Quando il sole estivo scioglie le candele

Quando due cantautrici come Jess Williamson e Katie Crutchfield, decidono di collaborare per dare vita ad un nuovo progetto, non può che essere una buona notizia. Il due tutto americano, sceglie il nome di Plains e debutta con l’album I Walked With You A Ways. Entrambe sono affezionate al sound della musica folk americana e al country ma con un piglio alternativo e moderno dove l’energia e l’animo rock della Crutchfield s’incontrano con la dolce malinconia cosmica della Williamson. In questi casi, come si dice, ho fatto un acquisto “a scatola chiusa”, fiducioso del risultato. Evidentemente mi piace vincere facile perché il rischio in questo caso è stato minimo. Anche questa volta il mio fiuto non mi ha tradito.

Plains
Plains

Summer Sun apre l’album e ci accoglie subito con una storia d’amore senza lieto fine. Le sonorità malinconiche sono cariche di sentimenti e l’unione delle due voci rende, questa breve canzone, semplicemente perfetta, “When the summer sun melts candles / I dig out the wick / Honey we’re up against something / Our love alone can’t fix / So I won’t see the garden or the figs / when they are ripe / It hurts to be leaving, but I know that / staying ain’t right“. Segue Problem With It nella quale vince il folk rock della Crutchfield, che si prende la scena. Il suono della chitarra elettrica guida il duo in una canzone trascinante e sincera, “If it’s all you got, yeah it’s all you gave / I got a problem with it / If you can’t do better than that babe / I got a problem with it / Justified it in my own way / I lost myself in it / If it’s all you got, it’s enough you say / I got a problem with it“. Lo stesso vale per Line Of Sight che sorprende ancora per come questa coppia riesca a trovare un perfetto equilibrio tra energia ed emozioni. Una melodia e un ritornello orecchiabile fanno il resto, “Lord, if I’m wrong set me straight / Get me back in line / Oh & if I’m not, let the sun come out / Baby ease my mind / You know I struggle every time / In the bright spotlight / I gotta take my time / I’ll get it right, I’ll get it right“. Tra le canzoni più belle c’è senza dubbio Abilene. Una ballata country, in linea con quelle della Williamson. Un testo struggente, cantato con voce rotta e dalle tinte calde e confidenziali. Un piccolo gioiello che si deve ascoltare almeno una volta, “I remember the air when I drove out of town / Crying on the highway with my windows down / I’da stayed there forever, till death do us part / Texas in my rearview, Plains in my heart / Couldn’t hold it together when Abilene fell apart“. La successiva Hurricane torna ad affidarsi alla voce della Crutchfield che ci regala una canzone d’amore fatta di immagini. Sono ancora i sentimenti ad ispirare il duo nella loro più che riuscita collaborazione, “I come in like a cannonball / I’ve been that way my whole life / Sweet as honeysuckle / When you want a pocketknife / If you keep calm in my hurricane / I might keep it at bay / But I know you’ll love me anyway“. Bellafatima è una poetica ballata country dalla bellezza fragile. La voce della Williamson è carica di emozioni che arrivano direttamente al cuore di chi ascolta, “The days turned like cowards / So swiftly to the hour of need / And I’ll be a martyr to whatever your heartache / Will leave / Then I’ll slip through your hands like a boy / Born with no name“. Last 2 On Earth ci trascina in un country rock accattivante e vitale. L’unione fa la forza e questa canzone ne è la dimostrazione, “I’ll dry my eyes / Or I’ll laugh instead / Oh I’m leaving tomorrow, babe / I’ll come back from the dead / I’ll hold your hand / Let the noise go unheard / Pretend that we’re alone here / we’re the last 2 on Earth“. Si rallenta con Easy, una canzone fragile a due voci, che ci svela tutta la sensibilità delle Plains. Ancora una canzone breve che sa andare a segno senza difficoltà, “Call it a farce / You drop down, take it to the limit / Ya know ya, can’t lose a fight if you take / cover or abandon it / An onslaught of noise in the background, babe / What you’ve got, don’t let it fade“. Cambio di ritmo con No Record Of Wrongs. Una canzone luminosa sull’amore e sulla vita, dalle sonorità pop dall’anima country, “I can’t ask you to wait on this / Lord I wish you would / Some things won’t stop, you try to pause it / When love comes calling / When love comes calling / Hold on“. Si chiude con la title track I Walked With You A Ways, una malinconica ballata che racchiude lo spirito di questo album. Un flusso di pensieri sincero e poetico, “On the winding path of life / sometimes you walk alone / Cause people come and go / There is a season for each one / They change your heart, and then it’s done / Well I’ll be better all my days / Cause I walked with you a ways / I walked with you a ways“.

