Solo due secondi

Cosa poteva offrire un’artista come Lana Del Rey dopo i due album, entrambi pubblicati nel 2021? Viene spontaneo chiederselo, perché in fin dei conti sono passati solo due anni da allora. Davvero Elizabeth Woolridge Grant è in un tale stato di grazia da riuscire a realizzare tre album in tre anni? La risposta è possibile trovarla nel nuovo e lungo (a partire dal titolo) Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd. Quello che si potrebbe considerare il nono album della sua carriera è anche il più lungo in termini di durata (poco dietro a Lust For Life) ma non per numero di tracce. Per questo motivo non capisco chi si sorprende della sua lunghezza, Lana Del Rey del resto ci ha abituati a i suoi album infiniti. Come ad ogni uscita, quest’artista americana mi mette nella condizione di sospettare che la sua deriva pop (ma davvero compiutasi) sia dietro l’angolo. Ma all’età di trentasette anni e l’influenza che ha avuto nella musica internazionale possono ancora farmi dubitare di lei?

Lana Del Rey
Lana Del Rey

The Grants è una canzone ricca di ricordi, dalle tipiche caratteristiche della Del Rey, che ci delizia con sua voce che galleggia sulle note del pianoforte. La title track Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd si ispira al Jergins Tunnel per dare vita alla classica canzone riflessiva e malinconica ma sempre ben riuscita. Sullo stesso solco procede la bella Sweet dalle atmosfere dolci e romantiche. A&W, contrazione di American Whore, è di tutt’altro tenore e ad affronta in oltre sette minuti i ricordi di una vita e la dipendenza dal sesso. Una canzone essenziale divisa in due parti, di cui l’ultima elettronica e dal gusto hip-hop. La controversa Judah Smith Interlude è la registrazione di un sermone del pastore vip Judah Smith. Una di quelle cose tipicamente americane, un po’ eccessive. Segue Candy Nacklace nella quale la Del Rey torna in territori più congeniali, collaborando con il musicista jazz Jon Batiste, che ritroveremo subito dopo nel dialogo a due intitolato Jon Batiste Interlude. Kintsugi ci restituisce una Del Rey particolarmente malinconica e nostalgica, seguita a ruota da Fingertips che rimane nella sua comfort zone almeno musicalmente. Il testo invece è un flusso di coscienza, senza filtri che impressiona per le sue immagini semplici ed immediate, reali e incredibilmente vicine. Lana non si fa mancare qualche sperimentazione con Paris, Texas, campionando I Wanted To Leave di SYML così com’è. Ancora la famiglia e ricordi sono al centro delle canzoni di questo album e Grandfather please stand on the shoulders of my father while he’s deep-sea fishing non fa eccezione. Il pensieri corrono al padre e al nonno in un ritratto familiare e malinconico, quasi una preghiera. In Let The Light In ritroviamo Father John Misty in un duetto su una relazione clandestina. Margaret vede la partecipazione del produttore Jack Antonoff ed è dedicata alla sua fidanzata Margaret Qualley. Una canzone intima e sincera, tra due amici. Fishtail riprende il tema della famiglia e dei ricordi nel tono sussurrato, non certo nuovo per la Del Rey, con l’aggiunta di un beat che ricorda i suoi esordi. Peppers si avvale della partecipazione della rapper Tommy Genesis che presta a Lana la sua Angelina per una canzone tutto sommato orecchiabile. L’album si conclude con Taco Truck x VB anch’essa divisa in due parti, nella seconda Lana cita sé stessa riproponendo una nuova versione della sua Venice Bitch.

Probabilmente per la prima volta nel corso della sua produttiva carriera, Lana Del Rey, si concede il lusso di guardarsi indietro e rimettere insieme i pezzi della sua vita musicale e non. Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd ci propone un’artista che ormai da tempo a smesso i panni di pop star, non mancando di essere provocatoria quanto basta per rimanere nel personaggio (la foto in topless e le pose ammiccanti sono parte di esso). Ma poi emergono come sempre le debolezze, le insicurezze e i momenti difficili che Lana non ha mai nascosto. Did you know that there’s a tunnel under Ocean Blvd rappresenta una Del Rey che gioca a fare la Del Rey perché semplicemente è l’unica che se lo può permettere, anche sfruttando campionamenti e collaborazioni alla moda. Vi viene in mente un’altra artista, negli ultimi quindici anni, così riconoscibile e in grado di influenzare le generazioni a venire? Personalmente faccio fatica a trovare un altro nome. Di Lana Del Rey ce n’è una sola e ancora una volta fa la cosa giusta, rifilandoci l’ennesimo album lungo, lento e delreynesco ma del quale non ne possiamo fare a meno. Ah, e la risposta è sì, è in un tale stato di grazia da riuscire a realizzare tre album in tre anni.

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Periodo blu

Non capita spesso che un artista pubblichi due album di inediti nello stesso anno. Ma quando capita la domanda che sorge spontanea è sempre la stessa: era proprio necessario? Per rispondere bisogna innanzitutto ascoltare l’album in questione. In questo caso è toccato a Lana Del Rey essere oggetto di tale domanda. Il suo secondo album del 2021, Blue Banisters, nonché settimo della sua carriera, ha avuto una genesi un po’ travagliata, tra annunci e smentite sulla sua uscita. Nel mezzo anche l’addio ai social network della cantautrice americana. Poco male per quanto mi riguarda, ciò che mi interessa è poter ascoltare la sua musica e il fatto di avere due album nuovi così ravvicinati mi fa solo piacere. Ecco, appunto, ma era proprio necessario?

