumentali, mi limiterò allo stretto necessario e vi lascerò libero l’ascolto.

Cœur de Pirate
Cœur de Pirate

Sacré-Coeur evoca un’atmosfera luminosa, venata da quella malinconia e dal romanticismo che hanno caratterizzato gli esordi dell Martin. E la melodia di Kamouraska, tratteggiata dalle note, ricorda molto anch’essa la dolcezza delle prima composizioni di questa cantautrice. Molto bella e tra le mie preferite è senza dubbio Arvida. Una melodia splendida e toccante. Più triste e molto vicina alla chanson francese è Isle-aux-Coudres, che esprime tutta la sensibilità e il talento di Cœur de Pirate. Frelighsburg è delicata e romantica. Le note formano come una poesia, perfettamente calibrata che scivola via e fa sognare. Uno dei brani più lunghi dell’album è Les Éboulements, che sembra perfetta per fare da accompagnamento ad un canto ma la voce non arriva mai. è il pianoforte a cantare, incantare e sorprendere. Magnifico fin dai primi secondi. Lost River è una melodia carica di fascino e mistero ma allo stesso tempo leggera come l’aria. Saint-Irénée è meravigliosamente notturna, forte e sicura. Una prova di talento che non lascia indifferenti. Rivière-Éternité è un giro di pianoforte che si rincorre senza sosta e scivola via come pioggia estiva. L’album si chiude con Notre-Dame-du-Portage che ricalca la melodia precedente ma con un piglio più grandioso e affascinante.

Perséides riporta la musica di Cœur de Pirate alle sue origini più essenziali e legate al pianoforte, a dimostrazione che la sua abilità con questo strumento, che suona dall’età di tre anni, non si è mai sopita. Sicuramente è alla base di tutti i suoi brani più pop ed è chiaro da come la sua mano e il suo tocco, si riescano a sentire sempre ma in maniera più marcata in questo album. Queste dieci “perseidi” non hanno titoli casuali ma sono tutte località canadesi, in particolare della regione del Québec. Come si dice in questi casi, di necessità si fa virtù, e Perséides è proprio questo. In un momento come quello che stiamo vivendo, in un mondo sempre più sommerso dalle parole e dalle voci, Béatrice Martin ci regala un momento di gradito silenzio e intimità.

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Mi ritorni in mente, ep. 64

L’ultimo appuntamento con questa rubrica risale allo scorso agosto. Da allora sono stato sommerso dalle novità di fine estate e quelle di inizio autunno. Per complicare le cose, mi sono messo alla ricerca di qualcosa di diverso da ascoltare, e si è aggiunta altra musica alla musica. Anche se ho ancora qualche nuovo album da consigliarvi, mi prendo una pausa e condivido con voi una delle recenti scoperte.

Questi sono gli Sheepdogs, band canadese attiva dal 2005, paladini del southern rock anni ’70 e non solo. Ho scelto l’ultimo album in ordine di tempo, uscito lo scorso anno ed intitolato Changing Colours. Volevo ascoltare qualcosa di diverso dal solito ed ero curioso di conoscere questa band della provincia canadese di Saskatchewan che suonava il tipico rock del sud degli Stati Uniti. Il loro sound, un po’ nostalgico, è ben rappresentato da I’ve Got a Hole Where My Heart Should Be che potete ascoltare qui sotto. Attenzione: potrebbe rimanervi nella testa per i prossimi giorni.

Non ti lasceremo mai andare

Un nuovo album dei Wintersleep rappresenta per me un momento nel quale riascoltare uno dei gruppi ai quali sono più affezionato. Uno dei pochi baluardi indie rock che ancora resistono nella mia collezione, retaggio di anni passati a bazzicare questo genere che più delle volte mi ha deluso. Ma questo gruppo canadese non lo ha mai fatto ed ero sicuro che il nuovo In The Land Of non sarebbe stato da meno. Sono sempre loro Paul Murphy, Tim D’Eon, Loel Campell e Jon Samuel, con la new entry Chris Bell al basso, alla loro settima fatica. In copertina l’immagine della plastica che invade i nostri mari che mette subito in chiaro quali sono i temi di questo album. Non resta che ascoltarlo.

