Mi ritorni in mente, ep. 52

Il mio percorso di riscoperta dalla discografia degli Sherwater è continuato in queste settimane con l’album Animal Joy del 2012. Per la band texana capitanata dal carismatico Johnatan Meiburg si tratta del decimo album e precede l’uscita dell’ultimo (e ottimo) Jetplane And Oxbow del 2016. La voce unica di Meiburg e le atmosfere evocative della loro musica, fanno degli Shearwater uno dei gruppi indie rock che più amo in assoluto.

Questa Animal Life apre l’album e, a mio parere, è una delle più belle di questo gruppo. Il canto di Meiburg è senza respiro ed è la melodia sopra le chitarre. Ovviamente il resto dell’album non è da meno e non posso non consigliarne l’ascolto, per assaporare il fascino di una band sempre perfetta e affascinante.

Born inside the gates of the family
Hardened by a roman machinery
Cast among the building sites,
The coiling wires, the shots collected

 

L’anello mancante

La scorsa settimana ho acquistato qualche album per rimpinguare la mia collezione dopo un periodo di magra. Sono solito a non soppesare troppo un album prima di acquistarlo. Un veloce ascolto ad un paio di canzoni mi basta per decidere. Capita talvolta di non riporre particolari speranze in un album come nel caso di My Love, She’s In America, salvo poi rimanerne sorpresi fin dal primo ascolto. Il primo album degli Stillwater Hobos, band americana ma con il cuore legato al folk irlandese, risale al 2014 e da allora non ho trovato tracce di attività recenti. Sarebbe un peccato sapere che questo gruppo si sia già sciolto perché queste dodici canzoni, tra cover e originali, formano insieme un gioiellino folk, in bilico tra le due sponde dell’oceano Atlantico.

The Stillwater Hobos
The Stillwater Hobos

Si comincia con The Hills Of Connemara, cover dell’originale scritta dal compositore irlandese Sean McCarthy. Subito si viene trascinati dal suono del banjo, delle chitarre e del violino, in una melodia tipicamente irlandese ma con un piglio country, “Keep your eyes well-peeled today / The excise men, they’re on their way / Searching for the mountain tay / In the Hills of Connemara“. The Night Visiting Song una bella versione di una canzone dei The Dubliners. Una triste canzone d’amore proposta in una versione più country e accattivante ma ugualmente emozionante, “Wake up wake up love it is thine own true lover / Wake up wake up love and let me in / For I am tired love and oh so weary / And more than near drenched to the skin“. My Love, She’s In America è una splendida ballata country. Atmosfere solitarie e notturne pervadono il testo fatto di immagini vivide e poetiche. La prima delle canzoni originali di questo album, dimostra tutto il talento di questo gruppo, “When your true love’s gone to run like an engine / After nine young women with no faces their own / And in America she spins like a dancer / With barrel straps and some shoes made of stone“. La successiva French Broad River è una spensierata ballata folk con un ritornello da canticchiare. Gli Stillwater Hobos fanno sembrare una canzone originale come questa, un vecchio classico, “Well I’ll swim the french broad river / And become a little thinner / When I lay me down to dinner / At Dixie’s house to dine. / Well I’ll order in the brandy / And wine and summer shandy / A stronger braver man I’ll be / For thee and me and mine“. Il brano più sorprendente è senza dubbio Roarin’ Mary. Una tipica drinking song scandita dalle note del banjo. Qui la band americana si diverte e fa divertire, “Oh Roarin’ Mary I beg your pardon / Over by the hills near Craggie Garden / There never was a skite like Dick McSherry / And never was a girl like Roarin’ Mary!“. Ancora una canzone dei The Dubliners intitolata Carrikfergus. La malinconia, tipica del gruppo irlandese, viene riproposta in tutto il suo triste splendore. Un’interpretazione di tutto rispetto, “I wish I was in Carrickfergus / Only for a night in Ballygrand / I would swim over the deepest ocean / Only for a night in Ballygrand / But the sea is wide and I cannot swim over / And neither have I the wings to fly / I wish I had a handsome boatman / To ferry me over my love and I“. The Ballad Of Bonny & Clyde è un travolgente ballata country che racconta la movimentata vita della nota coppia di fuorilegge americani, “So when you leave your house shut the garden gate / Tell your mother and your father not to stay up late / We’re gonna fight for our freedom right down to the day we die“. The Girls In Old Ireland è un’altra canzone originale, una ballata che si rifà a quelle irlandesi. Gli Stillwater Hobos continuano così ad sottolineare il loro amore per le melodie della vecchia Irlanda, “Sure the Girls in Old Ireland they come to me / Let their bloody kings and clubs be their melodies / A whiskey-fog still burning in my memory / Scattered all along the grass“. Saint Therese è una delle canzoni più belle di questo album. Poetica e gioiosa, sintetizza bene l’anima di questo gruppo, trasmettendo tutta l’energia di questi ragazzi, “Bring me a rose, St. Therese, St. Therese / Would you bring me a rose St. Therese / All the little flowers are covered and blessed / Would you bring me a rose St. Therese“. Midnight Moonlight è una cover dell’originale di Peter Rowan. Gli Stillwater Hobos ne fanno una bella versione, affidandosi agli strumenti musicali che sempre li accompagnano in questo album, “If you ever feel sorrow for things you might have done / With no hope for tomorrow and the setting of the sun / And the ocean is howling of things that might have been / And that last good morning sunrise will be the brightest you’ve ever
 seen“. Segue un ballata country intitolata Love In A Watercan. Una spensierata canzone dove si celebra più il bere che l’amore, “This is a love song / To whom that I don’t know / I took me to a woman’s house / Where wine and water flow / I love a girl like a watershed / But she sure don’t love me / She’s got a sullen crawfish head / All full of old whiskey“. L’album termina con The Ballad Of St. Anne’s Reel, cover di una canzone di David Mallett. Una gioiosa ballata, guidata da una bella melodia di violino, che è poi anche il tema portante del testo della canzone, “He said there’s magic in the fiddlers and there’s magic in this town / There’s magic in the dancers’ feet and the way they put them down / People smiling everywhere, boots and fiddles, locks of hair, / And laughter oh blue suits and Easter gowns“.