Lana Del Rey
Lana Del Rey

Si comincia con Text Book e si percepisce subito che in questo album c’è la volontà di tornare alle sonorità degli esordi. Musica essenziale ed oscura sulla quale corre leggera la voce ammaliante della Del Rey, “I guess you could call it textbook / I was lookin’ for the father I wanted back / And I thought I found it in Brentwood / It seemed only appropriate you’d easily have my back“. Segue la title track Blue Banisters nella quale la nostra Elizabeth sfodera la versione sorniona e malinconica della sua voce. La ricetta è sempre la stessa ma non da noia, anche grazie alla continua ricerca di una melodia orecchiabile ma non troppo, “Jenny jumped into the pool / She was swimmin’ with Nikki Lane / She said, “Most men don’t want a woman / With a legacy, it’s of age” / She said “You can’t be a muse and be happy, too / You can’t blacken the pages with Russian poetry / And be happy” / And that scared me / ‘Cause I met a man who“. Tra le mie preferite di questo album c’è senza ombra di dubbio Arcadia. Un pianoforte fa da sfondo ad un testo poetico e fatto di quella tristezza che solo la Del Rey riesce a dipingere. Un ritornello melodioso, quasi angelico che non risparmia qualche brivido. Da ascoltare, “In Arcadia, Arcadia / All roads that lead to you as integral to me as arteries / That pump the blood that flows straight to the heart of me / America, America / I can’t sleep at home tonight, send me a Hilton Hotel / Or a cross on the hill, I’m a lost little girl / Findin’ my way to ya / Arcadia“. Segue la strumentale Interlude – The Trio, omaggio in chiave trap al maestro Morricone della durata di poco più di un minuto. Black Bathing Suit è ancora un altro esempio di come quest’artista abbia voluto riprendere certe sonorità da qualche tempo abbandonate. Nel finale prova soluzioni vocali del tutto inedite e come sentiremo poi, non resterà un caso isolato, “Grenadine quarantine, I like you a lot / It’s LA, “Hey” on Zoom, Target parking lot / And if this is the end, I want a boyfriend / Someone to eat ice cream with and watch television / Or walk home from the mall with / ‘Cause what I really meant is when I’m being honest / I’m tired of this shit“. If You Lie Down With Me richiama le sonorità di Ultraviolence dal quale è stata scartata. Voce calda e sensuale, sempre un po’ con quel fare svogliato alla quale ormai ci ha abituato, “Dance me all around the room / Spin me like a ballerina, super high / Dance me all around the moon / Light me up like the Fourth of July / Once, twice, three times the guy I / Ever thought I would meet, so / Don’t say you’re over me / When we both know that you lie“. Beautiful è una delle classiche ballate al pianoforte tipiche della Del Rey. In questa occasione appare quasi più fragile del solito. Una riflessione sulla tristezza e sulla sua importanza nell’arte, “What if someone had asked Picasso not to be sad? / Never known who he was or the man he’d become / There would be no blue period / Let me run with the wolves, let me do what I do / Let me show you how sadness can turn into happiness / I can turn blue into something“. Violets For Roses è una canzone personale e come sempre arricchita da un ritornello ben architettato e orecchiabile. Lana Del Rey continua a dimostrare tutto il suo talento di cantautrice, “There’s something in the air / I hope it doesn’t change, that it’s for real / The beginning of something big happening / And by the murder alleys / In the streets have ceased / And still the shadows haunt the avenue / The silence is deafening“. Segue Dealer che vede la partecipazione di Miles Kane, leader dei Last Shadow Puppets. Sonorità inedite per la Del Rey che si lascia andare a virtuosismi vocali fin qui inediti per lei. Qualcosa di nuovo che rompe le consuetudini alla quale ci ha abituati, Please don’t try to find me through my dealer / He won’t pick up his phone / Please don’t try my doctor either / He won’t take any calls / He’s no fucking spirit healer / He just can’t stop to talk / But he’s gone now for the weekend“. Thunder è ritorna alle sue sonorità riconoscibili, raccontandoci di un amore pericoloso. Una Lana Del Rey sui generis ma sempre benvenuta, “You roll like thunder / When you come crashin’ in / Town ain’t been the same / Since you left with all your friends / You roll like thunder / When you come crashing in / Regattas in the wind / That’s why you’re visiting“. Wildflower Wildfire riflette sul suo difficile rapporto con la madre. Una ballata sorretta dalle note del pianoforte e dalla voce fragile, pronta a spezzarsi in qualsiasi momento, “My father never stepped in when his wife would rage at me / So I ended up awkward but sweet / Later then hospitals, and still on my feet / Comfortably numb, but with lithium came poetry“. Nectar Of The Gods si spoglia di qualsiasi orpello e si affida al suono di una chitarra acustica. Lana Del Rey tiene bene la scena con la sola voce, attirando l’attenzione con la sua solita interpretazione, “What cruel world is this? Nectar of the Gods / Heroin gold in my veins, and you in my thoughts / I’m on the freeway racing at a million and I just can’t stop / I call you up twice, hang up the phone, call again, I wanna talk“. Living Legend parla ancora d’amore e non si discosta molto dallo stile di questo album. La semplicità resta la caratteristica più evidente in canzoni come questa, “But baby you, all them things you do / And those ways you moved, send me straight to heaven / And baby you, I never said to you / You really are my living legend“. La successiva Cherry Blossom, altra esclusa da Ultraviolence, è l’ennesima ballata di questo album. C’è il pianoforte e c’è la voce soave e leggera, non manca nulla, “And when you’re scared / I’ll be right here / You feel afraid / Mommy is there / It’s a cruel, cruel world / But we don’t care / ‘Cause what we’ve got / We’ve got to share“. L’album si chiude con Sweet Carolina è una ninna nanna scritta per la sorella in dolce attesa. Una canzone quindi molto personale e intima che mostra un altro lato della Del Rey, “Pink slippers all on the floor and woven nets over the door / It’s as close as we’ll get to the dream that they had / In the one night sixties, and / Jason is out in the lawn / And he powerwashes every time things go wrong / If you’re stressed out, just know you can dance to your song / ‘Cause we got you“.

Blue Banisters mi ha ricordato un po’ quello che fu Paradise dopo Born To Die. Una sorta di raccolta di canzoni, a volte un po’ slegate tra loro, che vogliono in qualche modo chiudere un capitolo. Quattrodici canzoni (più un breve strumentale) che a quanto pare non potevano andare perse. Come se uno scrittore pubblicasse i suoi appunti dopo una vita di romanzi. Lana Del Rey ripesca vecchie canzoni scartate e da forma ad emozioni private che non hanno trovato sufficiente spazio negli album precedenti a questo. Blue Banisters può risultare quindi un po’ frammentato ma è quella la sua natura, fragile e incerta come a volte appare la voce. Dunque qual è la risposta alla domanda sorta spontanea? Era necessario un album così più per la stessa Lana che per noi ascoltatori, che comunque ringraziamo e mettiamo Blue Banisters a fianco degli altri suoi album, consapevoli di non essere mai stati delusi dalla nostra Lizzy.

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Scie chimiche, abito bianco e country

Chi legge questo blog da qualche tempo sa che non sono un appassionato di pop da classifica e in generale di artisti particolarmente celebri, fatto salvo per qualche eccezione. Una di queste è sicuramente Lana Del Rey. Tutti ricordiamo il suo exploit con la canzone Video Games di dieci anni fa e il gran parlare che si è fatto del suo album Born To Die del 2012. Dopo essersi costruita un personaggio piuttosto originale ai tempi, ma mai eccessivo per la verità, ha saputo, come poche altre, formare un nutrito gruppo di imitazioni più o meno riuscite. Chi si aspettava di vederla diventare una pop star sforna hit è rimasto deluso. Infatti Lana Del Rey ha saputo piazzarsi a cavallo di un pop mainstream ad uno più indie, rimanendo piuttosto fedele a sé stessa. A distanza di due anni dall’ultimo Norman Fucking Rockwell! ecco Chemtrails Over The Country Club che riaccende il mio interesse verso un’artista che ogni volta prova ad uscire un po’ di più dal personaggio, rivelandosi sempre meritevole di attenzione.

