Sotto lo stesso cielo

Questa non è una recensione come le altre. Ho atteso questo momento per cinque anni, tanto è il tempo passato da Life In A Beautiful Light, terzo album della cantautrice scozzese Amy Macdonald. La scorsa settimana è uscito Under Stars, il suo nuovo album dopo un’interminabile attesa. Se ho iniziato ad ascoltare musica così tanto come in questi anni lo devo, in qualche modo, al lei. Se questo blog è andato avanti per tutti questo tempo, lo devo a questi cinque anni passati ad aspettare questo album. Per ingannare l’attesa ho ascoltato altro ma non ho mai dimenticato Amy Macdonald. In cinque anni sono cambiate parecchie cose ma neanche poi tante. Mi ricordo quando ascoltavo Life In A Beautiful Light in treno, di ritorno dai primi giorni di lavoro, in una calda estate. Il lavoro è lo stesso e il treno anche. Io e Amy siamo più vecchi di cinque anni. Questo Under Stars si è fatto attendere ma alla fine è arrivato. La domanda che è naturale porsi è: ne è valsa la pena? Per scoprirlo non resta che ascoltarlo. Nella versione deluxe naturalmente.

Amy Macdonald
Amy Macdonald

Il singolo Dream On apre l’album e ritroviamo subito il pop rock accattivante e orecchiabile della Amy di sempre. Un ritornello che è finito per girarmi in testa per settimane e continuerà a farlo, un buon segno ma sopratutto un buon inizio, “Live on and dream on / I’m on top of the world and I’m on the right track / I’m on top of the world and I won’t look back“. La title track Under Stars è un trascinante pop che ci ricorda che siamo tutti sotto lo stesso cielo, nonostante le distanze. Una delle mie preferite di questo album e sono tante, “In life you gotta find your feet / In life you gotta dare to dream / Don’t worry / We still love you / You still feel it even when we’re miles apart / You’re living under Stars and Stripes“. Con Automatic, Amy Macdonald condivide con noi le emozioni di viaggiare per i mondo con sincerità e semplicità. Qui, come in altri brani, si sente tutta l’influenza di Bruce “The Boss” Springsteen, “Feeling sadness, feeling shame / I’ve taken the easy way out over and over again / Open road, I’m coming home / I’m free to live, I’m free to roam“. La successiva Down By The Water ci fa ascoltare una Macdonald inedita quasi soul. A sottolinearlo c’è la partecipazione della cantate soul Juliet Roberts. Uno dei suoi brani più toccanti e in questo album non il solo, “I tried to call you but you didn’t hear / Darkened feeling what you’re doing here / Where’s your baby? Where’s your girl? / Out in the water, out in the world“. Segue la bellissima Leap Of Faith dove tutto è perfetto. Melodia, ritmo ed un’interpretazione carica di energia. Mi piace cercare canzoni che rappresentano al meglio un album, ecco, questa potrebbe essere una di quelle, “I don’t know, if it’s Yes or No from me, but / All You do is hold me back / Standing on the water’s edge / Dreaming of a better place / I’d feel the air again / I’d feel the air again“. Amy Macdonald con Never To Late mette a segno un colpo basso per i nostri deboli cuori. Senza dubbio una delle sue canzoni più emozionanti. Un canzone di speranza e conforto, una di quelle canzoni che ti portano altrove, “Ain’t no use in sitting around / Waiting for the world to change / Never too late to stand your ground / Do what it takes to make them proud / And never too late the change your mind / The book has not been written / The page is blank, the scene is set / Let’s start at the beginning“. Si ritorna al pop rock con Rise & Fall. Ispirata al personaggio di Frank Underwood, questa canzone sarà in grado si scaldare il pubblico durante i concerti. Amy sa bene come si fa, “Everything must come to an end / Don’t rely on the trust of men / Remember how it used to be? / People helping those in need“. Un po’ di USA nella successiva Feed My Fire, una canzone d’amore come sempre carica di energia e buoni sentimenti, convogliati dalla voce inimitabile della Macdonald, “Picking up the pieces of the heart you left behind / Put me back together this new love I’ve found / Basking in the glory, masking out the pain / These memories in my head will never be the same again“. The Contender è un altro bel pezzo pop rock con un ritornello che ti fa venire voglia di correre. Una canzone che trasuda libertà e sacrificio, una Amy Macdonald in gran forma, “And I’ve got the scars to prove I’ve been there / I’ve got the marks from when I tried / I’ve covered miles and miles to get here / Only for you to cast me aside“. Prepare To Fall è, secondo me, la canzone che più rappresenta la crescita di quest’artista. Una canzone matura, quel genere di canzone mi sarebbe piaciuto trovare nel nuovo album ed eccola qui. Mi piace. Tutto qui, “Come rain, come shine / You’re happy all the time / Your dreams they didn’t come true / What the hell happened to you / Are you waiting for the call / I guess they didn’t get through it all / Be like me / Prepare to fall / Prepare to fall“.  Chiude l’album la splendida ballata From The Ashes, riflessione su tempo che passa e l’incertezza del futuro. Un bel modo per salutarsi, ancora una volta, “All my hopes and memories are blowing in the wind / I started off with nothing and I’m back her once again / The little things in life are free / The simple things like you and me / And like love, like love, like love, like love“. Prima dei titoli di coda c’è ancora qualche canzone riproposta in versione acustica e una bella (e immancabile) cover di I’m On Fire, del mitico Boss.

