Angel Olsen è uno di quei nomi che prima o poi mi ritrovo davanti mentre cerco qualcosa da ascoltare. Recentemente ha dato alle stampe la versione deluxe del suo secondo album, intitolato Burn Your Fire For No Witness. Questo album è stato da molti riconosciuto come uno dei migliori del 2014 nonostante qualche perplessità di alcuni. Data l’insistenza con la quale Angel Olsen appariva ovunque mi sono deciso di ascoltare questo Burn Your Fire For No Witness approfittando, appunto, della versione deluxe. La svolta decisiva c’è stata, quando ho ascoltato il singolo Windows che traghettava la nuova veste dell’album. Non nego che qualche perplessità l’ho avuta anche io prima di ascoltarlo ma questo genere di cose, nel mio caso, tendono a dissolversi abbastanza velocemente.
Unfucktheworld ci introduce nelle atmosfere affascinanti e un po’ lacrimose della musica della Olsen. La sua voce distorta ci accopagnerà per quasi tutto l’album, “I wanted nothing but for this to be the end / For this to never be a tied and empty hand / If all the trouble in my heart would only mend / I lost my dream I lost my reason all again“. Forgiven/Forgotten cambia subito registro. Un punk-rock addolcito dalla voce della cantautrice che con due canzoni in poco più di quattro minuti ci spiega quali saranno le due facce di quest’opera, “All is forgiven / Always you are forgiven / If there’s one thing I fear / If there’s one thing I fear / It’s knowing you round / So close but not here“. La successiva Hi-Five è uno dei singoli di punta. Un canzone dal sapore anni ’70, che può confondere ai primi ascolti ma si rivela essere uno dei brani più orecchiabili, “I feel so lonesome, I could cry / But instead of that time / Sitting lonely with somebody, lonely dude / Well, there’s nothing in the world I’d rather do“. I veri pezzi da novanta cominciano con White Fire. Triste, lenta e profondamente malinconica, questa canzone si insinua nei più profondi anfratti della nonstra memoria e ne estrae senzazioni che possono essere constrastanti. Ascoltata al momento giusto è da brividi, “Everything is tragic / It all just falls apart / But when I look into your eyes / It pieces up my heart“. High & Wild ci riporta sulla terra, in un turbinio di chitarre e parole. La Olsen cuce tutto alla perfezione e non si può fare altro che rimanere incantati ad ascoltarla, “I wait for this to pass / For us to both say at last / On this dark and narrow path / The sun is shining and we remember what it is we’re living for / I’m neither innocent or wise when you look me in the eyes / You might as well be blind“. Il tempo di riprendersi e infila un altro gran pezzo come Lights Out. Vi verrà spontaneo canticchiarlo. La sua spontaneità e apparente linearità sono il segreto di questa bella canzone che mette in mostra anche le doti da chitarrista della Olsen, “If you don’t believe me you can go ahead and laugh / If you’ve got a sense of humor you’re not so bad / No one’s gonna hear it the same as it’s said / No one’s gonna listen to it straight from your head“. Stars è l’emblema di quelle atmosfere lacrimose citate in precedenza. Il ritornello è uno dei più belli dell’album sempre sorretto dalle sempre presenti chitarre, “To scream the animals to scream the earth / To scream the stars out of our universe / To scream at all back into nothingness / To scream the feeling til there’s nothing left / To scream the feeling til there’s nothing left“. Cantilenante e affascinante la successiva Iota. Una canzone dalle atmosfere vintage che sembrano uscire da un vecchio giradischi impolverato. Più si va avanti in questo album e più ci si sorprende della sua varietà, “If only all our dreams were coming true / Maybe there’d be some time for me and you / If only all the world could sing along / In perfect rhythm to the perfect song“. Dance Slow Decades non è da meno, crescendo istante dopo istante, “I can see you dancing / If you’d just take the step / You might still have it in you / Give yourself the benefit / And dance slow decades / Toward the sun / Even when you’re the only one“. Chiude l’album, in versione standard, la lunga Enemy. Una solitaria Olsen sembra sussurrarci nell’orecchio la sua canzone e ancora una volta non si può fare a meno di restarne rapiti, “Sometimes our enemies / Are closer than we think / Sometimes the ones we trust / May have to give up listening“. La prima delle tracce bonus è la straordinaria Windows. La voce della Olsen è a tratti vicina e lontana, una voce in cerca di redenzione, “Won’t you open a window sometime / What’s so wrong with the light / What’s so wrong with the light / Wind in your hair, sun in your eyes / Light / Light“. Si aggiungono White Water, che riporta la Olsen verso il rock sentito all’inizio di questo album, e la dolce ma pur sempre lacrimosa All Right Now. Segue Only With You d’altri tempi e May As Well che propone un inedito folk cantautorale di tutto rispetto. La Olsen ci prova anche con il country di Endless Road, trasformandosi per l’ennesima volta in questo album e portando a termine la missione.
Quello che questo album dimostra è la quasi assenza di limiti di Angel Olsen di scrivere musica. Spazia da un genere all’altro senza apparente difficoltà. Un album frutto di un lavoro intenso ma breve che si rispecchia nella sua coerenza. Tale coerenza non è scontata data la varietà di generi e stili che formano questo Burn Your Fire For No Witness. Non è facile, se non impossibile inquadrare Angel Olsen come artista. A volte è l’immagine della cantautrice acqua e sapone, un’altra quella della rocker depressa e altre ancora quella di un’interprete nostalgica. Un album vario che rende al massimo se ascoltato per intero piuttosto che facendolo separatamente canzone per canzone. Forse non a tutti può piacere la varieta di musica che Angel Olsen propone ma personalmente io lo ritengo un valore aggiunto e questo album si è rivelato al di sopra di ogni mia aspettativa.