Lana Del Rey

White Dress offre un inizio soft, sussurrato che ci ricorda subito che stiamo ascoltando un album della Del Rey. I ricordi di dieci anni di musica e la fatica degli esordi sembrano accumularsi in questa fragile ballata. Si comincia bene, lentamente e senza clamori, “When I was a waitress / Wearing a white dress / Look how I do this / Look how I got this / When I was a waitress / Working the night shift / You were my man / Felt like I got this“. La title track Chemtrails Over The Country Club riprende le pigre melodie tipiche di questa artista. Tutto funziona a meraviglia, dando vita ad una calda atmosfera famigliare e rilassata. Niente sorprese ma nessuno se le aspetta dopotutto, “I’m on the run with you, my sweet love / There’s nothing wrong contemplating God / Under the chemtrails over the country club / Wearin’ our jewels in the swimming pool / Me and my sister just playin’ it cool / Under the chemtrails over the country club“. Segue Tulsa Jesus Freak. Anche qui la nostra Lizzy non si discosta molto dal suo standard, riproponendo la sua formula vincente, canto svogliato e immagini di quotidiana decadenza. Bene, cos’altro chiedere? “You should stay real close to Jesus / Keep that bottle at your hand, my man / Find your way back to my bed again / Sing me like a Bible hymn / We should go back to Arkansas / Trade this body for the can of Gin / Like a little piece of heaven / No more candle in the wind“. Let Me Love You Like A Woman è una di quelle canzoni che rendono unica Lana Del Rey ma che offrono l’appiglio per qualche critica. Melodia lenta ma orecchiabile, una canzone d’amore nel suo stile rilassato e effimero che lascia il segno, “Let me love you like a woman / Let me hold you like a baby / Let me shine like a diamond / Let me be who I’m meant to be / Talk to me in poems and songs / Don’t make me be bittersweet / Let me love you like a woman / Let me hold you like a baby / Let me hold you like a baby“. Anche Wild At Heart riesce nella stessa impresa. Un bel ritornello, cantato con più convinzione del solito che rende questa canzone una delle più riuscite di questo album. Da ascoltare,”I left Calabasas, escaped all the ashes / Ran into the dark / And it made me wild, wild, wild at heart / The cameras have flashes, they cause the car crashes / But I’m not a star / If you love me, you’ll love me / ‘Cause I’m wild, wild at heart“. Dark But Just A Game è un brano che offre all’ascoltatore le diverse facce della musica della Del Rey, da quella più cantautorale a quella più pop e sfrontata. Una mix di sound ben congegnato che rappresenta un po’ un unicum nella sua discografia, “We keep changing all the time / The best ones lost their minds / So I’m not gonna change / I’ll stay the same / No rose left on the vines / Don’t even want what’s mine / Much less the fame / It’s dark but just a game“. Not All Who Wander Are Lost cita addirittura Tolkien, mettendo in luce le doti poetiche e riflessive della Del Ray. Uno splendido ritornello fa da cornice a strofe delicate e immagini di viaggio, “The thing about being on the road / Is there’s too much time to think / About seasons of old / As you pour yourself a drink / ‘Cause every time I said no / It wasn’t quite what I meant / If you know what I mean“. Con Yosemite si affacciano delle sonorità più folk, agevolate da un accompagnamento acustico che ben si sposa con la voce malinconica della Grant. Una decisa variazione dal punto di vista musicale, meno a livello di tematiche, “You make me feel I’m invincible / Just like I wanted / No more candle in the wind / It’s not like I’m invisible / Not like before when I / Was burning at both ends“. La successiva Breaking Up Slowly vede la partecipazione, un po’ a sorpresa di Nikki Lane, quasi a sottolineare la volontà della Del Rey di avvicinarsi alle sonorità dell’americana. Il duetto è riuscito, la canzone è buona ma la presenza di Nikki non è sufficiente a completare la metamorfosi, “‘Cause breakin’ up slowly is a hard thing to do / I love you only, but it’s makin’ me blue / So don’t send me flowers like you always do / It’s hard to bе lonely, but it’s the right thing to do“. Ci riprova con Dance Till We Die, tra citazioni e riferimenti all’immaginario country. Lana Del Rey rimane fedele a sé stessa e, a mio parere, c’è poco da fare ma non è necessariamente una cosa negativa, “I’ve been covering Joni and dancing with Joan / Stevie’s calling on the telephone / Court almost burned down my home / But, God, it feels good not to be alone“. Si chiude con For Free, cover dell’originale di Joni Mitchell che suggella le intenzioni della Del Rey. Insieme a quest’ultima ci sono Zella Day e Weyes Blood che ne confezionano una riuscita versione, “Now me I play for fortunes / And those velvet curtain calls / I got a black Limousine and two gentlemen / Who escort me through these halls / And I’ll play if you got the money / Or if you’re a friend to me / But the one man band / By the quick lunch stand / He was playing real good for free“.

Chemtrails Over The Country Club è un timido tentativo di Lana Del Rey di cambiare registro, scivolando verso sonorità che vanno alternative folk all’americana. Tutto ciò non mi è sembrato così marcato come certe recensioni che ho letto lasciavano intendere. Il folk americano è ben altra cosa e se anche musicalmente, in poche occasioni, ci si può avvicinare, il modo di cantare di Lana Del Rey resta immutato e ci riconduce inevitabilmente, di nuovo a Lana Del Rey. Questo è l’ennesimo ottimo album di quest’artista e ne ricalca le caratteristiche che tutti ormai, dopo dieci anni, ben conosciamo. Il tentativo di coinvolgere altre colleghe e di citare le paladine del folk ha prodotto una serie di canzoni ben bilanciate tra loro, sempre riflessive e malinconiche e quindi non molto distanti dalle ultime uscite. Insomma con Chemtrails Over The Country Club, Lana Del Rey fa di nuovo centro ma se l’obiettivo era quello di esplorare nuove sonorità allora non mi sento di dire “missione compiuta”, rimandando il mio giudizio al prossimo disco, forse già in uscita quest’anno.

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Non mi giudicate – 2019

Un altro anno è passato e sono qui per fare il punto su quanto di meglio è passato per le pagine di questo blog. Ogni anno è sempre più difficile fare delle scelte ma è bello poter passare in rassegna i dischi ascoltati e i libri letti. Ecco qui sotto, le mie scelte. Chi è rimasto fuori lo potete trovare comunque qui 2019. Ho aggiunto una nuova categoria per gli album esclusivamente strumentali, che quest’anno si sono aggiunti alla mia collezione.