Under Stars arriva dopo anni passati ad ascoltare le nuova canzoni dai video di qualche concerto in giro per l’Europa. Ora trovo quelle canzoni sotto un unico nome, tutte insieme, nella loro forma migliore. Sotto quel sorriso e i suoi occhi azzurri (e qualche tatuaggio in più) ho trovato una Amy Macdonald ispirata e con tanta voglia di fare bene. Non esiste un album più bello dell’altro ma Under Stars è sicuramente quello nel quale le canzoni vanno ad incastrasti una con l’altra, c’è maggiore coesione tra loro che in passato. Si tratta del primo album dove Amy Macdonald a non ha scritto tutte le canzoni da sola e questo ha reso più ricca la tavolozza di colori a sua disposizione. Under Stars andrà a ripetizione per il resto dell’anno e oltre. Spero solo che il prossimo album non si faccia attendere come questo. Ma per ora mi godo il ritorno di un’artista alla quale sono legato particolarmente. Mi sono posto una domanda all’inizio di questo post e la risposta è una sola: sì.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube

La vita è un gioco

Lo scorso anno ho avuto il piacere di ascoltare l’album d’esordio della cantautrice folk scozzese Claire Hastings (Un po’ di tempo insieme) e quest’anno non ho voluto lasciarmi scappare un altro esordio che la riguarda. Insieme a Gráinne Brady, Heather Downie e Tina Jordan Rees forma un gruppo che si fa chiamare Top Floor Taivers. Il loro album intitolato A Delicate Game ha subito attirato la mia attenzione. Le ragazze ripropongono canzoni folk della tradizione, cover oltre che comporre brani originali. Personalmente trovo che scoprire nuova musica attraverso artisti che già si conoscono è una cosa che mi piace fare, perché mi porta su strade nuove e inesplorate senza però perdere riferimenti. Ebbene, le Top Floor Taivers sono un esempio perfetto di come si arriva a scoprire nuova musica.

Top Floor Taivers
Top Floor Taivers

Apre l’album una bella versione di una ballata scozzese intitolata Johnnie o’ Braidieslee. Una storia di un fuorilegge e ladro di cervi arricchita dalla musica e dalla voce della Hastings. Davvero un ottimo inizio che ci fa apprezzare tutte le caratteristiche di questa band, “Oh Johnny, he shot, and the dun deer lapp’t / He wounded her in the side / Aye, between the water and the wood / The gray dogs laid their pride“. La successiva Pincess Rosanna è una cover di un brano originale del cantautore scozzese Findlay Napier che fu ispirato dalla scritta “RIP Princess Rosanna” apparsa sul ponte di Jamaica Street sopra il fiume Clyde a Glasgow e poi rimossa. Una versione che suona come un classico folk, “Princess Rosanna graceful and tall / Was she pushed or did she fall / Didn’t make the front page just an inch or two inside / Princess Rosanna drowned in the Clyde“. The False Bride (conosciuta anche come I Once Loved A Lass…) è una canzone tradizione scozzese della quale esistono varie versioni ma che raccontano la stessa storia. Cercando qualche informazione in più ho trovato una lunga ricerca fatta da un appassionato: “I Once Loved A Lass…” – The Story Of The “False Bride” And Her Forsaken Lover. A seguire una cover in chiave folk di Everybody Knows del compianto Leonard Cohen. La voce dolce della Hastings è l’opposto di quella profonda e ruvida di Cohen ma dà alla canzone un piglio meno cupo, “Everybody knows that the dice are loaded / Everybody rolls with their fingers crossed / Everybody knows that the war is over / Everybody knows the good guys lost / Everybody knows the fight was fixed“. Un’altra cover nello stile Top Floor Taivers è 1952 Vincent Black Lightning di Richard Thompson. Ancora una volta questa versione di discosta molto dall’originale ma il lavoro che è stato fatto da queste ragazze, gli rende piena giustizia, “Well he reached for her hand and he slipped her the keys. / He said, ‘I’ve got no further use…for these. / I see Angels on Ariels in leather and chrome, / Swoopin’ down from Heaven to carry me home’“. Jeannie And The Spider è un brano originale del gruppo, che va ad incastrarsi perfettamente tra le canzoni tradizionali e le cover quasi fosse una di esse. Anche Campfires è una canzone originale, carica di sentimento e nostalgia. Si sente tutta la sintonia del gruppo, l’unione di quattro musiciste di talento. Il punto più alto dell’album è raggiunto, secondo me, con la cover di Rambling’ Rover, classico di Andy M. Stewart. Una versione fresca e giovane, leggera da canticchiare in continuazione. Le Top Floor Taivers mettono a segno un gran colpo, “Oh, there’re sober men in plenty, / And drunkards barely twenty, / There are men of over ninety / That have never yet kissed a girl. / But gie me a ramblin’ rover, / And fae Orkney down to Dover. / We will roam the country over / And together we’ll face the world“. 10 Little Man esce dalla stada finora seguita dal gruppo. L’atmosfera è cupa e sognante ma il testo prende spunto da una filastrocca per bambini. Meravigliosa la musica e l’idea di fare una canzone così, non c’è modo migliore di chiudere questo album, “Ten little men standing straight / Ten little men open the gate / Ten little men starts to sing / Ten little men bow to the king“.

A Delicate Game è un album che mantiene un stile del tutto particolare per tutta la sua durata. Tutti brani sembrano dei classici tradizionali anche se non tutti lo sono. La parte strumentale risulta importantissima per ogni canzone come la melodiosa voce di Claire Hastings lo è allo stesso modo. Le Top Floor Taivers sono un gruppo musicale vero e proprio dove il contributo di ciascuno dei suoi membri si percepisce. A Delicate Game è un album davvero piacevole da ascoltare, fatto con attenzione e cura nei dettagli.

 

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Soundcloud / Bandcamp

Come ladri nella notte

Dietro il nome Folk Is People si nasconde la cantautrice americana Stacey Bennett e il suo gruppo che mi hanno incuriosito, tempo fa, con la canzone Crocodile. Un folk rock irresistibile e carico di energia. Io, come al solito, non riesco a limitarmi ad una sola canzone e fortunatamente i Folk Is People hanno pubblicato lo scorso anno il loro album d’esordio intitolato The Devil Always Comes. Non potevo lasciarmi scappare l’occasione di ascoltare questo album considerando il fatto che contiene tutti gli ingredienti che preferisco: una cantautrice, folk rock, indie rock, una manciata di USA e il caro vecchio banjo.

Stacey Bennett
Stacey Bennett

Ed è proprio Crocodile ad aprire l’album. Un travolgente mix di ritmo e melodia guidato dalla voce della Bennett. Un concentrato di energia alla quale è impossibile rimanere indifferenti. Una delle migliori canzoni dell’album, “With shovel and brick / You tore into sarcophagus and pulled me to my feet / The connotation lies within frame of mind / You sent your spell, broke me from my hell / And stole me into paradise“. La successiva Pyramids è un bel pezzo indie rock di forte impatto che mette in mostra tutta la capacità di songwriting della Bennett. Il ritornello è orecchiabile e accattivante, cosa chiedere di meglio? “All your thoughts were pyramids / And all your friends were pharmacists / Like what was never is…but it’s now / Of dial tones, a reluctant past those ghosts keep calling back / And you’re anchored now without slack and sinking“. Bury Me In Viriginia cavalca le origini americane del gruppo. Perfetto come singolo, trascinante e facile da canticchiare. L’ultimo desiderio di una cantautrice in un brano tutt’altro che triste, “I don’t want to but when I die bury me in Virginia / When I’m gone and it all goes black / Sing my songs like they were meant for you / They were meant for you!“. In Bloodletting sente un banjo che detta il ritmo di un folk rock irresistibile. Tre minuti che incredibilmente sembrano durare meno, sarà la musica, sarà il canto, chissà, “I feel the sidewalk pushing against my feet / I count to ten and start again trying not to think / Of the mattress we shared on your apartment floor / Where I closed my eyes and realized / Baby, I loved you more“. Savoiur ha un testo originale, cantato dalla Bennett con bravura e carisma. Parole semplici e dirette, che colpiscono come una pistola. Da ascoltare, “I don’t need a savior cuz I’ve got a gun / And I don’t wanna think of all the bad things I’ve done / Like when I do, it’s what I do that’s nothing to you / So I’ll sit upon this shelf cuz I got nothing to prove, do you?“. La title track The Devil Always Come è una ballata che rallenta la marcia iniziata dalle canzoni precedenti. Stacey Bennett dimostra di avere una lato più sensibile e folk nel quale può continuare ad esprimersi con la consueta energia, “I was a child, I was free / And I fought to believe that we are infinite / But we aren’t all poets / We are all lies / And the devil always comes to my side“. Lo stesso si può dire della bella City In The Window dove si sente la sintonia tra Stacey Bennett, autrice di tutti le canzoni, e la sua band. Un’altra canzone orecchiabile ma tutt’altro che banale, “Your heart moves in two directions / Your eyes always on the moon / Your life spills in one dimension / But the city in the window never changes shape“. Con Oh! Nola si ritorna al rock tirato, sorretto dalle chitarre che nel finale rallenta trovando il suo compimento. Una canzone di un amore disperato, “We fled into the bars under blood moonAnd hash tagged scars / Enraged by politics, the placement of planes, their intersections / I opened my eyes, “Baby I’m in love with you!” / My head on your chest, the air mattress, this spinning room / Oh! Nola don’t break me now“. Ancora più rock con Tidal Wave. Da fan dei R.E.M., quale sono, non ho potuto fare a meno di notare l’influenza che questo gruppo può aver avuto in questa canzone. Si sente l’impronta del southern rock degli inizi di Stipe e soci, “Forged in my new skin / I begin pretend sunken eyes like ships forgotten amidst the sea as it spits and sways / Of kerosene, a sick machine, a wakeup call that ends in dream“. All The Tiny Parts è una dimostrazione di talento da parte della Bennett che incastra alla perfezione musica e parole. Un altro punto a suo favore, “So call the cops if you want to but don’t believe in accidents / You’re not sick and you’re not dying / Leave the light on, don’t go back to bed / Solace they scream, make me believe / I walked on fire for you / So let me be, should I concede? / I sank the line for you“. Chiude la splendida ballata The Siren Song. La voce della Bennett si rivela versatile e, come ho già scritto, carismatica. Anche il testo di questo brano è carico di immagini vivide condensate in poco più di due minuti, “The sirens sing a song of sex / A tale of death, port wine pouring from her decks / With gunpowder, a coward’s hex / Burn the wench, she’s derelict!“.

The Devil Always Comes si è rivelato una sorpresa al di sopra delle mie aspettative. Stacey Bennett esprime una maturità invidiabile per un esordio ed è ben supportata dalla sua band. Folk Is People è un progetto interessante sopratutto perché con questo album dimostra di saper affrontare tutte le sfumature della musica folk e rock americana. La lunghezza di una album può dire tutto e niente di sé ma in questo caso, i suoi trenta minuti abbondanti significano solo una cosa: idee chiare e la volontà di essere diretti e sinceri. E non si può negare che i Folk Is People ci siano riusciti.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Soundcloud / Bandcamp

Nel giardino segreto

Da tempo seguivo con interesse la musica di Amy Goddard, cantautrice gallese, che mi ha catturato grazie al suo folk delicato, d’altri tempi. Il suo secondo album intitolato Secret Garden è stato pubblicato lo scorso anno e raccoglie quattordici canzoni di rara bellezza e sensibilità. La mia scoperta del mondo del folk oramai prosegue senza sosta e ogni volta mi avvicino sempre di più alla sua forma più pura e incontaminata. Il folk anglosassone mi affascina perché evoca luoghi e storie che da sempre attirano la mia attenzione. Amy Goddard riesce, con la sua musica, a fare questa magia. Perché, in fondo, di magia si tratta.