I Walked With You A Ways è un ottimo album sotto tutti i punti di vista. Le Plains dimostrano una perfetta complicità, alternandosi l’una con l’altra e allo stesso tempo fondendo due anime diverse ma non distanti. Non c’è una sola canzone lì per caso a riempire le dieci tracce, ognuna lascia qualcosa a chi ascolta. Jess Williamson e Katie Crutchfield sanno la ricetta perfetta per mescolare folk e indie rock con le giuste proporzioni, regalandoci un album a volte più orecchiabile e altre più riflessivo, ciò che rimane una costante è la capacità di dare voce alle emozioni più sincere. I Walked With You A Ways rappresenta il primo passo, spero non l’unico, di una collaborazione che ha dato i frutti sperati e anche di più. Non rappresenta solo un buon biglietto da visita delle loro carriere soliste ma anche uno degli album più belli di quest’anno.

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Mi ritorni in mente, ep. 86

Questo mese è stato pubblicato l’album I Walked With You A Ways che segna il debutto del duo Planis, composto dalle cantautrici americane Jess Williamson e Katie Crutchfield. Questo album troverà sicuramente spazio su questo blog prossimamente perché oggi vorrei consigliare un altro album. Se Jess Williamson era già un nome di mia conoscenza, quello di Katie Crutchfield meno. In realtà vedendo le foto della coppia mi è sembrato di riconoscerla. Infatti si tratta di un’artista nota anche con il nome di Waxahatchee e il suo ultimo album, uscito nel 2020 s’intitola Saint Cloud.

Ho deciso quindi di recuperare questo album che ricordo fu ben accolto nonostante segni una svolta folk americana per questa cantautrice. Personalmente l’album mi è piaciuto fin dal primo ascolto, un ottimo mix di indie folk e indie rock, caratterizzato da melodie orecchiabili e una voce carismatica. Non è stato facile sceglierne una. L’invito è ascoltare tutto Saint Cloud. Non è mai troppo tardi per ascoltare della buona musica.

Ti farà girare e ti sputerà fuori

Dopo cinque anni dall’ottimo Highway Queen è tornata con un nuovo album la regina del cosiddetto outlaw country, ovvero Nikki Lane. Un lungo periodo di pausa che l’ha vista, tra le altre cose, collaborare con Lana Del Rey e aprire un negozio di vestiti “High Classy Hillbilly” a Nashville. Tutto questo mentre il mondo si fermava in attesa di tempi migliori. L’ispirazione non è dunque mancata per questo Denim & Diamonds che segna un ritorno molto atteso di una delle più carismatiche artiste country degli ultimi dieci anni, che con i suoi occhi azzurri, la voce graffiata e il piglio di cattiva ragazza non passa certo inosservata. Non resta che ascoltare cosa ha combinato in quello che è il suo quarto disco in carriera prodotto da Joshua Homme (Queens Of The Stone Age).

