Il canto degli uccelli

Un altro album che avrebbe meritato il suo spazio su questo blog lo scorso anno è tender del trio folk Lady Maisery uscito a novembre. Hazel Askew, Hannah James e Rowan Rheingans formano un gruppo tra i più talentuosi e innovativi del panorama folk inglese, giunto al loro quarto album. Senza dimenticare anche lo splendido Awake Arise: A Winter Album in collaborazione con Jimmy Aldridge e Sid Goldsmith. Le melodie, l’unione delle voci e la sperimentazione dei suoni sono da sempre dei tratti caratteristici di questo trio al femminile, in bilico tra tradizione e modernità. Come è successo per altri artisti, ho accolto subito il loro appello su Kickstarter e ho contribuito anche io alla realizzazione dell’album. Lo faccio spesso perché è un po’ come ricevere un regalo, non so mai cosa aspettarmi e la sorpresa è assicurata.

Lady Maisery
Lady Maisery

L’album è composto da canzoni originali e da diverse cover. La title track tender, scritta dalla Rheingans, è una canzone confortante e caratterizzata dallo stile folk etereo alla quale le Lady Maisery ci hanno abituati. Lo stesso vale per l’incantevole bird i do not know, scritta dalla Askew e echoes, nella quale la James rievoca i momenti più difficili e la separazione dalle persone care durante il lockdown. Le tre voci e le sperimentazioni musica danno vita ad un folk moderno di grande impatto. La voce della Askew ci guida nella magica scientist che vuole trasmettere un messaggio di speranza tra le tante difficoltà dei nostri tempi. La morte dell’attivista e femminista Anna Campbell ispira Rowan per rest now mentre Hazel realizza una canzone oscura ispirata ad una vecchia storia dai risvolti misogini e da esperienze personali, intitolandola the fall, l’autunno. noughts & crosses vuole richiamare alla memoria le belle immagini di una natura pulita e libera durante il lockdown. Un’effimera illusione, spazzata via subito dal ritorno alla normalità. Come da titolo birdsong è una dichiarazione d’amore per il canto degli uccelli, spesso ignorato o coperto dal suoni degli uomini. Se con queste canzoni originali le Lady Maisery danno prova del loro talento, le cover ne costituiscono un’ulteriore conferma a partire dalla bella hyperballad. Personalmente la trovo migliore dell’originale di Björk (per la quale non nutro particolare interesse). Questa versione con solo le voci ed usando il corpo come strumento a percussione è straordinaria. L’altra cover è 3000 miles dà una veste folk al brano originale di Tracy Chapman, conservandone però tutta la sua fragilità.Solo voce invece per child among the weeds, di Lal e Mike Waterson. Una canzone dolce fatta di immagini semplici e commoventi.

Le Lady Maisery con tender trovano il perfetto equilibrio tra tradizione e modernità, sperimentando ma senza andare oltre le sonorità del folk inglese. Si percepisce come questo album sia frutto di un’ispirazione vivida e coerente, nel quale trovano spazio la natura, l’ambiente e il mondo femminile. Un trio questo che ci offre un visione ampia e fresca sul folk delle nuove generazioni, muovendosi su un solco già tracciato ma capace ancora di riservare sorprese. Ormai lo stile delle Lady Maisery è così ben consolidato da poter toccare alcuni “mostri sacri” della musica e riuscire perfino a far meglio. Merito di una sensibilità e di un talento che si svelano pienamente in questo tender.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Bandcamp

Legato al ritmo di un tempo che si perde

Sul finire dello scorso anno è uscito il primo album del progetto solista del cantautore Ewan MacPherson, a me già noto per lo splendido lavoro che da anni porta avanti con i Salt House, insieme alla moglie Lauren MacColl (che partecipa anche in questa occasione) e Jenny Sturgeon. Il nome scelto per questo progetto è Hushman che poi da il titolo anche all’album stesso. Tutte le canzoni, eccetto due, sono scritte da MacPherson che in realtà a già pubblicato due album come solista Norther nel 2008 e Fetch! nel 2016. Il folk cantautorale di MacPherson e il suo stile sono riconoscibili anche nella sue collaborazioni e, consapevole di quanto di buono realizzato finora, non esitato a buttarmi anche su questo Hushman.

Ewan MacPherson
Ewan MacPherson

La prima cosa che ho apprezzato ascoltando Hushman è che tra le altre canzoni ho riconosciuto Freshwater Salt, giù pubblicata nel prima album dei Salt House. Il titolo dell’album era Lay Your Dark Low del 2013 e in quell’occasione era interpretata da Siobhan Miller, che poi lasciò il gruppo insieme a Euan Burton. I Salt House divennero così un trio con l’arrivo delle Sturgeon. Insomma, Freshwater Salt era già una splendida canzone allora e lo è altrettanto interpretata dal suo autore. Ma la magia della voce e della scrittura di MacPherson, la ritroviamo anche in It’s All In The Distance o in The Rising Line. Lo suo stile etereo e riflessivo richiama i silenzi della natura e il mondo interiore, in particolare in canzoni come Remedy For A Hollow Heart. C’è anche una bella canzone dedicata alla moglie Lauren intitolata She Climbs The Munros e che compare anche nel video. Oltre queste canzoni originali ci sono Duke Henrik, una traduzione di una canzone tradizionale svedese e Beltane, anch’essa tradizionale ma riproposta in una particolare versione moderna ma altrettanto affascinante.