Wintersleep
Wintersleep

L’iniziale Surrender si srotola sul suono delle chitarre e introduce la voce inconfondibile di Murphy. Il tempo che va avanti, l’età che si fa sentire e un sentimento di resa si fa spazio nella mente. Un inno rock come solo questo gruppo sa fare, “Thirty six years now / Halfway to my tomb / In this flesh I have / Grown accustomed to / You can see the way / Irretrievably doomed / Darling, I’m still consumed by you / I’m consumed / Consumed / Consumed“. Forest Fire è un ritorno alle sonorità delle origini. Un delle canzoni più poetiche del gruppo, una dichiarazione d’amore, non è chiaro per chi o per cosa, ma sicuramente è un amore profondo, ardente, “You were the dead of night / Burning in the embers of my eyes / I was a distant light / Shimmering after life / You were the pre-dawn light / Gleaming, ever-dreaming / I will love you for all time / I will love you for all time“. Il singolo Beneficiary è il cuore dell’album. Una sola frase racchiude tutta la crudeltà dell’uomo che sta distruggendo il suo pianeta per fare una vita tranquilla, ognuno di noi è il beneficiario di un genocidio. Una canzone all’apparenza gioiosa ma con un testo importante che alla parola genocidio è capace di farci riflettere, “All my days I wake up, open my eyes / Beneficiary of a genocide / Drive to work all day / Go to sleep at night / Beneficiary of a genocide“. Ma sembra esserci spazio anche per qualcosa di più leggero come Into The Shape Of Your Heart. In realtà anche questa volta il gruppo dichiara amore a questa Terra e non vuole distruggerla, non vuole essere complice della sua distruzione. Un’altra bella canzone, vibrante di vita e profonda nel testo, “I could sleep in your arms / I could die in your dreams / I could live in your woods / Wander endlessly / I can give you the words / I won’t leave it to chance / I never wanted to be / Complicit victims of a dead romance“. La successiva The Lighthouse fa calare il buio ed si torna in territori più rock. I Wintersleep sfoderano un brano tirato e senza fronzoli. Murphy e compagnia sono più vivi che mai e ce lo fanno sapere, “All the way up to the lighthouse / Where we spent so many nights / Always thought you’d live a long life / You’re a ghost now on your own time“. Echi dei loro esordi si possono sentire in Never Let You Go. Con un ritornello orecchiabile e un ritmo trascinante, la band ribadisce di non voler abbandonare la Terra ad un triste destino. Un gioioso inno da ascoltare e riascolatare, “Smoke on the horizon / Yeah I’m still surviving / A flicker in a moment / I won’t let it die yet / I have a vision that we live forever / I have a vision there was nothing after death / Just the garbage of a hundred thousand years / Floating through the great Pacific of our heads“. Chitarre distorte e sonorità più alternative in Soft Focus. Una canzone che sembra quasi voler confondere l’ascoltatore, evocando un sentimento di alienazione e distacco, “Fall through the sky / I don’t know why / No one around to catch it / You live, then you die / No reasoning why / Only the sound of your heart / Resounding, surrounding / Resounding, surrounding“. Waves esprime il desiderio di fuggire dalla città e cercare una tranquillità lontano da un mondo che diventa sempre più distante dalla natura umana. Forse rimarrà solo un desiderio, “Maybe I’ll / I’ll move to the countryside / That little French town / I’ve had in my mind’s eye / Where the waves unspeakably speak / Where the days spill so violent and free / I’m a freak here / I’m a freak here / I’m a freak here“. Non solo l’inquinamento soffoca il pianeta ma anche la guerra e il terrorismo distruggono l’umanità. Terror infatti denuncia la crudeltà e la freddezza della guerra moderna combattuta con silenziosi droni che incobono nella notte, tra l’indifferenza del mondo, “Once upon a time in an unknown sky / From an unnamed source through an unclear line / Flew an unmanned drone they called Lady Night / It’s an inside joke / That nobody knows“. La canzone più personale e intima di Paul Murphy è in fondo a questo album e si intitola Free Pour. Una riflessione sulla sua vita, ormai vicina ai quarant’anni, la band e la musica. Una canzone quasi parlata, confidenziale, a tratti commovente, “Baby, I’m on the shy side of forty / Still writing riffs like nobody’s business / Except in my case it most certainly is / I’m a professional riff writer / Slinger of pure metaphor / I named my band and couple of stands I commanded / Even TM’d on a gaggle of tours“.

In The Land Of è un album potente che scava nelle conseguenze delle nostre scelte su questa Terra che soffre. Che sia la vostra città o il mondo intero, i Wintersleep ci aprono gli occhi sulla situazione che stiamo vivendo e lo fanno con una visione lucida e appassionata. Un album personale e riflessivo ma si apre ad un’interpretazione più ampia, globale. Siamo tutti sulla stessa barca, come si dice. Questa volta i Wintersleep abbracciano tutte le sfumature del loro sound, dagli esordi ad oggi, regalandoci questa sorta di concept album che vive di una rabbia e di un amore smisurato per tutto ciò che rischiamo di perdere. Dopo diciott’anni insieme e sette album, questo gruppo di ragazzi canadesi ha ancora qualcosa da dirci. E io sono qui ad ascoltarli. Ancora una volta.

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Le ultime luci della sera

Ora che le giornate estive sono più lunghe e la sera scende lentamente è bene accompagnarla con della musica appropriata. Arriva giusto in tempo tra nella mia collezione un album uscito lo scorso Aprile. El Coyote è l’album omonimo di una band canadese capitanata da tre ragazze, Angela Desveaux, Katie Moore e Michelle Tompkins. La scorsa settimana ho pubblicato la recensione dell’ultimo album di Erin Rae ed è proprio lei che ho risentito nelle canzoni di El Coyote. Fin dalle prime note ho capito che questo era uno di quegli album che avrebbe necessitato qualche ascolto in più del normale per essere apprezzato al meglio. A mio parere questo è un pregio per un album, sempre.

