Mi ritorni in mente, ep. 64

L’ultimo appuntamento con questa rubrica risale allo scorso agosto. Da allora sono stato sommerso dalle novità di fine estate e quelle di inizio autunno. Per complicare le cose, mi sono messo alla ricerca di qualcosa di diverso da ascoltare, e si è aggiunta altra musica alla musica. Anche se ho ancora qualche nuovo album da consigliarvi, mi prendo una pausa e condivido con voi una delle recenti scoperte.

Questi sono gli Sheepdogs, band canadese attiva dal 2005, paladini del southern rock anni ’70 e non solo. Ho scelto l’ultimo album in ordine di tempo, uscito lo scorso anno ed intitolato Changing Colours. Volevo ascoltare qualcosa di diverso dal solito ed ero curioso di conoscere questa band della provincia canadese di Saskatchewan che suonava il tipico rock del sud degli Stati Uniti. Il loro sound, un po’ nostalgico, è ben rappresentato da I’ve Got a Hole Where My Heart Should Be che potete ascoltare qui sotto. Attenzione: potrebbe rimanervi nella testa per i prossimi giorni.

Porte girevoli e mezze verità

Le tre sorelle Closner, Allison, Meegan, e Natalie hanno alle spalle due album con i quali hanno dimostrato di essere cresciute molto, arricchendo e sviluppando il loro pop. Il loro terzo album Good Luck, Kid uscito lo scorso settembre prometteva, già a partire dai singoli, ulteriori sviluppi. Seguo le Joseph dal 2014 e ogni volta sono sicuro di trovare dell’ottimo pop al femminile, energico e vivace nelle loro canzoni. Se la svolta marcatamente pop del precedente album si fermava a pochi brani, qui le tre sorelle si lasciano trasportare dal dolce richiamo del genere musicale più famoso ed indefinito di sempre. Non resta quindi che fare altrettanto, premere play e alzare il volume.

Joseph
Joseph

Il singolo di punta, Fighter, apre l’album con una bella dose di energia. Il ritmo esplosivo e le chitarre si scatenano in un ritornello orecchiabile. Queste tre ragazze mettono subito le cose in chiaro e tracciano le linee guida di tutto l’album, “Wide eyes, eyes wide / I want a fighter / Don’t lie this time / I need a fighter / You’re my bright side / I want it brighter / Don’t leave me in the dark / Don’t leave me in the dark“. La title track Good Luck, Kid è un pop dalle venature elettroniche. Le atmosfere notturne e le immagini che si susseguono veloci fanno di questa canzone una delle più sorprendenti di questo album. Un’ottima prova per le Joseph che dimostrano di saperci fare, “They handed you the keys / The driver’s seat is yours now / There’s nothing left to lean on / You’re the queen from here on out / No time for doubt / Good luck, kid“. Si rallenta con Green Eyes ma è un illusione. Il ritornello è un liberatorio pop rock ben bilanciato con la melodia delle strofe. Impareggiabile l’energia e la capacità di queste ragazze di non strafare mai, “Could’ve been the way / The moonlight hit the dashboard / Passenger window rolled down / That got me thinking / There’s something we should talk about / It’s not worth waiting out“. Le chitarre battono il tempo in In My Head. Le Joseph cantano all’unisono con la consueta forza ed energia. Un pop martellante ma addolcito da un’attenzione particolare per la melodia, “I’m trying to read your body language ‘cross the table / Wish I could see behind your eyes into the future / Cause here in my mind / Think I’m starting to try / I hope you can’t tell“. NYE richiama il pop anni ’80 nel quale le tre ragazze sembrano a proprio agio. Un lento da discoteca ben fatto e piacevole da ascoltare, con un testo semplice ma ispirato, “I don’t really feel a whole year older now / I’m still shaking but I’m bolder now / I need you to hold me even closer now / I know we’ll make it another year / But I don’t know how“. La successiva Revolving Door torna su sonorità più affini alle produzioni precedenti. Ritmi lenti e melodie in primo piano veicolano l’emozione nelle voci del trio americano, che non si risparmia in energia, “I forgave you for your mistakes / Somehow I’m the one who paid / Don’t you know it’s such a let down / I made it easy for you / She kept coming around / In a revolving door / Won’t someone let me out now / And make this go away“. Half Truths è una delle mie preferite. La batteria conduce, la chitarra tratteggia la melodia fino ad un esplosivo ritornello. Ancora una volte le sorelle Closner bilanciano alla perfezione le strofe più lente e riflessive, con il ritornello pop, “I’m in danger and I’m safe / Running fast, standing in place / I’m both things at the same time / And I don’t think it’s lying / To say half truths / So I have to tell myself to get through“. Presence è la più oscura dell’album. Qui l’anima rock prende il sopravvento, rivelandosi con il suono della chitarra elettrica. C’è ancora la notte che incombe su questa canzone, come in gran parte di questo album, “I was sitting in the backseat / Looking out the window / Riding in the fast lane / Not sure who was driving / I blink my eyes / The scene is gone“. Without You è la rappresentazione di questo album. Tutta la vitalità del gruppo emerge prepotente e scalda il cuore. Una ritornello da cantare a squarciagola, “Once you know something you can’t unknow it / Once you feel the buzz of a lightning strike / Once you see something you can’t unsee it / You’ve never been happier to lose a fight“. Un momento riflessivo con Side Effects. Le Joseph uniscono le loro voci, in una sola melodia, il risultato è straordinario. C’è tutta la dolcezza e sensibilità di queste ragazze, “First note you played on that midnight piano / Our voices raised, holding the stars in place / The first mile on the first road where we let go / First time we let our hearts race“. Segue Enough In Your Eyes. Pulsazioni elettroniche aprono uno dei brani più ambiziosi e originali di questo album. Le voci delle Joseph scivolano su un tappeto di suoni minimali, aprendo la strada verso nuovi territori sonori da esplorare, “Why do I hand you my pride / Give away what’s rightfully mine? / Why do I wait for you to say / When to slump my shoulders / Or stand up straight?“. Shivers torna su un pop più in linea con l’album. Questa volta però le ragazze fanno a meno di un ritornello liberatorio e optano per mantenere la tensione costante, più con il canto che con la musica, “Did I make it up / Everything I trusted? / Cause now it’s burning from the edges / Here the fire comes / Making ash and dust out of / Everything that made sense“. Room For You chiude il disco ed è una accorata ballata pop. Niente elettronica o ritmi sostenuti, solo le tre voci e un accenno di chitarra, “I hope to God the world will make some room for you / I hope you’re seeing colors that that world sees through / You know I’ll be right here holding this dream for you / I hope to God the world will make some room for you“.