  • Most Valuable Player: Rachel Sermanni
    Con il nuovo So It Turns questa cantautrice scozzese ritrova ispirazione e cresce sotto ogni aspetto, come artista, come donna e soprattutto come madre. Un ritorno che mi è piaciuto molto, nel quale ho ritrovato un’amica.
    Rachel Sermanni – What Can I Do
  • Most Valuable Album: Designer
    Fin dal primo ascolto non ho esitato a definire Designer come l’album dell’anno. Aldous Harding raggiunge la perfezione nell’equilibrio tra il suo folk acustico dell’esordio e l’astrattismo moderno. Consigliatissimo.
    Aldous Harding – Zoo Eyes
  • Best Pop Album: Norman Fucking Rockwell
    Lana Del Rey non sbaglia un colpo e non vuole fare la pop star. Sempre più lontana dall’apparire come una femme fatale, questo album racchiude uno spirito poetico trapiantato in un presente decadente e alla deriva.
    Lana Del Rey – Fuck it I love you / The greatest
  • Best Folk Album: Enclosure
    Le sorelle Hazel e Emily Askew realizzano un album che attraverso brani tradizionali lancia un messaggio attuale. Attraverso un accompagnamento musicale essenziale e la voce di Hazel, le Askew Sisters ci fanno riflettere.
    The Askew Sisters – Goose & Common
  • Best Country Album: The Highwomen
    Il supergruppo con Amanda Shires, Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile sia aggiudica il premio con un mix di canzoni dall’anima country ispirata dai maestri del passato. Il tutto segnato da un’ispirazione femminista.
    The Highwomen – Redesigning Women
  • Best Singer/Songwriter Album: Lucy Rose
    Il suo No Words Left è un album difficile da affrontare. Così personale ed intimo che lascia l’ascoltatore un senso di impotenza. Lucy Rose riesce più di tutte a trasmettere sé stessa attraverso le sue canzoni.
    Lucy Rose – Treat Me Like A Woman
  • Best Instrumental Album: The Reeling
    La giovane musicista Brìghde Chaimbeul con la sua cornamusa ha incantato tutti riuscendo a mescolare tradizione e modernità. Questa ragazza nel suo piccolo sembra avere tra le mani il futuro della musica folk.
    Brìghde Chaimbeul – An Léimras / Harris Dance
  • Rookie of the Year: Jade Bird
    Come poteva essere altrimenti. Jade Bird con il suo esordio si è rivelata una delle promesse più lucenti del panorama musicale inglese e non solo. Una ragazza che punta alla sostanza e rifiuta le mode passeggere. Da non perdere.
    Jade Bird – I Get No Joy
  • Sixth Player of the Year: Emily Mae Winters
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. In realtà il talento di questa cantautrice inglese era già emerso fin dal suo esordio folk, a sorprendere invece, è la sua scelta di virare verso un sound più americano. Coraggiosa e vincente con High Romance.
    Emily Mae Winters – Wildfire
  • Defensive Player of the Year:  Janne Hea
    Questa cantautrice norvegese ritorna dopo tanti anni con Lost In Time e lo fa riproponendo la sua formula vincente: semplicità, sincerità e poesia. Ho ritrovato un’artista che ho ascoltato per anni, in attesa di questo ritorno.
    Janne Hea – Lost In Time
  • Most Improved Player: Joseph
    Le sorelle Closner con il loro Good Luck, Kid brillano per energia e affiatamento. Un album pop curato nei dettagli che oscilla tra passato e presente, portando le Joseph ad un livello superiore rispetto a questo fatto sentire finora.
    Joseph – Green Eyes
  • Throwback Album of the Year: Savage On The Downhill
    Ho inseguito questo album della cantautrice americana Amber Cross per anni. Non mi ha deluso. Per niente. Tanta buona musica country folk, diretta e sincera. La voce della Cross è unica e non vedo l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da lei.
    Amber Cross – Trinity Gold Mine
  • Earworm of the Year: Benefeciary
    Il ritorno della band canadese dei Wintersleep con In The Land Of è un davvero un bel album. Ogni singola nota è ispirata dall’amore per il nostro pianeta. Questa canzone in particolare ci ricorda che siamo beneficiari di un genocidio.
    Wintersleep – Beneficiary
  • Best Extended Play: Big Blue
    Bess Atwell ritorna con un EP che rinfresca il suo sound in attesa di un nuovo album che spero arrivi presto. Questa cantautrice inglese conferma con questo disco tutto il suo talento e la sua voce unica.
    Bess Atwell – Swimming Pool
  • Most Valuable Book: Infinite Jest
    Non ci poteva essere che Infinite Jest come libro dell’anno. Il capolavoro di David Foster Wallace ancora oggi, a distanza di mesi, mi ritorna in mente con le sue storie assurde, tristi e tragicomiche.

collage

Tristezza fuori contesto

Chi segue questo blog sa che da anni sto aspettando un passo falso di Lana Del Rey. Sto aspettando che faccia un album sfacciatamente pop, sfacciatamente commerciale. In questo senso il nuovo Norman Fucking Rockwell partiva con il piede sbagliato. Nessuna collaborazione con rapper, elettronica, hit passeggere, ecc. Niente di tutto ciò. Anzi, un singolo di oltre nove minuti di durata. Una scelta tutt’altro che commerciale. Elizabeth Woolridge Grant sembrava voler confermare il suo status di pop star anticonvenzionale, lontana dalle mode e dagli eccessi delle suo colleghe, giovani e meno giovani. Il progetto Lana Del Rey, perché in fin dei conti è di questo che si tratta, apre un nuovo capitolo, il quinto della sua carriera e io sono di nuovo qui pronto ad affrontarlo.

