Non ci capisco nulla

Voi cosa facevate a quattordici anni? C’è chi ha questa età è già pronta a pubblicare un EP. Sto parlando della giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. I soli paragoni con Laura Marling, Rachel Sermanni e Lucy Rose mi sono bastati per provare ad ascoltare il singolo d’esordio Ribbon. Provate voi a concedere un ascolto. Non si può rimanere indifferenti di fronte ad una maturità artistica (forse ancora un po’ di facciata) così precoce. La ragazza si era già cimentata in diverse cover, tra le quali anche Lucy Rose, all’età di dodici anni. Fa quasi impressione pensare che a quattordici anni si possa cantare con tanta sicurezza e semplicità e non è un caso isolato. In questi ultimi anni succede spesso che artisti poco più che ragazzini sfornino album che alcuni colleghi più grandi di loro non si sognano nemmeno. La stessa Marling esordì a sedici anni e oggi è la regina del folk di nuova generazione. Anche la già citata Rachel Sermanni sta facendo passi da gigante affermandosi sempre di più come un artista di tutto rispetto, nonostante i suoi ventidue anni, un album e una manciata di EP.

Quando guardo in casa nostra purtroppo non vedo niente di tutto ciò. Forse sono io che non mi impegno abbastanza a cercare. Forse non ne ho nemmeno voglia. Forse perchè tutto il nuovo in Italia sembra uscire dai talent show e, se devo essere sincero, un po’ mi indispone. Vincono il talent e si sentono arrivati, invece di sentirsi come esordienti. Ed eccoli già supponenti che strillano su un palco, spinti dalla televisione e dalle case discografiche. Ogni tanto penso a cosa potrebbe rimanere dei giovani cantanti italiani, che poi a ben guardare, spesso, non sono nemmeno poi tanto giovani. Trentenni o ultratrentenni che cantano canzoni adolescenziali con testi tanto banali da non notare nemmeno quanto sono banali. Io personalmente non riesco a comprendere come si possa pensare, scrivere, cantare e pubblicare canzoni così raffazzonate e prive di qualsiasi intento artistico. Probabilemente sono io che non ci capisco nulla. Perdonatemi se continuo a cercare e ascoltare musica straniera ma proprio non ce la faccio. Billie Marten ha quattordici anni e canta come una trentenne e qui in Italia abbiamo trentenni che cantano come quattordicenni. Questo abbiamo e questo ci meritiamo. Metto in lista questo EP in uscita a Giugno e sono contento così. Anche se un po’ mi piacerebbe trovare qualcosa di italiano o forse no. Non so mai come finire questo genere di articoli. Ci metto dei puntini…

La vena madre

Ero sicuro che riascoltando le The Staves avrei saputo apprezzare meglio, ora, il loro esordio. Aspettare è stato un bene. Rispetto ad un anno fa, ho più confidenza con la musica folk e The Staves se ne sono state lì un bel po’ ad aspettare il loro turno. Finalmente la loro opportunità di riscatto l’hanno avuta. Ecco che alcune loro canzoni che ascoltavo con piacere continuano ad avere un effetto positivo e altre, che invece mi lasciavano indifferente, sono cresciute, rivelandosi delle sorprese. Alcune opinioni e perplessità nei confronti della loro musica sono cambiate ma altre sono rimaste più o meno le stesse anche se addolcite da una speranza che le tre sorelle Staveley-Taylor (Emily, Jessica e Camilla) ci possano riservare per il futuro altre canzoni più mature e personali dopo questo Dead & Born & Grown.