Good Luck, Kid può rappresentare un punto di svolta per la carriera delle Joseph. Dopo il timido esordio in bilico tra folk e pop, e la successiva dimostrazione di preferire quest’ultimo, le sorelle Closner, con questo disco, lo abbracciano definitivamente. Lo fanno con  forza ma anche con sentimento, attraverso i testi mai banali che spesso risultano orecchiabili. La loro musica è trascinante e carica di speranza, non gioiosa o allegra, ma semplicemente viva. La copertina dell’album, dove le tre ragazze siedono in un automobile che sembra sfrecciare tra le luci della notte, rappresenta bene le atmosfere  al suo interno. Good Luck, Kid a mio parere è il miglior album delle Joseph, il primo nel quale le ho trovate particolarmente libere di esprimersi, senza la paura di staccarsi troppo da quel pop familiare e intimo con le quali sono nate. Il loro futuro è nelle loro mani e questo è solo il primo passo nella direzione giusta.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

Inchiostro – Scusate il ritardo

Con colpevole ritardo, torno a condividere alcuni disegni che ho fatto durante le ferie estive. Come al solito ho usato solo una penna ma ho cambiato un po’ i soggetti. Ne ho fatti meno dello scorso anno ma alcuni soggetti sono piuttosto complessi e ho impiegato più tempo del normale. Il teschio di corvo (o qualunque cosa sia) è stato il più impegnativo da realizzare. Per alcuni disegni mi sono ispirato a fotografie o illustrazioni, per altri me li sono inventati al momento. Non tutti sono riuscitissimi, lo ammetto, ma non sono poi da buttare via. Li trovate tutti qui Disegni 08/19 nel mio account Flickr.

Viaggio nel tempo

Sono passati cinque anni dall’ultimo album di questa artista. Quel Wishing Well l’ho ascoltato e riascoltato un numero incalcolabile di volte. Janne Hea era stata per me una sorpresa arrivata solo tre anni fa ma ancora oggi le sue canzoni mi emozionano come la prima volta. Anche di più, perché si portano dietro tre anni della mia vita. Sì, devo ammettere che avevo perso le speranze di poter ascoltare qualcosa di nuovo da Janne Hea dopo tanto tempo. E invece quest’anno è tornata con Lost In Time. Avevo un po’ paura di trovare questa cantautrice norvegese cambiata in questi anni e ritrovarmi fra le mani un album diverso. Invece no. Janne non è cambiata e io sono tornato indietro nel tempo, in un viaggio che solo la musica può permetterci di realizzare.

