Nostalgia di casa

Lo scorso mese di marzo è stato davvero ricco di uscite discografiche interessanti e tra queste il ritorno della cantautrice canadese Basia Bulat. Confesso che non sono un suo fan di lunga data, l’ho riscoperta solo di recente con il suo album Good Advices del 2016, ma ho segnato fin da subito sul calendario la data di uscita del nuovo Are You In Love?. La copertina di questo album, ad opera del pittore Kris Knight, è la prima cosa che colpisce di questo album. Non ho mai visto un dipinto così soleggiato, primaverile. A differenza dei libri, le copertine dei dischi dicono molto di quello che nascondono al loro interno. Dunque Are You In Love? è quello che sembra?

Basia Bulat
Basia Bulat

A svelarsi per prima è la title track Are You In Love?, una ballata pop che parla d’amore. La Bulat sembra volerci rivelare i segreti di questo sentimento che da sempre ispira la musica più di ogni altro, “Oh and somehow you knew / If you let go of your ruse / If you believe it / You go back to childhood mystery / Wearing it like your mother’s jewelry / Sweetness on earth / Did it still make a fool of me?“. Electric Roses è un affascinante canzone dalle sonorità indie delicate e leggere. Le immagini vivide ma misteriose si inseguono nella mente di chi ascolta e la voce ci guida con sicurezza in questo mondo, “It feels so funny / I think I’ve been here before / The faces seem the same / Not quite forever young / Violets in the snow / They wanted electric roses / Practicing your pose / They wanted electric roses“. La successiva Your Girl nasconde sotto un ritmo spensierato, la storia di un amore a pezzi. La Bulat tira fuori la sua abilità nello scrivere canzoni orecchiabili che sono un piacere da ascoltare, “Did you let down your girl / All ‘cause you couldn’t face your heart again? / Let your temperature rise and then / Let your anger strike your love away?“. Light Years ci riporta a sonorità folk care a questa artista. Qui è il tempo che risveglia sentimenti malinconici dalle notte della vita. Una ballata molto ispirata e toccante, “Suddenly you’re light years / Light years from your hometown / Light years from a road / Going anywhere you know / Someday when you’re light years / How long were you falling? / Light years shine you on / And you will still belong“. Chissà quanti, in questo periodo hanno nostalgia di casa. Homesick parla di questo e Basia Bulat lo fa con la sua consueta sensibilità pop ed energia, “Oh take my heavy heart and drive me north / What I’m looking for / It has no end at all / Oh, take my heavy heart and drive me north / We can talk about those memories we lost / And if I cry / Oh, I won’t remember why“. Hall Of Mirrors è una bella canzone dai colori pastello. Un pop rarefatto e luminoso che sa di primavera. Basia Bulat fa ancora centro riuscendo sempre ad incantare con la sua voce,”Now it’s been so long since I have heard you / Singing your own song / You walk in a hall of mirrors laughing / On and on and on / You sing, “oh oh oh oh oh, baby” / Baby, baby, baby / Are you lost?“. I Believe It Now è un breve intermezzo sognante che ci introduce nella seconda metà dell’album, “Breathe in, breathe out / The future is a game for us / Never plays out the way it was / I believe it now / I believe it now / I believe it now“. No Control riprende proprio dalla traccia precedente per poi trasformarsi in un pop rock che parla d’amore. La speranza è l’ultima a morire anche in questo caso, l’energia nell’interpretazione della Bulat dice tutto, “But when a tide turns on me / Turns against me and I fall / Fall into the unknown / Nowhere I have been before / All I want is to hold on / I swear that I can make it gold / I keep trying to hold on / To my love with no control“. Segue Pale Blue che risveglia sentimenti di tristezza e malinconia. Si possono sentire gli echi lontani della musica folk, sapientemente mescolati ad un indie pop fresco e leggero, “Pale blue glow / Under the shade / You try to hide a bruise / In your eyes / I recognize the hue / Oh keep on running / I believe in you / Believe in you“. Already Forgive è una delle canzoni più potenti e belle di questo album. Una splendida melodia ci conforta e ci culla in un mondo di sogno che vorremmo non finisse mai, “I want to leave my mind and let my old ways fall / They took shapes I could not have foreseen / And in my hands this time / I don’t know what I hold / But I know you’re already forgiven / Already forgiven“. Con The Last Time si torna ad un indie pop dolce e delicato, sostenuto dalla voce calda della Bulat, che finisce per esplodere in un accorato rock, “Please don’t wait / I know you’ll be gone for a while / Plans you made / Now I’m in the way of the ride / Keep on singing softly to me / I won’t hold on tight / This might be the last time“. Fables è una canzone sincera che ci confessa come le cose cambiano crescendo. Un accompagnamento essenziale ma efficacie, lascia spazio alla voce confortante della Bulat, “All fables fail you when you’re older / And still the mirror on your wall / Keeps you from staring into the darkness / What vision’s keeping you awake? / In fairytales you try to stay / They echo back at you like a chorus“. L’album si conclude con Love Is At The End Of The World, una canzone che suona come una preghiera si speranza, nella quale l’amore è ancora il protagonista. Un procedere lento e fragile ci rassicura che alla fine andrà tutto bene,”I’m at the end of the world / Another end of the world / Love is at the end of the world / Love is at the end of the world / You fall apart when you fall into it / Love is at the end of the world“.

Are You In Love? ci regala un album perfetto per questo periodo dell’anno. Da una parte i colori della primavera e l’ottimismo derivato da un nuovo inizio, dall’altra i pensieri che affollano la nostra mente e fatichiamo a tenere lontani come vorremmo. Basia Bulat bilancia con talento questi sentimenti contrapposti, trovando nella musica pop i colori più accessi e positivi, e nel folk quelli più malinconici e riflessivi. C’è coesione tra le tracce di questo album, la si intravede nelle scelte stilistiche e nei temi trattati, facendo così evolvere ciò che aveva avuto inizio con il precedente Good Advices. Basia Bulat si dimostra un’artista di talento, incapace di sbagliare, e tanto basta per rendere Are You In Love? uno degli album che si faranno ricordare in questo turbolento 2020.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Instagram / Bandcamp

Un segno di devozione

Era l’estate del 2016 quando ascoltai per la prima volta l’album Emotions And Math che ha segnato l’esordio di Margaret Glaspy. Questa cantautrice americana mi aveva conquistato dopo pochi ascolti con il suo alternative rock, sul quale prevalevano il suono della chitarra elettrica e la sua voce inconfondibile. Dopo quattro anni, nel mezzo la pubblicazione dell’EP Born Yesterday, è uscito lo scorso marzo il suo secondo album intitolato Devotion. Il cambio di sonorità era già nell’aria, il precedente EP voleva appunto chiudere un capitolo, e la curiosità per il nuovo disco è cresciuta rapidamente. Devo essere sincero, la voce di Margaret Glaspy un po’ mi mancava e sono contento di aver avuto la possibilità di poterla riascoltare ancora con questo nuovo album.