Lana Del Rey
Lana Del Rey

La title track Norman Fucking Rockwell apre l’album. Una ballata al pianoforte che racconta una love story con un ragazzo più giovane, che ricorda per le sue sonorità l’album precedente. La Del Rey usa, come sempre, la sua voce ammaliante in un modo unico ed impeccabile, “‘Cause you’re just a man / It’s just what you do / Your head in your hands / As you color me blue / Yeah, you’re just a man / All through and through / Your head in your hands / As you color me blue / Blue, blue, blue“. Mariners Apartment Complex è una delle ballate più belle della Del Rey. Intima e personale, nella quale la cantautrice americana appare più vulnerabile. C’è sempre quella tristezza di fondo che mai l’abbandona, “You took my sadness out of context / At the Mariner’s apartment complex / I ain’t no candle in the wind / I’m the bolt, the lightning, the thunder / Kind of girl who’s gonna make you wonder / Who you are and who you been“. Gioiellino dell’album è senza dubbio Venice Bitch. Quasi dieci minuti di immagini malinconiche e suoni distorti. Qui Lana Del Rey fa tutto quello che una pop star non dovrebbe fare e ne esce vincitrice. Questo album vive intorno a questi dieci minuti di delreysmo puro, “Fear fun, fear love / Fresh out of fucks, forever / Tryin’ to be stronger for you / Ice cream, ice queen / I dream in jeans and leather / Life’s dream I’m sweet for you / Oh god, miss you on my lips / It’s me, your little Venice bitch / On the stoop with the neighborhood kids / Callin’ out, bang bang, kiss kiss“. Fuck It I Love You è una storia d’amore alla Del Rey, un po’ maledetta e sofferta. Qui si rivede un po’ l’anima autolesionista e pessimista dell’esordio, ricordandoci che quella Lana non è del tutto scomparsa, I moved to California, “I moved to California / But it’s just a state of mind / Turns out everywhere you go / You take yourself, that’s not a lie / Wish that you would hold me / Or just say that you were mine / It’s killing me slowly“. Unico guizzo squisitamente pop è la bella versione di Doin’ Time dei Supreme, che ha sua volta prendeva spunto da Summertime di Porgy & Bess del 1935. Lana Del Rey non si limita a farla sua ma si prende la libertà di cambiare parte del testo. Canzone perfetta per l’estate, con una Del Rey in splendida forma, “Summertime, and the livin’s easy / Bradley’s on the microphone with Ras M.G. / All the people in the dance will agree / That we’re well-qualified to represent the L.B.C. / Me, me and Louie, we gon’ run to the party / And dance to the rhythm, it gets harder“. Con Love Song si ritorna alla normalità. Ancora una ballata malinconica nella quale la Del Rey ci sguazza come solo lei può fare. Questo è il genere di canzone che ci fa amare od odiare quest’artista. Non sto nemmeno a dirvi da che parte sto, “Oh, be my once in a lifetime / Lying on your chest / In my party dress / I’m a fucking mess, but I / Oh, thanks for the high life / Baby, you’s the best / Passed the test and yes / Now I’m here with you and I“. Cinnamon Girl continua sulla stessa strada provandoci con un piglio più pop ma sempre in linea a quanto proposto finora dalla Del Rey. Voce melodiosa e calda accompagnata da una musica impalpabile,”There’s things I wanna say to you, but I’ll just let you live / Like if you hold me without hurting me / You’ll be the first who ever did / There’s things I wanna talk about, but better not to give / Like if you hold me without hurting me / You’ll be the first who ever did“. How To Disappear ci ricorda una Del Rey vintage già sentita in altre occasioni. Questa canzone è la più poetica e nostalgica di questo album che ben si sposa con l’immagine positiva del nuovo corso della cantautrice americana, “Now it’s been years since I left New York / I got a kid and two cats in the yard / The California sun and the movie stars / I watch the skies getting light as I write / As I think about those years / As I whisper in your ear / I’m always gon’ to be right here / No one’s going anywhere“. Con California continua l’operazione nostalgia, in maniera anche più marcata ed intensa. Immagini di una calda estate californiana si rincorrono venate di quel malessere tipico della nostra Elizabeth, “We’ll do whatever you want, travel wherever how far / We’ll hit up all the old places / We’ll have a party, we’ll dance till dawn / I’ll pick up all of your Vogues and all of your Rolling Stones / Your favorite liquor off the top-shelf / I’ll throw a party, all night long“. La successiva The Next Best American Record doveva essere inclusa nel precedente Lust For Life del quale ne eredità l’atmosfera. Lana Del Rey non cambia mai, viva Lana Del Rey, “My baby used to dance underneath my architecture / He was ’70s in spirit, ’90s in his frame of mind / My baby used to dance underneath my architecture / We lost track of space / We lost track of time“. The Greatest è davvero una gran bella canzone che vuole raccontare l’America decadente di oggi senza dimenticare che c’è ancora speranza. Tra le migliori di questo album, “If this is it, I’m signing off / Miss doing nothing the most of all / Hawaii just missed a fireball / LA’s in flames, it’s getting hot / Kanye West is blond and gone / Life on Mars ain’t just a song / I hope the lifestream’s almost on“. Con Bartender la nostra torna a giocare con la voce e il suo modo unico di cantare. Quel bart-t-t-tender in punta di lingua solo lei può cantarlo senza sembrare ridicola. Solo lei può dirlo in una maniera così sexy, “I bought me a truck in the middle of the night / It’ll buy me a year if I play my cards right / Photo-free exits from baby’s bedside / ‘Cause they don’t yet know what car I drive / I’m just tryna keep my love alive“. Happiness Is A Butterfly è la solita ballata notturna ma si lascia ascoltare volentieri come sempre, senza aggiungere niente di più all’album, “If he’s a serial killer, then what’s the worst / That can happen to a girl who’s already hurt? / I’m already hurt / If he’s as bad as they say, then I guess I’m cursed / Looking into his eyes, I think he’s already hurt / He’s already hurt“. L’album si conclude con Hope Is A Dangerous Thing For A Woman Like Me To Have – But I Have It. Se pensavate che la brava Lana avesse esaurito tutte le sue cartucce, vi siete sbagliati. Questa è una ballata di tutto rispetto. Intensa ed ispirata, profondamente malinconica. Da ascoltare, “There’s a new revolution / A loud evolution / That I saw / Born of confusion / And quiet collusion / Of which mostly I’ve known / A modern day woman / With a weak constitution / ‘Cause I’ve got / Monsters still under my bed / That I could never fight off / A gatekeeper carelessly dropping / The keys on my nights off“.

Norman Fucking Rockwell prosegue con il nuovo corso, più positivo e speranzoso, intrapreso dal Lana Del Rey dal precedente Lust For Life. Forse le lodi spese da altri per questo album sono state piuttosto eccessive ma a ben vedere dopo cinque album (e un’infinita di altre canzoni) quest’artista si riconferma una delle più originali e interessanti della sua generazione. Ha saputo trasformarsi e cambiare, riuscendo a non stancare mai ed evitando di uniformarsi al pop monotono di oggi. Solo Lana Del Rey può essere Lana Del Rey e chiunque prova ad emularla ha perso già in partenza. Questo album è un ulteriore passo in avanti della sua carriera (pare sia già pronta uno nuovo il prossimo anno) e mette in chiaro che il suo progetto è molto più serio di quello che poteva sembrare inizialmente. Quattordici canzoni, la maggior parte ballate, che si uniscono in un ritratto femminile ampio e potente. Tutto corredato dal modo lascivo di cantare della Del Rey oltre ad un’innumerevole presenza della parola fuck e le sue derivazioni. Ma questo è Norman Fucking Rockwell, questa è Lana Del Rey e non c’è niente da fare.

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Mi ritorni in mente, ep. 63

Siamo ad Agosto ed è tempo di ferie e proprio adesso che avrei più tempo per fare recensioni, mi manca la voglia. Dopotutto è pur sempre Agosto ed è tempo di ferie. Quindi mi predo una pausa e comincio ad anticipare qualche nuova uscita prevista dopo l’estate. Ecco qui una playlist di novità in arrivo (ho scelto Spotify per comodità anche se non lo uso molto e presto capirete perché). Si inizia con il country rock di Aubrie Sellers e la sua Drag You Down che anticipa il suo secondo album di prossima uscita. Si passa poi al ritorno di Angel Olsen con All Mirrors, tratto dall’album omonimo in uscita il 4 Ottobre. Un altro graditissimo ritorno è quello dei Bon Iver con Faith che ci svela una piccola parte del loro quarto album, dall’enigmatico titolo i,i che sarà pubblicato il 30 di questo mese. Così come il tanto annunciato Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey. Ho scelto Venice Bitch e i suoi nove minuti in perfetto stile Del Rey. Si torna al country con Dori Freeman e la sua That’s How I Feel. Il suo terzo album Every Single Star uscirà il 27 Settembre e non vedo l’ora. Le tre sorelle Joseph tornano con il 13 Settembre con Good Luck, Kid e Fighter è il singolo scelto per presentare l’album. Ci sono altre novità nelle prossime settimane ma per oggi mi fermo a queste sei. Buon ascolto!

Mi ritorni in mente, ep. 54

Finalmente è tempo di vacanze e come lo scorso hanno questo blog si prende una settimana di vacanza. Ed è proprio dal 2017 che arriva questa canzone. Numerosi album mi hanno accompagnato la scorsa estate ma c’è una canzone che più di altre che mi ritorna in mente.

Con White Mustang di Lana Del Rey è stato amore al primo ascolto. Canzone lenta, noiosa proprio come una giornata eccessivamente afosa. Un buon esempio della musica della cantautrice americana. Bhè, non resta che ascoltarla mentre si ozia beatamente cercando di salvarsi dal caldo.