El Coyote
El Coyote

L’album si apre con la bella Come Around che subito ci porta nelle rilassanti atmosfere della loro musica. Un mix di voci e un accompagnamento essenziale ma ricco sono la ricetta di questo gruppo, “But you’re always going and darling you don’t stop. / We all need some time and a moment to figure it out. / Getting lost in a daydream. Awake and wandering around / See I know you’ll come around when you want to“. Tra le mie preferite c’è sicuramente Only Temporary, una riflessione sulla precarietà della vita e sulle cose belle che ci riserva. Tutto è così leggero e confortevole, ogni nota e ogni parola sono al posto giusto, “They’ll be no talk of wasted time, / no talk behind our backs, / The plans we had and lovers at hand, a place they’ll all soon have. / It’s only part of living life, / And soon you’ll be freed of, / The good, the bad, the nothing at all, / Embrace the ones you love, / ‘cause they’re only temporary too“. Vale lo stesso per la successiva By The Gate. Una triste canzone d’amore che affonda a piene mani nella tradizione americana, deliziandoci con la sua delicatezza, “How long must I wait, how long til I hear back from you? / Too late to save face, in their whispers I hear the word “fool.” / Days flow, the rains fall, can’t make out one drop from another / Oh as I wait for my falsehearted lover“. Lighten Up Diane è un invito ha prenderla alla leggera. Una ballata dalle distese sonorità country che ci culla dolcemente con l’intento di scacciare qualche pensiero di troppo, “Lighten up you say. Have a drink on me, / Come on, lighten up Diane. / And as the jukebox plays and the lovers sway / It’s here I realize you don’t give a damn“. Another Day è ancora una riflessione sulla vita e sul tempo che passa. El Coyote mantengono lo stesso passo, come in una lenta danza che allevia il peso di un’altra giornata, “Another day later / Of a life to refine / To all that is real / Leave the lusting behind / And soon we will find / A beauty so rare / A truth that is learned / Oh, it’s just another day“. La successiva Tip Jar alza il ritmo ed è ancora un invito a godersi la vita. Queste ragazze e la loro band fanno un ottimo lavoro e sfornano una delle canzoni più orecchiabili di questo album, “But if I don’t wake up tomorrow promise me that you’ll / Go collect my last paycheque, get it signed over to you / Empty out the tip jar, tie one on real wide / Drink to life and living, like it’s your last night alive“. Time Will Tell è un’incantevole ballata country che evoca un’atmosfera fraterna e l’amore per le piccole cose della vita. Dopotutto è il tema ricorrente di questo album, “Round tables and table wine / Fiery faces on a starry night / The break of laughter on the long drive / There’s always someone there to remind“. Leaving Thunder è ancora una ballata in perfetto stile americano ma con un sottile fascino pop. Come nelle altre canzoni, le belle melodie e le voci si confermano il punto di forza di questa band, “Thought I found a place / A place where everything was so right / A quick escape from routine life / Thought I found the man / The one who’d make everything right / So I could slow down my stride“. In Satellite Lost ritroviamo la serenità della sera, in una ballata solitaria e malinconica. Un gioiellino per purezza e semplicità, “You’re no alone, not in the dark, / glossy smiles reflect a glow. / That’s how you know it’ll be all right, / cause we’re all lost in the night“. L’album termina con Begin Again che vira verso un sommesso folk rock che invita a ricominciare a vivere. Riassumendo, di fatto, il messaggio dell’intero album, che spegne così le ultime luci della sera, “Let your life do the leading / Give your memories away / Let the loss go on teaching you / Now’s the time to be in / Let’s begin again“.

Queste tre artiste hanno fatto bene a riunirsi per dare vita al progetto El Coyote. L’album è da ascoltare tutto d’un fiato mentre si ozia piacevolmente. Lasciarsi trasportare dalle melodie delle chitarre acustiche e dalle irresistibili pennellate del suono di una pedal steel, è quanto serve per godersi appieno le sue canzoni. Questa band ha fatto un album nel quale non ci sono particolari cambi di ritmo o velocità ma dove tutto procede serenamente e in modo prevedibile. Sì, è un album prevedibile ma proprio per questo rassicurante o, per meglio dire, confortevole. Insomma qualche che sia stata la vostra giornata, entusiasmante, noiosa o pesante, è bene passare dalle parti di El Coyote per passare anche solo pochi minuti in piacevole compagnia.

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Des monstres se cachent

Sono passati tre anni dall’ultimo album, intitolato Roses, della cantautrice canadese Couer de pirate, il primo nel quale c’erano alcuni brani in lingua inglese. Una scelta probabilmente più commerciale che artistica la sua, che non si è ripetuta nel nuovo capitolo della sua discografia, en cas de tempête, ce jardin sera fermé. Béatrice Martin sceglie di cantare nella lingua che preferisce, il francese, con la quale ha dichiarato di avere un feeling maggiore. Si tratta del suo quarto album, uscito a dieci anni di distanza dal suo esordio, fatto di malinconiche ballate pop accompagnate al pianoforte. Questo album arriva dopo importati cambiamenti nella sua vita privata e sentimentale, segnando una tappa importante nella carriere della giovane pop star canadese.