Janne Hea
Janne Hea

La title track Lost In Time apre l’album e subito la voce confortevole e calda della Hea ci accoglie nella sua casa. Tutto è come anni fa e io mi sento al sicuro. Gli archi e la chitarra l’accompagnano il canto folk sincero ed emozionato, esibendosi in un assolo da brividi. Too Late riprende le melodie dell’esordio, accelerando questo viaggio. Una riflessione sulla vita e su questo tempo che a volte gioca a nostro favore e altre volte ci gioca contro. La semplicità della musica della Hea gli permette di arrivare dritta al cuore e alla memoria di ciascuno di noi con una forza straordinaria. The Horizion è una poetica ballata folk, delicata e sognante. Qui Janne Hea esprime tutta la forza del suo storytelling, lineare e pulito. Non chiedo altro. Little Things ci trascina nella quotidianità, con confortevoli melodia. Qui ogni cosa è al suo posto, le parole sono familiari e sincere, tutto è dove dovrebbe stare. Per un attimo Janne ci illude che sia davvero così anche fuori da questo album. Scende un po’ di tristezza, un po’ di blues con Truth Be Told. Una vena scura percorre la voce della Hea che si sposa perfettamente con le sonorità del country d’oltre oceano. Andando oltre i cinque minuti e mezzo, questa canzone è la più epica e ambiziosa dell’album. Winding Road abbraccia invece sonorità più vicine al folk europeo. Una ballata che ancora una volta si fa apprezzare per la sua melodia e poesia. Da ascoltare in assoluto silenzio, senza distrazioni. Vi porterà altrove, continuando questo viaggio nel tempo. Carpenter’s Wife è un country folk orecchiabile e moderno. Janne Hea incanta con la sua voce ferma e rassicurante, illuminando il ritornello, seguita dalla sua impeccabile band. Si conclude con Seven Minutes. Una solitaria ballata, che si ispira alla tradizione americana e per la quale, questa cantautrice, sembra essere nata. Gli ultimi minuti di questo album, da godersi lasciandosi andare sulle note di questa canzone e il suo finale strumentale.

Lost In Time riprende laddove il suo predecessore era finito. Ogni cosa è ancora come l’avevo lasciata, ancora otto canzoni, diverse delle quali superano i cinque minuti, la voce di Janne Hea, la musica. Se nel 2016 Wishing Well mi aveva isolato da un anno difficile per me, Lost In Time mi ha riaperto le porte di quella casa, ritrovata dopo tanto tempo. Non riesco ancora a spiegarmi cosa abbia di speciale questa cantautrice. Non so cosa ci sia nella sua musica che mi conforta e mi abbraccia. Davvero non lo so. Posso ormai dire di aver ascoltato un po’ di tutto ma sono rari gli artisti che mi fanno questo effetto. E Janne Hea è una di questi. Lo è stata in passato, si è ripetuta con Lost In Time e spero lo farà anche in futuro. Ascoltate almeno una volta questo album. Ascoltate almeno una volta Janne Hea.

Facebook / Twitter / Soundcloud

Non provate a chiamarle

The Highwomen è un super gruppo nato dall’idea di Amanda Shires per celebrare il country femminile spesso snobbato dalle radio americane. Il suo nome si rifà ad un altro supergruppo formatosi negli anni ’80, The Highwaymen, che vedeva la partecipazione di quattro leggende del country, ovvero Johnny Cash, Waylon Jennings, Kris Kristofferson e Willie Nelson. Nella sua versione al femminile, insieme ad Amanda Shires, ci sono Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile. Proprio quest’ultima mi ha convinto della bontà dell’iniziativa della Shires, sicuro che avrei trovato dell’ottimo country in questo esordio omonimo del gruppo. Carlile e Morris sono tra le cantautrici più in forma del momento mentre Shires e Hemby, oltre ad essere cantautrici, hanno scritto e collaborato con numerosi artisti della scena musicale country. Un mix perfetto che non potevo lasciarmi scappare.

