Due amici

Era il 2011 quando Tom Smith, leader degli Editors, e il suo amico e collega Andy Burrows, si unirono per realizzare un album di canzoni di Natale, intitolato Funny Looking Angels. Da allora ognuno ha proseguito per la propria strada per poi ritrovarsi di nuovo insieme e pubblicare quest’anno un album dal titolo eloquente Only Smith & Burrows Is Good Enough. Il duo, che non di definisce una band, è inevitabilmente caratterizzato dalla voce di Smith che in queste occasioni si discosta dalle atmosfere cupe che caratterizzano la musica del suo gruppo più importante. Bello rivederli insieme Smith & Burrows che con quell’album di dieci anni fa hanno scritto delle canzoni che ancora oggi mi sovvengono alla mente quando quando arrivano le feste.

Smith & Burrows
Smith & Burrows

All The Best Moves apre l’album e sembra riprendere quella gioiosa energia già espressa nella precedente occasione. Non c’è modo migliore di cominciare questa nuova avventura insieme, “Get me a car, get me a limousine / And take me out to the music scene / On second thoughts I saw this thing on the news / Kids getting killed for the shoes that they chose / Sometimes life’s meant to pass you by / We’re all so small look at the size of the sky“. Segue la più scanzonata Buccaneer Rum Jum che vede Burrows prendere il microfono e illuminare questi momenti bui. Una canzone con un accompagnamento ricco e vario che mostra il talento del duo, “Got a one way ticket now you marauder / There’s nothing left for you round here / I’m not gonna mend your broken pieces anymore / With a little luck you might come down / With a little luck you might come back to me“. Torna Smith con Spaghetti. Una canzone veloce ed che riflette sulla bellezza di una vita ingarbugliata. Una canzone decisamente leggera e divertente, nello spirito di questi cantautori, “I’m gonna mess you up, just like spaghetti / I’m gonna fill my cup up to the limit / Gonna suck you down, just like spaghetti / Can you see my crown, don’t you forget it / I’vе been working you, well I’ll take the minutеs / I’ll be turning this town upside down for years, for years, oh“. Momento nostalgia con Old TV Shows con Andy che si alterna con Tom. Un brano poetico e un po’ malinconico ma risollevato dal ritornello orecchiabile, “Oh, come look at us now / A broken record will last forever / You couldn’t pick us out of the crowd / When it worked just couldn’t miss us / It’s over like top of the pops / Just a day the time’s had its way with / Over and over we’d lay / Memories like old TV shows“. La canzone che preferisco è Parliament Hill, ballata di speranza e conforto. Smith mette i brividi con la sua voce e Burrows allevia la tristezza con il ritornello. Cosa chiedere di meglio? “There’s a warm rain, are you feeling alright? / Well, I know it ain’t easy when you can’t sleep at night / There’s a band playing and they don’t give you peace / Well, I know it ain’t easy when the noises won’t cease“. Bottle Tops è un altro brano fresco che richiama le sonorità del gruppo di Smith ma con un’atmosfera meno cupa, “Untie, she’s with the bottle tops, then / Hope that you’ll notice me when you do it’ll all come clear / I’m on my own you see, just for the moment baby / I’ll be your one and only, I’ll die a happy man“. I Want You Back In My Life è una canzone d’amore malinconica ma ricca di quella speranza che questi due artisti sanno sempre regalare, “Get me out of this hole / Too much of me with myself and I’m in trouble / All the clouds are grey and the wind has the bitter bite / All I know is I want you back in my life“. Decisamente più pop Aimee Move On. Ricorda le sonorità del brit pop e si appoggia sulla vocalità incredibile di Smith. Un’altra bella canzone che sa emozionare, “I was the worst, I was the best / No, I was the best of the worst of the rest / Don’t make them miss the chances wе missed / Wouldn’t it be wonderful if I wasn’t such a fool / Stеp outside, howl at the moon“. Too Late è un pezzo pop da ballare che viaggia veloce e si illumina nel ritornello liberatorio. Buone sensazioni emergono da ogni singola nota,”Please, we don’t have forever / Play a song, play a song that keeps this together / It’s too late now / Don’t be hard on yourself, just ‘cause everything’s over / It’s too late now / Don’t be hard on your brothers or hard on your sisters“. Si chiude con Straight Up Like A Mohican. I due sembrano divertirsi insieme e forse è proprio questo lo scopo dell’album, “You and me, we’re probably thinking the same thing / Like where did it all go wrong? / Making me feel alive and suddenly I don’t know why / Where did it all go wrong?“.

