Siamo arrivati in fondo a questo 2020. Qualcuno ce l’ha fatta, qualcun altro purtroppo no. Spero voi stiate tutti bene. Io ho passato indenne questi 366 giorni (un giorno in più era proprio quello che ci voleva) ma non si può dire lo stesso per molti di noi. Passeremo alla storia, non c’è dubbio. Non sappiamo ancora come andrà a finire. Forse passerà tutto presto, non certo in maniera indolore ma passerà prima o poi. Oppure l’umanità si estinguerà piano piano, tra pandemie, inquinamento e surriscaldamento globale, e tra qualche decina di anni rimarrà solo qualche sparuto villaggio di sopravvissuti. Come ne L’ombra delle scorpione o Io sono leggenda.
Sembra passato un secolo da quando andavo in ufficio su di treno affollato e tornavo a casa la sera su di un altro ancora più affollato. Quando andavo a vedere le partite di basket nei fine settimana insieme a migliaia di persone. Quando si poteva vedere un film senza notare quanto le persone sono vicine, senza esclamare “che assembramento!” appena c’è un po’ di folla. Quando tutti puntavano il dito contro Fontana perché indossava una mascherina in TV gettando nel panico i cittadini, non sapendo che di lì a poco l’avremmo indossata tutti quella mascherina. Quando era poco più che un’influenza. Quando siamo andati a prendere in Cina quel ragazzo con la febbre usando un aereo militare attrezzato per il biocontenimento, non sapendo quello che stava succedendo qui, proprio sotto il nostro naso. Quando tutti orgogliosi ci vantavamo di aver individuato i due simpatici cinesi in vacanza con il virus, non sapendo che questi erano soltanto la punta di un iceberg. Quando le immagini del lockdown cinese ci facevano impressione. Poveretti, pensavamo, forse stanno esagerando un po’ ma così imparano a mangiare i pipistrelli vivi. Non sapendo che saremmo arrivati anche noi a quello. Al lockdown intendo, non a mangiare i pipistrelli vivi. Non ancora almeno. Quando a colpi di slogan, Milano, Bergamo e la Lombardia tutta si vantavano che non si sarebbero mai fermate. Poi ci siamo dovuti fermare di fronte alla processione di camion dell’esercito. Quando la domanda più importante senza risposta era “dov’è andato Bugo?”. Quando non sapevamo cosa fossero un DPCM, un tampone molecolare, un asintomatico o un’autocertificazione. Quando non sapevamo che ci fossero così tanti esperti di virus ed epidemie, o tipi diversi di mascherine.
Queste righe che seguono le scrissi diverso tempo fa, con l’intenzione di pubblicarle una volta finito tutto ma siccome non si vede una fine, ho pensato sarebbe stato meglio farlo in questa occasione. Sono incompiute. Non ho saputo dare loro una degna conclusione. Rimarranno così, in memoria di quello che è stato. Di quel momento in cui ho smesso definitivamente di scriverle, perché non sapevo più dove stavo andando a parare. Prendetele per quello che sono, un flusso di pensieri e ricordi che, forse, ci accomunano un po’ tutti.
È arrivato all’improvviso. O forse no, dovevamo aspettarcelo. Ma no dai! Chi se lo sarebbe mai aspettato dopotutto. Deve essere successo per colpa di uno che andava in giro come se niente fosse. Problema risolto, abbiamo trovato il colpevole. L’avevano detto che non ci sarebbe stato nessun pericolo. Da queste parti tutto funziona bene, non c’è niente di cui preoccuparsi. Nel dubbio lunedì in ufficio ci vado in macchina e mi porto il lavoro a casa. Ho preso il treno per tutto il mese senza sapere nulla, se doveva succedere sarebbe già successo. Nel dubbio meglio la macchina comunque, anche se non so quanto potrò lavorare da casa. Un paio di settimane, non c’è niente di cui preoccuparsi. Meno male che non ho rinnovato l’abbonamento del treno. Dai che questa settimana lavoro da casa. Mi distraggo un po’ di più ma è più comodo, o no? Non c’è bisogno di svegliarsi presto. Passano i giorni e mi accorgo di passare il mio tempo seduto davanti al pc. Ve bene ma non è molto diverso che essere in ufficio, ti pare? Mi manca la mia passeggiata in stazione mentre ascolto la musica. Posso ascoltarla mentre lavoro, cosa che di solito non faccio. Non mi piace molto però, finisce per essere un sottofondo che a malapena colgo.
I giorni passano e lavorare a casa mi infastidisce sempre di più. Sono a casa ma non posso fare quello che faccio abitualmente. Tutti coloro che sono costretti a casa si dedicano ai loro hobby, ai libri che non hanno mai letto, ai film che non hanno mai visto. Io invece, purtroppo o per fortuna, continuo a lavorare. Non è un lavoro essenziale ma si continua a farlo, il perché non lo so esattamente o forse sì. I soldi. Alla fine muovono tutto. Questa è la prima cosa alla quale dovremmo ripensare una volta passato il peggio. Abbiamo viaggiato per il mondo come fosse il giardino di casa nostra. Lo abbiamo fatto come turisti, per necessità o per lavoro. Credevamo di essere i padroni e invece non lo siamo per niente. Laddove c’era la normalità ho capito esserci il privilegio. Non ti accorgi dell’importanza di qualcosa finché non te la tolgono, dicono. Mi manca uscire di casa? Neanche più di tanto. Non sono mai stato uno molto sociale e socievole. Mi sembra strano soprattutto non poter uscire liberamente per comprare qualcosa che non sia strettamente necessario o di uscire per una passeggiata.
Che poi a volte mi ritrovo a non pensare ad altro. Se penso al lavoro, penso a quando potrò tornare in ufficio, quando finirò questa parvenza di ferie che ferie non sono, quando potrò smettere di indossare guanti e mascherina e non sentirmi più a disagio. Magari è solo un brutto sogno. Magari domani è tutto finito e si potrà riprendere. Magari non finirà mai e questa è la nuova normalità. Leggo gli esperti che un giorno dicono una cosa e quello dopo un’altra. Anche loro non sanno più che pesci pigliare. Leggo le profezie, alcune ottimistiche che non si rivelano mai veritiere, altre pessimistiche che speriamo non si rivelino veritiere. Ma è tutta una montagna di fuffa, mi dico. Forse, chissà, vuoi vedere che sotto sotto ci prendono? Forse se i Maya avevano ragione. Forse aveva ragione quel vecchio libro sulle presunte profezie di Giovanni XXIII. Forse il buon vecchio Malachia ci ha preso anche stavolta. Ezechiele ci è andato giù pesante per essere sicuro di prenderci. Quella Sylvia Browne eppure l’aveva detto. Beh, come non citare Nostradamus che va bene per qualsiasi cosa. Il buon Bill Gates è stato meno criptico ma nessuno gli ha dato retta. Pure Branko aveva detto la sua.
Poi mi ritrovo ad ascoltare i numeri delle sei del pomeriggio. Non tornano mai. Ci vuole davvero un veggente per interpretarli. Che poi non hanno senso, dicono. E quindi, niente più numeri? Come facciamo ha sapere come sta andando? Un qualche significato devono pur averlo. Che poi visti in percentuale non sono poi così spaventosi. Sì ma rispetto a cosa? A niente? Sì, allora sono un po’ più spaventosi. Ma non c’è da preoccuparsi, andrà tutto bene. In che senso? Per tanti le cose non sono andate affatto bene. Nel senso che finirà prima o poi. Ah sì, questo è sicuro. Per alcuni è finirà prima ma tant’è. Sembra secoli fa, quando tutto andava come sempre, vero? Sembra che siamo fermi da anni. Che il bollettino sia una tradizione nazionale, come Sanremo di febbraio. Mentre noi qui affoghiamo nelle domande senza risposta e nei numeri, la Natura continua il suo corso. Anzi si fa beffe di noi e sta meglio senza. L’acqua e l’aria si puliscono, gli animali arrivano in piazza e il silenzio avvolge tutto. La Natura è più forte perché lei è padrona della Terra e l’uomo una delle sue tante creature. Ah ma non illudiamoci. Vedrete che tutto questo non ci cambierà poi molto. Questione di anni e poi tutto tornerà come prima. L’umanità raramente ha imparato dai propri errori. Ma forse questa volta sarà diverso.
Bello questo 2020 vero? Tutti in piazza a festeggiarlo quando è arrivato. Non mi è mai piaciuta la festa di Capodanno. Non ho mai capito cosa ci sia da festeggiare. E poi è un anno bisestile, lo sanno tutti che “anno bisesto, anno funesto”. Non credo a queste cose ma il mio 2016 non è stato felicissimo e questo 2020 non mi ispirava per niente. Sotto quel simpatico 20 doppio che ci metteva in guardia dallo scrivere le date correttamente per esteso, si nascondeva un problema più grosso. Molto più grosso.