Come il gelsomino la sera

Due anni fa, per mia fortuna, recuperai un album del 2019 intitolato Weather Beaten della cantautrice inglese Katie Spencer. Un debutto notevole che metteva in luce il suo talento, sia come musicista, sia come autrice. Quest’anno è uscito il suo seguito, dal titolo The Edge Of The Land. L’album è stato registrato in due giorni, dal vivo in studio ed è chiaro l’intento di restituire all’ascoltatore un’esperienza più sincera e vicina. La musica della Spencer non è immediata ma proprio per questo ha la capacità di svelarsi pian piano, ascolto dopo ascolto.

Katie Spencer
Katie Spencer

Take Your Time apre l’album, la chitarra acustica accompagna la voce morbida della Spencer che ci invita a prenderci tutto il tempo che ci serve. Ritroviamo con piacere le sonorità dell’esordio, “Seasons come, people grow / Wounds heal, so deep below / Take your time, take your time / Show me now, what surrender brings / Peace and solitude, some wondering / Take your time, take your time“. La title track The Edge Of The Land si dispiega su immagini che richiamano l’oceano, pennellando con le note e con la voce una canzone malinconica. Da ascoltare, “The passion fires of yesterday / Still burn bright and can’t be washed away / By the salt tide that ebbs and sways / Shapes our land into what we see today / At the edge of the land“. Segue Silence On The Hillside, una canzone dalle atmosfere rassicuranti e tranquille. Katie Spencer ha la capacità di trasportarci in un posto sicuro, con semplicità e sincerità, “Silence on the hillside / You know, it feels like night time / But the birds sing, and the sun shines / And it’s deserted down in the valley / People with family / Sharing quiet stories at home“. Roads è una canzone fatta di ricordi dolorosi che si rivelano sulle note pulite e riconoscibili della chitarra. Katie Spencer con poco riesce a fare molto, “I see you dancing in that confident way / Now I know, you were roaming around / In your infinite circle of doubt / And it all comes rolling back / Some of these memories have been kept hidden / Far off the beaten track / On the roads in my mind“. Bear’s Tune è un brano strumentale che troviamo a metà dell’album e ci fra apprezzare le doti di musicista di questa cantautrice insieme alla sua band. A seguire la bella Shannon Road che vive di nostalgia, di immagini di fine estate. La voce della Spencer è delicata, ci prende per mano come una vecchia amica, “Someone’s burning his old wardrobe on the green / And all the kids are laughing / Barefooted on the grass / And the cold is coming in, it’s september again / And the streetlights, they flicker on and off / On and off, on and off / It’s the shannon road silent disco“. Wormhole è una canzone di rinascita che trasmette sensazioni positive, che danno conforto. Tutto si allinea, musica e voce, in una splendida melodia, “Sadness is a teacher / Who we must come to know / He lets us know where we can go / Like the wind that bites my cheeks / Or like the jasmine in the evening / You make me strong, come the day“. Go Your Way è l’unica canzone non scritta dalla Spencer. Si tratta infatti di una cover dell’originale di Anne Briggs, riproposta in una forma meno tradizionale ma più nelle sue corde, “Friends and strangers bring stories / When asked where you have been / Magic stories they do tell to me / You go your way oh my love / You go your way oh my love“. Sweet And Gentle è un brano che lascia molto spazio alla musica che alle parole. Una canzone dalle atmosfere notturne e distese, che si illumina di speranza, “All my answers come to me / In the night time, so softly / Sweet and gentle, as the snow falls / So quietly“. L’album si conclude con Forevermore che si anima di amore e dolcezza, non senza una velata malinconia che risiede naturale nella voce di Katie, “Before you go, I wish you well with your travelling / May the darkness turn to light within / God only knows what’ll happen then / You don’t know whether you’re coming or going / Forevermore, forevermore“.