Hushman è un album nel quale possiamo ammirare il talento di cantautore di Ewan MacPherson che con la sua voce sommessa e fragile ci incanta e ci porta in un mondo malinconico fatto di melodie e parole. Ogni ascolto di questo album porta con sé una nuova scoperta: un suono nascosto che sfugge al primo ascolto, la particolare struttura di una canzone oppure qualche parola che si perde nell’aria. Tutte queste cose danno vita ad un insieme di canzoni coeso e coerente anche grazie allo stile riconoscibile di Ewan MacPherson. Hushman scorre lento alternando momenti più oscuri ad altri più luminosi ma senza mai uscire da una comfort zone di suoni e parole. Al di là delle apparenze, questo è un album solido e forte, frutto dell’esperienza e della volontà di creare qualcosa di onesto e naturale.

Sito Ufficiale / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp

Non mi giudicate – 2022

Come tutti gli anni è giunto il momento di tirare le somme di questo 2022. Sono 72 i miei album usciti quest’anno e quindi candidabili per la breve selezione che troverete qui sotto. Come sempre, ma quest’anno in particolar modo, è stato difficile scegliere per alcune categorie. Forse anche a causa nel gran numero di album, molti di più del 2021. Avrei voluto dare spazio su questo blog ad altri album ma anche sulle recensioni ho dovuto fare delle scelte, spesso a malincuore. Ma tutto ciò mi ha aiutato a restringere la rosa dei candidati per questa lista. Ecco dunque svelati i miei personalissimi migliori album del 2022. Buona parte degli esclusi lì trovate comunque tutti qui: 2022. E i restanti? Li trovate un po’ qui, su Bandcamp, e un po’.. chissà dove.

  • Most Valuable Player: Aldous Harding
    Pochi altri artisti sono paragonabili a lei. Con il suo Warm Chris si conferma una delle più originali cantautrici della sua generazione. Una di quelle che si faranno ricordare a lungo. Ascoltare per credere.
    Amore è il nome del gioco
  • Most Valuable Album: Palomino
    Il ritorno delle First Aid Kit è segnato da un album eccezionale. Probabilmente il più bello della loro carriera sotto tutti i punti di vista. Positivo e solare ma venato di una malinconica maturità.
    Lascia che il vento ti riporti a casa
  • Best Pop Album: Dance Fever
    I Florence + The Machine danno vita ad un album potente ma allo stesso tempo fragile e insicuro. Le difficoltà del lockdown ci mostrano una Florence Welch meno dea e più mortale.
    Welch la Rossa, il diavolo e la voce d’oro
  • Best Folk Album: To Have You Near
    Categoria colma di ottimi album. Alla fine però l’angelica voce di Hannah Rarity riesce a spuntarla sulle contendenti. Il suo è un folk moderno ed emozionante che prende ispirazione dalla tradizione.
    Un vento pieno di ricordi
  • Best Country Album: No Regular Dog
    Pochi dubbi sul migliore album di questa categoria. Kelsey Waldon ci regala un album solido nel quale ogni canzone si completa con le altre, dove non c’è un solo passo falso. Non so quante volte l’ho riascoltato.
    Consunto come un vecchio paio di jeans
  • Best Singer/Songwriter Album: Loose Future
    Altra categoria affollata di ottimi album. Ho voluto premiare il coraggio di Courtney Marie Andrews di rinnovarsi e trovare nuove strade. Il risultato è ottimo come lo è sempre stato per questa cantautrice americana.
    La vita è migliore senza piani
  • Best Instrumental Album: Beatha
    Quest’anno ho ascoltato album prevalentemente strumentali più del solito. La mia scelta ricade però su quello di Tina Jordan Rees, stimata musicista scozzese, che debutta da solista con le sue composizioni originali.
  • Rookie of the Year: Iona Lane
    Con Hallival questa cantautrice inglese debutta con un album che è una finestra sulle bellezze della natura ma anche sugli uomini che la abitano, arrivando infine a noi stessi. Un folk moderno e senza tempo.
    Brutale bellezza avvolta dalle mareggiate occidentali
  • Sixth Player of the Year: Katie Spencer
    Quando ascoltai The Edge Of The Land non avrei mai pensato di inserirlo tra i migliori di quest’anno. Ma pian piano è cresciuto e ogni tanto mi chiama ancora a sé ed io ritorno piacevolmente da Katie.
    Come il gelsomino la sera
  • Defensive Player of the Year: Erin Rae
    Non poteva mancare questa cantautrice con il suo Lighten Up che torna a deliziarci con la sua voce unica e le sue canzoni sincere. Un album rassicurante e familiare, dove rifugiarsi quando se ne sente il bisogno.
    Sotto un vecchio familiare bagliore
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La mia scelta ricade, senza esitazioni, sull’album Raised. Il country spensierato e solare ma anche un po’ nostalgico di questa cantautrice trova qui la sua massima espressione. Semplicemente irresistibile.
  • Throwback Album of the Year: Saint Cloud
    Complice il debutto del duo Planis, ho riscoperto questo album del 2020 di Waxahatchee ovvero Katie Crutchfield. La sua voce carismatica e il suo stile particolare mi hanno conquistato subito.
    Mi ritorni in mente, ep. 86
  • Earworm of the Year: Karma Climb
    Molte sono le canzoni che mi sono ronzate in testa per un bel po’. Forse più delle altre c’è questa degli Editors, che sono tornati come sempre carichi di novità, con il loro EBM. Tom Smith è una garanzia.
    È così che ci nascondiamo dalla vita moderna
  • Best Extended Play: I Promised You Light
    Sono ben due gli EP pubblicati quest’anno da Josienne Clarke, uno di brani originali e uno di splendide cover. Ho scelto il primo solo perché ne ho scritto a riguardo da queste parti ma anche l’altro Now & Then merita un ascolto.
    Queste furono le prime luci
  • Honourable Mention: Nikki Lane
    Non potevo dimenticare lei e il suo Denim & Diamonds. Un ritorno in grande stile a distanza di anni. Una album maturo e personale che segna una svolta rock ma che non rinnega l’anima outlaw country di questa cantautrice.
    Ti farà girare e ti sputerà fuori

Meglio tardi che mai, ep. 2

Prima di che finisca anche quest’anno ho deciso di raccogliere qui qualche uscita che avrebbe meritato un post dedicato su questo blog. Purtroppo non è stato possibile nelle scorse settimane ma ora è arrivato i momento di rimediare. Ecco dunque qualche consiglio. Sarò breve, lo prometto, lascio spazio alla musica.


Fritillaries è un progetto della cantautrice folk Hannah Pawson che debutta con l’omonimo Fritillaries. Insieme al musicista Gabriel Wynne, propone un folk moderno ma allo stesso tempo non lontano dalla tradizione inglese. L’album è davvero molto bello e vario. Atmosfere distese e malinconiche vi accompagneranno lungo tutta la sua durata. Un nome da tenere presente in futuro.


Per la cantautrice canadese Rosie Valland, il nuovo Emmanuelle rappresenta il suo terzo album, nonché la conferma dei quanto ci ha fatto ascoltare con il precedente BLUE. Il suo è un pop moderno nel quale non mancano sperimentazioni ma in più occasioni si dimostra anche capace di creare melodie orecchiabile e accattivanti, come nel caso di Attiser le dilemme.


Quest’anno ha visto anche il ritorno di una delle voci più belle del folk scozzese, ovvero quella di Siobhan Miller. Nel suo nuovo album Bloom, riunisce la band che l’ha accompagnata nel fortunato Strata, portando nuova linfa ai brani tradizionali e cover contemporanee. La voce della Miller è sempre perfetta e pulita in questo album nel quale si respira l’amore per il folk in tutte le sue sfumature.


Andrea von Kampen è una cantautrice folk americana che debutta ora anche come attrice nel film A Chance To Encounter. Nel film interpretata una cantautrice folk che trova l’amore in Italia, più precisamente a Taormina. Le canzoni del film, interpretate dalla von Kampen, sono raccolte in un EP omonimo del film. In attesa di vedere il film (molto probabilmente disponibile solo in lingua originale) si può ascoltare questa manciata di canzoni davvero piacevole, nello stile delicato di quest’artista.

L’inverno non viene mai meno al suo dovere

Cosa può nascere da un gruppo di amici che mette in piedi una band nella quale ognuno porta le proprie esperienze ed influenze? Una risposta potrebbe darcela un “supergruppo” formato da artisti esperti che attraversano Regno Unito. Il suo nome è The Magpie Arc. Personalmente sono venuto a conoscenza di questa band grazie a nomi a me noti, come Nancy Kerr e Findlay Napier. Insieme a loro ci sono Martin Simpson, Tom A Wright e Alex Hunter. Il loro primo album Glamour In The Grey sancisce definitamente l’inizio di un’avventura nata per puro piacere di fare musica insieme, dopo tre EP e registrazioni live. Ero sinceramente curioso di scoprire questo gruppo e così mi sono divorato tutti e tre gli EP (fortunatamente pubblicati poi in un unico pacchetto) e questo album di debutto. Oggi mi limiterò a consigliarvi l’album perché merita davvero un post dedicato su questo blog prima che l’anno volga al termine.

The Magpie Arc
The Magpie Arc

Si comincia subito alla grande con All I Planted, che mescola un folk rock trascinante alla voce inconfondibile della Kerr. Un inizio che cattura subito per le sue sonorità anni ’70 e l’energia messa in gioco. Non è da meno la successiva Don’t Leave The Door Open che è nelle mani sapienti di Napier che dà vita ad un power pop orecchiabile. Spazio alle chitarre che ci ricordano i tempi d’oro del rock inglese. C’è posto anche per la tradizione americana con Pans Of Biscuits. Questa volta è il turno di Simpson al microfono che ci regala un’interpretazione potente e di mestiere, che rimane fedele alle sonorità folk, sostenute però dalla vitalità del rock. Wassail è un salto indietro nel tempo dove psych rock e folk si incontrano in una turbolenta unione. Nancy Kerr guida le danze, aggiungendo fascino e mistero ad un tripudio di chitarre. Tough As Teddy Gardner prende in prestito molto dal rock anni ’70 ed è forse il brano nel quale si percepisce ancora più forte la volontà di questo gruppo di divertirsi e provare ad uscire dagli schemi. Dopo questa abbuffata rock, spazio al folk con Long Gone che racchiude però al suo interno un’anima prog. Un brano che fa da sponda al successivo The Gay Goshawk che rivede la Kerr in sella. Una canzone tradizionale proposta però nello stile che caratterizza la band e questo album. Con I Ain’t Going Nowhere ci si sposta in territori country finora inesplorati dai Magpie Arc che non vogliono porsi limiti, dimostrando così tutto il loro amore per la musica. Segue Jack Frost, una cover dell’originale di Mike Waterson. Una versione più ricca e potente che amplifica il fascino e il mistero dell’originale. The Cutty Wren chiude il cerchio e torna su un vibrante folk rock affidato alla voce della Kerr. Anche questa è una canzone tradizionale ma nelle mani dei Magpie Arc tutto assume una nuova forma.

Glamour In The Grey è un album estremante vario e altrettanto sorprendente. Rock e folk si mescolano, prevalendo a volte uno sull’altro ma restituendo nell’insieme un disco coerente, nato da un’idea comune molto chiara. Ogni canzone trasmette la passione di fare musica, di unire stili ed influenze diverse per fa nascere qualcosa di unico che allo stesso tempo richiama sonorità del passato. The Magpie Arc non è un supergruppo nato con un preciso scopo o con per ragioni commerciali. Per questo motivo è un esperimento perfettamente riuscito, un unione di forze che hanno portato a questo Glamour In The Grey. Ho scelto di farvi ascoltare All I Planted semplicemente a titolo esemplificativo ma ogni canzone merita un ascolto. Tutto l’album merita un ascolto. Non c’è modo migliore per chiudere questo anno, con una sorpresa come questa.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp

Se fossimo fiammiferi, ci sarebbe il fuoco

Solitamente non sono il tipo che va in cerca di musica che mette allegria. Preferisco le melodie malinconiche e talvolta anche un po’ sentimentali. Capita a volte però, che le canzoni allegre trovino me. Spesso non sono di mio gusto e le scarto in fretta. Quando però l’artista si presenta con un sorriso sincero e una melodia orecchiabile di un genere musicale che preferisco, allora non mi resta che concedere un ascolto. Questo è il caso di Emily Nenni, cantautrice americana al suo secondo album, intitolato On The Ranch. Non ci è voluto molto per trascinarmi in un country spensierato, dalle sonorità vintage ma sempre gradevoli e accattivanti. Potrei ricredermi sulla musica allegra.

Emily Nenni
Emily Nenni

Can Chaser ci accoglie subito con un bel sound country che ci presenta una tipa davvero tosta, la regina del rodeo. La voce della Nenni è particolare e riconoscibile, perfetta per questo genere di canzoni, “She’ll ride that Appaloosa / In head-to-toe rhinestones / Roughie or a roper / Never you mind who she takes home / She’s no buckle bunny / She’s got some of her own / Clover leafin’ woman / You call her backyard grown“. La successiva Useless è tra quelle che preferisco di questo album. Un ritornello irresistibile, che rivendica il diritto di guadagnasi da vivere. L’interpretazione di questa artista è perfetta, “Oh, I’m workin’ to make a livin’ and that feels good, you see / Oh, I’m worthy and I’m willin’, I’ll bark and I’ll bite for free / Oh, I’ll try, try, try, you can bleed me dry / Oh, I’m useless if you ain’t got no use for me“. La title track On The Ranch è una divertente istantanea della vita in un ranch. Qui viene a galla tutta la simpatia e la spontaneità della Nenni, “Kitchen’s for two-steppin’ and trappin’ mice / Afternoons are for off-roadin’ and not thinkin’ twice / Crankin’ diesels be three for three, that way, you’ll be better company / Hangin’ ‘round, better be handy; early nights, oh, they can be nice“. C’è posto anche per le ballate come questa malinconica Leavin’. Una storia d’amore finita offre l’ispirazione per un brano sentimentale, addolcito dalla voce della cantautrice, “Bet you been plannin’ your great return / Some Sunday evenin’ / Once you were ready, and hands were steady / You’d come back beamin’ / There won’t be tears of joy, I’ve no more feelin’ / I haven’t missed you, you haven’t missed me / And I’m just leavin’“. In The Mornin’ è invece un’altra canzone ironica su una vita piena di impegni e sempre di fretta. Emily Nenni si affida al suo stile personale, per offrirci un’altra canzone leggera e orecchiabile, “In the mornin’, I got work to do / And in the afternoon, I’m a-walkin’ the dog / And come dinner time, taste what you been cookin’ / When the sun comes up, I’m hittin’ the road / Two sugars in my coffee to go“. Matches si ispira ancora all’amore, dando vita ad una bella canzone carica di sentimento. Una piccola variazione all’interno di questo album, “As the last cigarette goes out from lack of kisses / This smoke-filled room is full of wishes / The light in the corner tells I’m a liar / And if we were matches, there would be fire“. Segue Gates Of Hell che con amara ironia affronta la fine di un amore che sembrava destinato a durare a lungo. Un ballata country che si lascia ascoltare e scivola via leggera, “If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell / I’ll be the one punchin’ the tickets / And weighin’ your bags as well / I was young and I thought pain was / A symptom of bein’ loved awful well / If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell“. L’unica canzone non originale di questo album è Does Your Mother Know. L’originale è infatti degli ABBA e questa versione in chiave country è davvero ben riuscita, “Take it easy (Take it easy) / Better slow down, girl / That’s no way to go / Does your mother know? / Take it easy (Take it easy) / Try to cool it, girl / Take it nice and slow / Doеs your mother know?“. The Rooster And The Hen è un honky tonk immediato e trascinante. La Nenni dimostra di saperci fare anche in fatto di scrittura, affrontando tutto con leggerezza e immancabile ironia, “Well, the rooster and the hen met at a honky tonk / She was sittin’ pretty as a bump on a log / He’d ruffled many feathers under plenty of roofs / Wasn’t all that long ‘til they shared a coop“. Si chiude con Get On With It che abbraccia un country blues graffiante. Anche in questo caso quest’artista sa mettersi a suo agio e confezionare un’altra bella canzone, “The world is fixin’ to fall apart / Best that I can do, try to halt the hurt / Sit my ass at home, call my sisters on the phone / Spend my days and nights alone, throw my dog a bone“.

On The Ranch è un album country dal sapore genuino, condizionato dall’energia e la vitalità di Emily Nenni. Il sound senza tempo delle sue canzoni fa subito presa e non importa che sia qualcosa di già sentito. Perché se si sceglie un album come questo non è per ascoltare qualcosa di innovativo ma tutt’altro. Oltre alle canzoni più spensierate ed ironiche, offre momenti più malinconici e riflessivi, sempre però supportati da una positività che non manca mai nella scrittura di questa cantautrice. Anche se On The Ranch non avrà la visibilità di altri album country, sono sicuro che rappresenterà un punto di partenza per la carriera di Emily Nenni. La voce particolare, l’abilità nella scrittura e la spontaneità non mancano ma farsi strada nell’affollato panorama musicale di Nashville non è affatto facile. Non resta che aspettare, godersi On The Ranch e vedere un po’ che succede.

Sito Ufficiale / Facebook / Instagram / Bandcamp

Lascia che il vento ti riporti a casa

L’avventura delle First Aid Kit è iniziata nel 2008 quando le sorelle svedesi Johanna e Klara Söderberg hanno esordito con l’EP Drunken Trees. All’epoca la più giovane, Klara, aveva solo quindici anni. Nel 2012 è arrivata la consacrazione definitiva con The Lion’s Roar che ha permesso alle due ragazze di arrivare al loro quinto album di studio, Palomino, uscito all’inizio di questo mese. Le First Aid Kit sono note per la loro musica fortemente ispirata al folk americano ma negli anni hanno saputo trovare nuovi spunti, lasciandosi influenzare dal pop e dal rock. Per me questa coppia di artiste è una garanzia, ogni loro album è un acquisto a scatola chiusa. Questo non fa eccezione, fatto salvo che non ho resistito ad ascoltare i suoi singoli.

First Aid Kit
First Aid Kit

Out Of My Head apre l’album con la voce unica di Klara e ci riporta alla luminose e vitali melodie di Stay Gold. La scelta di aprire con una canzone che spazza il buio del suo predecessore non è casuale, “Stuck inside my dreaming / Falling behind / Running on low / Does it matter now? / Let me out, out of my mind / Out of my head, ooh, ooh, ooh / Out of my head, out of my mind“. L’amore, anche se non ricambiato, è l’ispirazione per Angel, un brano folk rock che esplode in un ritornello orecchiabile e liberatorio. C’è un’energia in questa canzone che dimostra tutta la voglia di tornare a fare musica con gioia, “All of this pain that I’ve kept concealed / Thought if I didn’t speak it, it wouldn’t be real / But sometimes, sometimes I feel I have to shout / At the top of my lungs and just let it out“. La successiva Ready To Run riprende le sonorità più vintage alle quali queste sorelle sono più affezionate e ci riporta ai loro brani migliori. L’atmosfera di questo brano è ancora coma di gioia e buoni sentimenti, “Did I disappoint you? / I’m pretty sure I did / You thought I was some kind of rock star / I was a nervous little kid / And I assumed you were someone I could lean myself upon / But with the blink of an eye, you were out the door, gone“. Turning Onto You è una ballata dalle stile americana che si affida alla voce di Klara per regalarci una canzone nostalgica. Inutile sottolineare l’affiatamento delle due sorelle, “Cause you got me hanging on / Like the words to my favorite song / Let the night turn into dawn / I’ll be turning onto you / Oh as time’s moving on / I’m asking you don’t keep me waiting too long“. Il basso guida le voci dolci di Klara e Johanna in Fallen Snow. Una canzone essenziale e ben equilibrata. Orecchiabile e con un ritmo irresistibile. Cosa chiedere di più? “When you think that I’m not watching / I can see a bleakness in your smile / I know all the depths you’ve gone to / To lift the sorrow from your eyes / Oh, was it worth your while?“. C’è ancora tanta nostalgia in Wild Horses II. Un viaggio fa da sfondo a questo brano, lento e accompagnato dalla musica di Gram Parsons e dei Rolling Stones, “We passed a canyon / We passed a fire brigade / Headed up the mountains / They set the woods ablaze and then we got hungry / Stopped at a diner / You flirted with the waitress / And I didn’t even care“. The Last One è una potente canzone d’amore che brilla luminosa, una canzone a due voci con un ritornello perfetto come sempre. Le First Aid Kit hanno ancora un tocco magico come il primo giorno, “When did I become a woman / Who waits, fevered, for a call? / I need a word from you, a touch, a feeling / Oh so desperate to feel anything at all“. Nobody Knows è una canzone elegante e misteriosa, accompagnata dal suono degli archi. L’esperimento di uscire dalla loro comfort zone è pienamente riuscito e non possiamo che goderci il risultato, “Caught in the rain with no protection / Biding my time with no sense of direction / That look in your eyes keeps getting stranger / Caught in the rain, helpless without you“. Segue A Feeling That Never Came è più in linea con lo stile classico delle First Aid Kit. La voce di Klara tratteggia una melodia sempre più ricca e irresistibile. Ancora una canzone solare e dolce che spazza via i cattivi pensieri, “It’s funny how it happened / How fast your world can change / It’s funny how you tricked me / And how you keep fooling yourself / It’s funny how I believed you then / When you said we all try our best / I loved you, I did, but I’ve put that notion to rest“. A seguire una ballata intitolata 29 Palms Highway. Le sonorità anni ’70 di cui sono innamorate queste due ragazze si fanno risentire anche qui, “I hold my arms out to you / I hold my arms out to you / I’m ready to listen / Are you coming through? / I hold my arms out / 29 Palms Highway / Stretches out in the desert sand“. Chiude l’album la title track Palomino. Una delle mie preferite di questo album. Il sound del southern rock si addolcisce con le voci angeliche delle sorelle. Il ritmo, la melodia e il ritornello orecchiabile creano qualcosa di meraviglioso. Da ascoltare, “Where you go my love goes, darling / I can hear the unknown road calling / So let the winds carry you home, my darling / For where I go your love goes, darling“.

Palomino segna un ritorno delle First Aid Kit che dimostrano di essere in grande forma e di aver trovato un sound più personale e maturo. Smessi i panni da ragazze, ore le sorelle Söderberg iniziano una nuova carriera come donne, più consapevoli del loro talento e di ciò che la loro arte può fare. Questo album chiude le porte alla malinconia del precedente Ruins e apre a nuove melodie, più luminose e leggere. Gli anni passano ma le First Aid Kit continuano il loro percorso artistico rimanendo sempre riconoscibili, regalandoci quel dolce mix di folk, pop e rock che però lascia intatta un’anima sincera. Palomino si candida come uno degli album più belli di questo anno che sta per finire, nonché uno dei ritorni più graditi ed attesi. Brave ragazze, anche questa volta avete fatto centro.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube

La parte del nichilista

Nel 2018 con il suo album di debutto, Dead Capital, il nome del cantautore irlandese, ma di stanza a Londra, Louis Brennan è finito dritto tra quelli degli artisti più interessanti degli ultimi anni. Con voce profonda e carismatica, cantava il nostro tempo e i momenti difficili che lo hanno portato verso una nuova vita. Quest’anno è tornato con Love Island, progetto che appare più ambizioso del precedente e che si propone come conferma del talento di questo cantautore. Se il primo aveva una copertina più soggettiva e cupa, il suo successore ne ha una più ironica e vivace. Le copertine dicono più di quanto si possa pensare e non resta che scoprire se è davvero Love Island è davvero come sembra.

Louis Brennan
Louis Brennan

Si comincia con God Is Dead nel quale ritroviamo sia la voce unica di Brennan che il suo stile folk. Anche le tematiche riprendono un discorso iniziato con il precedente album. Una disamina di una società decadente che sembra senza speranza di redenzione, “So let us rejoice / Under the all seeing eye / Just click on the link / It costs nothing to apply / Kingdom or caliphate / It does not discriminate / It uses a part of the brain we evolved to survive“. Non nascondo che The Post-Truth Blues è tra le mie preferite di questo album. Qui Brennan viaggia briglia sciolta e con piglio ironico ricostruisce un mondo contraddittorio e ipocrita, bastato sulla cosiddetta post-verità, “Oh I know just how my coffee’s grown / That Chinese children made my phone / With cobalt exacerbating conflict situations / In the poorest regions of the Congo basin / I’s a shame / But what can you do? / If you need someone to blame / You can always pin it on the ….“. Con la successiva Cruel Britannia se la prende con il Regno Unito e la deriva di questi ultimi anni. Louis Brennan non le manda certo a dire e anche in questo caso condisce il tutto con un accompagnamento in contrasto con il tono delle parole, “But the people have spoken / The country is broken / The politicians have lost all respect / And you can’t wave the flag / ‘cause some liberal rag / Says you’ve got to be politically correct“. The Nobel Price è un sogno di gloria a metà verità e finzione. Il testo è pungente e l’abilità di questo cantautore di trovare le parole giuste e mai banali, è stato ed è uno dei suoi punti di forza, “When I win the Nobel Prize / And the public finally recognise me / They will show their gratitude / Offering their firstborn daughters / As virginal brides / When I win the Nobel Prize“. La title track Love Island è guidata dalle note di un pianoforte e racconta una dolorosa presa di coscienza. Un amore finito, senza speranza di rinascere. Una canzone intima che scava in fondo all’anima, “There is no cash prize / No way for the public to decide / On love island / We’ll be consumed by the rising tide / There is no hotline / No recorded message on the end of the phone / On love island / It’s just you and I alone“. A Zero-Sum Game è un irriverente country folk che prende di mira ancora la falsità della nostra società. Brennan sembra avere quell’urgenza artistica che pochi artisti possono sperimentare, “‘Cause everybody wants a slice of the cake / Oh, but I own the oven in which it was baked / I own all the bakers and all the flour / I’ve got my finger on the trip switch to all of the power / So, when you get up to the front of the line / Just take your goddamn crumbs and remember to smile“. The Big Tomorrow è un’altra ballata riflessiva e dura. Le parole come sassi che mettono il luce un’amara verità e ci colpiscono, una dopo l’altra, “Now I’ve got no one but myself to blame / For this hubris of identity / All this bitterness and shame / So I’ll be waiting tables / While your friends all reproduce / I’ll play the part of the nihilist / To another empty room“. Leftover Meat è accompagnata da una melodia rilassante e confidenziale ma le parole del testo vanno in direzione opposta. Louis Brennan dimostra di non aver esaurito gli argomenti e continua a spingere, “Making a living as an act of contrition / It’s a race to the bottom / And it feels like I’m winning / Screaming internally through the clinking glasses / Leftover meat for the unwashed masses“. My Favourite Disguise torna a fare emergere riflessioni personali, sempre più arrendevoli e cupe. Il suono confortevole della pedal steel addolcisce una pillola sempre più amara, “Inflatable rafts / In the straits of Gibraltar / It’s someone else’s problem / It’s someone else’s daughter / I act like I care / ‘cause I know that I ought to / But really I’m empty inside“. L’album si chiude con l’oscura Naked And Afraid, un flusso di coscienza, guidato dalla voce di questo cantautore. Forse c’è una speranza in tutto questo ma meglio non illudersi troppo, “I lay down where once I had stood / I bit down on my lip / Just so I could taste the blood / Of arteries connected to the heart / A cipher in the flesh / A flashlight in the dark / Hold on to something“.

Love Island dimostra che Louis Brennan è uno che non molla e va per la sua strada. Avrebbe potuto mordersi la lingua e scrivere canzoni d’amore con un ritornello orecchiabile, invece no. Ha scelto di riprendere laddove Dead Capital era finito, con un pizzico di cinismo e mezza dose di ironia in più. Louis Brennan si può ascoltare superficialmente mettendolo in quella categoria di cantautori che “hanno qualcosa da dire” oppure provare a comprendere da dove viene questa sua capacità di cogliere le brutture della nostra società ma anche di noi stessi. Provare a vedere con occhi diversi, sperando di trovare qualcosa da salvare. Forse la sua è una battaglia senza speranza, persa in partenza ma non per questo una battaglia inutile. Love Island è un album che conferma il talento di Louis Brennan che con mano ferma tratteggia un mondo decadente di cui noi ne siamo parte.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Bandcamp

La vita è migliore senza piani

Il nuovo album di Courtney Marie Andrews arriva a due anni di distanza dall’ultimo Old Flowers e si intitola Loose Future. Si tratta del nono album di questa cantautrice americana che ha iniziato la sua carriera all’età di diciotto anni. Fin dal suo album Honest Life, che la fatta conoscere al grande pubblico, tra le principali caratteristiche della sua produzione, spiccano la voce angelica e le atmosfere malinconiche e solitarie. Il nuovo corso intrapreso da questa artista sembra quello di voler rinnovare la propria immagine, trovando nuovi spunti d’ispirazione. Questo album vuole lasciarsi alle spalle le ombre delle produzioni precedenti, che già negli ultimi anni l’hanno vista allontanarsi progressivamente dalle sonorità strettamente country e folk.

Courtney Marie Andrews
Courtney Marie Andrews

La title track Loose Future dà il via all’album, dandoci il primo assaggio delle sue sonorità. Se l’accompagnamento musicale è più luminoso e moderno, è la voce della Andrews ha rassicurarci che dopotutto è sempre lei. Una riflessione sull’inizio di una nuova vita, di un nuovo amore, “Running towards hearts to fix / When mine’s still busted, I’m not over it / Let’s keep it easy, honeymoon / Sweet as summer nights in June / I just wanna take it slow / Don’t wanna give a yes or no“. La successiva Older Now riprende le stesse tematiche, sottolineando la volontà di ricominciare dai propri errori. Un sound fresco e luminoso danno nuova linfa alla musica di quest’artista, “Fuck it up, make you laugh / We both have traumatic pasts / See it for what it is / Still feel like a little kid / Running through open fields / Dog is biting at our heels / Falling down in the sand / Life is better without plans“. On The Line è una lenta ballata che è un’istantanea sui rischi dell’amore, cantata con voce sommessa ma che scava a fondo ed emoziona. Questo genere di canzoni, così fragili e accorate, sono l’anima della Andrews, “Room above me, they’re having sex, / With the TV up to drown out the noise / That’s just like this world we’re in / We cover up each truth with a void / Why do I give you the satisfaction of knowing I still care? / You only call when it’s your love on the line“. Satellite è una canzone d’amore leggera come l’aria, positiva e orecchiabile. L’amore al centro di tutto e Courtney Marie lo esprime con un’immagine cosmica. Qui l’album trova il suo centro ideale, “You are a satellite, / Orbiting around my mind / I’d like to see you tonight, / Tonight, and every night / Cause I, I, I like you all the time, / A constellation I always find / And I, I, I like to see you shine, / My favorite piece of the sky“. These Are The Good Old Days ci invita ad assaporare il presente invece di guardare sempre al passato e lo fa con un brillante indie folk guidato dalla voce delicata della Andrews, “People like me think feelings are facts / Falling in love gives us a heart attack / One foot in the future, one in the past / Wanna know for sure if it’s gonna last / These are the good old days / Don’t let time slip away / These are the good old days“. La successiva Thinkin’ On You è una canzone che affronta il tema dell’assenza con cuore e passione. Il pensiero unisce anche quando si è distanti, “Pictures of us aren’t the same / Can’t hold your hand or pick your brain / The heart in you is the heart in me / The stars you see are the ones I see / I’ll be thinkin’ on you / I’ll be thinkin’ on you“. You Do What You Want è una canzone affettuosa verso una persona al quale le si concede tutto. Ancora spazio ai buoni sentimenti e alla luminosità di un folk moderno, “I can still imagine you, / Green as agave, / True as the bluest sky, / Making your brother cry with laughter / You and I, in the corner of a room, / At an awkward party, / Where no one was talking, / As you were mocking the disaster / I still hold space for you, / Even with all you put me through“. Let Her Go è una canzone eterea dedicata ad una persona libera e selvaggia. La voce morbida tratteggia una melodia delicata che incanta chi ascolta. Una prova della sensibilità di questa artista, “An emotional Aries dancing to Tim McGraw / Recalling her dreams in her underwear and bra / An old soul and a child all wrapped into one / She will help you remember what it’s like to have fun, like to have fun / She’ll give you advice that she wouldn’t take / Freer than the winds blowing off the Cape“. Change My Mind è ancora una riflessione su ciò che si è e su ciò che si è diventati. Qui si può leggere il cambiamento che a portato alle canzoni di questo album. Un canzone personale e confidenziale, come tante altre della Andrews, “You’ve given me no reason not to trust you, / But I keep looking for new ways to be let down / Trying to break old habits isn’t easy, / When I’m addicted to losing what I’ve found / I’m not used to feeling good / I’m not used to feeling right / Maybe you could change my mind“. La conclusiva Me & Jerry è una canzone che è una sorta di inno alla sicurezza che una presenza fisica può trasmettere. Una canzone dal sound insolito per questa cantautrice ma perfettamente in linea con lo spirito di questo album, “If there’s a God above I bet he’s making love / And it’s a good day on Earth when love is enough / I’ve lost count of all the people at my door, / All the almost-fairytales with only a before / We’re out of our minds, / Out of our minds“.

Loose Future segna un rinnovamento nel percorso artistico di Courtney Marie Andrews ma non un netto distacco con il passato. Il tempo passa e le cose cambiano, non solo per noi ma anche per gli artisti che fanno la musica che ci piace ascoltare. Questo porta inevitabilmente ad avere un approccio diverso alla propria arte. Questa cantautrice lo fa con la maturità di chi non ha mai indossato una maschera ma è sempre stata sincera con il pubblico. Loose Future ci restituisce una Courtney Marie Andrews più fiduciosa, meno solitaria ma ugualmente sensibile. Questo non può che segnare un nuovo inizio ma non significa che tutto ciò che c’è stato prima sia finito. La carriera di quest’artista è arrivata ad un momento significativo, positivo ma non per questo tranquillo e sicuro. Loose Future è come un abbraccio, non ci illudiamo che sarà per sempre ma intanto ce lo godiamo tutto.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp

Quando il sole estivo scioglie le candele

Quando due cantautrici come Jess Williamson e Katie Crutchfield, decidono di collaborare per dare vita ad un nuovo progetto, non può che essere una buona notizia. Il due tutto americano, sceglie il nome di Plains e debutta con l’album I Walked With You A Ways. Entrambe sono affezionate al sound della musica folk americana e al country ma con un piglio alternativo e moderno dove l’energia e l’animo rock della Crutchfield s’incontrano con la dolce malinconia cosmica della Williamson. In questi casi, come si dice, ho fatto un acquisto “a scatola chiusa”, fiducioso del risultato. Evidentemente mi piace vincere facile perché il rischio in questo caso è stato minimo. Anche questa volta il mio fiuto non mi ha tradito.

Plains
Plains

Summer Sun apre l’album e ci accoglie subito con una storia d’amore senza lieto fine. Le sonorità malinconiche sono cariche di sentimenti e l’unione delle due voci rende, questa breve canzone, semplicemente perfetta, “When the summer sun melts candles / I dig out the wick / Honey we’re up against something / Our love alone can’t fix / So I won’t see the garden or the figs / when they are ripe / It hurts to be leaving, but I know that / staying ain’t right“. Segue Problem With It nella quale vince il folk rock della Crutchfield, che si prende la scena. Il suono della chitarra elettrica guida il duo in una canzone trascinante e sincera, “If it’s all you got, yeah it’s all you gave / I got a problem with it / If you can’t do better than that babe / I got a problem with it / Justified it in my own way / I lost myself in it / If it’s all you got, it’s enough you say / I got a problem with it“. Lo stesso vale per Line Of Sight che sorprende ancora per come questa coppia riesca a trovare un perfetto equilibrio tra energia ed emozioni. Una melodia e un ritornello orecchiabile fanno il resto, “Lord, if I’m wrong set me straight / Get me back in line / Oh & if I’m not, let the sun come out / Baby ease my mind / You know I struggle every time / In the bright spotlight / I gotta take my time / I’ll get it right, I’ll get it right“. Tra le canzoni più belle c’è senza dubbio Abilene. Una ballata country, in linea con quelle della Williamson. Un testo struggente, cantato con voce rotta e dalle tinte calde e confidenziali. Un piccolo gioiello che si deve ascoltare almeno una volta, “I remember the air when I drove out of town / Crying on the highway with my windows down / I’da stayed there forever, till death do us part / Texas in my rearview, Plains in my heart / Couldn’t hold it together when Abilene fell apart“. La successiva Hurricane torna ad affidarsi alla voce della Crutchfield che ci regala una canzone d’amore fatta di immagini. Sono ancora i sentimenti ad ispirare il duo nella loro più che riuscita collaborazione, “I come in like a cannonball / I’ve been that way my whole life / Sweet as honeysuckle / When you want a pocketknife / If you keep calm in my hurricane / I might keep it at bay / But I know you’ll love me anyway“. Bellafatima è una poetica ballata country dalla bellezza fragile. La voce della Williamson è carica di emozioni che arrivano direttamente al cuore di chi ascolta, “The days turned like cowards / So swiftly to the hour of need / And I’ll be a martyr to whatever your heartache / Will leave / Then I’ll slip through your hands like a boy / Born with no name“. Last 2 On Earth ci trascina in un country rock accattivante e vitale. L’unione fa la forza e questa canzone ne è la dimostrazione, “I’ll dry my eyes / Or I’ll laugh instead / Oh I’m leaving tomorrow, babe / I’ll come back from the dead / I’ll hold your hand / Let the noise go unheard / Pretend that we’re alone here / we’re the last 2 on Earth“. Si rallenta con Easy, una canzone fragile a due voci, che ci svela tutta la sensibilità delle Plains. Ancora una canzone breve che sa andare a segno senza difficoltà, “Call it a farce / You drop down, take it to the limit / Ya know ya, can’t lose a fight if you take / cover or abandon it / An onslaught of noise in the background, babe / What you’ve got, don’t let it fade“. Cambio di ritmo con No Record Of Wrongs. Una canzone luminosa sull’amore e sulla vita, dalle sonorità pop dall’anima country, “I can’t ask you to wait on this / Lord I wish you would / Some things won’t stop, you try to pause it / When love comes calling / When love comes calling / Hold on“. Si chiude con la title track I Walked With You A Ways, una malinconica ballata che racchiude lo spirito di questo album. Un flusso di pensieri sincero e poetico, “On the winding path of life / sometimes you walk alone / Cause people come and go / There is a season for each one / They change your heart, and then it’s done / Well I’ll be better all my days / Cause I walked with you a ways / I walked with you a ways“.

I Walked With You A Ways è un ottimo album sotto tutti i punti di vista. Le Plains dimostrano una perfetta complicità, alternandosi l’una con l’altra e allo stesso tempo fondendo due anime diverse ma non distanti. Non c’è una sola canzone lì per caso a riempire le dieci tracce, ognuna lascia qualcosa a chi ascolta. Jess Williamson e Katie Crutchfield sanno la ricetta perfetta per mescolare folk e indie rock con le giuste proporzioni, regalandoci un album a volte più orecchiabile e altre più riflessivo, ciò che rimane una costante è la capacità di dare voce alle emozioni più sincere. I Walked With You A Ways rappresenta il primo passo, spero non l’unico, di una collaborazione che ha dato i frutti sperati e anche di più. Non rappresenta solo un buon biglietto da visita delle loro carriere soliste ma anche uno degli album più belli di quest’anno.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube / Bandcamp