Coeur de pirate
Coeur de pirate

Somnambule ci riporta di indietro ai suoi esordi. Un’eccezionale ballata al pianoforte, personale e triste. La voce emozionante e innocente della Martin, che è sempre un piacere ascoltare, scava profonda nell’animo di chi ascolta, “Et je suis somnambule, mon rêve devient silence et j’erre sans lui / Les doutes d’une incrédule se perdent dans la nuit / Et tout s’est décidé, je ne vis que d’idéaux, de mots cassés / Je tente d’être complétée, d’amour et d’inconnu“. Il singolo Prémonition è un ritorno ad un pop moderno e contemporaneo. Il talento della Martin di creare delle ottime canzoni pop, senza l’aiuto della lingua inglese, è indiscutibile, “Et quand le jour se lève / Je reviens vers toi / ce que je reconnais, ce n’est que vide en moi / d’abus, je vis d’erreurs / tes mots comme une loi / comme une prémonition / on ne changera pas“. La successiva Je Veux Rentrer è un intenso brano pop che fa leva sulla forza delle parole e delle immagini. Béatrice Martin si mette a nudo, svelando così i lati oscuri dell’amore, “Et j’ai voulu crier, m’emporter car je souffre quand tu es en moi / mais le doute se forme, m’emprisonne car je suis censée t’aimer / mais ce que je sais, c’est que je veux rentrer / ce que je sais, c’est que je veux rentrer“. Dans Le Bras De L’autre si ispira alle sonorità tipiche del pop di matrice francese, più vicine a quelle ascoltate nel suo secondo album, “J’étouffe et je sens / Mon corps défaillir / Je sais que la nuit achève notre idylle / Je prends mon courage / Et j’attends de faire / Ce qui reste secret“. In Combustible la cantautrice canadese affronta i suoi demoni in una delle migliori canzoni dell’album. Un pop cantautorale di razza dove un testo ispirato e una musica orecchiabile si fondono alla perfezione, “Mais je t’ai averti, des monstres se cachent / Au fond de mon cœur, qui se mue en moi / Mais libre d’esprit / En secret, je prie / Que mon double enfin ne se libère pas“. Dans La Nuit è un pop elettronico molto più vicino alle produzioni recenti della Martin. Il brano vede anche la partecipazione del rapper canadese LOUD che si inserisce in una strofa, “Les gens tournent autour de moi / Ne m’ont pas vue m’endormir / Au son des basses qui résonnent / Dans mon tout, mon être chavire / Les amours se rencontrent enfin / Alors qu’on me voit souffrir / Je rêve, je m’envole“. Amour D’un Soir ricalca ancora il sound delle ballate pop di Roses. La Martin affronta ancore le pene dell’amore con la consueta sensibilità ed eleganza, senza rinunciare all’orecchiabilità della musica pop, “Mais je te quitterai dans mes rêves / Tu me fais voir que tout s’arrête / Mais c’est ta lourdeur qui m’achève / Et ta passion rappelle la mort / Tu me fatigues, j’en viens à croire / Ce n’est qu’un amour d’un soir“. In Carte Blanche la Martin non risparmia le parole affrontando ancora i tormenti dell’amore. Un brano che richiama il pop anni ’80 e tutt’altro che leggero come può sembrare, “Et j’ai beau rêver, encore espérer / Je sais que je ne te changerai pas, tes conquêtes restent entre nos draps / Et usée, par nos souffles coupés / On n’aura jamais carte blanche et je planifie ma vengeance sur toi / Sur elles mais surtout toi / Oh sur toi, sur elles mais surtout toi“. Malade è un pop oscuro e notturno dove il dolore è il suo filo conduttore. Una delle migliori canzoni dell’album, che ne incarna lo spirito, “Alors j’en deviens malade / Si tu as mal j’aurai mal / Le sol se brisera sous tout ce qui nous reste / Le temps qui veut qu’on se laisse / Alors partage ta douleur / De tes blessures, je saignerai / Si nous devons garder un silence face au danger / Sans toi, je me vois couler“. Per chiudere il cerchio Couer de pirate torna al suo pianoforte De Honte Et De Pardon. Una ballata oscura ed elegante come solo lei sa fare, che vibra di emozioni. Un altro gioiellino di musica e parole, “Et si ce qu’on raconte est vrai, je compterai mes regrets alors que tu défiles / Mon corps de tes mensonges / Tes lèvres quittent les miennes, te rappelles-tu les siennes / Celles qui n’ont jamais pu énoncer ton nom / De honte et de pardon“.

In conclusione, en cas de tempête, ce jardin sera fermé, è l’album nel quale Couer de pirate affronta la tempesta del suo cuore, dando vita a dieci canzoni che sono le più autobiografiche dell’artista. Un album che racchiude dieci anni di canzoni, dove trovano spazio tutte le sonorità pop che hanno caratterizzato la discografia di Béatrice Martin. C’è il pianoforte, le ballate e il pop accattivante ma intelligente. C’è tutto ciò che rappresenta Couer de pirate. Se per alcuni la scelta rinnovata di usare solo la lingua francese può rappresentare un limite, la Martin dimostra ancora una volta che non è così. Il francese le permette di esprimersi al meglio ed renderla riconoscibile in un panorama, come quello del pop internazionale, troppo spesso dominato dalla lingua inglese. Così facendo rinnega in parte la scelta del precedente album, dimostrando allo stesso tempo di tenere più alle emozioni che al facile successo. en cas de tempête, ce jardin sera fermé è l’album più rappresentativo di Couer de pirate, un buon punto di partenza per conoscere la sua musica.