Nikki Lane
Nikki Lane

Il primo singolo è anche la traccia di apertura dell’album e First High ci ricorda subito chi è Nikki Lane. Una maggiore influenza rock non pregiudica affatto la natura country della sua musica e amplifica quella voglia di tornare ai bei vecchi tempi, quando ci si stupiva ancora, “Take me back to the first dream / 501 blue jeans / Tighter than goddamn Springsteen / Take me back to the first show / Right back to the first note / When I knew my heart was pure rock ‘n’ roll / I’m still searching for that first high“. La title track Denim & Diamonds si apre con il riff di una chitarra elettrica e continua sulle note di un rock irriverente. Nikki Lane ribadisce la sua voglia di indipendenza e libertà, “I can do whatever I wanna / All by my lonesome / If that’s a problem well you can’t say shit / Cause I’m going my way / Livin’ and dyin’ / And I can buy my own damn denim and diamonds“. Faded è una ballata, una canzone d’amore sincera, resa ruvida dalla voce unica di questa cantautrice che dimostra di non rinunciare a canzoni più poetiche e meno rock, “Oh, honey I’m just crying out / Wishing you could tell me how to ease the pain / And oh, it feels like I’m dying now / I need you so bad / I don’t know how / But you’re the best I ever had / And it’s so hard to say“. Decisamente di tutt’altro tenore la bella Born Tough che ripercorre i momenti di una vita che ha lasciato i segno. Un brano forte e molto personale che ci fa conoscere un po’ di più quest’artista, “Well, my daddy always told me I was living in a man’s world / But that don’t mean there ain’t room for a big-hearted girl / So my mama took me pickin’ said that we could buy a set of tools / So that I could build my own life and play by my own rules“. Tra le più orecchiabili c’è la successiva Try Harder. Nei momenti di difficoltà e di sconforto forse dovremmo tutti sforzarci un po’ di più. Nikki Lane non manca di mettere in luce qualche debolezza sotto quell’apparenza di ragazza tosta, “Sometimes you gotta try a little harder / Try a little harder to get what you want / Keep singin’ / Sometimes you gotta try a little harder / Push a little farther just to make it on your own“. Good Enough è una lunga riflessione che corre sulle note country. Ancora una volta questa cantautrice si lascia andare, non si nasconde, rivelando una maturità ormai raggiunta, “So that’s patience, hope, and kindness / And all of those things / That we call on to remind us / Of all the love and the trust we have inside us / So that evil just can’t find us / I’ll keep my heart protected / So that nothing can divide us“. Live/Love è ancora una canzone che ha qualcosa di personale e lascia spazio alle emozioni, ma quella voce continua a graffiare e ha rivelare un’anima tormentata, “But people come and go just like the fish in the ocean / Doesn’t seem to matter for the sound of commotion / Things get pushed aside / Rollin’ with the tide / And I don’t ever wanna have to say goodbye“. Il cuore rock di questo album risiede tutto in Black Widow. Il ritornello è un rock’n’roll d’altri tempi che non fa ricordarci quanto Nikki Lane ami un certo stile vintage, “She’ll seduce the nation / Set their hearts on fire / Push your limitations / Make you walk the mile / If you’re prone to temptation / You better not stare / She’ll spin you up and spit you out / She’ll leave you running scared / She’s a black, black widow“. Pass It Down è un country rock ricco di buoni sentimenti e nostalgia. Un altro bel pezzo dallo stile classico ma che funzionano sempre, “Come on brother grab a chair / We gonna gather ‘round / Tell us a story you’d like to share / Go on and let your guard down / Or you can take a minute to sit right back / You don’t have to make a sound / Just take what you want from it / And go on and pass it down“. L’album si chiude con la bella Chymaio che ricorda le melodie messicane e dalle atmosfere western. Una delle canzoni più affascinanti e misteriose di questo disco, “So we traveled through the night / Guided on by the lamp of the moonlight / Careful not to show our trail / Pistols loaded for if we should fail / The sound of silence was blowing in the air / As we drifted to sleep on the ground / The enemy came closing round / Ese fue el final“.

Poter descrivere Denim & Diamonds come l’album più rock di Nikki Lane sarebbe riduttivo oltre che sbagliato. Questo album è innanzitutto il più maturo e personale che finora abbiamo potuto ascoltare da quest’artista. Le influenza rock sono ben mescolate all’anima country e western alla quale eravamo abituati e la voce ben si sposa con tutto questo. Denim & Diamonds è anche un album più personale rispetto ai precedenti, fatto di canzoni spesso brevi e dirette. Ci sono momenti leggeri ed irriverenti, altri più pesanti e riflessivi ma la personalità di Nikki Lane emerge senza filtri lasciandoci incantati lungo tutta la sua durata. Mi mancava la sua voce, devo essere sincero, e poterla riascoltare in un album così ben riuscito è una delle gioie di questo anno musicale. Denim & Diamonds si è fatto attendere ma l’attesa è stata ampiamente ripagata. Bentornata Nikki.

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È così che ci nascondiamo dalla vita moderna

Quando una band come gli Editors annuncia un nuovo album, l’unica cosa che sicura è che sarà qualcosa di diverso dal precedente. Fatta eccezione dei primi due, in qualche modo paragonabili, i successivi sono sempre stati orientati alla sperimentazione, nella vana ricerca di un’identità. Questo non è necessariamente un problema, anzi ha reso più interessante la carriera di Tom Smith e soci, che hanno saputo assorbire bene qualche critica di troppo. Il loro settimo disco si intitola EBM, che sta per “Electronic Body Music” oppure “Editors Blanck Mass” per sancire l’ingresso di Benjamin John Power, aka Blanck Mass, in via definitiva. I singoli lasciavano intendere una forte influenza elettronica ma era chiaro che l’album nascondeva qualcosa di più sperimentale, l’ennesimo tentativo della band inglese di sorprendere e mantenersi viva senza campare di rendita dopo quasi vent’anni sulle scene.