The Edge Of The Land è un album che segna l’ulteriore passo in avanti di Katie Spencer verso uno stile proprio e riconoscibile. La qualità di questo album è molto alta e per questo motivo non è un album sempre di facile ascolto. Niente melodie orecchiabili o ritornelli accattivanti, solo un lento e costante progredire di parole e musica. Katie Specer possiede la rara abilità di incantare chi ascolta e trasportarlo altrove, dando l’impressione di vedere e sentire cose che, noi comuni mortali, fatichiamo perfino a comprendere. The Edge Of The Land forse non è un album per tutti i gusti ma è un album di tutti, un luogo in cui ritrovarsi con sé stessi, un posto sicuro, senza sorprese.

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Ancora un altro libro, ep. 10

Dopo gli ottimi Imprimatur e Secretum, il terzo capitolo delle avventure di Atto Melani e del “ragazzo” senza nome, intitolato Veritas, si rivela essere un passo indietro rispetto ai precedenti romanzi scritti dalla coppia Monaldi e Sorti. Sempre ottima la ricostruzione storica ma stavolta si eccede con la fantasia e la presunzione. La morte dell’imperatore Giuseppe I è un pretesto debole che costringe gli autori ad aggiungere carne al fuoco per tenere in piedi la storia. In particolare la nave volante, con tanto di autopilota, mette a dura prova la sospensione dell’incredulità che, in un romanzo storico, non dovrebbe essere necessaria (o almeno non quanto un fantasy). Senza contare che resta un mistero la sua utilità all’interno della storia. La serie di omicidi è eccessivamente prevedibile e inutilmente brutale. Il colpevole viene svelato con un colpo di scena copiato pari pari da “I soliti sospetti” (film che all’epoca fu rivoluzionario ma rivisto oggi non più di tanto). Mi è parso inoltre che la prosa sia più moderna che nei precedenti ma forse è solo una mia impressione, così come lo sono le numerose ripetizioni degli stessi concetti. Mi spiace scriverlo ma questa volta Monaldi e Sorti hanno toppato e non di poco. Veritas resta un thriller di pura fantasia, con un intreccio debole, supportato però, come sempre, da un’immensa documentazione.

Sono tornato da Scott Lynch che ci porta per mare nel secondo capitolo dei Bastardi Galantuomini, intitolato I pirati dell’oceano rosso (Red Seas Under Red Skies). La struttura del romanzo resta la stessa del primo libro Gli inganni di Locke Lamora: Locke e Jean mentre stanno mettendo a segno uno dei loro colpi, rimangono invischiati in affari più grossi di loro. Chi conosce poco o nulla di termini marinareschi si troverà confuso quanto i protagonisti, lo stesso autore ammette poi di aver fatto un po’ confusione e di essersi inventato qualche termine. L’intreccio è il punto di forza di questa serie che, tra truffe, intrighi e tradimenti, tiene incollato il lettore fino al finale che lascia alcune questioni in sospeso per i volumi successivi. Linguaggio forte e violenza, ma anche molta ironia, restano i tratti distintivi di un fantasy fuori dagli schemi. Il mondo creato da Lynch si arricchisce di nuovi particolari e parole (ottima la traduzione), facendoci scoprire le sue regole e sui meccanismi che sovvertono quelli del nostro. Ora non mi resta che il successivo La repubblica dei ladri che finora è l’ultimo pubblicato da Lynch. Il prossimo The Thorn Of Emberlain pare sia di prossima pubblicazione ma è così da qualche anno ormai. Forza Scott ce la puoi fare!

Se con La svastica sul sole, Philip K. Dick non mi aveva pienamente convinto, con Ubik ho capito perché questo autore è così amato. La capacità di Dick nel creare una storia dalla struttura solida ma allo stesso tempo confusa, è il punto di forza di questo libro. Ambientato nel 1992, che all’epoca rappresentava un futuro relativamente lontano, l’umanità ha trovato il modo di mantenere in semivita le persone in punto di morte e avere contatti con loro. Tutto ruota attorno alla vita e alla morte e a questo stato di sospensione innaturale. Nella prima metà del romanzo Dick ci confonde con termini presi in prestito dalla fantascienza dell’epoca per poi, nella seconda, accelerare il ritmo e trovare numerosi colpi di scena. Un romanzo che corre senza sosta, senza passaggi a vuoto, che soffre solo di un immaginario fantascientifico ormai obsoleto ma continua ad offrire spunti di riflessione. Probabilmente leggerò altro di Dick ma l’impressione, leggendo opinioni qua e là, è che Ubik resta il punto più alto della sua produzione.