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Di legno e di pietra

Ci sono alcuni album che durante quest’anno ho ascoltato ma non ne ho scritto su questo blog. Ho dato priorità alle nuove uscite e così gli album usciti negli anni scorsi sono piano piano finiti in fondo alla lista. Prima di chiudere l’anno però mi sembra corretto dare spazio ad uno di questi album, uscito lo scorso anno ma che merita di essere condiviso con voi che state leggendo. Si tratta di Big Deal, terzo album della cantautrice canadese Kelly Sloan. Uscito nel Marzo dello scorso anno, era molto probabilmente finito nel raggio nel mio radar in quell’occasione, ma solo quest’anno l’ho riscoperto e ascoltato. Ed è stata davvero una fortuna.

Kelly Sloan
Kelly Sloan

Love Is Plenty apre l’album con il suo indie pop dalle sonorità americane. La voce della Sloan, calda ed educata, si muove tra le chitarre. Questo è solo l’inizio, un assaggio della varietà di quest’artista, “I am waking to the sun today / I know you’re far away / But do you know / If you’re looking up from where you are / We can’t be very far away“. La title track Big Deal vira verso un indie rock che ricorda quello di Angel Olsen. Una riflessione sulla vita da musicista e cantante, che assume i contorni del sogno tra i riverberi della chitarra, “I’m pretty big in a little town / My Mum’s friends know me / ‘cause I play around / I play the chords and I sing the words / And if they’re lucky I repeat the verse“. La successiva Made Of Wood è un brillante folk rock americano, sorretto dalla melodia tracciata dalla chitarra. Una poesia di immagini frutto del talento della Sloan, “I have come and I will stay / I threw my bones in that lake / And I’ll take my heart and go where I am from / I am made of wood and you are made of stone“. Annie Edson Taylor si ispira alla storia di questa donna che per evitare la miseria decise di compiere un’impresa. Nel 1901 si gettò dalle cascate del Niagara dentro un barile. Il gesto andò a buon fine ma, a causa di un tradimento, non le porto la fama sperata. Kelly Sloan ne fa un indie rock accattivante, “She is taking on water / A sinking family stone / She is going to leave it all / At Niagara Falls / It will all come tumbling down / All she had was gone / So she was going to the falls“. Be The Woman And The Man cambia registro e si porta verso una melodia country. La Sloan si dimostra a suo agio anche in questa ballata malinconica, “And then one day it rained / With the pain of yesterday / For forty nights she stayed / ‘til her dreams did go away / ‘cause a shadow never stays“. Di nuovo un ritorno a qualcosa di più rock con Tracers. Le chitarre suonano un beat anni ’60, la voce della Sloan è ferma ma dolce, “Sleeping in my room at night / Covered in your broken light / You’re a figment of someone passing by / And you’re coming to my door / Oh oh and I try“. Sulla stessa lunghezza d’onda anche To The Water. In primo piano le chitarre, la voce della Sloan è energica, rock. Una delle canzoni più belle dell’album, “Then something starts to take you down / And no one knows what’s going on / You were running / But now you’re crawling on all fours now“. O Brother è una splendida ballata country folk dalle atmosfere oscure. Kelly Sloan fa ancora centro, cambiando ma rimanendo fedele a sé stessa ed esprimendo tutta la sensibilità della sua musica, “Call me a cheater but there was no other way / To win a game no one’s playing / Some of us try and the rest never change / Now or then or whenever“. Your Only Ride è una delle mie preferite. Le parole scorrono veloci, cavalcando una melodia lenta e trascinante. Una canzone intensa e sincera che conquista al primo ascolto, “Then I hear a voice callin’, telling me to shut ‘er down, / Don’t worry about where you are, where you were and where you can’t be now / It’s all in your head and plus, it doesn’t even matter“. L’album si chiude con Turn To Me. Un orecchiabile indie pop, che pesca a piene mani dal cosiddetto french pop. Una canzone luminosa e avvolgente, “Turn to me, turn to me / You don’t know where you’re going / They’ll follow you and take you in / And I’ll live alone forever“.

Big Deal è un album nel quale troverete tutte le sfumature della musica cantautorale americana e le influenze dell’indie pop. Kelly Sloan, pur spostandosi su stili diversi, riesce a mantenere uno stile unico e coerente lungo tutta la durata dell’album. Proprio questa caratteristica è il punto di forza di un album nel quale ogni ascoltatore troverà almeno una canzone di suo gradimento. Personalmente mi piacciono tutte e Big Deal l’ho ascoltato più e più volte, cogliendone ogni volta nuove sfumature. Big Deal non meritava di rimanere in fondo a quella lista. Kelly Sloan si è guadagnata un posto di riguardo nella mia musica.

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Spalle al muro

Dopo l’ottimo album From The Stillhouse (Fuori legge), che ho consumato a forza di ascoltarlo, la band canadese Murder Murder è tornata quest’anno con il suo seguito intitolato Wicked Lines & Veins. Questi sei ragazzi dell’Ontario sono pronti a raccontarci storie dove nessuno ha scampo e farci calare in un mondo elettrizzante. Nonostante avessi piena fiducia in questa band, ritenevo difficile bissare le atmosfere così lucide ed evocative di From The Stillhouse senza ripetersi. Invece i Murder Murder hanno saputo fare anche di meglio. Ora non resta che ascoltare il nuovo album e ancora una volta sperare di uscirne vivi.