My Love, She’s In America è un ottimo esordio dove gli Stillwater Hobos si confrontano con artisti che li hanno preceduti e allo stesso tempo presentano i loro inediti. La particolarità di questo album è quella di mescolare, con successo, una musica country folk con la tradizione irlandese. In realtà la prima è figlia della seconda, e queste canzoni sono un tentativo di trovare quell’anello mancante nell’evoluzione dei due generi. Là dove il violino cavalca le melodie delle ballate irlandesi, ci pensa il banjo a dare un tratto più americano. My Love, She’s In America è un album nel quale è difficile scegliere la canzone migliore. Tutte sono spinte da un energia genuina che deriva dalla passione per la musica di questi ragazzi. Spero che l’avventura degli Stillwater Hobos non si sia fermata a questo album e che il futuro ci riservi altre sorprese come questa.

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Quarantadue

I miei post riguardanti le mie letture sono andati sempre più diminuendo su questo blog. Un po’ perché tendo dare priorità alla musica e un po’ anche perché non sono un avido divoratore di libri. Mi piace leggere la mattina in treno, qualche volta la sera e cerco di farlo regolarmente. Approfittando di un periodo in cui ci sono poche nuove uscite musicali è giunto il momento di fare un breve riassunto di quanto letto negli ultimi mesi. E anticipare i titoli giù pronti sulla mia libreria.

Parto dalla Storia di re Artù e dei suoi cavalieri di Thomas Malory. Pubblicato intorno al 1470 è un tentativo del misterioso Malory di riunire, in forma di unico romanzo, tutte le storie e le avventure dei cavalieri della tavola rotonda e del loro re, Artù. Malory prova a mettere tutto in un ordine cronologico credibile, cercando così di sostenere la veridicità storica dell’esistenza del noto re. Storia di re Artù e dei suoi cavalieri risulta, soprattutto in lingua originale, molto ripetitivo e pesante. La nuova traduzione italiana prova a rendere più scorrevole il racconto ma non snatura la sostanza dello scritto di Malory. Un libro ricco di fascino ma nel quale si possono incontrare alcune difficoltà di lettura. Non per tutti ma chi ha l’ardore di affrontare le sue pagine scoprirà tutto quello che c’è da sapere su Sir Lancillotto, Sir Pasifal, Sir Tristano e Isotta, Sir Galahad e tutti i cavalieri alla corte di re Artù e la regina Ginevra.