Editors
Editors

Heart Attack apre l’album con un crescendo di pulsazioni elettroniche dal quale emerge l’inconfondibile e carismatica voce di Smith. Dichiarazioni di un amore malato e possessivo si dispiegano in una nube di suoni che si rincorrono l’uno con l’altro. Non ci poteva essere scelta migliore come primo singolo, orecchiabile ma non troppo e non lontana dalle ultime sonorità della band, “No one will love you more than I do / I can promise you that / And when your love breaks, I’m inside you / Like a heart attack / No one will love you more than I do / I can promise you that / And when your love breaks, I’m inside you / Like a heart attack“. La successiva Picturesque scioglie ogni dubbio, siamo dentro al nuovo album degli Editros. La svolta elettronica e l’apporto di Blanck Mass si fa sentire e corre a briglia sciolta con Smith che tiene insieme le stratificazioni sonore. Un esperimento interessante che stranisce ad un primo ascolto, “When your hate don’t cut it / Through the mess you started / I confess I find it picturesque / Are you livid? / When my love boils over / When my shame grows colder / It’s a mess / Picturesque“. Karma Climb invece torna alle sonorità del recente passato. Smith gioca con la voce come solo lui può fare e per qualche attimo sembra di tornare indietro nel tempo. Ancora una canzone accattivante e non troppo scontata, “Just give me cold stares, give me polluted air / ‘Round and around, we go down / A little truth or dare, euphoria or despair / Karma climbs quick without a sound“. Lo stesso si potrebbe dire di Kiss che sembra ripescato dagli anni ’80. Il primo dei brani più dance di questo album, forse fin troppo semplice e lineare ma si lascia ascoltare anche se non regge bene lungo i suoi otto minuti, “How do I feel tonight? / Light up what’s lost inside / So we’ll pass the time / In who I can’t confide / We could do anything / Oh, when I’m feeling low / If I could only sing / Any song that you know“. Silence invece è di tutt’altro tenore. Qui si rivede il lato epico e riflessivo degli Editors. La voce magnetica attira su di sé le attenzioni di chi ascolta riportandoci molto vicino alle sonorità degli esordi ma senza illudere nessuno, “Wherever you are now you’re making me feel / These walls are a real life, I miss you, I’m still / When my body aches / Gimme uncomplicated conversation / When my body aches / Gimme uncomplicated conversation“. Ci pensa Strawberry Lemonade a confondere le idee. Torna di nuovo la musica elettronica che finisce per avvolgere tutto. Smith ci guida con la voce in una foresta di suoni riuscendo a dare vita ad un ritornello orecchiabile. Un esperimento ben riuscito che soffre ancora però di una durata eccessiva, “I’m not your renegade / Strawberry lemonade / Looking for someone to get lost in / Come may / I’m not your renegade / Help me to demonstrate / All the things I don’t believe in“. A proposito di canzoni lunghe, Vibe si attesta come l’unica sotto i cinque minuti. Un canzone più danzereccia che gli Editors abbiano mai fatto. Godibile per carità ma da loro mi aspetto qualcosa di meno dimenticabile, “Just because you feel it / Don’t forget where your vibe comes from / It’s coming from a cold, hard night / Just because you feel it / Don’t forget where your vibe comes from / It’s coming from a cold, hard night“. Decisamente più dura e ruvida è l’enigmatica Educate. Toni scuri e una rabbia repressa sono gli ingredienti che questo gruppo sa mescolare bene. Anche qui ci sono echi del lontano passato che non si possono non notare, “I don’t wanna be wasting your time / Over and over / This is how we hide from modern life / Under the covers / You saved my soul with a drive / Don’t you remember / What it was when it was what it was / It was only an ember“. Si chiude con Strange Intimacy, nella quale si fanno largo le pulsazioni elettroniche per oltre un minuto e mezzo, prima che emerga la voce di Smith, anch’essa distorta. Gli Editors tutto sommato chiudono bene lasciandoci con una canzone che alterna melodia, ritmo e distorsioni con sapienza, “Strange intimacy / This party is over / Let the rain pour down on me / Eclipsing the loneliness / Of strange intimacy / This party is over / Let the rain pour down on me / Eclipsing the loneliness“.

EBM è un album potente e solido, con un’idea chiara e ben realizzata. Tom Smith ormai sa che lui può reggere qualsiasi gioco e lo fa con esperienza. La presenza di Blanck Mass ha di fatto amplificato ma non stravolto le scelte stilistiche che il gruppo aveva già abbracciato negli ultimi album. Non manca qualche momento un po’ discutibile, soprattutto quando entra in scena uno strano tentativo di proporre qualcosa di dance ma dai toni dark. Gusti personali e nient’altro ma gli Editors non mi sembrano tagliati per questo genere di canzoni. Poco male però se queste sono bilanciate da altre decisamente più cattive e sporche. Non so se è una mia impressione ma ho trovato diversi rimandi al passato della band, alcuni brevi passaggi, melodie o accelerazioni che mi hanno restituito l’immagine del vecchio cuore pulsante degli Editors, che dopotutto batte ancora forte. Il cuore di una delle band più sottovalutate della sua generazione.

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Il luccichio del mare

A volte penso che se non esistesse siti come Bandcamp o il sempre ottimo Folk Radio UK, le probabilità di scoprire un album come questo sarebbero pressoché nulle. Il suono di un’arpa e il canto in una lingua sconosciuta non catturano certo l’attenzione di un pubblico ampio ma catturano quantomeno la mia di attenzione. L’arpa è quella della musicista scozzese Rachel Hair e la voce appartiene a Ruth Keggin che canta in lingua mannese o gaelico mannese. Una lingua che era stata data per estinta ma che viene mantenuta in vita da una manciata di abitanti dell’Isola di Man. La collaborazione di queste due artiste ha dato origine all’album Lossan, che significa “luce, bagliore, lucentezza, fiamma”, incluso tutto ciò che luccica nel mare.

Ruth Keggin & Rachel Hair
Ruth Keggin & Rachel Hair

Si comincia con Arraneyn Cadlee, un brano in cui possiamo sentire la melodia di “Cadlee ny Moidyn Moirrey” (Ninnananna della Vergine Maria) e il canto di “Arrane y Chlean” (Canzone per la culla). La splendida voce della Keggin e il tocco leggero della Hair sono pura poesia. Segue l’affascinante Mish as y Keayn (Io e il mare) scritta dalla poetessa e compositrice Annie Kissack e seguita da “Arrane ny Niee” (Canzone per lavarsi), un’altra composizione tradizionale. L’armonia tra voce e strumento è perfetta è non si può far altro che rimanerne incantati. Tri Nation Harp Jigs è un brano che raccoglie tre melodie tradizionali che arrivano dalle tre terre diverse, “Na compaich ag ol” (dalla Scozia), “My Shenn Ayr” (dall’Isola di Man) e “Willie Coleman’s” (dall’Irlanda). Un’occasione per apprezzare tutto il talento della Hair. Segue Arrane Saveenagh (Canzone del sonno), altra tradizionale ninnananna mannese per la sola voce delle Keggin. Ora tocca lei lasciarsi apprezzare in tutta la sua bellezza. Keayrt hug mee Graih (Una volta ho amato una signora), è composta dalla melodia dal titolo, “I Once Loved a Lady” di David Speers e dal testo di Colin Jerry. Il tutto splendidamente reinterpretato in modo impeccabile. Un altro brano tradizionale è Graih Foalsey (Falso Amore) che racconta la storia di un uomo che non perde la speranza nonostante scopra che non è amore vero. Ny Kirree Fo Niaghtey (La pecora sotto la neve) è il lamento di un gregge che si perse durante una bufera di neve nel 1600, seguito poi da un’aria scozzese “Bothan Airidh ‘m Braigh Raineach” (The Bothy in the Braes of Rannoch). Tra le mie preferite c’è Eubonia Soilshagh che unisce due “drinking song” tradizionali, “Eubonia Soilshagh” e “Grine veg Oarn” nella melodia rinnovata di Annie Kissack e unite dalla giga “Moirrey ny Cainle Jig” eseguita durante la festa della Candelora. Yn Scollag Aeg (Il giovane studioso) è un brano strumentale tradizionale dalle tinte oscure e misteriose. Vuddee Veg (Dolce ragazzina) è ancora scritta dalla Kissack per far addormentare la figlia quando era bambina. Arrane Oie Vie (Canzone della buonanotte) è perfetta per chiudere l’album nel migliore dei modi.

Lossan è una raccolta di canzoni che si lascia ascoltare grazie alla voce melodiosa di Ruth Keggin e la magia dell’arpa di Rachel Hair. Ancora una volta il potere della musica va ben al di là della lingua usata, anzi offre in più il misterioso fascino dell’ignoto. Le lingue gaeliche sanno essere morbide e dure allo stesso tempo, sembrano provenire da un altro mondo non ancora del tutto scomparso. Lossan è uno scrigno di una tradizione sempre più fragile nei tempi in cui viviamo ma che proprio grazie ai giovani e alla modernità di internet è in grado di superare mari e oceani e raggiungere chiunque abbia la pazienza di cercare e la volontà di fare nuove scoperte.

Sito Ruth Keggin / Sito Rachel Hair / Bandcamp