Only Smith & Burrows Is Good Enough è un album fatto da due amici che si vogliono semplicemente divertire e accendere una luce in questi momenti difficili. Quando Tom Smith smette i panni dell’enigmatico front-man degli Editors, trascinato dal sempre positivo Andy Burrows, il risultato non può che essere questo: un’album spensierato ma non troppo leggero, fatto di buoni sentimenti, che non dimentica però i momenti difficile. Non me ne voglia in buon Andy ma la voce di Smith è fondamentale per il duo. Il suo modo di cantare, la sua interpretazione aggiungono quel qualcosa in più anche in canzoni meno celebrali alla quale ci ha abituati. Only Smith & Burrows Is Good Enough offre un ascolto piacevole, intriso dal sentimento di reciproca amicizia di questi due cantautori e del loro talento, che strappa una sorriso più di una volta.

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Questo è lo scopo delle canzoni

Seguo Tamara Lindeman e il suo progetto solista, The Weather Station, ormai da diversi anni e posso dire che è una delle mie preferite. Questa cantautrice canadese non è quel genere di artista che mi piace ascoltare a ripetizione, preferisco invece trovare il tempo giusto da dedicarle. Dagli esordi folk sono passati ormai più di dieci anni e il sound di The Weather Station è cambiato soprattutto nell’omonimo album del 2017 che precede appunto il nuovo Ignorance. Il suo spirito ambientalista e la sua sensibilità ai temi del nostro tempo si riflettono da sempre nella sua musica e più che mai in questo disco.

The Weather Station
The Weather Station

L’album si apre con Robber che con la consueta voce quasi sussurrata la Lindeman ci spiega che ci sono ladri e ladri. Non tutti entrano in casa con il volto coperto, tanti sono protetti dalle leggi, dalle parole e dal potere. Tutto questo su uno sfondo musicale articolato e ricco, “No, the robber don’t hate you, the robber don’t hate you. He had permission – permission by words, permission of thanks, permission of laws, permission of banks, white table cloth dinners, convention centres, it was all done real carefully“. La successiva Atlantic si srotola sul un ritmo della batteria, riflettendo su come affrontare i cambiamenti. Preoccuparsi di tutto oppure fare finta di niente? La voce della Lindeman appare disperata, di chi è alle prese con qualcosa più grande di lei, “Thinking; I should get all this dying off of my mind, I should really know better than to read the headlines, does it matter if I see? Or really can I not just cover my eyes? Oh tell me, why can’t I just cover my eyes?“. Tra le mie preferite c’è Tried To Tell You nella quale questa cantautrice si confessa cercando di spiegare come, attraverso le canzoni, cerchi di dare un messaggio. Non senza difficoltà, “This is what the songs are for, this is the dirt beneath the floor; I cannot sell you on your own need. But some days there might be nothing you encounter, to stand behind the fragile idea that anything matters“. Parking Lot ha delle influenze pop decisamente più marcate delle canzoni che la precedono. C’è però un sentimento poetico che si scontra con la dura realtà, sull’essere un’artista sincera e diretta. Un brano perfetto sia nella scrittura che nella scelta musicale, “I confess I don’t wanna undress this feeling, I am not poet enough to express this peeling. Was I not yet naked enough? Too quick to blush; already I am too much. Is it alright that I don’t wanna sing tonight?“. Loss non si allontana dalla sonorità che caratterizzano questo album ma risultando più criptica nel significato. Restano un senso di inquietudine e impotenza palpabili, “But you knew the story had never been true – loss is loss. What was it last night she said? ‘At some point you’d have to live as if the truth was true.’ When it gets too hard to not know what you knew. Loss is loss“. Separated appare più essenziale nell’accompagnamento musicale ma rimanendo profonda nel suo significato. Una tra le migliori di questo disco, nonché una delle più sperimentali di quest’artista, “To carry for you out in the open fields, I bore it by feel; in my stupid desire to heal, every rift every cut I feel, as though I wield some power here, I lay my hands over all your fear, this gushing running river here, that spills out over these plains, soaking in all this rain“. In Wear la Lindeman prova ad immaginare il mondo come un abito da indossare, troppo largo eppure così stretto. Una riflessione fatta di un’immagine nitida e potente, “It does not matter to the world if I embody it. It could not matter less that I wanted to be a part of it. Still, I fumble with my hands and tongue, to open and to part it. I tried to wear the world like some kind of jacket“. Segue una lunga ballata intitolata Trust, la più lunga dell’album. I toni scuri nascondono le immagini poetiche ed evocative della fine di un amore. Una canzone potente ed affascinante, “Bring me all the evidence; the baskets of wild roses, the crumpled petals and misshapen heads of reeds and rushes, the bodies of the common birds, robins, crows, and thrushes, everything that I have loved and all the light touches, while we still have time“. Heart è un’altra canzone che ricalca i ritmi delle precedenti, sempre guidata dalla voce della Lindeman. Non sembra esseci fine all’ispirazione che ha dato vita a questo album, “I don’t have the heart to conceal my love, when I know it is the best of me. If I should offend you, I will show myself out, you can bury me in doubt if you need to. I can walk out in the street, no-one need look at me, it is with my eyes I see“. Si chiude con Subdivisions. Una canzone malinconica, solitaria. Si riesce a vedere quello che canta, come fosse un romanzo, un’istantanea di vita, “Got in the car, and the cold metallic scent of snow caught in my throat as I reached out to turn on the radio; the unfamiliar songs, the voices sing of love, and of wanting to dance and to sing in the rhythm of“.