Murder Murder
Murder Murder

Si comincia con Sharecropper’s Son, storia di un giovane che perde il suo lavoro come mezzadro. Un rabbioso bluegrass dove nel finale, per disperazione, il ragazzo sembra far fare una brutta fine al suo padrone, “A quarter pasture on a rich man’s farm / Turn the rich man’s soil / Six feet deep and six feet long / Turn the rich man’s soil / I turned a rich man’s soil“. La successiva Pale Rider Blues è una cavalcata veloce e senza sosta. Un ritmo sincopato fa da sfondo ad un scarica di parole, veloci come proiettili. I Murder Murder dimostrano di essere in splendida forma, “Mean mister called the marshal and he come for blood / That dirty old marshal, he come for blood / So they dam up creeks, and dry up the floods / ‘Til the hacks and the buggies wade in the mud“. Non possono mancare ballate come The Last Daughter. Una torbida storia di famiglia, che si srotola veloce fino al triste epilogo. I Muder Murder danno alla canzone la giusta tensione, senza fronzoli, “Old Mr. Baer and his mean old mare / And five of his pretty little daughters / Went down to the river while the sun burned high / To fill five barrels full of water“. Un’altra ballata, questa volta disperata e graffiante, è Reesor County Fugitive.  Cinque minuti intensi e un’interpretazione eccezionale dove il racconto prende il sopravvento sulla musica. Da ascoltare, “And if today the good lord’s burning hand / Should take me to the promised land / At least I know I’m going home / Either way I’m going home tonight“. La title track Wiked Lines & Veins è un accattivante blues, un viaggio in un mondo inospitale e spietato. Una delle canzoni più oscure e affascinanti di questo album, “Wicked lines and veins / Mark the north side of the plains / They’ve got nothing left to claim / Not even God, his eternal right“. Un amore al limite raccontato in Goodnight, Irene. Un vero e proprio outlaw country che viaggia sulle ali del banjo e del violino. Nel finale un omaggio al classico omonimo di Lead Belly, “Irene was hard, she packed a knife, / and she swore like a trucker / She ran the scams on all the boys in from the bay / She wore her hair in Monroe curls and boys she was a beauty / I could not look away“. Il singolo I’ve Always Been a Gambler racchiude dentro di sé tutte le caratteristiche di questa band. Un bel country accattivante, carico di immagini. Uno dei pezzi forti dell’album, “I’ve always been a gambler, I always play to win / And I’ll be sure to cut your throat if I see you again / Won’t you lay your money down, / now won’t you make peace with your sins / Cause I can tell that you’ve been ‘round too long“. The Death Of Waylon Green è l’ultimo canto di un condannato a morte. Voce graffiante e melodie rock scorrono come sangue in questa murder ballad, inquieta e vendicativa, “If I could bring that Waylon Green / back to life again / I’d do so just to kill him twice / And then I’d lay my head“. A tutta velocità con Cold Bartender’s Wife. Una spirale di follia e gelosia, nella quale le parole colpiscono veloci come una scarica di pugni. Senza pietà, “She held him up on a cool clear night / And she robbed him of his life / You may pass through town but don’t mess around / With the cold bartender’s wife“. Una donna si fa giustizia da sola in Shaking Off The Dust. I Murder Murder fanno un’altra vittima, raccontando la sua storia con spietata lucidità, “Cars rolling by / Young couples in love / The winds come blowing and they’re kicking up the dust / He wore a tattoo that read “hard as stone” / One day she woke up and found some fire of her own“. Si chiude con una bella ballata country intitolata Abilene. Una triste storia nonché una delle più belle ballate mai scritte da questo gruppo, “Once I had a darling wife / Her name was Abilene / She had hair like ravens’ feathers / And eyes of olive green / If she ever looked at me with sadness / Her sadness I would end / And if she’d cried for nothing / I’d fire into the wind“.

I Murder Murder ti inseguono e ti mettono con le spalle al muro. Con Wicked Lines & Veins si fanno strada a colpi di bajo e violino, colpendo ripetutamente, senza sosta. Che siano veloci cavalcate o lente ballate, i Murder Murder sanno come tenere banco, incantando l’ascoltatore con le loro storie dal finale tutt’altro che lieto. Wicked Lines & Veins è un grande ritorno che prosegue nel solco scavato dal precedente From The Stillhouse ma che è in grado di trascinare, con maggiore convinzione, chi ascolta in uno scenario tormentato e inquieto. Se avete quaranta minuti da concedere ai Murder Murder fatelo. Non ve ne pentirete. E visti i tipi, non lo prenderei solo come un consiglio.

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I texani non sanno ballare

Dopo l’ottimo Heartbreaker Of The Year (Il diavolo ha preso in prestito i miei stivali) la cantautrice canadese Whitney Rose è tornata quest’anno con il nuovo album Rule 62. La regola 62, nel gergo degli Alcolisti Anonimi, è “non prendersi troppo sul serio” e ascoltando lo stile musicale e l’approccio di Whitney Rose, questa definizione, è senza dubbio calzante. In questi tempi confusi, la sua musica dal fascino retrò, funziona meglio di qualsiasi sperimentazione lasciando dietro di sé un gusto del tutto particolare. Con Rule 62 si tenta il salto di qualità con un occhio al passato è uno sul presente.

Whitney Rose
Whitney Rose

Si comincia subito con I Don’t Want Half (I Just Want Out) che racconta l’addio di una donna al suo amante. C’è una donna di troppo e piuttosto che un amore a metà è meglio nessuno. Molto bello l’assolo di chitarra nel finale, “Here’s a goodbye kiss / Now, you’ll never touch these lips / And please tell your girlfriend / She can have all my clothes / I wanna make myself real clear, I won’t be roundabout / I don’t want half, I just want out“. Con Arizona si precipita in un godibile country rock, orecchiabile e spensierato. La voce della Rose è morbida e si muove sinuosa tra il ritmo della batteria e le chitarre, “Guess I should’ve known by the way you treat your mama / Guess I should’ve reckoned warning signs / Guess that I was blinded, guess that I was fool / Saw you and I had to make you mine“. Non può mancare una ballata come Better To My Baby. Lo struggente tentativo di ricominciare con un amore finito, raccontato su una musica senza tempo, “What I wouldn’t do to make us happy again / What I wouldn’t give to have him back here in my bed / You hold the world when you hold his hand / So don’t you break that heart of gold / Just be thankful every day that he’s your man“. You Never Cross My Mind è un’altra ballata ma più malinconica. Il testo è un gioiellino dove si arriva a negare l’evidenza pur di dimostrare che lei non pensa più lui, confermando, di fatto, il contrario, “No one ever needs romance / Texans don’t know how to dance / Truckers, they don’t know the road / Grown-ups never cry / You never cross my mind“. Una storia pericolosa quella in You Don’t Scare Me, una delle più belle canzoni di questo album. La voce innocente della Rose è nella sua espressione migliore, “I know you’ve broken up some hearts / Went and tossed ‘em to the sea / Well, someone beat you to the punch / You don’t scare me / There’s no damage you can do / Ain’t already done / Just look into my eyes, you’ll see / You don’t scare me“. Il singolo Can’t Stop Shakin’ è racchiuso nel titolo. Impossibile resistere al ritmo della musica e al carisma della Rose. Un brano vicino al sound del precedente album ma arricchito dai dettagli e dall’esperienza, “Come on, baby, hold me close / Don’t make me shake all alone / I can’t stop shakin’ / I can’t stop shakin’“. Tied To The Wheel è un altra ballata country malinconica al punto giusto. La dura vita da camionista, una vita in viaggio, sempre al volante. Un tema insolito per una donna ma Whitney Rose è convincente, “Yeah, I guess it’s my good luck / To make my living driving a truck / But it’s times like this that make me feel / That I’m tied to the wheel“. Ancora un camionista protagonista di Trucker’s Funeral. Questa volta è però il giorno del suo funerale nel quale la figlia scopre che suo padre ha due mogli, ciascuna in uno stato diverso. Il country racconta storie e questa è una bella storia, “At that trucker’s funeral / Two women buried wedding rings / If you’re at a trucker’s funeral / Be prepared for anything“. Wake Me In Wyoming è un altro bel brano in perfetto stile Whitney Rose. Il tema del viaggio e della lontananza funzionano sempre soprattutto cantati con voce morbida e malinconica, “Let me sleep / Just wake me in Wyoming / I don’t wanna feel how far away I’m going / Let me sleep / ‘Til we cross that state line / So I can’t change my mind and just go back home“. Un amore un po’ problematico quello di You’re A Mess. Un bel brano country dalle atmosfere romantiche con una Rose in totale controllo, “Sometimes I wanna punch you / I wanna slap your face / Make you feel all the marks and the scars you have placed“. Si chiude con un rock’n’roll vecchio stile intitolato Time To Cry. Whitney Rose è perfettamente calata nella parte, sfoderando tutta la sua voce, “And now you got the nerve to say you need me / To say you can’t believe I said goodbye / You watched me shed a thousand tears and then some / But now it’s your time to cry“.

Whitney Rose con Rule 62 si conferma una delle esponenti più talentuose di un certo revival country. Rispetto al suo predecessore, qui troviamo una maggiore ricchezza dal punto di vista musicale ma che non rappresenta certo nulla di innovativo. Ciò che è nuovo è piuttosto l’approccio più moderno nei testi e nel canto. Whitney Rose sa essere dolce e malinconica ma anche maliziosa e spensierata. Rule 62 è un album da ascoltare per intero in grado di trasportarci in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato, ricco di sfumature e storie. L’invito è quello di non fermarvi alla sola canzone che potete ascoltare qui sotto e gustarvi uno degli album più piacevoli di quest’anno.