Buone vacanze

 

Non mi giudicate – 2017

L’ultimo giorno è arrivato e come sono solito fare da tre anni, pubblico una lista dei migliori album di questo 2017 appena finito. Se devo essere sincero, questa volta ho fatto davvero fatica a scegliere. Non perché è stato un anno povero di buona musica, al contrario, ho dovuto “sacrificare” qualcuno che ha comunque trovato spazio per una menzione d’onore dopo gli album e gli artisti premiati. Per chi volesse avere una panoramica più completa di tutti i nuovi album che ho ascoltato quest’anno può trovarli tutti qui: 2017. In realtà, ci sono altri album che non hanno avuto spazio su questo blog, forse lo troveranno in futuro o forse no.

  • Most Valuable Player: Amy Macdonald
    Lasciatemi cominciare con il ritorno di Amy Macdonald e il suo nuovo Under Stars a cinque anni di distanza dall’ultimo album. Un ritorno che attendevo da tempo e non poteva mancare in questa rassegna di fine anno. Bentornata.
    Amy Macdonald – Down By The Water
  • Most Valuable Album: Semper Femina
    Laura Marling è sempre Laura Marling. Il suo Semper Femina è la dimostrazione che la Marling non può sbagliare, è più forte di lei. Ogni due anni lei ritorna e ci fa sentire di cosa è capace. Inimitabile.
    Laura Marling – Nouel
  • Best Pop Album: Lust For Life
    Non passano molti album pop da queste parti ma ogni volta che c’è Lana Del Rey non posso tirarmi indietro. Lust For Life è uno dei migliori della Del Rey che è riuscita a non cadere nella tentazione di essere una qualunque pop star. Stregata.
    Lana Del Rey – White Mustang
  • Best Folk Album: The Fairest Flower of Womankind
    La bravura di Lindsay Straw e la sua ricerca per questa sorta di concept album sono eccezionali. Un album folk nel vero senso del termine che mi ha fatto avvicinare come non mai alla canzone tradizionale d’oltre Manica. Appassionante.
    Lindsay Straw – Maid on the Shore
  • Best Country Album: All American Made
    Il secondo album di Margo Price la riconferma come una delle migliori cantautrici country in circolazione con uno stile inconfondibile. Non mancano le tematiche impegnate oltre alle storie di vita americana. Imperdibile.
    Margo Price – A Little Pain
  • Best Singer/Songwriter Album: The Weather Station
    Determinato e convincete il ritorno di Tamara Lindeman, sempre più a sua agio lontano delle sonorità folk. Il suo album omonimo è un flusso di coscienza ininterrotto nel quale viene a galla tutta la sua personalità. Profondo.
    The Weather Station – Kept It All to Myself
  • Rookie of the Year: Colter Wall
    Scelta difficilissima quest’anno. Voglio puntare sulla voce incredibile del giovane Colter Wall. Le sue ballate country tristi e nostalgiche sono da brividi. Serve solo un’ulteriore conferma e poi è fatta. Irreale.
    Colter Wall – Me and Big Dave
  • Sixth Man of the Year: Jeffrey Martin
    Forse la sorpresa più piacevole di quest’anno. Questo cantautore americano sforna un album eccellente. In One Go Around ogni canzone è un piccolo gioiello, una poesia che non risparmia temi importanti. Intenso.
    Jeffrey Martin – Poor Man
  • Defensive Player of the Year:  London Grammar
    Il trio inglese ritorna in scena con una album che riconferma tutto il loro talento. Con Truth Is A Beautiful Thing non rischiano ma vanno a rafforzare la loro influenza electropop lontano dalle classifiche. Notturni.
    London Grammar – Non Believer
  • Most Improved Player: Lucy Rose
    Con il suo nuovo Something’s Changing la cantautrice inglese Lucy Rose, si rialza dalle paludi in un insidioso pop che rischiava di andargli stretto. Un ritorno dove il cuore e le emozioni prendono il sopravvento. Sensibile.
    Lucy Rose – End Up Here
  • Throwback Album of the Year: New City Blues
    L’esordio di Aubrie Sellers è un album che ascolto sempre volentieri. Il country blues di questa figlia d’arte è orecchiabile e piacevole da ascoltare. Un’artista da tenere d’occhio il prossimo anno. Affascinante.
    Aubrie Sellers – Sit Here And Cry
  • Earworm of the Year: Church And State
    Non è stato l’anno dei ritornelli, almeno per me, ma non in questo post poteva mancare Evolutionary War, esordio di Ruby Force. La sua Church And State è una delle sue canzoni che preferisco e che mi capita spesso di canticchiare. Sorprendente.
    Ruby Force – Church and State
  • Best Extended Play: South Texas Suite
    Non potevo nemmeno escludere Whitney Rose. Il suo EP South Texas Suite ha anticipato il suo nuovo album Rule 62. Il fronte canadese del country avanza sempre di più e alla guida c’è anche lei. Brillante.
    Whitney Rose – Bluebonnets For My Baby
  • Most Valuable Book: Storia di re Artù e dei suoi cavalieri
    L’opera che raccoglie le avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda mi ha fatto conoscere meglio i suoi personaggi. Scritto dal misterioso Thomas Malory e pubblicato nel 1485, questo libro è stato appassionante anche se non sempre di facile lettura.

Questi album hanno passato una “lunga” selezione ma non potevano mancare altre uscite, che ho escluso solo perché i posti erano limitati. Partendo dagli esordi folk di Emily Mae Winters (Siren Serenade), Rosie Hood (The Beautiful & The Actual) e dei Patch & The Giant (All That We Had, We Stole). Mi sento di consigliare a chi ha un’anima più country, due cantautrici come Jade Jackson (Gilded) e Jaime Wyatt (Felony Blues). Per chi preferisce un cantautorato più moderno e alternativo c’è Aldous Harding (Party). Chi invece preferisce qualcosa di più spensierato ci sono i Murder Murder (Wicked Lines & Veins). Questo 2017 è stato un album ricco di soddisfazioni e nuove scoperte. Spero che il prossimo si ancora così, se non migliore.

Buon 2018 a chi piace ascoltare musica e a chi no…

best-of-2017

La dolce malia delle sere d’agosto

Lana Del Rey me la fatta di nuovo. Ogni volta penso che Elizabeth Woolridge Grant si tradirà, precipiterà in un pop da classifica insipido ma di successo. Il nuovo Lust For Life già si presentava bene in tal senso, vedendo la collaborazione di personaggi come The Weeknd, A$AP Rocky e Playboi Carti. Poi mi è bastata Love è mi sono sciolto. Lana Del Rey è tornata, mi sono detto, e io ci sono cascato un’altra volta. Ormai vittima del suo incantesimo, mi sono buttato anche su Lust For Life come ho fatto per i suoi precedenti album sperando, in un certo senso, di trovare un qualche motivo per puntare il dito contro di lei e finalmente liberarmi della sua malia. Pensate forse che ci sia riuscito?