Ignorance è un album che amplifica tutte le qualità della scrittura di Tamara Lindeman, dando forza al progetto The Weather Station. C’è un sentimento di rabbia che serpeggia tra le sue note, spezzato da un senso di impotenza e insicurezza. Ci troviamo di fronte ad un’artista che non si nasconde e che punta il dito contro chi è indifferente ai cambiamenti del mondo che ci circonda. Non c’è spazio per canzoni leggere o inutilmente sentimentali, in Ignorance si scava nel profondo in cerca di risposte. Questo disco è mosso da un’ispirazione urgente che fa fare un balzo in avanti a The Weather Station, diventando così il mezzo di diffusione di un messaggio di riscatto e consapevolezza. Un album importante che dimostra tutto il talento della Lindeman e si propone come uno dei migliori di questo anno appena iniziato.

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Non chiudere gli occhi

Il mese di Febbraio ha portato con sé nuova musica, nuove uscite discografiche molto attese, come il nuovo album delle The Staves. Le tre sorelle inglesi Emily, Jessica e Camilla Staveley-Taylor tornano con Good Woman, a sei anni di distanza terzo album If I Was e a quattro da The Way Is Read in partecipazione con yMusic. Questa volta non c’è più la sapiente mano di Justin Vernon, che aveva saputo rinfrescare il sound del trio, dietro la produzione del disco. Le tre sorelle, in seguito a gioie e dolori che hanno caratterizzato la loro vita familiare, hanno ritrovato l’ispirazione per questo nuovo album che appare fin da subito come un nuovo inizio. Ecco dunque Good Woman che apre la stagione, almeno per quanto mi riguarda.