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Fuori legge

Definiscono la loro musica come bloodgrass, una musica dalla quale nessuno esce vivo. Interessante, mi sono detto, quando per la prima volta ho letto di questo gruppo. I Murder Murder sono sei ragazzi canadesi che si presentano con ballate che spaziano dal country al bluegrass, riuscendo subito ad accendere la curiosità con il loro gusto retrò e tradizionale ma fuori legge e un po’ cattive. In men che non si dica ci ritroviamo immersi nelle foreste dell’Ontario, tra risse da bar, storie sfortunate, di gelosia e tradimenti. Il tutto raccolto nel loro secondo album, pubblicato nel 2015 e intitolato From The Stillhouse.

Murder Murder
Murder Murder

Si parte con l’incalzante Sweet Revenge, una stroria di vendetta a bordo di un treno nero che viaggia senza sosta. Un brano che evoca immagini nitide dei paesaggi western di frontiera, “I dream I am flying out through the pines / Through to the Devil’s mouth / There’s some folks down there, they gotta pay for their sins / Eye for an eye, blood for blood / Sweet revenge“. Where The Water Runs Black è una straordinaria ballata guidata da un violino e accompaganta da un’immancabilie banjo. Una voce tagliente e carismatica ci racconta una stroria di tradimento. Una delle migliori canzoni dell’album che trova la sua perfezione nella sua tradizionalità e melodie famigliari, “And if you wanted I could take you / I walked that road ‘til the water runs black / I loved that woman but she left me lonely / She broke my heart, lord, she never turned back“. Si nasconde una storia di violenza sotto il titolo di Evil Wind. Facile lasciarsi ingannare dalle melodie gioiose ma è solo un’apparenza. I Murder Murder sono divertenti e spietati, “Well now I can’t remember / what was going through my head / My blood turned to fire / And my face turned red / And I flew into that room / Like a moth to a torch / An evil wind, an evil wind is gonna blow“. Duck Cove è una triste ballata che mette in luce tutto il talento di questa band, in grado di raccontare storie e mettendole in musica. Tutto suona tradizionale tuttavia allo stesso tempo c’è qualcosa di nuovo nel loro modo di porsi, “I never felt so low, / I looked through the port hole / And I saw the drop boat / headed for Duck Cove / The thought of my lover / out with another / Somebody else than the / one who has loved him“. Una storia di riscatto nella bella Movin On, una delle canzoni più positive dell’album. I Murder Murder spingono sempre sul pedale dell’acceleratore, sono un treno in corsa tra le foreste dell’Ontario, “I got friends in Brown and Hardy / And a brother down in Carling / I got family up north in Sudbury / Everybody knows / that I can’t set foot back in Mowat / There’s folks there’d like / to get their hands on me“. When The Lord Calls Your Name è una ballata lenta e strappalacrime. I Murder Murder propongono una canzone dal sapore vintage con una grinta e intensità di grande impatto, “So gather the angels, / and sing us a prayer / When his sights are upon you, / you can’t hide anywhere / Now accept and rejoice him, / not with pride, not with shame / And you’ll know my intentions, / when the lord calls your name“. The Last Gunfighter Ballad è la cover di un classico country scritto da Marty Robbins. La versione dei Murder Murder è più brillante e scanzonata dell’originale, “Stand in the street at the turn of a joke / Oh, the smell of the black powder smoke / And the stand in the street / at the turn of a joke“. Tanto breve quanto bella, Half Hitch Knot. Irresistibile ballata up tempo, dove le parole escono veloci, scappa anche qualche parolaccia. Cattivi ragazzi, “You’re a polite motherfucker / with your hands tied up / Like a barnyard pig just about to get stuck / The knife’s coming down if you like it or not / You won’t never get out of my half hitch knot“. La successiva Alberta Oil è una classica murder ballad, veloce e senza respiro. Ancora una volta i Murder Murder sono irresistibili in tutto e per tutto, “He was buried with his passport / in a black Alberta ditch / His life was cut far too short / by a cold Alberta bitch / We all knew what had happened / and it gave us all a fright / He was buried with his passport that night“. Bridge County ’41 è una bella ballata blues. Senza dubbio una delle canzone più intense di questo album, storia di un contrabbandiere, fuori legge come questo gruppo, “The law found me in the middle of the night / When I’s lyin’ on my back / in the pale moonlight / Couldn’t tell if I was dead or alive / Until they caught that little hint of blood / in my eye“. Chiude l’album un’altra ballata intitolata Jon & Mary. C’è poco altro che posso aggiungere arrivati alla fine di queste undici canzoni, se non avvisarvi che la tentazione di ricominciare dall’inizio è forte, “I parted with things / that I never though I’d sell. / It’s got to where I barely recognize myself. / The boy I was is gone, / it’s written on my face. / All the time that he spent dying, / her beauty never waned“.

Questo From The Stillhouse ci porta altrove, velocemente come un treno a vapore. I Murder Muder sembrano venire dal passato, ci riempiono le orecchie di buona musica, dal sapore d’altri tempi, sporca e impolverata. Hanno la faccia da duri come gli eroi dei film western ma un animo buono. Una particolarità di questo gruppo è che non hanno un vero proprio frontman ma si alternano al microfono dando ad ogni brano un’impronta personale e diversa. Qui sotto trovere una versione live di Bridge County ’41 ma non posso fare a meno di consigliarvi di ascoltare l’album completo, se volete essere anche voi per un attimo dei fuori legge, sporchi e impolverati.