The Highwomen
The Highwomen

Si comincia con Highwomen, una versione rivista di Highwaymen, nella quale si alternano la quattro voci, quattro storie di donne. Queste donne sono morte ma la loro storia vive ancora in mezzo a noi, perché hanno combattuto per i loro diritti. Non si poteva chiedere di meglio per cominciare, “I was a Highwoman / And a mother from my youth / For my children I did what I had to do / My family left Honduras when they killed the Sandinistas / We followed a coyote through the dust of Mexico / Every one of them except for me survived / And I am still alive“. Manifesto della band, la bella Redesigning Women. Un country moderno e trascinante nel quale spicca la voce della Carlile. Una canzone sulle donne e il loro ruolo di oggi, sempre in bilico tra la classica immagine e quella più moderna ed emancipata, “Full time livin’ on a half time schedule / Always tryna make everybody feel special / Learnin’ when to brake and when to hit the pedal / Workin’ hard to look good till we die“. Loose Change vede al microfono la Morris. Una delle canzoni più orecchiabili di questo album, che parla di come l’amore gira, “Loose change / I ain’t worth a thing to you / Loose change / You don’t see my value / I’m gonna be somebody’s lucky penny someday / Instead of rolling around in your pocket like loose change“. La successiva Crowded Table è il piccolo capolavoro. Una canzone positiva e corale. Le voci delle quattro ragazze creano un’atmosfera accogliente e calda, un invito alle donne ad unirsi, “I want a house with a crowded table / And a place by the fire for everyone / Let us take on the world while we’re young and able / And bring us back together when the day is done“. Decisamente più spensierata My Name Can’t Be Mama. Un veloce honky tonk che racconta come una mamma può lasciarsi andare ed essere semplicemente una donna almeno per un giorno, “Things are gettin’ better / But right now it’s not looking great / My ceiling still is spinning / From a night that went too late / I used to sleep this off / And let the shame just melt away / But not for tiny feet in hallways / Calling my name“. If She Ever Leaves Me è una ballata cantata dalla Carlile. Una canzone d’amore, un amore omosessuale. In un country di uomini etero, le donne si uniscono e cantano un altro amore, “I’ve loved her in secret / I’ve loved her out loud / The sky hasn’t always been blue / And it might last forever / Or it might not work out / But if she ever leaves me it won’t be for you“. Old Soul è un’altra ballata country, la più lunga dell’album, con leggere sfumature pop. C’è tutta l’energia della voce calda della Morris, sostenuta da tutto il resto del gruppo, “Oh to be a wild child for a day / All the promises I’ve ever kept / I’d line ‘em up to break / Oh to be a dancer on the edge / I’d rip the filter from my mouth / And all my cigarettes“. Decisamente più country è Don’t Call Me. La Shires prende le redini del gruppo e insieme alla Carlile danno vita ad una canzone ironica ma non troppo. Una coppia che gioca a fare le cattive ragazze, “You get yourself in another one of your binds / Run for help, yell for someone, pray for a sign / Dial 911, light a roadside flare, up and run / I don’t care, just don’t, don’t call me“. Un altro gioiello di questo album si presenta sotto il titolo di Only Child. Queste donne vogliono guidare una rivoluzione ma non dimenticano la dolcezza di essere mamme, “Pink painted walls / Your face in my locket / Your daddy and me / Your tiny back pocket / Mama’s first love / Last of my kind / You’ll always be my only child“. La successiva Heaven Is A Honky Tonk è un omaggio a quegli highwaymen che hanno ispirato questo gruppoCash e Jennings ci hanno lasciato e chissà se lassù continuano a cantare le loro canzoni e a fare baldoria, “There’s a choir singin’ in a southern accent, a fiddle in the band / There’s a “Hallelujah!” on the lips of every dying man / Mama, don’t you cry when they’re dead and gone / Jesus, he loves his sinners and Heaven is a honky-tonk“. Il ricordo del padre morente si risveglia nella canzone della Shires intitolata Cocktail And A Song. Una ballata commovente ed ispirata che mette in evidenza tutto il talento di questa cantautrice, “The day is close, no it won’t be long / Couple of cocktails and a song / Don’t you let me see you cry / Don’t you go grieving / Not before I die“. Si chiude con un altro eccezionale esempio di country dal titolo Wheels Of Laredo. Scritta e cantata da Brandi Carlile è una delle più belle di questo album e interpretata anche nell’ultimo album di Tanya Tucker, prodotto proprio dalla cantautrice americana. Un inno di libertà, emozionante ed intenso, “Singing, if I was White-Crowned Sparrow / Well I would float upon the southern skies of blue / But I’m stuck inside the wheels of Laredo / Wishing I was rolling back to you“.

The Highwomen è un album speciale ed eccezionale per la densità di qualità che troverete al suo interno. Quattro cantautrici che hanno unito le loro forze, il loro talento regalandoci quello che è già l’album country dell’anno. Ogni canzone è un piccolo capolavoro, ogni componente trova il suo spazio, il suo piccolo momento in cui far sentire la sua voce. Il messaggio che unisce le canzoni è una rivendicazione del ruolo delle donne nel mondo di oggi e in quello di ieri, aprendo la strada ad un futuro migliore. Quei quattro highwaymen saranno sicuramente fieri di queste quattro highwomen che hanno saputo rendere omaggio alla tradizione country nel migliore dei modi. Brandi Carlile mi ha reso partecipe di questo progetto che spero abbia una seguito, e che per ora rappresenta una pietra miliare del country femminile e non solo.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram