Ancora un altro libro, ep. 16

È giunto il momento di dare spazio alle mie letture, l’ultimo post di questo genere risale alla metà dello scorso dicembre. Qui brevemente cercherò di riassumere le mie impressioni raccolte di volta in volta termino un libro.

Cominciamo da Le strade di Laredo di Larry McMurtry. Ambientato circa vent’anni dopo i fatti narrati nel precedente Lonesome Dove, questo romanzo racconta una caccia all’uomo tra Texas e Messico. I protagonisti sono più o meno gli stessi, solo più vecchi e abituati ad una vita diversa, a parte il capitano Woodrow Call che si mette sulle tracce di un pericoloso assassino. La storia però procede lentamente e bisogna attendere tre quarti di libro prima che succeda qualcosa di significativo. Nel frattempo gli assassini psicopatici diventano due e uno è di troppo e, a conti fatti il suo peso nella trama è praticamente nullo. Inoltre ci sono troppe coincidenze, comportamenti inspiegabili da parte di alcuni personaggi, situazioni poco credibili e numerose ripetizioni. Anche i dialoghi non sono all’altezza del suo predecessore ma in generale è un romanzo ben scritto. Le strade di Laredo è una storia profondamente triste e diversa da quella di Lonesome Dove, nella quale non c’è redenzione per nessuno.

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Ancora un altro libro, ep. 15

Prima che finisca questo 2023 è bene che io raccolga qui le mie impressioni su gli ultimi libri che ho letto dallo scorso mese di luglio.

Il sesto volume della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind, intitolato La fratellanza dell’ordine, vede Richard e Kahlan impegnati ancora contro la minaccia dell’Ordine Imperiale. Come al solito sono costretti a dividersi e, come al solito, pensano sia per sempre. Ed ecco che il dramma della separazione inizia a diventare troppo ricorrente in questa saga. Questa volta è colpa di Nicci, una Sorella dell’Oscurità che inizialmente sembra essere un personaggio spietato e pericoloso ma poi Goodkind finisce per stravolgere tutto troppo velocemente, rendendolo anonimo. Richard, al solito, è bravo a fare tutto e questo spesso lo fa diventare prevedibile e in questa occasione anche un po’ insopportabile. La trama è meno complessa dei precedenti, con un finale insipido, piena di riempitivi (il capitolo 19 è inutilmente lungo) e carica di un significato piuttosto banale. Sappiamo bene che Goodkind voleva diffondere il relativismo ma per ora non mi sembra niente di così eccezionale. Sarebbe stato meglio si fosse preoccupato di essere meno infantile e semplicistico in alcuni passaggi e avremmo avuto un più che discreto fantasy d’intrattenimento.

Il secondo libro della trilogia di Stoccolma, intitolato 1794 e scritta da Niklas Natt och Dag, riprende le atmosfere del precedente e in parte anche le tematiche. Un thriller storico arricchito dalle descrizioni della città e dei suoi vicoli. Sembra quasi di vederla e di sentire gli odori nauseanti che le pervadono e di toccare le difficili condizioni di vita di allora. La scrittura è pulita, con capitoli spesso brevi e significativi, mai inutili. La struttura del romanzo è particolare, si passa da un punto di vista all’altro e si fanno dei passi indietro che poi permettono di comprendere meglio le vicende successive. Non mancano violenza e volgarità, le quali possono impressionare qualche lettore. Alla fine restano alcune questioni in sospeso che si concluderanno nel terzo volume.

Underworld di Don Delillo è così denso di contenuti che è difficile descrivere in poche parole che cosa racconta. I temi più ricorrenti che ho potuto cogliere sono: la spazzatura, i complotti, la guerra fredda, il nucleare, il numero tredici, l’educazione, l’arte e la cultura italo-americana. I personaggi che prendono parte a questo romanzo in realtà non sono molti e tutti entrano in qualche modo in contatto tra loro. Nella parte centrale, forse la più brillante ed eterogenea del libro, troviamo brevi spezzoni di vita americana, tutti rigorosamente scritti nello stile postmoderno di Delillo. L’autore fa avanti e indietro nel tempo, terminando, prima dell’epico epilogo, con un lungo flashback che va a chiudere il cerchio. Qualcosa rimane in sospeso, va a perdersi nel flusso di parole, negli ottimi dialoghi e nelle lunghe disamine. Ma così deve essere, è nello stile pulito e discorsivo di Delillo e nella sua visione postmoderna. Un libro che si deve leggere per il piacere di farlo, cogliendone i numerosi spunti di riflessione, e non per trovare colpi di scena (che non mancano) o per seguire una trama lineare.

Robert Harris prende in prestito l’idea di Philip K. Dick per il suo Fatherland, immaginando un mondo nel quale la Germania nazista vince la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è perfino migliore del precedente tentativo, più realistico e plausibile nel suo complesso. L’unico difetto è che non rappresenta davvero un valore aggiunto, anzi in un certo qual modo ne smorza la tensione. Se questo thriller fosse stato ambientato negli ultimi anni del conflitto, o subito dopo, invece che in un ipotetico 1964, a mio parere, sarebbe stato più interessante e la trama, con qualche accorgimento, sarebbe stata in piedi lo stesso. Il detective protagonista, solitario e tormentato, e la bella e brillante americana che lo aiuta nelle indagini, rendono questo romanzo piuttosto prevedibile nelle dinamiche. Il movente degli omicidi è quasi scontato, compensato però da un buon colpo di scena finale. Quello che resta è un buon thriller godibile, dal ritmo serrato e dalla particolare ambientazione ucronica ma non privo dei cliché del genere.

Il sesto volume de Le storie dei re sassoni, dal titolo La morte dei re, conferma le ottime qualità di narratore di Bernard Cornwell e il suo amore per la storia del regno d’Inghilterra. Come di consueto le note storiche ci rivelano le fonti, le quali, proprio perché esigue, permettono all’autore di prendersi numerose libertà nel rispetto della storia. Uhtred è figlio del suo tempo, intelligente ma superstizioso, irrispettoso ma fedele al suo giuramento, con comportamenti che alla morale moderna ci appaiono violenti ma purtroppo non lontani da quelli testimoniati nelle guerre di oggi. Tanto tempo è passato ma poco sembra essere cambiato. Sempre ottimo il giusto peso che Cornwell dà agli eventi paranormali e al ruolo delle donne del tempo. Lascio Uhtred alle sue avventure ancora una volta pienamente soddisfatto e con il desiderio di ritornare al più presto nelle terre della futura Inghilterra.

Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, è un classico della fantascienza ormai entrato nell’immaginario comune anche grazie alle numerose trasposizioni cinematografiche. Un breve romanzo dallo stile scorrevole e serrato, con un deciso cambio di ritmo nella terza parte. I colpi di scena sono probabilmente ciò che rendono questo libro così famoso ma che però rischiano di oscurare il resto della storia che offre numerosi spunti di riflessione sul rapporto tra umani e animali. Su questo punto forse soffre di una visione un po’ datata, non più in linea con quella moderna, ma del tutto comprensibile se si considera che è stato pubblicato nel 1963.

Cinque colpi delle dita, ep. 10

Dopo una breve pausa riprendo a scrivere su questo blog. E lo faccio riprendendo una rubrica che giace in attesa da un anno. Qui di seguito qualche breve consiglio cinematografico sui film che ho visto negli ultimi dodici mesi.