Lana Del Rey
Lana Del Rey

Love apre l’album riportandoci a quella epicità rilassata dei suoi esordi. Quella cupezza di allora è lasciata da parte, si percepisce un’aura di speranza, di riscossa. Un ritornello magnifico su una musica “scenografica”. Una delle migliori di questo album, anzi una delle migliori canzoni di Lana Del Rey, “You get ready, you get all dressed up / To go nowhere in particular / Back to work or the coffee shop / Doesn’t matter ‘cause it’s enough / To be young and in love / To be young and in love“. Segue la title track Lust For Life che riprende il filone svogliato e depresso tanto caro alla cantautrice americana. Voce suadente e melodiosa che ben si accompagna a quella di The Weeknd. Contaminazioni hip-hop che richiamano le sonorità del primo Born To Die, “Take off, take off / Take off all of your clothes / They say only the good die young / That just ain’t right / ‘Cause we’re having too much fun / Too much fun tonight, yeah“. 13 Beaches è la classica canzone pigra e malinconica della Del Rey ma quanto ci piace! Il ritornello si accende ma la velocità è sempre quella: bassa. Siamo al sicuro, “It took thirteen beaches to find one empty / But finally it’s mine / With dripping peaches / I’m camera ready / Almost all the time“. Con Cherry si rispolverano le atmosfere vintage. Un bianco e nero, affascinante anche se consunto. Lana del Rey sfodera l’arma della sua voce calda, sensuale e non concede la grazia a nessuno, anche a costo di stenderlo con qualche parola di troppo, “Darlin’, darlin’, darlin’ / I fall to pieces when I’m with you, I fall to pieces / My cherries and wine, rosemary and thyme / And all of my peaches (are ruined)“. Meno di tre minuti per assaporare quel gioiellino chiamato White Mustang. Voce trascinata, parole smorzate. Sembra di essere in una giornata afosa, quando qualsiasi cosa è troppo. Come il ritornello cantato in quel modo. Non infierire Lana, “The day I saw your white Mustang / Your white Mustang / The day I saw your white Mustang / Your white Mustang“. Summer Bummer è il più influenzato dall’hip-hop di A$AP Rocky e Playboi Carti. Non sono un fan di questi duetti e ne farei volentieri a meno, ma Lizzy salva tutto senza troppo sforzo, “Hip-hop in the summer / Don’t be a bummer, babe / Be my undercover lover, babe / High tops in the summer / Don’t be a bummer, babe / Be my undercover lover, babe, mmm“. Groupie Love è malinconica quanto basta, con una Lana Del Rey sempre seducente, accompagnata dalle rime di A$AP Rocky. Questo duetto lo preferisco al precedente ma forse queste due canzoni sono le più deboli dell’album, “You’re in the bar, playing guitar / I’m trying not to let the crowd next to me / It’s so hard sometimes with the star / When you have to share him with everybody / You’re in the club, living it up“. Si torna su binari a me più congeniali con In My Feelings. Si torna ad una Lana Del Rey quasi rock, avviluppata dalle spire dei synth, trovando una via di fuga nel ritornello, “‘Cause you got me in my feelings (got me feeling so much right now) / Talking in my sleep again (I’m making love songs all night) / Drown out all our screaming (Got me feeling so crazy right now)“. Con Coachella – Woodstock In My Mind, Lana Del Rey rispolvera le atmosfere sognanti e malinconiche, di grande impatto. Un inno ai grandi festival musicali all’aperto che ogni anno richiamano migliaia di persone, “‘Cause what about all these children / And what about all their parents / And what about about all their crowns they wear / In hair so long like mine / And what about all their wishes / Wrapped up like garland roses / Round their little heads / I said a prayer for a third time“. Una semplice chitarra apre God Bless America – And All The Beautiful Women In It, una delle canzone più ispirate dell’album. Un ritornello che rimane in testa, cantato con quel modo svogliato e profondo ma incredibilmente efficace, tipico della Del Rey, “God bless America / And all the beautiful women in it / God bless America / And all the beautiful women in it, may you / Stand proud and strong / Like Lady Liberty shining all night long / God bless America“. Anche When The World Was At War We Kept Dancing ci fa ascoltare una Lana Del Rey in splendida forma, molto vicina all’ultimo album. Più fredda e distaccata, ma sempre affascinate come solo lei sa essere, “No, it’s only the beginning / If we hold on to hope / We’ll have a happy ending / When the world was at war before / We just kept dancing / When the world was at war before / We just kept dancing“. Beautiful People Beautiful Problems vede la partecipazione della cantautrice americana Stevie Nicks, un duetto riuscito per una delle canzoni più belle di questo album. La voce melliflua della della Del Rey contrasta con quella più ruvida della Nicks creando il giusto mix, “Blue is the color on the shirt of the man I love / He’s hard at work, hard to the touch / But warm is the body of the girl from the land he loves / My heart is soft, my past is rough“. Ma forse il cuore caldo e pulsante di questo album risiede nella bella Tomorrow Never Came. Anche questa volta un duetto perfetto ed emozionante con Sean Lennon, “I waited for you / In the spot you said to wait / In the city, on a park bench / In the middle of the pouring rain / ‘Cause I adored you / I just wanted things to be the same / You said to meet me out there tomorrow / But tomorrow never came / Tomorrow never came“. La successiva Heroin ripropone una Lana distante ma capace di evocare atmosfere mistiche e fumose. Nulla di nuovo sotto il sole di questa calda estate, “Topanga is hot tonight, the city by the bay / Has movie stars and liquor stores and soft decay / The rumbling from distant shores sends me to sleep / But the facts of life, can sometimes make it hard to dream“. Un pianoforte per Change. Una Lana Del Rey che vuole lanciare un messaggio di speranza, di cambiamento appunto. Una ballata poetica di rara sensibilità, “Every time that we run / We don’t know what it’s from / Now we finally slow down / We feel close to it / There’s a change gonna come / I don’t know where or when / But whenever it does / We’ll be here for it“. Get Free chiude l’album, facendoci riassaporare per l’ultima volta quel gusto vintage tanto cara alla nostra, in una della canzoni più personali e intime. Il suo modern manifesto, “Sometimes it feels like I’ve got a war in my mind / I want to get off but I keep riding the ride / I never really noticed that I had to decide / To play someone’s game or live my own life / And now I do / I want to move / Out of the black / Into the blue“.

Lust For Life è per Lana Del Rey un ritorno alle sonorità di Born To Die ma sapientemente arricchito dalle esperienze successive e dalla volontà, sempre maggiore, di essere una cantautrice piuttosto che una pop star. Tutto comincia con un sorriso in copertina, sullo sfondo (molto probabilmente) lo stesso pick-up che appare nel primo album. Poi vengono le canzoni e si nota un cambiamento nell’approccio, c’è un messaggio di fondo. Un messaggio che le nuove generazioni sanno tirare fuori da quella apparente evanescenza nella voce della Del Rey. Lust For Life è forse il miglior album di quest’artista per completezza ed ispirazione. Un album afoso, caldo e svogliato ma dal quale escono folate di una fresca brezza di speranza. Lana Del Rey è stata un’ottima compagna di quest’estate, senza bisogno di tormentoni o hit passeggere. E la risposta è: no, non sono riuscito a liberarmi dalla sua maila neanche stavolta.