The Staves
The Staves

La title track Good Woman apre l’album ed è ispirata dalla madre e dalla nonna delle sorelle, entrambe scomparse nel 2018, di cui si può ascoltare una conversazione in sottofondo. Una riflessione su cosa significhi essere una brava donna, con le consuete tre voci ma un approccio più indie pop del passato, “Surrender is sweet, forgiveness divine / But who will build statues of me when I leave you all behind? / When I’m carrying weight but I know it’s not mine / With half a heart it’s hard to start, but I feel as though“. Best Friend riprende le più recenti sonorità del trio per dare vita ad una canzone sull’amicizia. Una visione quasi adolescenziale e pura, come le voci delle Staves, “I can see you running now / You can see me / Burning in a blackout / Coming down / Oh, said you got a new car / Give me a ride home / You could be my best friend / You could be my best friend“. La successiva Careful, Kid sorprende per la svolta indie rock, soprattutto a livello musicale. Le voci sono sporcate, distorte in un modo del tutto inedito per le sorelle, “All the kicks in the ribs / They can really make you weak / And I’m coming back ‘round / From a five-year rebound / Would you give me one side to go on?“. Next Year, Next Time torna in acque sicure. Sono soprattutto le tre voci ad essere protagoniste e raccontano di quella volontà di rimandare un sogno, un desiderio per quando sarà il momento adatto, se mai ci sarà, “So we marked it out as something we would try / Next year, next time / And we marked it out as something we would try / Next year, next time“. Segue Nothing’s Gonna Happen che è una delle canzoni più acustiche e vicine all’esordio che possiamo ascoltare in questo album. Morbide e rassicuranti, le voci delle sorelle, sono perfette come sempre e ci deliziano come la prima volta, “If I could reach you now / I’d say that I am proud / Of everything you’ve done / And the wonderful man I know you have become / ‘Cause maybe you don’t know“. Anche Sparks rispolvera quella stessa vena folk. Una canzone poetica e sincera, fatta di immagini delle piccole cose quotidiane, “Trying to see you / Trying to tell you that I’m / Living in your home now / And holding on / I love your hair / I love your heart, I need you there“. Paralysed è una canzone essenziale, caratterizzata da un’interpretazione dimessa, almeno inizialmente per poi crescere nel finale. Una canzone sul senso di impotenza e smarrimento dopo la fine di una relazione, “Paralysed and sore / For the longing / The belonging / It isn’t fair / Why don’t you care? / What a thing it is just to bore yourself / To ignore yourself and pretend“. Devotion è il cuore pulsante di questo album e ne racchiude in sé lo spirito. Una canzone che parla della sensazione di essere in balia di qualcuno, dalle tonalità potenti e nuove per le Staves, “Well I could blow those fucking windows out / Leave them dragging down the road / Your affliction isn’t mine to hold and / How should I know how to?“. Failure abbraccia sonorità indie rock ed è tra quelle che preferisco di questo album. Ironica ma non troppo, venata da un senso di tristezza spazzato via dalla consapevolezza che la vita va avanti, nonostante il dolore che hanno affrontato le sorelle dopo l’ultimo album, “I’m a failure now / Nobody wants to play with me / Nothing left to say to me anymore / I’m a failure now / Nobody wants to sing with me / Nothing left to bring to me anymore“. Satisfied si interroga se ciò che si ha avuto finora è sufficiente per ritenersi soddisfatti. Un’altra canzone sincera, intima ma soprattutto riflessiva, “Wasted time, wasted while / Guilty lying on your back / Wasted talk on the telephone / Why’d you do it like that“. Si continua con Trying dove le tinte si fanno più scure, le più scure di tutto l’album. Una canzone per certi versi dolorosa, dove le voci delle sorelle di uniscono in un canto tanto grandioso quanto disperato, “Don’t close your eyes / Please step to this / You can say I don’t know pain and so it don’t exist / I’m in my room / And that’s all there is“. Si chiude con Waiting On Me To Change che riaccende una luce di speranza con note soul. Una delle canzoni più affascinanti e magiche di Good Woman, la bellezza di aspettare il momento opportuno senza fretta, “Said you’re waiting on me to change / What you doing that for? / When I said I’ll stay the same, same, same, same, same, same / Same guy I was before“.

Good Woman segna il ritorno sulla scena delle The Staves, tre cantautrici che hanno subito conquistato pubblico e critica fin dai loro esordi. Se da una parte c’è la chiara volontà di rompere con il passato, adottando un piglio più indie pop e moderno, dall’altra resta inalterata la vocalità delle sorelle, sempre capaci di incantare con le loro armonie. Non ho dunque percepito questo album come un vero e proprio nuovo inizio, se non nei contenuti più personali, ma una naturale evoluzione di quanto era stato fatto nel precedente If I Was. Certo in sei anni sono cambiate tante cose e la pausa dalla musica del trio, ha giovato all’ispirazione di una maturità conseguita. Good Woman, in definitiva, è un ottimo album, nel quale ritrovare le The Staves di sempre ma con qualcosa in più, qualcosa di diverso che è difficile spiegare a parole.

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Mi ritorni in mente, ep. 76

Dieci anni fa vedeva la luce l’album di debutto della cantautrice inglese (di origini italiane) Anna Calvi. Non a caso infatti, verrà ripubblicato in edizione speciale il 14 maggio. Ricordo che questo album lo ascoltai sul finire del 2011 ma lo misi presto da parte, avendo suscitato in me reazioni in contrasto con la critica entusiasta di allora. Ci riprovai qualche mese dopo e ne rimasi folgorato. Difficile scegliere la migliore tra quelle dieci canzoni ma indubbiamente il trittico composto da Desire, Suzanne And I e Blackout non può lasciare indifferenti.

Anna Calvi in questi dieci anni ha saputo centellinare le sue uscite discografiche, riuscendo nella non facile impresa di evitare colpi a vuoto. Finora la musica della Calvi è stata un viaggio nel suo animo irrequieto, nelle sue passioni e nelle sue incertezze. Quando non si esibisce appare come una ragazzina, con una chitarra troppo grande per lei e una voce incerta e timida. Finché la chitarra non suona e la sua voce non diventa una delle più belle del rock degli ultimi dieci anni, è difficile immaginare quello che può fare Anna Calvi. Se non la conoscete ancora allora è giunto il momento di provare un assaggio di questa piccola grande donna. Questa è Desire. Questa è Anna Calvi.