Margaret Glaspy
Margaret Glaspy

Killing What Keep Us Alive dà inizio all’album e ci presenta le nuove sonorità di questo album. Spazio all’elettronica dunque che ben si sposa con la voce graffiata della Glaspy. Un inizio interessante che nulla toglie al suo talento, “I’ve been wandering through the dark / And I wanna light a spark with you / And start a fire in you heart / And watch the stars fade from black to blue / We’re young with nothing to our names / Feel no shame – time’s wasting away“. Without Him è un richiamo agli esordi, un brillante alt rock sincero e orecchiabile. Quest’artista dimostra ancora la sua abilità di usare le parole per definire il ritmo delle sue canzoni, “Every time he walks away I wonder / What if he was walking away for good / Oh, what would I do without him / I’d be the same girl talking a big game / While knocking on every door until I found him“. La successiva Young Love si riaffida all’elettronica per creare una pulsante canzone d’amore. Un amore giovane, appunto, pieno si speranza e di passione. Una ballata di buoni sentimenti che scalda il cuore, “‘Cause all I wanna do is fall in love with you / Over and over again / All I wanna see are your eyes, smiling back at me / Over and over again / Over and over again“. You’ve Got My Number affonda ancora di più i denti nelle sonorità elettroniche. Un elettro pop dall’effetto retrò tutto da ballare. Una Glaspy nel pieno della sua rivoluzione artistica, “There’s this all universe in your eyes / That’s how I recognize you / And your lips are just the same / Burned into my brain / I won’t say it to your face / But I’ll leave with a trace of my skin / Left out in the open“. Segue Stay With Me che ci riconsegna il sound che ha caratterizzato le sue precedenti produzioni. Spazio ancora all’amore e hai sentimenti ma con tratto ruvido e dolce allo stesso tempo, che rendono questa artista, per certi versi, unica, “Won’t you stay with me? / I’ll be on my best behavior / When it all shakes down / Who’s the clown, and who’s the savior?“. So Wrong It’s Right vira prepotentemente verso un rock trascinante e scuro. Una passione trascinante ed improvvisa che travolge tutto senza lasciare il tempo di pensare, “Feel my body like you never felt before / It’s all new being with you / You don’t know my name / We’ve never spoken / Yet here we are kissing in the open“. Heartbreak è una delle canzoni più affascinanti di questo album. Margaret Glaspy tira fuori un rock elegante e luminoso, segnato dalle ferite dell’amore, che ci mostra un’altra sfumatura delle sua musica, “It seems you’re writing a book / On how to make the heart ache / And I’ve tried not to look / For my own heart’s sake / I thought I was happy / I did a double take / And saw myself suffering in vain“. You Amaze Me è una canzone che si affida quasi esclusivamente alla voce sincera della Glaspy, svelandoci una delle canzoni più intime e confidenziali di questo album, “And once you bit the dust / Shooting for the moon / Swam back down to Earth / And it hurt more than you knew / But without a doubt or second guess / In the sea of no, you kept saying yes“. La title track Devotion si riaffida alle pulsazioni elettroniche che ne scandiscono il ritmo. Un pop moderno ma non primo di emozioni, lento e sinuoso, che vola via leggero, “Baby I’m on your side / When I give you a piece of my mind / It’s a sign of my devotion / When I show you my emotions / Baby I’m on your team / We don’t need to fight and scream / It’s a sign of my devotion / When I show you my emotions“. Vicious è una bella canzone rock accattivante. Qui la Glaspy abbandona per un attimo il sound di questo nuovo album e riabbraccia la chitarra per lasciarsi trasportare dalle emozioni, “Are you undone? Are you upset? / Or were you born unhappy with all you gain / Do your bitter tears ever leave? / You act the way you want to / Or are my hopes and dreams and jokes simply wasted on you?“. All’opposto What’s The Point brucia nella distorsione elettronica di sottofondo. La voce della Glaspy si espande su questo tappeto sconnesso e confuso. Una prova di coraggio che sperimenta nuove strade, “What’s the point in doing your best when you know you’re worse / Everyone’s got a home run and you’re still on first / And you clap and shout, good on him / And you go home crying, trying to understand what the point is“. Si chiude con Consequences. Una canzone eterea che spazia nei suoni e nelle suggestioni, fragile e malinconica. Finisce così questo album, spegnendosi lentamente, “Whether you’re right, whether you’re wrong / The world keeps spinning / Whether you’re up, down, the end or the beginning / The world keeps spinning“.