Richard Jewell – Una storia vera di un responsabile della sicurezza che sventa un attentato, scoprendo una bomba in uno zaino. Qualcosa non torna però e lui stesso viene accusato di aver piazzato l’esplosivo. Eastwood espone i fatti e lascia aperta la questione con maestria. Un ottimo film che ha dell’incredibile. Voto 8
Il ritorno dell’eroe – Commedia degli equivoci belga/francese in costume. Questo genere di film mi piace e il cast è ottimo, anche troppo. Perfetto per farsi due risate senza pensieri. Voto 7
Il silenzio degli innocenti – Classicone che non avevo mai visto. Che dire, non mi ha impressionato come avrebbe dovuto. Ammetto che all’epoca dovesse essere stato qualcosa di eccezionale ma oggi risulta un po’ prevedibile e, francamente, anche un po’ improbabile, soprattutto in alcune scene. Voto 7
Il domani tra noi – Una coppia di sconosciuti rimane vittima di un incidente aereo sulle montagne innevate. Il resto potete immaginarlo come pure il finale. Idris Elba e Kate Winslet sono male assortiti e il film non gira come dovrebbe. Voto 6
Una notte in giallo – Commedia leggera anzi leggerissima con Elizabeth Banks. Credevo peggio, una di quelle cose demenziali made in USA. Invece di lascia guardare e a tratti diverte ma niente di memorabile. Non lo rivedrei. Voto 6
Maria regina di Scozia – Saoirse Ronan e Margot Robbie tengono in piedi un film altrimenti poco accurato e affetto da qualche intrusione del politicamente corretto. In generale non è malvagio, soprattutto per i costumi e le scenografie. Voto 7
Ghostbusters: Legacy – Non è mai facile fare un seguito ai film di culto, entrati a far parte dell’immaginario collettivo. Ma qui in qualche modo ci sono riusciti, dando anche il giusto collocamento agli attori originali, perfino allo scomparso Harold Ramis. Un film che fa leva sull’effetto nostalgia ma che funziona bene e diverte. Voto 8
L’uomo sul treno – C’è Liam Neeson e quindi è già chiaro cosa succederà. Questa volta è su un treno di pendolari che vedranno la loro routine sconvolta. Insomma c’è Neeson. Serve altro? Voto 6
Jungle Cruise – Prendete Dwayne Johnson ed Emily Blunt e una vagonata di CGI. Piazzateli nella foresta Amazzonica alla ricerca di un fiore miracoloso. Aggiungete un po’ di idee dai Pirati dei Caraibi, qualche colpo di scena e il film è servito. Ci si diverte, tutto funziona a dovere, basta non farsi troppe domande. Voto 7
Don’t Worry Darling – Ero curioso di vedere questo film per il mistero che la storia sembrava riservare. Ma qualcosa non funziona. Tutto inizia ad andare a rotoli troppo presto e lo spettatore, che vuole il colpo di scena, deve aspettare troppo a lungo per avere ciò che vuole. Sì, c’è un idea interessante ma resa con fin troppi buchi di sceneggiatura e una massiccia dose di moralismo. Florence Pugh prova a colmare il vuoto ma non può fare tutto da sola. Voto 5
Babylon – Quando un film fa discutere, lo devo vedere. Questo è cinema, punto. Un cast stellare, scenografie e musiche impressionanti. Un’opera mastodontica che ci racconta l’ascesa del sonoro nel cinema e il declino dei film muti. Qualche eccesso di troppo ma è quel tipo di eccesso che è pura meraviglia. Forse un capolavoro incompreso? Voto 9
Blonde – L’altro film discusso e discutibile è proprio questo che racconta la vita di Marylin Monroe, che io conoscevo poco. Togliamo per un momento le scene più scandalose, i nudi frequenti e la dubbia aderenza ai fatti reali. Resta un film di grande impatto, sia artistico che emotivo. In un certo senso mi ha sorpreso positivamente. Ana De Armas è forse la Monroe più somigliate all’originale mai vista su uno schermo. Voto 7
Everything Everywhere All at Once – Avevo grandi aspettative per questo film. La mia curiosità era alle stelle. In parte è stato quello che immaginavo, un tripudio di visioni fantastiche e folli. Il problema è che tutto è rigidamente inserito in un contesto famigliare che porta ad un finale già visto e che poco ha a che fare con il resto del film. Non mi spiego come possa aver dominato agli Oscar. Non è male ma non lo rivedrei. Anche perché se lo rivedessi noterei ancora di più le incongruenze e i buchi di sceneggiatura. Voto 7
La mosca – Ho visto o forse rivisto questo classico di Cronenberg, di un epoca nella quale i film duravano ancora 90 minuti. Ispirato ad un fumetto ed ad altri adattamenti, racconta la storia di uno scienziato che accidentalmente fonde il suo DNA con quello di una mosca. Trasformazioni corporali, deformazioni e disgusto sono il sale dei film di questo regista. Un applauso per gli effetti speciali “reali”. Voto 7
Amsterdam – Un perfetto esempio dove sono ancora gli attori protagonisti a tenere in piedi una sceneggiatura traballante e noiosetta. Si vuol far ridere o quanto meno sorridere ma qualcosa non va. Troppo lungo, denso e verboso. Ci si perde anche un po’. Un peccato davvero. Aveva il potenziale per essere un gran bel film. Voto 6
X – Quasi un horror, quasi una parodia di un film horror. Insomma non un granché. Tutto prevedibile, a tratti divertente ma un po’ spinto, ma è tutto qui. Credevo in qualcosa di più originale. Voto 6
Nope – Ogni film di Jordan Peele è un enigma. Qui un po’ meno. Il film regge bene lungo tutta la sua durata, inserendo anche una vicenda parallela collegata solo in parte alla storia originale. Mi è piaciuto ma non è per tutti gusti. Voto 8
Triangle Of Sadness – Una crociera per ricchi si rivela un totale disastro. Non c’è occasione migliore per fare un po’ satira e mettere alla berlina la borghesia moderna. Un film interessante dal finale inaspettato e che fa riflettere. La durata di due ore e mezza non si fa sentire troppo. Voto 8
Titane – Dunque, c’è una donna con una piastra di titanio in testa. Uccide per chissà quale motivo. Ad un certo punto rimane incinta di un’automobile. Sì, avete letto bene. Braccata dalla polizia decide di fingersi un ragazzo. Da qui in poi è un susseguirsi di vicende poco credibili (come nascondere completamente una gravidanza di nove mesi con una fascia). Ah ma ha fatto sesso con un auto! Allora vale tutto. Voto 5
Glass Onion – Quasi meglio del primo film. Credevo di trovarmi di fronte ad un giallo cervellotico e invece no. Ben congegnato e divertente. Un altro cast stellare che rende tutto molto godibile e colorato. Un film leggero che ti fa passare una serata insieme al geniale Beniot Blanc. Voto 7
Omicidio nel West End – Molto meglio il titolo originale See How They Run che richiama il tema del film. Ovvero visto un giallo, li hai visti tutti. Da qui l’idea di un giallo divertente che rompe gli schemi con la coppia Sam Rockell e Saoise Ronan in perfetta sintonia. Nel finale ho creduto che si sarebbe ribaltato tutto ma fortunatamente non è stato così ed è un bene. Sarebbe stato troppo geniale ma difficile da tenere in piedi. Lo rivedrei oggi stesso. Voto 8

Ancora un altro libro, ep. 13

Ecco il consueto appuntamento con una veloce recensione dei libri che ho letto negli ultimi mesi. Alcuni ottimi e altri un po’ meno.

Black Jesus. The anthology di Federico Buffa è una raccolta di aneddoti sul mondo della pallacanestro USA infarciti di termini gergali, nomi noti, altri meno, soprannomi e curiosità varie. Incomprensibile per chi non mastica un po’ di basketball. Fortunatamente non è il mio caso, altrimenti mi sarei trovato ancora più spaesato. Lo stile di Buffa è difficile da seguire su carta, spesso e volentieri si perde il filo. Mi sono ritrovato a rileggere più volte le stesse righe nel tentativo di capirne il significato. A tutto questo si aggiungono numerosi refusi (mai visti così tanti in un libro solo!) e ripetizioni inutili. Sarebbe bastato un minimo di editing, indicare almeno l’anno in cui è stato scritto ciascun capitolo e rivedere lo stile di scrittura per ottenere un libro tutto sommato godibile e interessante. Invece, così com’è, è francamente illeggibile.

Con la raccolta di racconti Scheletri, King si conferma essere un abile narratore anche quando lo spunto per una storia si dimostra un po’ debole. Quando questo autore sceglie di condensare la sua fantasia in poche pagine, viene a mancare la profonda caratterizzazione dei personaggi, caratteristica fondamentale dei suoi romanzi. Inoltre è in raccolte come questa che emergono, in maniera più evidente, le influenze di autori come Lovecraft (La nebbia, La scorciatoia della signora Todd, La nonna) e Poe (L’uomo che non voleva stringere la mano, L’immagine della falciatrice, Nona). Alcuni racconti sono stati inseriti più per “beneficio di inventario” che per altro ma altri sono dei piccoli capolavori (L’arte di sopravvivere, su tutti). Un’ottima raccolta che offre un’ampia panoramica sullo stile e l’immaginario di Stephen King.

Frank Herbert ha avuto il merito di aver creato un mondo complesso, un vero e proprio universo. Eppure anche in questo terzo volume della saga, intitolato I Figli di Dune, tutto si riduce ad una questione di famiglia. Leto II ripercorre i passi del padre Paul, affrontando pari pari le stesse visioni e facendo le medesime riflessioni anche se con esiti differenti. Gli altri personaggi sono gli stessi di sempre e mettono in piedi complotti e contro-complotti che sono difficili da seguire. Herbert, con il suo stile dico/non dico, non aiuta affatto il lettore nel districarsi tra di essi. Manca empatia con i protagonisti, in particolare con Leto che sa sempre cosa succederà (ma non lo dice a nessuno, anche perché se lo facesse sarebbe inutile continuare a leggere il resto del romanzo). La cerchia ristretta di personaggi rende vani alcuni colpi di scena ed è un peccato, soprattutto quando si ha a disposizione un intero universo. Il ritmo è lento e un buon centinaio di pagine sono di troppo. In definitiva un capitolo che porta avanti le incredibili vicende di Arrakis, appoggiandosi su di un intreccio complesso ma frastagliato, con dinamiche per larga parte prevedibili, salvandosi in un finale che lascia presagire importanti cambiamenti ma non soddisfa appieno.

Se nel primo volume di questa trilogia Mervyn Peake ha costruito il microcosmo di Gormenghast, in questo seguito, intitolato per l’appunto Gormenghast, lo distrugge pezzo dopo pezzo. Dopo una prima parte che ricalca le atmosfere grottesche e bizzarre del suo predecessore, il romanzo prosegue poi su un binario differente, più cupo e malvagio. Il personaggio chiave è Ferraguzzo sempre più disposto a tutto per ottenere il potere. Il giovane conte Tito è un ribelle che mina dall’interno le fondamenta del castello di Gormenghast mettendo a dura prova le solide mura di pietra e i suoi immemorabili rituali. Lo stile di Peake è unico, fatto di descrizioni dettagliate ma mai noiose, dialoghi scorrevoli (sempre divertenti gli scambi di battute tra il dottor Floristrazio e la sorella Irma) e colpi di scena spiazzanti. Non so sinceramente cosa aspettarmi dal terzo capitolo ma anche se non dovesse essere all’altezza di questi primi due, sono contento di essermi perso ancora una volta per gli immensi corridoi e le infinite stanze di Gormenghast.

Cinque colpi delle dita, ep. 9

Agosto è il mese nel quale faccio un’abbuffata di cinema, guardano film vecchi e nuovi che mi appunto durante l’anno. L’ultimo episodio di questa rubrica però risale a quasi un anno fa perciò comincerò dai film visti dallo scorso settembre per darvi qualche consiglio su cosa vedere (o non vedere).

Tolo Tolo – Anche se non posso dirmi un fan di Checco Zalone, credo di aver visto tutti i suoi film. Questo è il peggiore dei suoi. Demenziale nel senso peggiore del termine. In alcuni momenti ho provato imbarazzo. Pessimo. Voto 4
Dark Water – Film che ricostruisce la storia vera di un avvocato che scava a fondo sulla pericolosità del teflon. Potente e ben congegnato che smaschera l’avidità dell’uomo e il suo potere autodistruttivo. Assolutamente da vedere anche se manca un finale vero e proprio, perché la vicenda si trascina ancora ai giorni nostri. Voto 8
Il primo Natale – La comicità di Ficarra e Picone l’ho sempre trovata intelligente e leggera. Qui si sconfina troppo nella fantasia e nell’assurdo, un territorio che indebolisce il duo comico e il buonismo diffuso non aiuta affatto. Non certo imperdibile. Voto 6
Timecrimes – Vi piacciono i viaggi nel tempo? I loop temporali e i paradossi che generano? Allora questo film spagnolo fa per voi. Niente eroi fighi o donzelle dal salvare ma un uomo comune finito in un bel casino. Forse non proprio impeccabile ma da vedere. Voto 8
L’ufficiale e la spia – Roman Polański porta sul grande schermo il romanzo storico di Robert Harris che narra le vicende dietro al celebre “affare Dreyfus”. Un bel film c’è poco da dire. Tutto perfetto e coinvolgente al punto giusto, peccato per un finale debole. Voto 7
A quiet place Part II – Se la prima parte mi era piaciuta questa seconda parte molto meno. Di fatto è come la prima, non cambia praticamente nulla se non l’ambientazione. Sappiamo già come fare fuori gli alieni cattivi, e quindi? I pochi minuti che fungono da prologo dell’intera vicenda salvano un film piuttosto noioso. Voto 5
Benedetta – Tolta qualche scena che ha sollevato qualche polverone e qualche nudità, questo film, basato su una storia vera, non è affatto male come credevo. Forse un po’ ripiegato su sé stesso ma la presenza di Virgine Efira (anagraficamente fuori contesto) vale un voto in più. Voto 6

Eccoci ai film che ho visto questo mese, alcuni davvero ottimi e l’altri decisamente deludenti.
The Green Knight – Dopo aver letto il poema cavalleresco originale, magistralmente tradotto da Tolkien, questo film da cui è ispirato era un passaggio obbligatorio. In generale il film segue la trama del poema ma né ribalta il senso e lo scopo, rivedendo i ruoli dei personaggi all’interno della storia. A livello visivo è eccezionale e coinvolgente, forte al punto giusto e visionario senza confondere lo spettatore. Mi è piaciuto nonostante le divergenze ma si tratta di un film particolare, non per tutti i palati. Voto 7
The Last Duel – Sentivo odore di filmone da chilometri di distanza e il nome di Ridley Scott dice tutto. Cavalieri, dame, duelli, stupri e vendette sono gli ingredienti di un film impressionante. Non oso immaginare quali mezzi sono serviti per ricostruire queste vicende avvenute nella Francia del XIV secolo. Tre punti di vista diversi raccontano la medesima storia. Forse questo può renderlo ripetitivo e lento ma questo film è puro cinema e non un giocattolone d’intrattenimento. Flop al botteghino ingiustificabile. Voto 9
Dune – Ho letto i primi due romanzi della saga di Frank Herbert e sapevo che, se ben fatto, non sarebbe stato un film di pura azione. Infatti non lo è. Purtroppo si tratta di un prologo di due ore e mezza in cui non succede nulla. Ma proprio nulla. Le immagini spettacolari parlano più degli attori, molti dei quali sono poco più che comparse. Non comprendo molto l’entusiasmo intorno a questo film ma forse meglio aspettare la seconda parte prima di trarre conclusioni affrettate. Voto 7
Red Notice – Mi aspettavo un thriller divertente fatto di inseguimenti, zuffe e colpi di scena, con la fisicità di Dwayne Johnson, la simpatia di Ryan Reynolds e la bellezza di Gal Gadot. Quello che ho visto è un thriller divertente fatto di inseguimenti, zuffe e colpi di scena, con la fisicità di Dwayne Johnson, la simpatia di Ryan Reynolds e la bellezza di Gal Gadot. Direi che è tutto ok. Voto 7
Uncut Gems – Siamo abituati a vedere Adam Sandler in commedie spesso di dubbio gusto. Qui si cala perfettamente in un ruolo drammatico, in un film ansiogeno e senza respiro. Una pietra preziosa metterà a dura prova la vita del protagonista, per colpa di un avido Kevin Garnett (proprio lui). Un film originale pieno di parolacce e violenza che lascia una tristezza infinita quanto la bellezza di quel maledetto opale.
Don’t Look Up – Una commedia satirica piena di grandi nomi. Un meccanismo perfetto che si inceppa solo in poche occasioni. Divertente ma anche profondo nel messaggio che vuole trasmettere. Uno specchio su quello che siamo diventati. Alcune scene surreali alleggeriscono il film che altrimenti sarebbe davvero troppo denso di significati. Voto 8
The Northman – Il visionario Robert Eggers ci racconta una storia di vendetta ai tempi dei vichinghi. Niente di originale ma la forza delle immagini, la violenza brutale e lo spiritismo danno vita ad un film coinvolgente e spettacolare. Qualche colpo di scena rende meno banale la strada verso il finale prevedibile. Non un film per tutti i gusti ma merita una visione. Voto 8
Nightmare Alley – Gulliermo del Toro in genere non mi delude ma in questo remake ho trovato davvero poco da salvare. Ottimi gli attori e le scenografie ma la storia è vecchia, prevedibile fin dall’inizio. Dopo mezzora sarei stato in grado di raccontare il resto del film senza sforzo. Una delusione per me che mi aspettavo un film più complesso e cervellotico. Voto 6
Last Night In Soho – Inizia come una commedia questo film di Edgar Wright per poi diventare un film drammatico e infine un horror sanguinoso e vecchio stile. Le atmosfere anni ’60 sono fenomenali e i colpi di scena ben riusciti. Un buon film che intrattiene fino alla fine senza troppe pretese. Voto 7
Fight Club – Ebbene sì, non avevo mai visto questo film culto del 1999 e in questi 23 anni sono rimasto all’oscuro del principale colpo di scena. Ottimo film, tratto dal romanzo di Chuck Palahniuk, con riflessioni piuttosto interessanti sulla nostra società e le nuove generazioni. Il plot twist ad un certo punto si intuisce ma non toglie nulla a questo film invecchiato bene (CGI a parte). Voto 8

Ancora un altro libro, ep. 10

Dopo gli ottimi Imprimatur e Secretum, il terzo capitolo delle avventure di Atto Melani e del “ragazzo” senza nome, intitolato Veritas, si rivela essere un passo indietro rispetto ai precedenti romanzi scritti dalla coppia Monaldi e Sorti. Sempre ottima la ricostruzione storica ma stavolta si eccede con la fantasia e la presunzione. La morte dell’imperatore Giuseppe I è un pretesto debole che costringe gli autori ad aggiungere carne al fuoco per tenere in piedi la storia. In particolare la nave volante, con tanto di autopilota, mette a dura prova la sospensione dell’incredulità che, in un romanzo storico, non dovrebbe essere necessaria (o almeno non quanto un fantasy). Senza contare che resta un mistero la sua utilità all’interno della storia. La serie di omicidi è eccessivamente prevedibile e inutilmente brutale. Il colpevole viene svelato con un colpo di scena copiato pari pari da “I soliti sospetti” (film che all’epoca fu rivoluzionario ma rivisto oggi non più di tanto). Mi è parso inoltre che la prosa sia più moderna che nei precedenti ma forse è solo una mia impressione, così come lo sono le numerose ripetizioni degli stessi concetti. Mi spiace scriverlo ma questa volta Monaldi e Sorti hanno toppato e non di poco. Veritas resta un thriller di pura fantasia, con un intreccio debole, supportato però, come sempre, da un’immensa documentazione.

Sono tornato da Scott Lynch che ci porta per mare nel secondo capitolo dei Bastardi Galantuomini, intitolato I pirati dell’oceano rosso (Red Seas Under Red Skies). La struttura del romanzo resta la stessa del primo libro Gli inganni di Locke Lamora: Locke e Jean mentre stanno mettendo a segno uno dei loro colpi, rimangono invischiati in affari più grossi di loro. Chi conosce poco o nulla di termini marinareschi si troverà confuso quanto i protagonisti, lo stesso autore ammette poi di aver fatto un po’ confusione e di essersi inventato qualche termine. L’intreccio è il punto di forza di questa serie che, tra truffe, intrighi e tradimenti, tiene incollato il lettore fino al finale che lascia alcune questioni in sospeso per i volumi successivi. Linguaggio forte e violenza, ma anche molta ironia, restano i tratti distintivi di un fantasy fuori dagli schemi. Il mondo creato da Lynch si arricchisce di nuovi particolari e parole (ottima la traduzione), facendoci scoprire le sue regole e sui meccanismi che sovvertono quelli del nostro. Ora non mi resta che il successivo La repubblica dei ladri che finora è l’ultimo pubblicato da Lynch. Il prossimo The Thorn Of Emberlain pare sia di prossima pubblicazione ma è così da qualche anno ormai. Forza Scott ce la puoi fare!