Ho continuato poi con Q il primo romanzo del collettivo di scrittori italiani denominato Wu Ming. Allora il romanzo fu pubblicato sotto lo pseudonimo di Luther Blissett che raccoglie un più ampio numero di artisti. Si tratta di un romanzo storico ambientato durante gli anni che seguirono la pubblicazioni delle novantacinque tesi di Martin Lutero. Da una parte troviamo il protagonista senza nome (o dai molti nomi), un eretico in fuga per l’Europa e dall’altra il suo nemico, la spia della Chiesa che si fa chiamare Q. Dopo una prima parte in cui i due protagonisti operano l’uno all’insaputa dell’altro, il romanzo decolla quando le due figure si scoprono nemici. Q è un romanzo che ti tiene incollato pagina dopo pagina, nel quale si respira l’aria pesante di quegli anni spesso dimenticati ma dei quali ancora oggi ne vediamo le conseguenze. Consigliato a chi vuole leggere qualcosa di impegnato ma allo stesso tempo svagarsi in questo gioco pericoloso tra il fuggitivo e la spia.

Dopo questi due libri era giunto il momento si svagarsi un po’. Ci voleva qualcosa di divertente, assurdo, fantastico. Potrete trovare tutto questo sotto un unico titolo: Guida Galattica per Autostoppisti. In particolare l’edizione che unifica la trilogia in cinque parti (!) scritta di Douglas Adams e rimasta incompiuta a causa della sua prematura scomparsa. Le avventure del terrestre Arthur Dent e dell’alieno Ford Prefect sono le cose più divertenti che abbia mai letto. Spesso, anzi sempre, fuori da ogni logica o ordine cronologico. L’universo là fuori è grande, grandissimo, oltre ogni comprensione e può succedere di tutto. Perfino che la Terra venga distrutta (o forse no). Ci sono momenti in cui vi ritroverete a ridere da soli e altri in cui rimarrete perplessi per le assurdità che ci sono scritte (ma tutte rigorosamente e scientificamente giustificate). Anche se la fantascienza non vi appassiona è un libro da leggere anche solo per scoprire la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.

In questi giorni sto leggendo Il Silmarillion di J.R.R. Tolkien chiudendo così il cerchio dopo Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Lettura affatto leggera ma di un fascino indescrivibile. Prossime letture: La fattoria degli animali di George Orwell e Dolores Claiborne di Stephen King. Con una certa curiosità ho acquistato anche Imprimatur, primo romanzo della coppia italiano Monaldi e Storti. Infine un’altra raccolta di racconti della bravissima Daphne Du Maurier. Insomma, ho ancora molto da leggere, avventure da affrontare, luoghi da visitare e personaggi da conoscere.

Il cassetto della memoria

Cercando qualche nuova uscita da ascoltare, ho incrociato il nome di Ashley Monroe e non è stata la prima volta. Già nel 2015 il suo Blade mi aveva incuriosito dopo che lo avevo visto inserito tra i migliori album country di quell’anno. Ma come spesso mi accade non avevo ulteriormente approfondito la sua musica. Da qualche parte però, in un cassetto della memoria, il suo nome è rimasto fino a qualche tempo fa quando sono venuto a conoscenza del suo quarto album intitolato Sparrow. Ashley Monroe oltre alla carriera da solista, fa parte del trio country tutto al femminile Pistol Annies, con pezzi da novanta come Angaleena Presley e Miranda Lambert. Sparrow si presentava con tutte le carte in regola per ascoltare del buon country e così ho colto l’occasione al volo.