Devotion è un album in bilico tra il passato e il futuro della musica di Margaret Glaspy. Da una parte le nuove sonorità elettroniche e dall’altra la naturale evoluzione delle scelte musicali del suo esordio. Ne risulta un disco ispirato e vario, veicolo di emozioni profonde, spesso legate all’amore ma non solo. C’è anche l’insicurezza e le riflessioni che si fanno largo quando gli anni si accumulano alle nostre spalle. Margaret Glaspy conferma di essere una cantautrice di talento, maturando sotto molti aspetti e prendendosi la responsabilità delle sue scelte. Devotion mi piace perché al suo interno c’è tutto un mondo musicale del quale un tempo ero più avvezzo ma che sto gradualmente abbandonando perché un po’ inflazionato. Ma Margaret Glaspy è al sicuro nella mia musica perché si è guadagnata, già con il suo Emotions And Math, un posto speciale.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp

La speranza è quella cosa piumata

Tra gli album folk più attesi di questo 2020, c’era sicuramente Huam del trio scozzese Salt House, composto da Ewan MacPherson, Lauren MacColl e Jenny Sturgeon. Il titolo, in scozzese, indica il richiamo del gufo o più precisamente “il lamento di un gufo nelle calde giornate estive“. Si tratta del terzo disco, il secondo con questa formazione, di una band che riunisce tre dei migliori talenti della musica folk scozzese moderna. Il loro stile sempre essenziale e rispettoso della tradizione, riesce però a rivelarsi anche contemporaneo ed evocare atmosfere uniche. Non vedevo l’ora di mettere le mani su Huam e finalmente lo scorso marzo ho potuto farlo. Mai avrei immaginato di doverlo fare in questo momento storico che stiamo vivendo.

Salt House
Salt House

L’album si apre con Fire Light, adattamento della poesia Fires di Anna ‘Nan’ Shepherd. Subito la voce della Sturgeon e la musica ipnotica ci catturano, introducendoci negli affascinanti scenari di questo album. Si parte subito con il piede giusto e si continua anche meglio con All Shall Be Still. Non sono uno facile alle lacrime e le canzoni che mi hanno quasi vinto le posso contare sulle dita di una mano. Questa è una di quelle. La voce di MacPherson e il suo stile inconfondibile hanno toccato le corde giuste. Non so spiegarlo, e non voglio nemmeno provarci ma è così. Mountain Of Gold è una canzone corale di rara bellezza. La musica è appena accennata e lascia spazio alle voci del trio, il risultato è una melodia che scalda il cuore, e si spegne sulle note di una viola. William And Elsie è anche un adattamento di una ballata di origine danese, intitolata Aage And Elsie. Il sound scelto ricorda le ballate della tradizione scozzese ma la storia arriva da più lontano. Ogni cosa è al suo posto, un brano perfetto sotto ogni punto di vista. Poco più di un minuto per Hope Is The Thing With Feathers che prende in prestito le parole di Emily Dickinson per trasformarle in un intermezzo poetico e fragile, che lancia un messaggio di speranza. Ewan MacPherson con If I Am Lucky ci conduce in un’atmosfera più malinconica, guidata dalla sua voce sincera. Una canzone intima che dà un’altra dimensione a questo album, arricchendolo con nuove melodie. Ancora una poesia, ancora una canzone con Lord Ullin’s Daughter del poeta scozzese Thomas Campbell. Due amanti fuggono su un traghetto durante una tempesta e non ci sarà per loro un lieto fine. Qui la tradizione si incontra con un folk più moderno ma capace di mantenere intatta la magia della ballata. The Disquiet mette in mostra tutto il talento e il carisma di Jenny Sturgeon che con la sua voce riesce a trasmettere magicamente un senso di forza e fragilità allo stesso tempo. Lo stesso si può dire di The Same Land nella quale il violino della MacColl si sovrappone alla melodia malinconica che accompagna questo brano. Una canzone eterea e affascinante che ci conduce lentamente verso la conclusione di questo album. Ma è proprio in fondo che si nasconde una delle canzoni più belle e s’intitola Union Of Crows. Fin dalle prime note è facile riconoscere la mano di MacPherson ma è Jenny Sturgeon con la sua voce ad incantare. La melodia che traccia è qualcosa di magico e il violino della MacColl si incastra perfettamente in questo delicato equilibrio. Inutile dire che la canzone che preferisco di questo album, quella che mi ha sorpreso al primo ascolto.