Impolverato e sfinito dal sentiero solitario

Lo scorso anno ho avuto il piacere di scoprire una cantautrice country, che per troppo tempo ha atteso nella mia whislist. Quando ho saputo che Brennen Leigh avrebbe pubblicato un nuovo album non me lo sono lasciato scappare. Questa volta però non è sola ma è accompagnata dalla band country Asleep At The Wheel attiva dagli anni ’70. Il titolo dell’album è Obsessed By The West ed è chiaro che cosa ci avrei trovato dentro. Country, western, bluegrass, americana e tutto ciò che ci può portare nel mitico west degli Stati Uniti.

Brennen Leigh
Brennen Leigh

L’apertura è affidata a If Tommy Duncan’s Voice Was Booze, una canzone che vuole essere un omaggio agli anni ’30 e ad uno degli esponenti di spicco della musica country di quei tempi. Se la sua voce fosse alcolica, dice la canzone, sarei sempre ubriaca, “If I had an old cast iron stove I’d whip us up a rhubarb pie / With berries and cream, wouldn’t that be a dream / Then I could lay right down and die / If I had a time machine I’d set it to ‘39 / And if Tommy Duncan’s voice was booze I’d stay drunk all the time“. In Texas With The Band ci racconta di quanto sia bello suonare in Texas. Una canzone allegra e con il giusto swing, che vede la partecipazione di Ray Benson, “I’ve rode on trains and aereo-planes / Ate steak and calamari / Shook the hands of diplomats / And played their fancy parties / Well I don’t mean to gripe or brag / Sure, the high life has been grand / But I’d trade my wage just to be on stage / In Texas with a band“. La successiva If I Treated You Like You Treat Me ci parla di un amore finito male. Qui c’è Emily Gimble ad alternarsi con Brennen Leigh e il risultato è una canzone country dalle melodie vintage, “If I treated you like you treat me / You’d run away and cry / You’d be wiping your little eyes / You’d be telling me goodbye and walking out the door“. Anche Same Dream è una canzone che parla d’amore. Un malinconico country classico, impreziosito dalla voce melodiosa della Leigh, “When you first said you loved me I knew I felt the same / But I was scared because I’d barely healed from an old flame / I made you wait too long, dear, and at last you gave up trying / But maybe some day we’ll dream the same dream at the same time“. Segue Tell Him I’m Dead, che vede la partecipazione di Katie Shore, è un brano spensierato e divertente che vuole farla finita con un amore che non ha funzionato, “If you think you’ve found your mister right, you’re wrong / He’ll love you fast and hot but not for long / For a while I held onto him tight / But if your eye’s on him I won’t put up a fight / I’d rather cuddle with a cactus, all curled up in my bed / And if he comes around, tell him I’m dead“. La title track Obsessed With The West è una splendida ballata dedicata ad un territorio ricco di fascino ma anche duro e spietato. Brennen Leigh ci porta lontano come solo lei sa fare, “I’m obsessed with the west, that ruleless old gal / Always coming or going, she can’t be corralled / Her buzzing cicadas, her chalky white rocks / Her high dancing grasses, her black buzzard flocks“. Comin’ In Hot è una divertente cavalcata di chi vive sempre di corsa, rincorrendo chissà cosa. Un canzone che scaccia i pensieri tristi, “And when It’s my appointed date / To stand up at those pearly gates / Much as I hate to make him wait / Tell old Saint Pete I’m running late / I’m coming in hot, I may not be there on the spot / My eyes are propped open and my nerves are shot / Lordy hang on, I’m coming in hot“. I Was Just Thinking Of You è un lento che sembra aver viaggiato nel tempo per giungere fino a noi. Una nostalgica canzone d’amore, semplice e dolce, “Yesterday I went by that old place we used to go / It’s exactly the same as it was all those lifetimes ago / Then just for a laugh I played that old song we once knew / Funny, I was just thinking of you / Funny, I was just thinking of you“. I Don’t Want Someone Who Don’t Want Me è una canzone leggera che racconta di un amore non corrisposto o forse no. Brennen Leigh è perfetta, la sua voce pulita corre veloce senza esitazioni, “When I first met you baby I was smitten by your charm / It felt so good to be the one a hanging on your arm / I might regret forever that I had to set you free / But don’t want someone who don’t want me“. Tra le mie preferite di questo album c’è Riding Off Onto Sunset Boulevard. Il canto melodioso e malinconico da vita ad una bellissima canzone in stile western che ci fa viaggiare con la fantasia, “I rode into town one day / Dusty, broke and tired / Worn out from the lonesome trail / A working man for hire / It’s been a couple weeks now / Since I’ve had a decent meal / The cowboy boots I’m wearing / Are rubbing blisters on my heels“. Decisamente tutt’altro tono in You’re Doing It Wrong. Una canzone spensierata e ironica che dimostra la versatilità di questa cantautrice, “You’re doing it wrong / All day long / You came from so far away / But you never left Waterloo, IA / You missed the point / And all the greasy joints / You’re headed on to Rome / You should have just stayed home / You’re doing it wrong“. Cosa dire poi della conclusiva Cottonwood Fuzz? Un ricordo d’infanzia luminoso e gioioso. Un gioliellino tenuto per ultimo, “And the cottonwood doing what the cottonwood does / Cottonwood fuzz, light as a feather / Soft as the summer nights that we spent together / If I can’t stop smiling honey it’s because / Love’s floating on the air like cottonwood fuzz“.

Obsessed By The West è un viaggio nella musica country e folk americani, e Brennen Leigh è nata per tutto questo. La sua voce è ferma e capace di dare la sfumatura giusta ad ogni canzone. Rispetto al suo predecessore, questo è ancora più vivo, brulicante di vita e di amore. Un album irresistibile che non può non piacere, al di là delle preferenze riguardo al genere musicale. Qui si vedono confermati tutti i cliché della musica country ma in questo caso è un pregio più che un difetto. Obsessed By The West ci porta in un mondo che forse non esiste più, o forse no, o semplicemente può esistere ancora se lo vogliamo.

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Non c’è più niente da salvare

Non sapevo nulla riguardo alla storia di Jessica Willis Fisher e della sua famiglia, sono arrivato a lei leggendo una recensione come tante che ha attirato la mia attenzione. Non sarò certo io a riportarla qui, ognuno di voi potrà farlo cercando un po’ in rete, se vuole. Ma è chiaro fin dal titolo del debutto solista di questa cantautrice e musicista americana, che Brand New Day vuole segnare l’inizio di una nuova vita, lontano dalle brutte esperienze che ha vissuto. Ho l’impressione a volte di prevedere con facilità cosa ascolterò ancora prima di premere play. Mi bastano la copertina dell’album, qualche foto promozionale, l’artwork in generale, per indovinare. Questo album profumava di country americano fino al midollo. Ed era quello che volevo.

Jessica Willis Fisher
Jessica Willis Fisher

La title track Brand New Day dà il via non solo all’album ma anche alla speranza di un futuro migliore. Un country positivo e luminoso che lascia buone sensazioni, “Life can’t let you down / When you’re leaving rock bottom with the lost and found / Luck comes knocking on the way / Jump don’t turn around / You’re gonna hit the net before you touch the ground / Love will rise again and say it’s a brand new day“. La successiva Fire Song affronta il passaggio più doloroso, ovvero lasciarsi alle spalle il passato, bruciare ogni sua traccia. In un’atmosfera notturna spicca il suono del violino della Willis Fisher, “Wake up, wake up / This ain’t just a dream / The smoke is fillin’ up the room / Can you smell the kerosene? / Let go, let go / There’s nothin’ left to save / There’s poppin’ in the timbers / And the sky’s about to cave“. Hopelessly, Madly è una canzone d’amore che può apparire banale ma è soprattutto sincera che si lascia ricordare per un bel ritornello, cantato con voce angelica, “Laying down in thе dark you kiss me goodnight / I feel the warmth of your body and everything’s right / I don’t know why the time should fly and go so fast / But I believe that you and me can make this last“. Segue Slow Me Down, una ballata che corre sulle note di una chitarra acustica. Un invito a non vivere la vita con frenesia e saper rallentare per godersi le gioie della vita, “Sweet, sweet simplе life and / Spending all my time with you and mе and family around / And get more of this, sweet, sweet way of living / I didn’t know what I was missing, taking all for granted until now / Baby, slow me down, baby, slow me down“. Con Lucky One si vira verso un country blues che ci ricorda di non mollare mai di fronte alle difficoltà. Jessica Willis Fisher dimostra di saper cambiare registro con naturalezza tra una canzone e l’altra, “You can try and say it’s all right / When you should cry and say it’s not alright at all / But if you lie, heaven help you when you fall / ‘Cause it’s a long way down, a long way down / When you’re not the lucky one“. My History forse non è un caso che si piazza a metà di questo album. Qui Jessica cerca di affrontare la propria storia con un country delicato ma duro allo stesso tempo, “All my story now belongs to me / I will try to build a better life for me / No one else will know what I could see / I am my survivor and you will be my history“. River Runaway si apre con le note del violino che introduce il canto della Willis Fisher. Una canzone che lascia molto spazio alla musica e fa risaltare il suo talento di musicista, “River runaway / Oh, I’m ready to ride to the end of the line / No more need to stay / No one else will believe in the path only mine“. You Move Me mi ha ricordato la Musgraves degli esordi. Una canzone sulla forza dell’amore, semplice e dolce, “Here is how love was to me, I could look and not see / Going through the emotions, not knowing what they mean / And it scared me so much, that I just wouldn’t budge / I might have stayed there forеver if not for your touch only mine“. La successiva Gone è un’iniezione di fiducia ed energia. Ancora una volta il tema è la volontà di guardare avanti e seguire la propria strada, “And I’ll keep walking down this road I’m on / Knowing you’ll be gone and I’ll be fine / And I’ll keep going ‘til there’s no more fear / Knowing I’ll be here and you’ll be gone“. L’album si chiude con October First che affronta in modo più esplicito le vicende che hanno segnato la vita di Jessica e della sua famiglia. Una canzone toccante quanto liberatoria, “Oh, the times have changed but so have I / And I can’t help but wonder why I even wrote this song / Oh, you’ll have to reap the seeds you’ve sown / And I’ll leave well enough along and just keeping going on / I’ll just keep going on“.

Brand New Day è un album dalle melodie immediate, squisitamente country, con un approccio marcatamente americano ma nel quale si percepisce una volontà forte di chiudere un capitolo doloroso della vita. Jessica Willis Fisher sceglie di farlo attraverso la musica, quella musica che ha unito la sua famiglia. Un album che può essere ascoltato anche senza conoscere nulla di tutto quello che ha vissuto ma che comunque sa trasmettere una sensazione di riscatto e fiducia. Brand New Day è un bell’album nel quale spicca la componente emotiva e ci fa conoscere un’artista di sicuro talento da tenere d’occhio nel prossimo futuro.

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Mi ritorni in mente, ep. 83

Dopo un anno dal suo ultimo disco, intitolato Ignorance, la cantautrice canadese Tamara Lindeman ha pubblicato lo scorso marzo un altro album dal titolo How Is It That I Should Look At The Stars. Il suo progetto The Weather Station si arricchito quindi un nuovo capitolo ma si tratta di un disco del tutto particolare. Infatti è da vedersi più come un’appendice di Ignorance, fatto di canzoni scartate, forse incomplete a volte così personali da avere paura di pubblicarle.

Registrato live in tre giorni, How Is It That I Should Look At The Stars, è un ritorno alle sonorità acustiche e dilatate tipiche degli esordi della Lindeman. Un album scarno e sincero nel quale sembra di invadere la sfera privata di un’artista che non si è mai nascosta in tutti questi anni di carriera. Un album nel quale non esistono ritornelli orecchiabili o melodie di facile presa ma al quale vale la pena concedere un ascolto, a partire da questa Endless Time.