The Staves
The Staves

L’iniziale Wisely & Slow è l’essenza delle The Staves, tre voci delicate unite in una sola e musica essenziale. Un lento crescendo con un vivo finale “Tender woman mourns a man / Sits in silent sorrow / With a bottle in her hand“. La successiva Gone Tomorrow è più convincente e affascinante che sfrutta un meccanismo folk ben collaudato, “Just give me some / Time to borrow / You’re here today / Gone tomorrow“. Una delle più belle canzoni dell’album è sicuramente The Motherlode. Anche dopo un anno resto della stessa idea. Delicata, eterea e fiabesca, ecco come si può definire questa canzone, “People running away / Running like strangers / Day after day / Leave him alone“. Pay Us No Mind è l’eccezione dell’album. Un brano dal sapore americano e un po’ blues. Forse un ritmo un po’ più alto e un canto meno sussarato avrebbero evitato un effetto sporifero, “Drink until your lips are black, / You’ve given things you’ll never get back, / Oh you silly thing“. Il singolo Facing West funziona, facendo leva ancora una volta sulla delicatezza delle voci e sulle atmosere spensierate di mezza estate. Tutto sommato una canzone gradevole, “Sing me a song, your voice is like silver and / I don’t think that I can do this anymore“. In The Long Run è un altro esempio di come la musica delle The Staves sia influenzata dalla tradizione americana. Una canzone semplice e lineare che scorre via piacevolmente, “But I know / I’ll see you again in the long run / And I know / I’ll meet you again in the long run“. La title track Dead & Born & Grown forse non è all’altezza del ruolo e resta una bella prova ma convince poco, “And I’ll stay the same and stand here on my own / ‘Til everything is dead and born and grown“. Winter Trees invece, nonostante le sonorità affini, è più convincente e ispirata con un altro finale in crescendo, “White winter trees / Covered in snow / I don’t mind / I don’t mind / I think of you now“. Tongue Behind My Teeth non si discosta molto da quanto sentito finora e se quancuno di voi a questo punto inizia ad avere le palpebre pesanti, sappiate che non sarà questa canzone a svegliarvi, nonostate un altro finale convinto, “I know where you’re going / And I see where you’ve been / Patience is a virtue / And mine with you is wearing thin“. Mexico non è da meno ma è di tutt’altra pasta. Questa canzone è da mettere tra le più belle di questo esordio. Senza dubbio, “I’m saving up / To take a trip to Mexico / I heard it’s the place to go / I want to see the colours of another sky“. Anche Snow non è affato male. Rispetto a quanto sentito finora questo brano appare più personale e intenso, “Oh I know that the shame is mine / And the blame is my own to bear“. Piccola sopresa alla fine dell’album con Eagle Song. L’inizio non riserva nessuna sorpresa ma aspettando un paio di un minuti tutto si accende. I colori della musica delle The Staves si fanno più vivi che mai per poi trovare conclusione in una traccia nascosta da sapore ancora una volta americano, “Call me in the morning I’ll be alright / Call me in the morning I’ll be alright / Call me little honey and I’ll be fine / Call me in the morning, I’ll be OK“.

Questo esordio delle The Staves può considerarsi un buon album che alterna alti e bassi, convincendo a metà. Le premesse per il futuro sono positive ma le tre sorelle dovrebbero provare quancosa di più acceso e intenso piuttosto che fermarsi ad usare (troppo) le loro voci sussurrate. Perchè quando ci provano ad essere più vivaci, i risultati sono molto buoni. Anche le canzoni più blande riescono alla perfezione ma non non tutte sono sullo stesso livello. Dead & Born & Grown è un album per chi resiste bene al sonno (e io resisto bene) senza incorrere nella noia. Sì, perchè noia e sonno non vanno a braccetto anche se a volte sembra. Le The Staves non sono affatto noiose ma il loro approccio soft penalizza i loro intenti. Un album per un’estate sonnacchiosa e calda o per un autunno pigro. Scegliete voi.

Mi ritorni in mente, ep. 16

Qualcosa si sta muovendo. Ultimamente sono rimasto un po’ all’asciutto di novità da ascoltare, così mi sono messo alla disperata ricerca di qualcosa di nuovo. Tra gli ultimi acquisti spicca un interessante debutto fresco fresco della cantautrice danese Majke Voss Romme aka Broken Twin. Il solo ascolto del singolo Glimpse Of A Time mi ha convinto ad ascoltare il resto dell’album. So bene che posso andare incontro a sonorità oscure e tutt’altro che allegre, ma non mi spaventano. Anzi, ne sono molto incuriosito. Un altro acquisto è All The Crooked Scenes dei Ellen And The Escapades. Non mi aspetto chissà cosa da questo gruppo se non un pop-folk leggero e piacevole, per l’estate. Come al solito sono in ritardo di un giro e il gruppo ha già pronto il singolo del prossimo album. Va bene, meglio così. Se mi piacciono so di avere altra musica pronta da ascoltare. Un altro interessante album è All Of It Was Mine di The Weather Station, nome sotto il quale si nasconde la cantautrice canadese Tamara Lindeman. Lo ho ascoltato qualche volta sulla sua pagina di Bandcamp e so di trovarmi di fronte ad un folk minimale e classico. Sono pronto anche a questo.

Nel frattempo ho recuperato l’esordio delle The Staves e Almanac delle Emily Barker & The Red Clay Halo, che avevo apprezzato nel successivo Dear River. Nel frattempo si delineano le nuove uscite per quest’anno. A sorpresa le due sorelline Lily & Medeleine hanno terminato le registrazioni del nuovo album. A quanto pare sono intenzionate a pubblicare il nuovo ad un anno di distanza dal precedente. Bene. Molto bene. Tra chi ha terminato le registrazioni c’è anche Lucy Rose ma per il suo nuovo album ci sarà da aspettare la fine dell’anno (ma perchè ci mettono tanto!?). Chi sta registrando ora è Brandi Carlile, che ha fatto trapelare l’anticipazione di una nuova canzone dopo il passaggio ad una nuova casa discografica. Non resta quindi che aspettare. Nel frattempo mi ascolto i nuovi arrivi e le vecchie conferme. La puntata di oggi è dedicata a Lucy Rose nella speranze che il nuovo album non tardi troppo.

Les jeux sont faits

Da dove cominciare per spiegare chi è Cœur de pirate? Innanzi tutto il suo vero nome è Béatrice Martin ed è una cantautrice canadese. Non mi sono fermato alla prime perplessità che avevo nei suoi riguardi e ho ascoltato sempre più volentieri il suo disco d’esordio, Cœur de pirate. Le mie perplessità si riducevano ad una sola, ovvero il francese. Infatti Béatrice canta in francese e a queste latitudini la musica francofona non arriva spesso. La curiosità però è stata più forte e grazie ancora al cambio favorevole dollari canadesi-euro, mi sono lasciato tentare dalla sua pagina Bandcamp (musique.coeurdepirate.com). C’è altro da aggiungere? Sì, per la verità. La ragazza è anche nota per alcune foto di qualche anno fa che la ritraggono “poco vestita” che lei ovviamente vuole dimenticare. Béatrice però non nasconde i suoi innumerevoli tatuaggi che ritraggono, tra le altre cose, anche dei pirati. La ragazza però fa intendere che oltre ad aver messo in mostra il suo corpo è anche stata capace di mettere in mostra le sue doti musicali, soprattutto al pianoforte (che suona dall’età di tre anni). Se ne sentiva il bisogno? La risposta è soggettiva. Io rispondo: perchè no!

Cœur de pirate
Cœur de pirate

Si inizia con La Long Du Large, un frizzante pop cucito alla perfezione sulla giovane voce, dell’allora ventenne, Cœur de pirate. Subito l’ascolto si rivela piacevole e il francese non sarà un problema, “Et sans prendre le bord / On reste sans visage / Une masse comme une autre / Qui vit dans un mirage“. Comme Des Enfants vi farà innamorare della voce della cantautrice che si accende in un luminoso ritornello che canticchierete senza sapere (almeno per quanto mi riguarda) cosa state dicendo, “Mais il m’aime encore, et moi je t’aime encore plus fort / Et malgré ça , il m’aime encore et moi je t’aime encore plus fort“. La successiva Found Au Noir è la canzone più oscura dell’album, nonchè una delle più belle, “Et si ça fait mal c’est parce qu’il te voit pas / Alors que ton sourire enfin s’éteindra“. Corbeau è un’altra canzone triste e un’altra bella canzone nella quale Béatrice si diletta un po’ con il suo pianoforte prima di ricordarci ritornello, “Et je ne sais plus à quoi penser / C’est dur d’être libre comme toi / Et je ne sais plus à qui penser / C’est fini rhabille-toi“. Berceuse è una ninnananna (come da titolo) con tipiche sonorità della canzone francese, è quindi lecito non aspettarsi nulla di orginale, “Et sans souffrir j’en ris / Mes regrets restent dans son lit / Et sans rire je souffre / Car il a eu mon dernier souffle“. Il brano strumentale è Intermission, una breve ma ispirata musica suonata esclusivamente con il pianoforte. Con Printempssi risentono i toni più frizzanti dell’inizio dell’album e si ritorna a canticchiare, “Et toi tu ne sais pas / Que je voudrais bien de toi / C’est bien triste ce sera dans cette chanson seulement”. Ensamble ritorna sulle sonorità della canzone francese, con una musica ricca e spensierata. Un altro piacevole pezzo pop, “Car ensemble rime avec désordre, / Et l’homme que tu es n’est plus que discorde / Car ce que tu es rime avec regrets / Pour ma part je n’ai que ceux qui restent à jamais”. Ancora più radicata nella tradizione francese è La Vie Est Ailleurs che ha un altro ritornello piuttosto appiccicoso, “Car la vie est ailleurs / Dans un âge lyrique / Et tes peines s’enfuient / Tes tristesses se dissipent”. Un duetto con il canadese Jimmy Hunt per Pour Un Infidèle, una canzonetta d’amore che passa e và, “Doucement tu me fais voir les plus douces de tes histoires / Et plus notre idylle avance d’autres filles entrent dans la danse”. Francis è probabilmente la canzone meno convincente dell’album ma si fa ascoltare, “Francis tu as tant de choses à dire / Mais le tout reste enfermé / Et quand tu ne sais plus quoi dire / Tu te mets à pleurer”. Il finale è affidato a C’etait Salement Romantique dove Cœur de pirate ritrova il suo pianoforte migliore, confezionando una piacevole ballata dolce e oscura, “Et au sud de mes peines j’ai volé loin de toi / Pour couvrir mon coeur d’une cire plus noir / Que tous les regards lancés à mon égard / J’ai tenté de volé loin de toi”.

Un album breve, composto da canzoni corte ma raramente veloci. Un pop cantautorale fresco e giovane ma che si rifà ad una tradizione che funziona sempre anche se un po’ consunta. Io personalmente conosco pochissimo la lingua francese ma facendo una veloce traduzione dei testi non sono rimasto sorpreso della loro semplicità. Un album di una cantautrice ancora acerba che sboccerà, come ho letto da più parti, nel suo secondo lavoro. Dunque questo esordio è solo un assaggio di quello che Cœur de pirate può regalarci. La ragazza quest’anno ha realizzato un album di cover per una serie tv canadese e recentemente a pubblicato la colonna sonora del videogioco Ubisoft, Child of Light. Non certo una cosa da poco. Béatrice Martin non è dunque una semplice “voce dietro un bel visino” ma qualcosa di più. Forse il francese in musica non a tutti può piacere e io stesso sono rimasto sorpreso dal fatto che in fondo non è poi così male. Questo non significa che mi sono appassionato alla musica francese ma posso dire di aver superato qualche pregiudizio nei suoi confronti. Insomma, se volete cambiare lingua dal solito inglese o italiano, questo Cœur de pirate potrebbe essere una buona occasione.