Huam è un album che segna un ulteriore passo in avanti per i Salt House. L’arrivo di Jenny Sturgeon, segnato dal precedente Undersong, ha dato la possibilità ad Ewan MacPherson e Lauren MacColl di ampliare il potenziale di questo trio. Qui in questo album c’è il compimento di un unione di tre artisti eccezionali. Huam è un album equilibrato, mai lento o veloce, mai troppo triste e malinconico, sempre in un equilibrio perfetto. Ogni ascolto permette di cogliere un dettaglio nuovo e rinnovare quella sensazione di sorpresa che pochi album sanno dare. Se volete ascoltare dell’ottima musica folk, i Salt House in questo momento sono tra i migliori sulla piazza. Sarebbe un peccato lasciarseli scappare proprio in questo momento quando a tutti piacerebbe andare in un posto sicuro. In Huam lo potrete trovare restando comodamente a casa vostra.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp

Cinque colpi delle dita, ep. 5

Visto che molti di noi hanno più tempo per vedere film, lasciatemi dare qualche consiglio su cosa vedere (e cosa no). Qui sotto troverete delle brevi opinioni riguardo ai film che ho visto negli ultimi mesi, soprattutto in quest’ultimo, per ovvi motivi.
Comincio partendo da Il Cigno Nero del 2010 di Darren Aronofsky con Natalie Portman. In realtà lo avevo già visto in occasione di un passaggio in televisione ma ne ricordavo ben poco. Un film nel quale seguiremo la ballerina Nina Sayers mentre cerca di essere perfetta per la parte del cigno nero per un balletto molto importante. Una tensione abbraccia lo spettatore fin dal primo minuto senza mai abbandonarlo. Non ci sono prologhi o momenti per capire, qui tutto succede e basta. Una ricerca ossessiva della perfezione, visionaria ed intrigante.
Attratto dalle recensioni positive mi sono buttato su A Quiet Place credendo si trattasse di un horror dai risvolti originali. Mi sono reso conto poi, di essere di fronte ad un film fantascientifico ambientato in un mondo desolato e silenzioso. John Krasinski e Emily Blunt fanno un ottimo lavoro per non rendere scontato un film che poteva rivelarsi difficile da tenere in piedi. Non male davvero, sufficiente breve da non stancare e dal finale aperto per il suo seguito in uscita quest’anno.
Molto bello invece Her – Lei di Spike Jonze. Film del 2013 con Joaquin Phoenix e la voce di Scarlett Johansson (nella versione italiana un’azzeccatissima Micaela Ramazzotti). Una love story tra un uomo e l’intelligenza artificiale di un sistema operativo, molto toccante e che fa riflettere. Allora era considerato un film fantascientifico, oggi invece è pericolosamente vicino alla realtà. Da vedere per comprendere fino a che punto la tecnologia può giocare con i sentimenti.
Bello anche Still Life di Uberto Pasolini, uscito nel 2013. Le vicende girano intorno a John May, interpretato da Eddie Marsan, che si occupa di organizzare i funerali alle persone che muoiono sole. Lo sfondo è una cittadina inglese nelle quale le cose stanno cambiando velocemente. Si troverà così ad organizzare l’ultimo funerale prima di essere licenziato. Film semplice e commovente.
Non conoscevo la storia della pattinatrice Tonya Harding prima dell’uscita di Tonya. Film del 2017 di Craig Gillespie, interpretato da una bravissima Margot Robbie, ne racconta le vicende tragicomiche, vere o presunte, che hanno sconvolto nel 1994 il mondo sportivo e non solo, con l’aggressione alla rivale Nancy Kerrigan. Un film divertente e ben congegnato.
Big Eyes è un’altra incredibile storia vera, raccontata nel 2014 da Tim Burton. Amy Adams e Christoph Waltz sono rispettivamente Margaret e Water Keane. Lui sfrutta le abilità artistiche della moglie per costruire un impero, prendendosi però tutto il merito delle opere. Davvero un bel film di rivincita e giustizia.
Altra storia vera ed incredibile, altro film. Questa volta è Spike Lee ha raccontarci di un poliziotto nero che riesce ad infiltrarsi nel KKK con il suo BlacKkKlansman (2018). A tratti divertente, in altri drammatico e un po’ tarantiniano ma molto ben fatto. Una tensione costante tiene incollato lo spettatore verso un finale di protesta che stride un po’ con il resto del film.
Che dire di Knives Out – Cena con delitto? Un giallo come si deve diretto da Rian Johnson e uscito lo scorso anno. Trama ingarbugliata e un cast d’eccezione, dove spiccano Daniel Craig, Chris Evans e Ana de Armas. Divertente e coinvolgente, un giallo classico ma con elementi davvero innovativi. Da non perdere.
Eh sì, non avevo mai visto La Cosa, film cult di John Carpenter del 1982. Un giovane Kurt Russell ci porta in una base scientifica in Antartide che viene infettata da un misterioso organismo alieno, risvegliatosi dai ghiacci. Può assumere le sembianze di qualsiasi essere vivente e imitarlo alla perfezione. Il resto ve lo lascio immaginare. A parte gli effetti speciali, un po’ datati ma comunque sorprendenti, è un film invecchiato molto bene.
Infine sono riuscito finalmente a vedere The Martian – Il Sopravvissuto, diretto da Ridley Scott del 2015 con Matt Damon e Jessica Chastain tra i protagonisti principali. Un film come si deve, teso dall’inizio alla fine senza momenti morti ed un finale da brividi. Sì è vero si sa già come andrà a finire ma in questo caso è il viaggio che conta.