Amy Goddard
Amy Goddard

Words Of Sweet Music apre l’album e raccoglie le caratteristiche di questa cantautrice. La chitarra tesse la trama della melodia e la voce completa l’opera. Amy Goddard ha una voce delicata, quasi sussurrata. Un piacere ascoltarla. Anche la successiva Alright Again ha le stesse caratteristiche ma un piglio più disteso anche se affronta il tema della depressione. Il canto della Goddard è davvero incantevole e irresistibile. Una delle migliori canzoni dell’album. La title track Secret Garden ha un fascino del tutto particolare. Il suono gentile della chitarra e la voce della Goddard si uniscono dando vita ad una canzone straordinariamente vivida ed emozionante. La successiva Gladdie è ispirata dalle lettere inviate dalla trincea alla bisnonna di Amy. Una canzone sospesa nel tempo, dal buon sapore delle cose buone del passato, “Gladdie I’m longing to see you, / And to hold your small hand close in mine. / Gladdie I just can’t wait to see you. / Keep the home fires burning and bright, / Keep them burning by day and by night“. Segue New Day che ci culla con la sua melodia incantevole e la voce che va completare la magia. Un’altra canzone di straordinaria sensibilità, frutto del talento di questa ragazza. Jessie’s Song è una ballata folk ispirata dalla una frase di Emily Dickinson, “I cani sono migliori degli esseri umani perché sanno ma non dicono”. Una canzone carica di gioia e serenità. Una canzone nel perfetto stile di questa cantautrice. Con The Highwayman si cambia registro. L’atmosfera è più cupa e triste ma riserva quel fascino indescrivibile, se non attraverso la musica e le parole come poesia. Si tratta infatti di un adattamento del poema omonimo di Alfred Noyes. The Rhythm Of The Road ha il potere di portati altrove. Poche canzoni ci riescono ma questa è sicuramente una di queste. Amy Goddard dà dimostrazione del suo talento. La successiva Miner’s Lullaby è una cover di una canzone del cantautore americano Bruce ‘Utah’ Phillips. Non nascondo che è una delle canzoni che preferisco di questo album, “Husband, sleep, lay your head back and dream / A slow fallen leaf borne down to the stream / Then carried away on the wings of morphine / Homeward far over the sea“. Stargazing è un altro piccolo gioiellino di questa cantautrice. Una canzone delicata e sognante che vuole esprime tutta la bellezza della natura. The Maiden’s Leap è un bel brano folk ispirato ad una leggenda legata al castello di Perthshire. Ascoltare canzoni folk legate alle leggende e alla tradizione ha sempre un significato speciale. Nella bella Near The Sea si sente quella particolare caratteristica calmante del mare, in questo caso dell’oceano. Amy Goddard riesce a cogliere al meglio questa sensazione, trasformandola in musica. Così come in Light Beyond The Clouds che conferma tutta la sensibilità di questa artista. Chiude l’album la cover della celebre Dancing In The Dark di Bruce Springsteen nello stile della Goddard. Una bella cover di un’altrettanto bella canzone.

Amy Goddard in questo Secret Garden ci porta per quasi un’ora in questo giardino segreto dove lo scorrere del tempo sembra essersi fermato. Dove la musica folk è legata al passato quanto al presente, perché è senza tempo. La chitarra di Amy è la sua compagna fedele dalla quale escono melodie cariche di fascino e significato. Secret Garden è un album da ascoltare per intero, sgombrando la mente e lasciandosi trasportare. Il ritratto che ne esce è quello di una cantautrice ancora in grado di sorprendersi e di apprezzare le piccole cose. Per chi come me ama la tranquillità e la solitudine, questo album rappresenta una perfetta colonna sonora.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Soundcloud / Bandcamp