Ashley Monroe
Ashley Monroe

L’inizio è affidato alla bella Orphan, una triste ballata country. La voce cristallina della Monroe è capace di dare forma ed intensità al brano, lasciando trasparire le emozioni. Un ottimo inizio che cattura l’ascoltatore, “Nobody told me what I should do / When the world starts to rumble and shake under you / How does an orphan find its way home? / Reach out with no hand to hold / How do I make it alone?“. Hard On A Heart è un elegante canzone arricchita da un bel accompagnamento orchestrale. Un’incitazione a non arrendersi, un dialogo tra sé stessi ed il proprio cuore, “Heart, don’t give up on me now / We’ve got a long way to go / I know we’ve put in some miles, me and you / But I can still see the road“. Il singolo Hands On You fa leva sul fascino della voce della Monroe. Rimpianti d’amore e occasioni mancate fanno da sfondo ad una canzone sensuale, “I wish I was still half drunk / Still tangled up / Still making love / But instead I’m alone in bed with you in my head / Can’t get you out of my head / Mmm, mmm / My only regret“. La successiva Mother’s Daughter è malinconicamente country. Musica e voce si uniscono in una melodia dolce ed orecchiabile, rendendola una delle canzoni dell’album che preferisco, “When she was younger she was more like her father / Faithful and stronger / She was the light in his eyes / And she’ll deny it, but now that he’s no longer / She’s her mother’s daughter / Until the day she dies“. Si potrebbe dire lo stesso di Rita. Una canzone intensa che ancora una volta vede la presenza di un accompagnamento orchestrale eccezionale, mai sopra le righe. Da ascoltare, “How are you, Rita? / How are you, Rita? / Are you too tired to even try? / How are you, Rita? / Who’s got you, Rita? / I’m too in love to let it die“. In Wild Love, la Monroe torna a sfoderare il lato più sensuale della sua voce. Una canzone su un disperato bisogno di amare, piacevole da ascoltare, “I’m on a mission / I take what’s given / It’s rightfully mine / I will embrace it / I wanna taste it, ooh / Drowned in the wine / Wild love / Wash over me like Barcelona rain / Wild love / Take hold of me and I’ll never be the same“. This Heaven è una ballata romantica d’altri tempi. Un lento sentimentale che si affida ad un tappeto musicale ben collaudato ma sempre efficace, “This heaven that I’m holding don’t cost much of anything / You can hear the angels sing empty songs with broken wings / When a heart grows weary start lookin for the light / And when there’s nothin’ else to try, you keep searchin’ for a different high“. Seque I’m Trying To, pezzo country da tratti classici. Ancora una volta la Monroe dà spazio alle atmosfere tristi ma lascia trasparire una speranza attraverso la musica, “How long do you try before you let it die? / What do you need to know before you know? / Trying to read your mind is like driving when you’re blind / If only all this trying made it so“. Con She Wakes Me Up (Rescue Me), Ashley cambia marcia, infilando un vibrante country rock. Una canzone carica di amore e di gioia che lascia intravedere il lato più luminoso di questo album, “I love my baby, she’s the light of the world / She wakes me up with the sun in her eyes / She’s not perfect but she’s my little girl / And the night goes cold when she cries“. La successiva Paying Attention è un’altra bella canzone, che fa leva sui sentimenti. Sempre perfetto e gradevole l’accompagnamento orchestrale, che si dimostra una costante in questo album, “You promised i’d miss you when you walked away / You were right when you told me I’d be sorry someday / Well, I’m paying attention to you / Oh now, I’m paying attention to you“. Molto bella, a partire dal testo, Daddy A Told You. Una toccante canzone dedicata al profondo rapporto tra padre e figlia, “Daddy I told you I was gonna fly / I’d get out of that town alive / Don’t worry, I kept your name and your picture in a frame / Just like you, I got a lot in my heart / It won’t let me fall apart / I’ll always be your little girl / I love you more than this whole world“. Keys To The Kingdom chiude l’album. Un brano dolce e sognante, una ballata che ha il sapore della sera. Scelta musicale e canto si uniscono alla perfezione, “I was handed keys to the kingdom / I was given a haunted guitar / And it made me sing / Every song it ever wrote and then some“.

In definitiva Sparrow si è rivelato l’album che mi aspettavo e che volevo ascoltare. Ashley Monroe con la sua voce suadente e malinconica dà forma a tutto l’album. Ogni canzone trova la sua giusta collocazione e tutte vanno nella stessa direzione. Musicalmente la scelta di prediligere un accompagnamento orchestrale piuttosto che affidarsi ad uno più tipicamente country o pop, è molto azzeccata. Niente è sopra le righe in questo album e tutto procede per il verso giusto. Niente strappi o virtuosismi, come fosse una giornata serena in cui tutto va bene. Ecco, Sparrow, è adatto da ascoltare quella sera in cui non potevamo chiedere di meglio al giorno appena trascorso.

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