Mi ha deluso un po’ Ready Player One di Steven Spilberg, uscito nel 2018. Tratto da un libro è una specie di kolossal dei videogiochi. In un futuro tutti potranno vivere in un mondo virtuale, mentre quello reale va a pezzi. Qualcuno però vuole rovinarlo e tocca all’insospettabile protagonista impedirlo. Tanti effetti speciali, con scende davvero spettacolari. Una su tutte la gara automobilistica che apre la competizione che è il fulcro del film. Per il resto tante citazioni della cultura pop anni ’80, inspiegabili dato che ambientato del futuro, che non credo di averle colte tutte.
Anche Suburbicon del 2017, diretto da George Clooney, con Matt Damon e Julianne Moore ha deluso le mie aspettative. L’humor nero funziona a tratti e il tema del razzismo è un po’ didascalico. L’alone di mistero attorno al malcapitato bambino protagonista di dissolve troppo presto. Da salvare per le ottime performance di tutto il cast.
Mi ha lasciato indifferente Il Grinta, remake del 2010 dei fratelli Coen di un classico western. Jeff Bridges, Matt Damon e la giovane Heilee Steinfeld sono i protagonisti di caccia all’uomo che manca un po’ di ritmo ma l’interpretazione, i costumi e le ambientazioni sono ottime.
Più godibile ma niente di eccezionale Allied del 2016 di Robert Zemeckis. Brad Pitt e Marion Cotillard sono due spie che incrociano le loro vite durante la seconda guerra mondiale. Un film di spionaggio, intrighi internazionali e d’amore. Forse con una mezzora in meno di scene totalmente inutili all’economia del film avrebbe giovato.
Devo essere sincero ma avevo delle grandi aspettative per Super 8. Il nome di J. J. Abrams è una garanzia ma il film non decolla mai davvero. A volte è un po’ confuso, soprattutto sulla parte fantascientifica della vicenda. Le scene con i ragazzini sono invece più coinvolgenti.
Avevo rimosso dalla mia memoria Mars Attacks! di Tim Burton del 1996 e ho voluto rivederlo. Lasciando stare la computer grafica, che rivista oggi è agghiacciante, il film non ha un senso logico e manca di ritmo. Davvero noioso nonostante un cast stellare.
Anche il cast di Assassinio sull’Orient Express (2017) di e con Kenneth Branagh, è stellare. Il risultato è migliore ma per me Poirot ha il volto e il portamento David Suchet. Troppa azione e poca indagine, non riesce davvero a tenerti sulle spine.