Se con La svastica sul sole, Philip K. Dick non mi aveva pienamente convinto, con Ubik ho capito perché questo autore è così amato. La capacità di Dick nel creare una storia dalla struttura solida ma allo stesso tempo confusa, è il punto di forza di questo libro. Ambientato nel 1992, che all’epoca rappresentava un futuro relativamente lontano, l’umanità ha trovato il modo di mantenere in semivita le persone in punto di morte e avere contatti con loro. Tutto ruota attorno alla vita e alla morte e a questo stato di sospensione innaturale. Nella prima metà del romanzo Dick ci confonde con termini presi in prestito dalla fantascienza dell’epoca per poi, nella seconda, accelerare il ritmo e trovare numerosi colpi di scena. Un romanzo che corre senza sosta, senza passaggi a vuoto, che soffre solo di un immaginario fantascientifico ormai obsoleto ma continua ad offrire spunti di riflessione. Probabilmente leggerò altro di Dick ma l’impressione, leggendo opinioni qua e là, è che Ubik resta il punto più alto della sua produzione.

Cinque colpi delle dita, ep. 8

Durante l’estate ho dedicato un po’ di tempo per recuperare qualche film che negli ultimi anni mi sono appuntato ma non sono riuscito vedere. Qualcuno non è nuovo ma per chi come me non l’aveva mai visto, si tratta pur sempre di un nuovo film.

Per cominciare mi sono buttato su Hustlers – Le ragazze di Wall Street come si fa con gli antipasti. Per farla breve, un gruppo di spogliarelliste si accorda per derubare i vari affaristi che a loro volta derubano la povera gente con le loro manovre finanziarie. Un film ispirato ad una storia vera ma a quanto ho letto anche epurato delle vicende più torbide delle protagoniste. Scelta opinabile ma poco importa. Jennifer Lopez cattura l’attenzione ogni volta che entra in scena (non solo per l’interpretazione più che riuscita.. ehm) e un’ottima Constance Wu le fa da spalla. Passano i minuti e la storia non va da nessuna parte. Non si capisce se c’è una morale di fondo oppure no. Non una commedia, non un thriller, non un film drammatico. Insomma è un film che fa un gran baccano ma si spegne subito. Voto 6

Un piccolo favore invece se l’è cavata decisamente meglio. Commedia thriller molto particolare con protagoniste una carismatica e stilosa Blake Lively e una simpatica ma terribile Anna Kendrick. Due donne diametralmente opposte fanno amicizia ma le cose non sono esattamente come sembrano. Il personaggio della Lively a volte è un po’ troppo sopra le righe ma a lei si può perdonare tutto. Il ritmo è serrato finché la trama non si svela, forse anche troppo presto, lasciando spazio ad un finale un po’ surreale ma godibile. Un film piacevole, un bel mix tra commedia e thriller come non è facile trovarne. Voto 7

Non sono un grande appassionato di film horror, anzi proprio per nulla. Però Hereditary – Le radici del male mi ha incuriosito. Se poi ci aggiungete che si tratta del debutto del regista Ari Aster allora l’interesse è balzato alle stelle. Fotografia impressionante. Questo è quello che colpisce di più. Pochi jumpscare e molte sequenze lente ma tese. La prima metà è un dramma familiare piuttosto inquietante. Poi succede qualcosa di inatteso e tutto precipita. Toni Collette è formidabile, da brividi. Le scene più macabre sono esplicite senza sconfinare mai in un spudorato splatter. Un film inquietante davvero ma non disturbante, fatto di piccoli indizi disseminati qua e là che trovano posto solo ripensando a quanto visto. Il finale, seppur ben fatto, è un po’ una soluzione all’americana per intenderci. Si avvicina pericolosamente al grottesco ma nulla toglie a ciò che viene prima. Voto 8

Prima di buttarmi a capofitto in Tenet volevo recuperare il suo antesignano, ovvero Memento, sempre di Christopher Nolan. Un uomo, a causa di un’aggressione, che costerà la vita alla moglie, perde la capacità di sfruttare la memoria a breve termine. Nonostante ciò decide di indagare per proprio conto e trovare l’assassino. Come fare a rendere l’idea di queste amnesie e trasmetterle allo spettatore? Semplice: raccontare la storia dalla fine, dal ricordo più recente a quello più lontano nel tempo. Il film è suddiviso in una ventina di scene che finiscono laddove cominciava quella precedente. Chi guarda in pratica sa come finirà quella scena ma come comincia. Fenomenale l’idea, tutta basata sul montaggio. Nel mezzo ci sono ulteriori scene in bianco e nero che sono un prologo alle vicende a colori. Alla fine vedremo tutto più chiaramente. O forse no? Mille dubbi vi assaliranno e non sarete più sicuri di nulla. Sarebbe un film da 10 ma i tatuaggi perfetti fatti con un ago e l’inchiostro di una penna bic mi hanno lasciato perplesso. Da vedere assolutamente se non l’avete mai fatto. Voto 9

Altro filmone d’altri tempi che mi ero perso è L’esercito delle 12 scimmie. Bruce Willis, viaggi nel tempo, un virus letale (ugh!) tutto in un solo film. Mi aspettavo chissà quale trip temporale e invece si è rivelato un film piuttosto lineare. Anzi fin troppo. Tante, troppe coincidenze, ricordi che non sono ricordi e scene inutili e ripetitive smorzano un po’ la tensione. Perché portare il protagonista nelle trincee della Prima Guerra Mondiale? Solo per l’indizio del proiettile? Perché futuro e passato si sovrappongono così tanto da risultare quasi irreale il primo? Tutto molto bello se non fosse per tanti piccoli difetti. Credevo fosse un filmone cult da vedere e rivedere e invece l’ho trovato un bel thriller (invecchiato bene) e poco altro. Voto 7

Il buon M. Night Shyamalan bussa sempre alla mia porta e io l’apro consapevole che rimarrò deluso un’altra volta. Split non era uno di quei film che bramavo di vedere ma volevo togliermi definitivamente il dente dolente. Un uomo ha 23 personalità diverse che più o meno convivono tra loro. Alcune di queste non sono affatto buone e hanno intenzione di risvegliare la personalità numero 24, la Bestia. Ora, perché dare così tante personalità e mostrane poi solo 5 o 6? Non era meglio fare, che ne so 6 personalità, più una? Si arrivava a 7 che ci stava bene quando entrava in gioco l’aspetto paranormale. E sì perché quando si inizia a parlare di entità superiori e compagnia bella si inizia a sentire anche puzza di bruciato. Quando poi finalmente arriva la Bestia tutto deraglia e va a farsi benedire. Occasione sprecata, così come è sprecata l’interpretazione di James McAvoy ed è solo merito suo se il film raggiunge la sufficienza. Voto 6

Finalmente Tenet. Si è letto di tutto su questo film: è una storia palindroma, è cervellotico, un trip temporale senza precedenti eccetera eccetera. Ora che l’ho visto mi sono fatto la mia idea, ed è questa: non ho capito nulla. Ma attenzione, non è colpa dell’inversione temporale o dell’entropia inversa. No, no. Alla fine tutto questo invertire si traduce in un viaggio nel tempo con tanto di paradosso del nonno. Già visto in numerosi altri film, niente di nuovo. Il problema è la storia. Il Protagonista (si chiama proprio così, neanche lo sforzo di trovargli un nome) fa cose, insieme ad altri che fanno altre cose fin dal primo minuto. Americani, russi, ucraini, spie, contro-spie. Lo spettatore è catapultato in uno scenario complesso nel quale è difficile se non impossibile districarsi. Il cattivone russo in ciabatte che vuole distruggere il mondo poi è davvero troppo. Mentre voi sarete lì a cercare di tenere il filo delle vicende senza riuscirci, il Protagonista continua a fare cose viaggiando per il mondo, un po’ in avanti e un po’ all’indietro ma sempre cose fa. Quasi tre ore, tutte così. Lo scontro finale è l’apoteosi di Tenet in tutti i sensi. Fracassone come tutto il resto del film, esplosioni a caso che vanno al contrario anzichenò, soldati che corrono di qua e di là, un po’ in avanti e un po’ all’indietro. Degna conclusione incomprensibile per un film freddo, senza approfondimenti ma con numerosi spiegoni, decisamente troppi, che denotano la scarsa efficacia della sceneggiatura. Se devi spiegare il film nel film vuol dire che hai sbagliato qualcosa, caro Nolan. Gli effetti speciali, le ambientazioni, la poca CGI presente mi spingono alla sufficienza. Tutto il resto è noia. Delusione. Voto 6

Dovevo in qualche modo correre ai ripari. Perché non vedere un altro film di Ari Aster? Midsommar – Il villaggio dei dannati è il suo secondo lungometraggio. Ancora una volta un horror del tutto particolare. Un gruppo di ragazzi americani, tra cui Dani interpretata da un’ottima Florence Pugh, viene invitata da un amico in Svezia in una comunità locale per celebrare la festa di mezza estate, un rito con origini pagane. Il resto potete immaginarlo. La particolarità di questo film è che è un horror alla luce del sole, infatti è ambientato nei mesi di luce che caratterizzano il Nord Europa. Tutto è sempre illuminato, colorato, ricco di fiori e allegria. Ma c’è sotto qualcosa. Il regista ce lo svela un po’ alla volta, indugiando sulle difficoltà della coppia Dani-Christian. Come per il precedente, Aster si diverte a disseminare indizi comprensibili solo alla fine, così come i numerosi riferenti alla cultura pagana e la numerologia. Il film si apre con una sorta di dipinto che riassume tutte le vicende in chiave allegorica. Non possiamo comprenderlo se non giunti alla fine. Bello davvero, uno di quei film che ti lascia qualcosa dentro. Sarebbe un 9 pieno ma qualche scena grottesca che fa sorridere si poteva evitare. Voto 8

Infine The Hunt. Sinceramente non sapevo cosa aspettarmi da questo film. Mi sono ritrovato un pazzo film d’azione un po’ splatter misto a commedia. Un élite di ricchi signori benpensanti e politically correct organizza una caccia all’uomo. Le prede sono i leoni da tastiera di vario genere soprattutto complottosti. Ma tra questi c’è un cazzuttissima donna, Crystal, interpretata da un’irresistibile Betty Gilpin, che crea qualche problema di troppo. Divertente e per certi versi piuttosto originale soprattutto all’inizio. Novanta minuti che filano via spensierati, che a volte offrono anche qualche spunto di riflessione. Curiosa la partecipazione di Sturgill Simpson. Mi ha divertito. Voto 7

Cinque colpi delle dita, ep. 7

Eccomi. Riprendo da dove avevo finito la scorsa settimana. Altri venti film che visto nell’ultimo anno. Brevissime recensioni, giusto per stuzzicare la curiosità, o avvisarvi che potreste passare inutilmente qualche minuto della vostra vita.

The Founder – Storia di chi fece diventare McDonald’s grande, rubandone però l’idea ad altri. Un film incredibile e presentato sotto la veste di una commedia agrodolce. Ben fatto. Si lascia vedere fino alla fine. Voto 7
I segreti di Wind River – Thrillerone ambientato nel freddo Wyoming. Tutto perfetto, ambientazioni, attori e sceneggiatura. Il finale un po’ deludente, quasi prevedibile. Peccato. Voto 7
Better Watch Out – Un rapimento del tutto particolare. Violento sì ma non troppo. A tratti poco credibile. Forse una commedia amara? Non so. Un po’ mi ha deluso e anche annoiato. Voto 6
Il professore e il pazzo – La storia vera di come ha preso vita l’Oxford English Dictionary alla fine del ‘800. Sean Penn e Mel Gibson tengono banco dettando il ritmo. Un bel film come quelli di una volta e passato un po’ in sordina. Voto 7
Predestination – Viaggi nel tempo. Mi piacciono. Storia contorta. Mi piace. Paradossi temporali. Non chiedo altro. Su carta funziona alla perfezione, al cinema mostra i punti deboli ma c’è poco sa fare. Voto 8
Sono tornato – Si ride? Non molto. Fa riflettere? Non molto. Commuove? Per nulla. L’idea copiata da un libro tedesco è trasformata nella solita caciara all’italiana. Ah c’è Frank Matano. Un voto in meno. Voto 6
Bye Bye Germany – Film tedesco che racconta di un uomo in fuga dalla Germania del dopoguerra. Un po’ commedia, un po’ drammatico. Non male ma poco più che un film per la televisione. Voto 6
Sette minuti dopo mezzanotte – Un bambino si rifugia in un mondo fantastico per sfuggire alle difficoltà della vita. Originale, ben recitato e splendidi effetti speciali. Ma soprattutto commovente, molto commovente. Voto 8
The Lighthouse – Film in bianco e nero. Robert Pattinson e Williem Dafoe (che non sbatte mai le ciglia durante un monologo!) sono alle prese con la follia della solitudine. Perde molto con il doppiaggio. Non per tutti. Voto 7
Capitan Philipps – Storia vera di un attacco pirata ad un nave container. Ricostruzione molto verosimile dal ritmo serrato. Offre alcuni spunti di riflessione e non cade mai nell’azione sfrenata. Voto 8
I soliti sospetti – Cult che fece epoca. Oggi appare scontato ma resta comunque un grande film. Ho intuito il colpo di scena in anticipo ma il regista gioca sporco e ti insinua il dubbio. Troppo facile così. Voto 8
Loving Vincent – Gli ultimi giorni di vita di Van Gogh in un film dipinto a mano. Proprio così. Ogni fotogramma è un dipinto a olio nello stile dell’artista. Molti pittori hanno partecipato alla realizzazione. Un’opera d’arte. Voto 8
Moschettieri del re – Non so perché l’ho visto. Non fa ridere e sembra tutto fuori luogo. Solo l’accento di Favino merita di essere ascoltato. Il resto è inguardabile e il finale inutile. Ma Matilde Gioli sa recitare? Voto 5
L’uomo che uccise Hitler e poi il Bigfoot – Mi aspettavo qualcosa di diverso. Lo stile è simile a quello dei Cohen ma manca qualcosa. Lo guardi fino alla fine per capire dove vuole arrivare. Buono ma non troppo. Voto 7
Alita, l’angelo della battaglia – Mi ostino a vedere film di fantascienza tratti da manga. Chiassoso, lungo e a tratti patetico. Finale aperto per un sequel. Ottime ambientazioni e CGI ma protagonista insopportabile. Voto 6
Stanlio & Ollio – L’ultimo tour del duo comico più famoso. Steve Coogan e John C. Reilly sono magnifici. Un bel film come quelli di una volta. Fa ridere, commuovere e mostra il lato umano di due grandi. Voto 8
Franklyn – Fantasia e realtà si mescolano in un thriller originale nell’ambientazione ma non tanto nelle idee. Forse rimane qualche punto in sospeso ma merita una visione. Ah c’è Eva Green. Un voto in più. Voto 7
Opere senza autore – Filmone di due ore e mezza ispirato alla vita di un artista tedesco in una Germania divisa. Visivamente splendido e senza censure. Storia intrigante da finale un po’ così ma che nulla toglie al resto. Voto 8
Tutti lo sanno – Qualcuno l’ha descritto come una soap opera fatta bene. Sono d’accordo. Ti immagini chissà quale intrigo e quali segreti. Ma poi la bolla si sgonfia in un niente. Ah c’è Penelope Cruz. Un voto in più. Voto 6
La vedova Winchester – Non lasciatevi ingannare dalla storia vera, è solo un pretesto per il solito horror all’americana pieno di jumpscare. Si poteva fare di più. Scenografie ripetitive e storia banale. Voto 6

Cinque colpi delle dita, ep. 6

Nel momento in cui sono iniziate le mie ferie mi sono detto: ho tutto il tempo di preparare un paio di post per quando sarò in vacanza e non avrò il pc con me. Sono già passati diversi giorni ma non ho ancora scritto una riga. Per la verità non saprei nemmeno di cosa scrivere. Per quanto riguarda la musica ho scritto quello che dovevo scrivere, consigliato quanto andava consigliato, a parte qualcosa che è rimasto inevitabilmente fuori. C’è qualche album nuovo ma non l’ho ancora ascoltato per bene e quindi tanto vale aspettare. Potrei consigliarvi qualche lettura ma rispetto all’ultima volta che ho scritto, ho letto un paio di libri e un altro che sto per finire. Quindi non ne vale la pena. Anche perché uno di questi merita giusto un paio di righe. Quindi di cosa potevo scrivere? Cinema, giusto. Ecco di cosa potrei scrivere! A quando risale l’ultimo appuntamento? Aprile dello scorso anno?! Non è possibile! E invece sì. Ne ho visti parecchi nel frattempo. E posso sapere anche quanti e quali. Come? Tenendo traccia e votando i film che vedo su Trakt.tv. Qui il mio profilo: trakt.tv/users/joerjoe. Ve lo consiglio, soprattutto per farsi un’idea di un film che si vuole guardare. Siccome sono tanti cercherò di essere breve ma voglio riportarli tutti. Cominciamo:

Jojo Rabbit – Bello. Molto bravi gli attori, originale il modo in cui viene raccontato il nazismo. Un po’ troppo americano ma poco male. Commedia e drammatico molto ben bilanciati. Voto 8
La isla minima – Thriller spagnolo. Non ricordo molto se non che aveva un buon ritmo e una bella storia in secondo piano legata ai due protagonisti. Voto 7
Il ricatto – Elijah Wood è un pianista che si trova in pericolo mentre suona il piano ad un concerto. Se sbaglia un pezzo complicatissimo sono guai. Piuttosto scontato ma si lascia vedere. Voto 6
The Horseman – Un western vecchio stampo con quella faccia di bronzo di Tommy Lee Jones. Mi piacciono i western lo ammetto e questo è buono. Voto 7
The Joker – Cosa aggiungere a quanto è stato detto di questo film? Niente. Non mi piacciono i film di supereroi ma questo è qualcos’altro. Davvero ben fatto e incredibilmente crudele e imprevedibile. Voto 10
Life, Non oltrepassare il limite – Polpettone fantascientifico e si sa già come comincia e come finisce. Nel mezzo un sacco di azione spaziale. Solo se vi piace il genere e avete 100 minuti liberi. Voto 6
Finché morte non ci separi – Un film a metà tra horror e commedia molto riuscito. La protagonista interpretata da Samara Weaving è irresistibile e calata perfettamente in un contesto grottesco e splatter. Voto 7
Molly’s Game – Filmone con Jessica Chastain che conduce letteralmente i giochi. La storia vera di una donna e il suo giro di poker esclusivo. Forse un po’ tirato per le lunghe ma i film dove si parla tanto non mi dispiacciano. Voto 7
C’era una volta a… Hollywood – Un Tarantino più spento e lento del solito. Ma mi è piaciuto. Il finale lascia spaesati ma anche un senso di sollievo indescrivibile. Nostalgico e bello da vedere. Voto 8
7 sconosciuti a El Royale – Sette sconosciuti si ritrovano chiusi in un motel. Pensi che sia il classico film in cui scopri che sono tutti legati tra loro da qualcosa. No. Rimangono sette sconosciuti e finisce così. Voto 6
Parasite – Non si capisce se deve far ridere o riflettere oppure inorridire. No, non si capisce bene. Però è davvero un film da vedere. Sorprendente, sia per l’idea di base, sia per la sceneggiatura così particolare. Voto 9
Arancia Meccanica – Posso riassumerlo in tre righe? Certo che no. Iconico è dire poco. Inquietante e senza filtri. Difficile da comprendere fino in fondo ma per il tempo deve essere stato davvero rivoluzionario. Voto 8
Grindhouse, A prova di morte – Tarantino voleva solo divertirsi. Chi siamo noi per negargli questo suo diritto? Sceneggiatura inesistente e azione folle e scene splatter a volontà. Voto 7
Inception – Christopher Nolan ci da dentro. E dentro e ancora dentro. E non si capisce se poi se ne esce o no. Capolavoro. Da vedere almeno una volta nella vita. Meno cervellotico di quanto dicono. Il finale poi… Voto 10
Terminal – C’è Margot Robbie. Solo per lei metto un voto in più. Il resto è incomprensibile e inconcludente. Non ho capito nulla. Altro che Inception, a questo manca proprio un’idea di fondo. Voto 6
Odio l’estate – Finalmente Aldo, Giovanni e Giacomo tornano a fare quello che sanno fare meglio. Ridere ed emozionare. Non esageriamo. Non è un capolavoro ma è confortante sapere che nulla è perduto. Voto 8
Ghost in the shell – Film fantascientifico ispirato ad un manga. Lento, scontato e inspiegabilmente interpretato da un mix di attori orientali e occidentali. Ah c’è Scarlett Johansson. Un voto in più. Voto 6
Il colpevole – Thiriller danese che consiste nella constate ed ininterrotta inquadratura di un agente che parla con gli altri quasi esclusivamente al telefono. Riuscirà a risolvere un caso di rapimento senza vedere nulla? Voto 8
John Wick – Volevo vedere un bel film dove si sparava, sparava e molti morivano. Ho visto un film dove si è sparato, sparato e molti sono morti. Non mi è piaciuto. Ah c’è un apparizione fugace di Bridget Regan. Un voto in più. Voto 6
Green Book – Credevo nella solita storia vera carica di buon senso. Mi sono dovuto ricredere. Un film intelligente e affatto scontato, che offre un spaccato di un tempo che fu e che non è ancora del tutto chiuso. Voto 8

Mi fermo qui per oggi. Non voglio annoiarvi proprio a ferragosto. I restanti venti la prossima settimana. Nel frattempo approfitto delle vacanze per vedere ancora qualche film. Se fa troppo caldo per uscire, qualcosa da vedere ve l’ho consigliato. Alla prossima.

Ancora un altro libro, ep. 7

Non è passato molto tempo dall’ultima volta che ho pubblicato un post riguardo alle mie letture. Infatti nel frattempo ho letto solo due libri ma entrambi meritano due parole. In particolare il primo di questi ovvero, Gli inganni di Locke Lamora (The lies of Locke Lamora) di Scott Lynch. Primo della serie dei Bastardi Galantuomini, è stato pubblicato per la prima volta in lingua originale nel 2006 e sono previsti altri sei volumi. La pubblicazione in Italia è stata travagliata ma lo scorso anno la Mondadori ha dato nuova vita ai primi tre capitoli, il quarto sarà pubblicato in lingua originale alla fine di quest’anno. Come potete notare, tra la pubblicazione del primo, Gli inganni di Locke Lamora appunto, e il successivo I pirati dell’oceano rosso (Red Seas Under Red Skies), passa solo un anno ma ci vorranno ben sei anni prima di poter leggere La repubblica dei ladri (The Republic of Thieves). Scott Lynch ha dovuto affrontare diversi problemi personali che hanno rallentato la realizzazione delle opere, compreso l’ultimo romanzo The Thorn of Emberlain che uscirà a quattro anni di distanza dal precedente.
Vi starete chiedendo quindi come è questo Gli inganni di Locke Lamora. Innanzi tutto si potrebbe definire un fantasy. Ma è finalmente un fantasy dove il protagonista, Locke Lamora, non è un eroe che deve salvare il mondo, dove non c’è una netta distinzione tra male e bene e dove la magia non è onnipresente. Ci sono maghi ma un po’ diversi dal solito. Molto permalosi, vendicativi e anche parecchio costosi. La particolarità dello stile di Lynch è l’uso di toni adulti, con un linguaggio carico di parolacce, con un uso frequente di violenza fisica e verbale, ma sempre con una vena di ironia nera. Tutto ciò può piacere a molti e dare fastidio ad altri. Per certi versi può ricordare un po’ lo stile tarantiniano, per intenderci. Lo stesso Locke non è un personaggio per bene e, anche se appare simpatico e affabile, è disposto a tutto pur di salvarsi la pelle e guadagnarci sopra qualche moneta. Perché Locke è prima di tutto un abile ladro e truffatore e insieme ai suoi Bastardi Galantuomini mette a segno colpi mirabolanti. Jean Tannen è abile con le armi (ma anche senza), i gemelli Calo e Galdo Sanza sono ottimi in tutto e il giovane Cimice deve imparare ancora molto ma non gli manca certo il coraggio.
All’inizio va tutto per il verso giusto al nostro Locke Lamora e ai suoi compagni. La truffa al ricco Don Lorenzo Salvara inizia nel modo migliore ma la presenza nella città di Camorr del misterioso Re Grigio rovina i piani della banda. Camorr, appunto. Lynch pone i protagonisti in una simil Venezia settecentesca, dove si trovano tracce di una civiltà antica che costruiva tutto con un vetro indistruttibile. Gli uomini che la abitano hanno perso ogni conoscenza di quel periodo e vivono in un mondo più simile al nostro. L’autore crea tutta una mitologia, una religione originale e curiosa, fatta di numerose divinità. Spesso ci sono brevi digressioni che spiegano il contesto sociopolitico nel quale si muovono i personaggi senza mai approfondire troppo per non risultare noioso. I capitoli che raccontano la storia principale sono intervallati da flashback sulla gioventù di Locke Lamora e dei suoi colleghi e spesso influenzano la trama successivamente.
Quando iniziano i problemi e troppe cose mettono i bastoni tra le ruote alla Spina di Camorr (così è soprannominato Locke) si fa fatica a staccarsi dalle pagine grazie a colpi di scena del tutto inaspettati. Preparatevi perché succede di tutto. Non aggiungo altro per non rovinarvi il piacere della lettura, se non che la scrittura di Lynch, supportata da una traduzione più che ottima, è moderna e scorrevole, infarcita di parole desuete e altre del tutto inventate. Non vedo l’ora di leggere il secondo libro e scoprire qualcosa di più sui personaggi rimasti in secondo piano.

L’altro libro è La lunga marcia di Richard Bachman ovvero niente di meno che Stephen King. Lo pseudonimo fu creato da King nel tentativo di vedere se il suo successo era legato alle sue storie o semplicemente al suo nome. Non riuscì mai a scoprirlo dato che fu smascherato troppo presto (colpa dei diritti d’autore a suo nome) ma i numeri, piuttosto scarsi per Bachman sono a sostegno più della seconda ipotesi. Questo è il secondo romanzo a nome Bachman, il primo Ossessione, è stato ritirato dal mercato per volontà dello stesso King a seguito di alcuni episodi di violenza forse legato ad esso o forse no. La lunga marcia è stato pubblicato per la prima volta nel 1979 ma è stato scritto tra il 1966 e il 1967, otto anni prima dell’esordio di King con Carrie.
Cento ragazzi partecipano ad una logorante marcia che parte dal confine del Maine con il Canada per arrivare fino a Boston, a meno che non rimanga un solo concorrente. Sì perché chi rallenta, commette infrazioni previste dal regolamento viene prima ammonito tre volte, poi “congedato” ovvero fucilato sul posto da inflessibili soldati. Alla fine il vincitore avrà un sacco di soldi e un imprecisato Premio. Ovviamente ci troviamo negli Stati Uniti ma diversi da come li conosciamo. Sembra esserci un regime militare che non viene mai approfondito dall’autore. In realtà sono tanti i punti oscuri di questo romanzo. Quello che conta è la marcia. La scelta di King di raccontarla dal punto di vista di Ray Garraty, un giovane concorrente, lascia pochi dubbi su come vada a finire.
King riesce a dare forma ad un vero proprio incubo al quale prendono parte dei ragazzi incoscienti della loro scelta. La tensione è sempre alta e sembra di partecipare con loro a questa logorante “passeggiata” che porterà i concorrenti a reagire in modi diversi. Chi si arrende e accetta la morte, chi non vuole mollare e in un certo senso “muore”, annullando sé stesso, spegnendosi lentamente. Non c’è alternativa, o cammini e vinci o muori. Ottima quest’idea di base e la scelta di non approfondire il contesto nel quale si svolge la competizione, lasciando al lettore la libertà di immaginarsi questi Stati Uniti distopici e la natura del Premio. Ma si tratta pur sempre di un King acerbo, che perde la bussola nel capitolo finale, accelerando troppo e senza motivo. Tutti sanno che il Re ha qualche problema con i finali e questo è il più enigmatico dei suoi letti finora. Ho girato l’ultima pagina credendo di trovare il resto ma era completamente bianca. Forse una vera conclusione avrebbe deluso comunque ma vale lo stesso la pena di leggerlo, consapevoli che King ha scritto di meglio. Conta di più il viaggio che la meta.