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Mezza dozzina

Sei anni. Sono di nuovo qui, su questo blog, dopo sei anni esatti dal primo post. Lo scorso anno è stato un anno nel quale ho ascoltato davvero tanta musica, lasciandomi trasportare dalle sensazioni del momento, senza badare troppo al genere o dalla popolarità dell’artista. È stato anche un anno su Twitter che mi ha permesso di non perdere nessuna nuova uscita e fare nuove conoscenze. Il 2016 però è stato anche l’anno nel quale ho fatto più fatica a tenere aggiornato questo blog. Credo di non aver saltato neanche un weekend, anzi ho pubblicato spesso anche a metà settimana, ma è stato più impegnativo che in passato. Un po’ a causa di qualche impegno di lavoro e a volte anche per una semplice questione di voglia. Ho pensato, ma perchè non ascolto musica semplicemente senza doverne scrivere? Non conosco la risposta ma mi piace farlo e, anche se ci sono momenti nei quali vorrei mollare tutto, ho intenzione di continuare. Ma vediamo un po’ quali sono le curiosità statistiche di questi sei anni.

Il post più visto è La Tartaruga non ci può aiutare, uno dei primi post nel quale scrivevo di It il capolavoro di Stephen King. Buffo come un blog che tratta soprattutto di musica abbia come post più visto uno su un libro! Al secondo posto c’è una recensione recente, Fuori legge, dell’album From The Stillhouse dei Murder Murder. È il post di musica più visto, con grande distacco dal primo in classifica. Il terzo posto spetta a Mal di cuore altra recensione dell’EP Singing & Silence di Rorie, anche questa pubblicata lo scorso anno.
Tra i temini di ricerca più usati per arrivare a questo blog, il più ricercato è “lana del rey“. Seguono “amy macdonald” e “wintersleep hello hum“. Ma la Tartaruga di Stephen King in tutte le sue varianti è la più ricercata.

Ma ci sono alcune ricerche piuttosto divertenti. Qualche esempio? “dove posso scaricare l’ultimo album di amy macdonald 2012” è la classica domada diretta a Mr Google. Non è chiaro avesse intenzioni piratesche o meno. C’è chi è più chiaro in merito: “dove si compra life in a beautiful light“. La curiosa “voglio ascoltare tutte le canzoni che a cantato peter buck“, che oltre a contenere un errore grammaticale, è anche piuttosto vaga. Caro amico, insieme ai R.E.M., Peter Buck non cantava ma da solista ne ha fatto un po’. Quante di preciso non ne ho idea. Ma qualcuno ha ancora dei dubbi, “peter buck canta“. Poi c’è chi cerca canzoni di seconda mano: “aurora aksnes canzone usata“. Quest’altra è un po’ vaga ma efficace, “cantante rossa inglese“. Sarà Florence Welch? Poi c’è l’interessante: “parole che escono da sole“. Non me ne viene in mente nessuna. Tutte in coppia. Una disperata: “believe la cantaurtice di believe“. Mi dispiace ma non la so. Anche io ho fatto una richerca del genere una volta: “quale era la canzone che faceva mmmm mmh mmh“. Questa la so, è Mmm Mmm Mmm Mmm dei Crush Test Dummies. Un po’ confusa la ricerca di: “coeur de pirate la canzone francese con i tatuaggi“. Una canzone con i tatuaggi? Non so come ma anche una ricerca come questa: “come s’intitola la canzone di oggi del stacchetto delle veline” ha portato al mio blog. Non avrà trovato quello che cercava. Il dubbioso: “battute nonsense fanno ridere?“. Dipende, tu ridi? In cerca di conferme chi ha cercato, “l’indie rock sta diventando mainstream“. Problemi con l’inglese: “vorrei ascoltare a month of sathurdei dei r e m” oppure “canzone rem con parole streig wuo oh“, “ho sentito una cazone ritornello fa est see you est see mi” ma peggio chi li ha con l’italiano, “cuando cina avuto 500 milioni di abitanti“. Quest’ultima è una ricerca sensata per il mio blog. Davvero. A voi scoprire il post in cui ne parlo. Una radio con solo Florence + The Machine? Possibile, “in che radio posso ascoltare florence?” ma non a tutti piacerebbe, infatti: “florence welch non mi piace“. Ho letto un paio di libri sui R.E.M. e so quasi tutto su di loro ma questa mi mancava: “rem my losing religion la cantano dei preti“. Addirittura si entra nel mistero, “antichi sacerdoti di culto che cantavano rem my religion“. Qualcuno accusa di plagio Amy Macdonald ma non è sicuro di chi sia la canzone originale, “chi  ha cantato  e suonato per primo ‘life in a beautiful light’ ?“. Ma anche Lovecraft non la racconta giusta: “lovecraft non si è inventato niente“. Qualcun’altro ha le idee ben chiare su cosa cercare: “agnes obel sexy“. Giuro che non so nulla di quello che succede lì dentro: “la camera da letto di miley cyrus“, si insiste: “immagini o famo strano“. Spero sempre che ognuno trovi ciò che cerca, perchè questa è difficile: “per radio circola una canzone tipo scozzese“. Questa poi è ancora più difficile, “ultimamente sento una canzone dei rem“. Fantasie su Lana Del Rey: “lana del rey dorata“, fammi sapere quando trovi qualcosa, anche se ormai lo sanno tutti che “lana del rey rifatta“. Ma soprattutto: “a quanto pagano la lana quest’anno“? Qualcuno chiede una “descrizione oggettiva di dracula“, una fotografia sarebbe l’ideale. Anzi no, i vampiri non vengono nelle foto. Probabilmente la stessa persona ci ha riprovato per un’altra strada: “descrizione oggettiva di un morto“! Questa non l’ho capita: “осенняя фотосессия в парке идеи“. Non è facile ma c’è chi ci riesce: “mi distinguo dalla massa“. “qualcuno conosce la tv marchio obell?“, no mi dispiace. C’è ne anche per Anna Calvi: “anna calvi cosa vuol fare capire con la canzone eliza“, saranno anche affari suoi. Strani personaggi si affacciano in questo blog: “come far venire dal passato. una antenata“. Personaggi anche piuttosto confusi, ““in francese” titolo canzone donna “anno fa” paradise” ma sempre determinati: “canta una canzone in inglese stando seduta“. I London Grammar non piacciono a tutti, c’è chi sa fare di meglio: “la versione bella della canzone hey now dei london grammar“.

Spero abbiate trovato divertente questo “approfondimento” sui termini di ricerca che hanno condotto qui i visitatori in questi sei anni. Per quest’anno prevedo un’interessamento maggiore da parte mia alla musica folk anglosassone e al country americano. Non mancherò le nuove uscite di vecchie conoscenze ma soprattutto non mi darò limiti per quanto rigurda generi e stili. Un altro anno di blog ha inizio e spero, come sempre, di riuscire a tenerlo aggiornato regolarmente. Ne approfitto per condividere il nuovo singolo della band inglese To Kill A King intitolato The Problem Of Evil

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