Tutto passa, tutto se ne va

A tre anni di distanza da Real Class Act, la cantautrice australiana Fanny Lumsden è tornata lo scorso mese con il nuovo album Fallow. Un gradito ritorno, soprattutto dopo i devastanti incendi che hanno colpito l’Australia creando problemi anche a lei e alla sua famiglia. Anche la copertina del disco, che ritrae Fanny Lumsden in sella ad un cavallo, è stata poi successivamente riproposta con lo sfondo segnato dalle fiamme. Il country australiano proposto da questa cantautrice resta un punto fermo, insieme al suo carisma che trasmette simpatia e spensieratezza. Ma c’è sempre stato spazio anche per le ballate ed ero sicuro di trovare tutto questo anche in Fallow e così è stato.

Fanny Lumsden
Fanny Lumsden

Si comincia con l’introduttiva Mountain Song, quasi una preghiera alla montagna nella quale emerge la vocalità della Lumsden, accompagnandoci dolcemente all’interno di questo album. This To Shall Pass è una delle canzoni più belle di questo album. Una ballata che riflette su come le cose belle, come quelle brutte, sono destinate a passare. Tutto ha una fine insomma e di questi tempi ce lo auguriamo tutti. Più leggera e sbarazzina, la successiva Peed In The Pool. Ritroviamo la Lumsden divertente (e divertita) di sempre. Spazio alla simpatia e ai colori, in una cavalcata country pop godibilissima. Mi aspetto sempre una canzone così quando ascolto quest’artista. Con Grown Ups si rallenta il ritmo e ci si allontana un po’ dalle sonorità country. Il risultato è un brano moderno che si affida alla voce confortante della Lumsden. Fierce di rivela un trascinante pezzo dalle sfumature rock che ben si accompagnano alla voce ferma di questa ragazza. Una canzone che mi ricorda un rock americano che è sempre più difficile da trovare al giorno d’oggi. Tidy Town non è da meno e ricalca le formula vincente che ha reso Fanny Lumsden un’artista molto apprezzata. Ritmo incalzante e chitarre, graffiano quel tanto che basta a strappare un sorriso, quel lampo di felicità di un attimo. La title track Fallow smorza i toni. Una ballata eterea e notturna, dove la voce a due con il fratello Thomas, tratteggia immagini evocative e misteriose. Questa canzone, come altre all’interno di questo album, dimostrano una crescita artistica non indifferente. Wishing è un’altra bella ballata intima e personale. Fanny Lumsden ha sempre avuto una scrittura sincera e questa canzone non fa eccezione. These Days ci ricorda i giorni felici e senza pensieri. Giorni che si faranno ricordare. Una canzone gioiosa e leggera che scivola via piacevolmente, con il suo carico di buoni sentimenti. Ancora più spensierata è Dig. Una tipica canzone nello stile Lumsden. Difficile trovare un’altra cantautrice capace di trovarsi a suo agio in canzoni come questa e in altre più malinconiche e sentimentali, come la successiva Black And White. Anche qui spazio ai sentimenti, in una canzone profonda e commovente. Davvero un bel modo per concludere questo album prima dell’ultima Mountain Song Reprise. Si chiude il cerchio e si torna all’inizio, a quella montagna che da sempre è fonte di ispirazione.

Fallow è probabilmente il migliore album finora pubblicato da Fanny Lumsden. Ci sono tutti i volti della sua musica, ben bilanciati fra loro che danno prova del suo talento e di quello della sua band. Ci sono i sentimenti, i ricordi ma anche momenti più leggeri che si vanno ad incastrare perfettamente l’uno con l’altro. Si può dire che Fallow rappresenti un punto di svolta per quest’artista, uno di quegli album nel quale tutto quello che ha fatto in questi primi cinque anni di carriera ha trovato un unico posto nel quale restare. Questo disco, appunto. Il video qui sotto che unisce le prime due tracce, mostra il paesaggio australiano prima e dopo gli incendi. In questi giorni abbiamo tempo per ascoltare musica e se posso consigliarvi un album questo è Fallow.

Sito Ufficiale  / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp