Non mi giudicate – 2021

L’anno è finito ed è arrivato il momento di provare a capire cosa è rimasto di questo 2021. Il mondo della musica ha subito gravi ripercussioni dovute all’epidemia ma la pubblicazione di album non ha subito rallentamenti (o così almeno mi è parso), complice anche l’impossibilità di fare concerti che ha spinto molti artisti a scrivere nuove canzoni piuttosto che starsene con le mani in mano in attesa di tempi migliori. Dal canto mio ho avuto modo di ascoltare numerosi album di debutto (come piace a me) ma ho notato che sono davvero pochi quelli di folk tradizionale, come se, per un genere di nicchia come questo, lo stop ai concerti abbia pesato di più. O semplicemente sono io che mi sono lasciato scappare qualche titolo che mi è passato sotto il naso. I freddi numeri dicono che sono 58 gli album usciti quest’anno e finiti dritti nella mia collezione. Come sempre qui cercherò di riportare gli album e gli artisti che hanno lasciato in qualche modo il segno in questo 2021, con l’inevitabile sensazione di aver escluso qualcuno. Ma tutte le novità di quest’anno, passate per questo blog le trovate qui: 2021.
Oltre alle solite categorie, ispirate ai premi NBA, ho aggiunto “Honourable Mention” per chi ha saputo coraggiosamente cambiare rispetto al passato e merita una “menzione d’onore”.

  • Most Valuable Player: Josienne Clarke
    Questa canatutrice ha deciso di chiudere con il passato e diventare del tutto indipendente. Il risultato è A Small Unknowable Thing, un album che racchiude il talento e l’anima di quest’artista sempre ispirata e prolifica.
    Il tempo è un grande guaritore
  • Most Valuable Album: In These Silent Days
    Se c’è un nome che ormai è una garanzia è quello di Brandi Carlile. Con questo album si conferma una cantautrice abile e sensibile, capace ancora di emozionare oggi come allora.
    Il proiettile d’argento
  • Best Pop Album: Californian Soil
    Il trio inglese dei London Grammar si rinnova rimanendo fedele al sound che li ha fatti diventare una delle promesse più scintillanti del pop alternativo. Questo potrebbe essere un nuovo inizio.
    In buone mani
  • Best Folk Album: The Eternal Rocks Beneath
    Il debutto di Katherine Priddy è senza dubbio il migliore degli album folk di quest’anno. La voce melodiosa e la scrittura sono eccezionali e lasciano intendere tutte le sue potenzialità.
    Le rocce eterne al di sotto di noi
  • Best Country Album: Ramble On
    Non sono pochi gli album country di quest’anno ma quello di Charlie Marie ha qualcosa in più. Un ottimo debutto dove trovare tutto il buono del country tradizionale e una scrittura brillante.
    Baciami gli stivali
  • Best Singer/Songwriter Album: Ignorance
    Scelta difficilissima ma che ricade su Tamara Lindeman, e il suo progetto The Weather Station. L’impegno ambientalista e sociale di questa cantautrice emergono in un album potente ed affascinante.
    Questo è lo scopo delle canzoni
  • Best Instrumental Album: Perséides
    Non potevo che premiare il breve ma riuscitissimo album di Cœur de pirate che, rimasta senza voce e sola al pianoforte traccia un mappa delle note che sono l’anima della sua musica.
    Sans voix
  • Rookie of the Year: Morgan Wade
    Il suo Reckless è un ottimo debutto e sin dai primi ascolti l’avevo già piazzato qui tra i migliori di quest’anno. Una cantautrice carismatica e dal passato turbolento, che ci regala un album sincero ed accattivante.
    Sotto quei tatuaggi
  • Sixth Player of the Year: Vincent Neil Emerson
    La sorpresa dell’anno va a lui al suo album omonimo. Questo cantautore combatte i suoi demoni con la musica e il risultato è un album profondamente country e diretto. Un astro nascente di questo genere musicale.
    Meglio imparare ad annegare
  • Defensive Player of the Year:  Cœur de pirate
    Ancora lei, Coeur de pirate, che con Impossible à aimer ripropone il suo pop malinconico mai scontato ma sempre orecchiabile e unico. Resta una delle cantautrici pop più riconoscibili e coraggiose della sua generazione.
    C’est parfait si l’on tremble
  • Most Improved Player: Danielle Lewis
    Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal nuovo corso di questa cantautrice gallese che con Dreaming In Slow Motion si rinnova e dimostra tutta la forza espressiva della sua voce.
    Sognare al rallentatore
  • Throwback Album of the Year: Prairie Love Letter
    Pochi dubbi riguardo questo album di Brennen Leigh. Una dichiarazione d’amore per la sua terra e la musica country. Un album che ho colpevolmente aspettato troppo ad ascoltare.
    Lettere d’amore alla prateria
  • Earworm of the Year: The Wild One
    Molte canzoni in questo anno mi sono entrate in testa con facilità e tra queste c’è The Wild One, cover nata dalla coppia Jackson+Sellers. Tutto l’album Breaking Point merita un ascolto.
    Punto di rottura
  • Best Extended Play: No Simple Thing
    Devo ammetterlo, gli Sheepdogs non hanno avuto molti concorrenti in questa categoria ma anche diversamente, la sola Keep On Loving You non poteva mancare in questa lista.
    Mi ritorni in mente, ep. 79
  • Honourable Mention: Tori Forsyth
    Ci sono grandi esclusi che non compaiono qui ma l’album Provlépseis è stato un riuscito cambio di rotta per questa cantautrice e non potevo non premiarla, per l’ottimo risultato.
    Sogni oscuri

In buone mani

Tra i ritorni più attesi di quest’anno c’è senza dubbio quello dei London Grammar, trio inglese che ha esordito nel 2013 con l’album If You Wait. Furono una delle rivelazioni di quell’anno e si proposero come una delle promesse indie più interessanti. Hannah Reid, Daniel Rothman e Dot Major sono tornati poi nel 2017 con Truth Is A Beautiful Thing riuscendo a ripetere l’ottima prova del primo album ma senza prendersi troppi rischi. Quattro anni dopo eccoli tornare con Californian Soil, il terzo disco della loro giovane carriera, lasciando le aspettative nei loro confronti immutate. Saranno riusciti i London Grammar a scrollarsi di dosso quella fastidiosa sensazione di essere considerati eterne promesse? Per farlo, il gruppo affida le redini della band alla loro frontwoman, che appare per la prima volta sola in copertina, e alla sua voce unica e inconfondibile.

London Grammar
London Grammar

L’apertura è affidata alla breve Intro, pezzo strumentale dalle atmosfere eteree, quasi mistiche. Sul finale una voce distorta ci ricorda il titolo dell’album. La title track Californian Soil arriva subito dopo. Un beat lento e pulsante alla voce della Reid che da il via alla magia. Questo trio torna nella sua forma migliore, dimostrando quel talento che non è mai mancato,”I left my soul / On Californian soil / And I left my pride / With that woman by my side / I never had a willing hand / And I never had a plan / But I’m glad I found you here / But I’m glad I’ve got you here / But I never had a name / And I never felt the same“. Con la successiva Missing si avvicina alle sonorità degli esordi, lasciando da parte toni epici e teatrali per affrontare temi più concreti e personali. La voce della Reid resta centrale con cambi di velocità che catturano chi ascolta, “I worry that one day you’ll go missing / And who will notice when you’re gone / I better call your father from afar / And break the news that you have vanished / Like a star“. Lose Your Head è una delle canzoni che preferisco di questo album. Un delicato electro pop, affascinate e martellante. Qui l’attenzione si sposta sull’aspetto musicale e il suono delle parole, “I need to learn / When this thing called love / When it’s a mirror, baby / Can you see all those parts of me / Broken across the world / I need to find some kind of peace of mind / It’s a demon baby / When it comes like my oldest friend / Have you got a friend in the night“. Lord It’s A Feeling vede la voce della Reid muoversi veloce in una confessione senza respiro. Il trio usa l’elettronica con sapienza, senza esagerare, “I saw the way you made her feel like she should be somebody else / I know you think the stars align for you and not for her as well / I understand I can admit that I have felt those things myself / I saw the way you laughed behind her back when you fucked somebody else“. How Does It Feel ha tutte le caratteristiche che hanno fatto la fortuna di questo gruppo. Un intro affidato alla voce poi un crescendo che questa volta esplode in un ritmo danzereccio piuttosto inedito per loro, “You regret now / Does it hurt? / In the confusion / That things have stayed the same / And I know / Now I’ve learned / To never make the same mistake“. Segue Baby It’s You, una canzone d’amore nello stile dei London Grammar. Un beat segue il canto morbido della Reid, dando vita ad una bel pop, etereo e sognante, “All this painted faces, singing back to me / There’s an ocean here, but you are all I see / And nothing else matters / You, baby, it’s you / You, baby, it’s you“. Call Your Friends si affida ancora allo stile consolidato della band, procedendo sottotraccia senza mai esplodere con decisione. Un ottimo lavoro di precisione, “Every time I tried to make myself seem small / In the arms of others who never loved me better / All the ways I tried to make myself less selfish / It never made them stay and I can’t love me like this / I can’t love me like this“. All My Love lascia più spazio alla musica che alle parole. Quelle poche che ci sono, sono pura melodia. Il loro suono è musica e Hannah Reid lo sa benissimo, “Oh darling, I see all of your colour / Drain from you / Oh darling, I feel off your energy / As it starts to fade from you / And I see all your shadow in pieces on the floor / People, they want more from you and / I see your shadow“. Talking è una canzone differente dalle altre. I toni sono più scuri e confidenziali, la musica minimale. Il lato più poetico e l’attenzione alla scrittura viene fuori in canzoni come questa,”All of these roads are / Leading to nowhere, you see / When this world ends as we know it / What’s left will be you and me“. I Need The Night ha un atmosfera misteriosa, notturna. La musica è tratteggiata e come sempre sostiene con maestria la voce. Un ritornello orecchiabile, che si lascia ricordare, apre alle pulsazioni elettroniche, “I need the night / And I need this drink / Will you sit with me and bring all of your friends / Chase the morning light till all of this ends“. Si chiude con America. La realizzazione dei propri sogni, la libertà sono racchiuse in questa canzone matura e molto meno elettronica delle altre. Semplicemente magnetica,”And I hope that you find it, all that you need / I hope that you stay young and wild and free / You’ll have America / And I hope that you’re better than all of your friends / I hope that they hold you until the end / You can America“.

Californian Soil ci riconsegna dei London Grammar diversi, più maturi e consapevoli dei loro mezzi. L’adolescenza artistica è alle spalle e hanno capito che è arrivato per loro il momento di fare sul serio. Ben sapendo che Hannah Reid è inevitabilmente l’anima della band, Daniel Rothman e Dot Major non si limitano a reggere il gioco, ma si danno da fare trovando il giusto bilanciamento tra musica e voce. Le loro canzoni sono si sono sempre basate su questo. Meno toni epici e cinematografici e più spazio al pop ma con attezione. I London Grammar restano ancorati ad un mondo indipendente, almeno musicalmente, rimanendo lontani dalle mode del momento. Californian Soil è un album solido, meno statico del precedente, che si candida ad essere uno dei migliori di quest’anno. Al di là di tutto ciò, c’è la confortante sensazione che la musica, per questo genere in particolare, è in buone mani.

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Non mi giudicate – 2017

L’ultimo giorno è arrivato e come sono solito fare da tre anni, pubblico una lista dei migliori album di questo 2017 appena finito. Se devo essere sincero, questa volta ho fatto davvero fatica a scegliere. Non perché è stato un anno povero di buona musica, al contrario, ho dovuto “sacrificare” qualcuno che ha comunque trovato spazio per una menzione d’onore dopo gli album e gli artisti premiati. Per chi volesse avere una panoramica più completa di tutti i nuovi album che ho ascoltato quest’anno può trovarli tutti qui: 2017. In realtà, ci sono altri album che non hanno avuto spazio su questo blog, forse lo troveranno in futuro o forse no.

  • Most Valuable Player: Amy Macdonald
    Lasciatemi cominciare con il ritorno di Amy Macdonald e il suo nuovo Under Stars a cinque anni di distanza dall’ultimo album. Un ritorno che attendevo da tempo e non poteva mancare in questa rassegna di fine anno. Bentornata.
    Amy Macdonald – Down By The Water
  • Most Valuable Album: Semper Femina
    Laura Marling è sempre Laura Marling. Il suo Semper Femina è la dimostrazione che la Marling non può sbagliare, è più forte di lei. Ogni due anni lei ritorna e ci fa sentire di cosa è capace. Inimitabile.
    Laura Marling – Nouel
  • Best Pop Album: Lust For Life
    Non passano molti album pop da queste parti ma ogni volta che c’è Lana Del Rey non posso tirarmi indietro. Lust For Life è uno dei migliori della Del Rey che è riuscita a non cadere nella tentazione di essere una qualunque pop star. Stregata.
    Lana Del Rey – White Mustang
  • Best Folk Album: The Fairest Flower of Womankind
    La bravura di Lindsay Straw e la sua ricerca per questa sorta di concept album sono eccezionali. Un album folk nel vero senso del termine che mi ha fatto avvicinare come non mai alla canzone tradizionale d’oltre Manica. Appassionante.
    Lindsay Straw – Maid on the Shore
  • Best Country Album: All American Made
    Il secondo album di Margo Price la riconferma come una delle migliori cantautrici country in circolazione con uno stile inconfondibile. Non mancano le tematiche impegnate oltre alle storie di vita americana. Imperdibile.
    Margo Price – A Little Pain
  • Best Singer/Songwriter Album: The Weather Station
    Determinato e convincete il ritorno di Tamara Lindeman, sempre più a sua agio lontano delle sonorità folk. Il suo album omonimo è un flusso di coscienza ininterrotto nel quale viene a galla tutta la sua personalità. Profondo.
    The Weather Station – Kept It All to Myself
  • Rookie of the Year: Colter Wall
    Scelta difficilissima quest’anno. Voglio puntare sulla voce incredibile del giovane Colter Wall. Le sue ballate country tristi e nostalgiche sono da brividi. Serve solo un’ulteriore conferma e poi è fatta. Irreale.
    Colter Wall – Me and Big Dave
  • Sixth Man of the Year: Jeffrey Martin
    Forse la sorpresa più piacevole di quest’anno. Questo cantautore americano sforna un album eccellente. In One Go Around ogni canzone è un piccolo gioiello, una poesia che non risparmia temi importanti. Intenso.
    Jeffrey Martin – Poor Man
  • Defensive Player of the Year:  London Grammar
    Il trio inglese ritorna in scena con una album che riconferma tutto il loro talento. Con Truth Is A Beautiful Thing non rischiano ma vanno a rafforzare la loro influenza electropop lontano dalle classifiche. Notturni.
    London Grammar – Non Believer
  • Most Improved Player: Lucy Rose
    Con il suo nuovo Something’s Changing la cantautrice inglese Lucy Rose, si rialza dalle paludi in un insidioso pop che rischiava di andargli stretto. Un ritorno dove il cuore e le emozioni prendono il sopravvento. Sensibile.
    Lucy Rose – End Up Here
  • Throwback Album of the Year: New City Blues
    L’esordio di Aubrie Sellers è un album che ascolto sempre volentieri. Il country blues di questa figlia d’arte è orecchiabile e piacevole da ascoltare. Un’artista da tenere d’occhio il prossimo anno. Affascinante.
    Aubrie Sellers – Sit Here And Cry
  • Earworm of the Year: Church And State
    Non è stato l’anno dei ritornelli, almeno per me, ma non in questo post poteva mancare Evolutionary War, esordio di Ruby Force. La sua Church And State è una delle sue canzoni che preferisco e che mi capita spesso di canticchiare. Sorprendente.
    Ruby Force – Church and State
  • Best Extended Play: South Texas Suite
    Non potevo nemmeno escludere Whitney Rose. Il suo EP South Texas Suite ha anticipato il suo nuovo album Rule 62. Il fronte canadese del country avanza sempre di più e alla guida c’è anche lei. Brillante.
    Whitney Rose – Bluebonnets For My Baby
  • Most Valuable Book: Storia di re Artù e dei suoi cavalieri
    L’opera che raccoglie le avventure di re Artù e dei cavalieri della Tavola Rotonda mi ha fatto conoscere meglio i suoi personaggi. Scritto dal misterioso Thomas Malory e pubblicato nel 1485, questo libro è stato appassionante anche se non sempre di facile lettura.

Questi album hanno passato una “lunga” selezione ma non potevano mancare altre uscite, che ho escluso solo perché i posti erano limitati. Partendo dagli esordi folk di Emily Mae Winters (Siren Serenade), Rosie Hood (The Beautiful & The Actual) e dei Patch & The Giant (All That We Had, We Stole). Mi sento di consigliare a chi ha un’anima più country, due cantautrici come Jade Jackson (Gilded) e Jaime Wyatt (Felony Blues). Per chi preferisce un cantautorato più moderno e alternativo c’è Aldous Harding (Party). Chi invece preferisce qualcosa di più spensierato ci sono i Murder Murder (Wicked Lines & Veins). Questo 2017 è stato un album ricco di soddisfazioni e nuove scoperte. Spero che il prossimo si ancora così, se non migliore.

Buon 2018 a chi piace ascoltare musica e a chi no…

best-of-2017

Il numero perfetto (Trecento)

Sono passati quasi quattro anni esatti da quando per la prima volta ascoltai i London Grammar, poco prima del loro esordio intitolato If You Wait (Ancora un attimo). I tre ragazzi inglesi, Hannah Reid, Dot Major e Dan Rothman, si sono presi tutto il tempo necessario per realizzare il loro secondo album, uscito lo scorso mese e intitolato Truth Is A Beautiful Thing. Non posso nascondere che il ritorno del London Grammar era uno dei più attesi dell’anno, perché l’eccezionale esordio ha alzato l’asticella delle aspettative. C’era anche la curiosità di scoprire se il gruppo avrebbe intrapreso la via di un pop più commerciale o sarebbe rimasto in un contesto alternative, confermando così le sensazioni di If You Wait. La verità è una cosa bella e per scoprirla basta ascoltare il nuovo album del talentuoso trio inglese.

London Grammar
London Grammar

Rooting For You ci accoglie nel nuovo album facendoci scivolare dolcemente sulla voce della Reid. La musica è essenziale e maestosità del canto è la chiave della canzone. Impossibile rimanere indifferenti di fronte ad un talento così cristallino, “It is only, you are the only thing I’ve ever truly known / So, I hesitate, if I can act the same for you / And my darlin’, I’ll be rooting for you / And my darlin’, I’ll be rooting for you“. La successiva Big Picture è un altro brillante brano in perfetto stile London Grammar. Spruzzate di elettronica centellinate e ben dosate sono un tappeto rosso per Hannah Reid. Una delle canzoni più accattivanti e immediate dell’album, “Only now do I see the big picture / But I swear that these scars are fine / Only you could have hurt me in this perfect way tonight / I might be blind, but you’ve told me the difference / Between mistakes and what you just meant for me“. Anche Wild Eyed viaggia sullo stesso binario. Questa volta le sonorità sono più distese e rarefatte, con consistenti echi dell’esordio. Si tratta di uno dei brani di questo album più vicini a quelli del precedente If You Wait, “Sun suffocate the atmosphere / But I’m safe with you far away from you / Another fire through another open door / It’s what I’m living for”. Oh Woman Oh Man è probabilmente la canzone più rappresentativa del nuovo corso della band. C’è sempre la Reid al centro e la musica le gira intorno, un impatto quasi cinematografico, dinamico. Una grande prova corale che forma una delle migliori canzoni di questo album, “Oh woman, oh man / Choose a path for a child / Great mirrored plans / Oh woman, oh man / Take a devil by the hands through / Yellow sands“. Questo aspetto quasi teatrale delle nuove canzoni trova il suo apice in Hell To The Liars. La voce soave della Reid dà il via ad un crescendo sempre più inteso e magnificente. La musica è essenziale ma ben studiata. Da ascoltare, “Those who are born with love / Here’s to you trying / And I’m no better than those I judge / With all my suffering“. Potrebbe essere una potenziale hit, Everyone Else, con il suo ritornello orecchiabile e il beat in sottofondo. La velocità dei Londo Grammar e lenta ma costante, una sorta di moto perpetuo, “I’m flying away from fire / And I’m running from the known / I see the most beautiful colors here / In a terrifying storm“. No Believer si srotola su pulsazioni elettroniche new wave. Hannah Reid tiene le redini della canzone, muovendosi tra distorsioni della voce che, di fatto, ne fanno una delle più innovative per il gruppo, “All that we are, all that we need / They’re different things / Oh, maybe what we are and what we need / They’re different things“. La successiva Bones Of Ribbon è una lenta cavalcata, malinconica ricamata sulla voce inimitabile della bionda leader. Una canzone che cresce pian piano, quasi ipnotica, “They found me there in the sands / Bones of ribbon in my hand / Whites went blue, and then went yellow / And your feet don’t stop me now / Feet don’t stop me now“. Who Am I non può fare a meno della voce della Reid. Si finisce per rimanerne incantati. I rintocchi di Rothman e Major l’accompagnano sempre con discrezione, arricchendo e amplificando il suo talento, “All my love in the dark / Be close but miles apart / And I am trying my best / To fit in with the rest“. Leave The War With Me ritorna sulle sonorità del primo album, puntando sul ritmo e le atmosfere notturne. Tutto si incastra alla perfezione, ogni dettaglio è curato, “Fair trials, they don’t exist my friend / Only a circus in my mind / Judgement’s gone and there’s no love again / But it’s my way ‘till the end of time“. Chiude la title track Truth Is A Beautiful Thing che è un po’ il manifesto dell’album. Un pianoforte apre la strada alla Reid che con voce calda sembra volerci confortare. Sempre in controllo, sempre perfetta con sfumature soul più accentuate, “Hold your heart, hold your hand / Would be to me, the greatest thing / To hold your heart, to hold your hand / Would be to me, the bravest thing“. La versione deluxe si arricchisce di altri brani inediti (Control e What A Day su tutte), alcune demo e una cover live di Bitter Sweet Symphony, un classico dei The Verve.

I London Grammar con Truth Is A Beautiful Thing non si prendono il rischio, né la responsabilità di cambiare ma affrontano l’atteso ritorno nel migliore dei modi. La voce di Hannah Reid viene sfruttata al meglio, in tutte le sue sfumature, riuscendo così a toccare le corde giuste anche dei cuori più duri, facendo salire più di un brivido lungo la schiena. Tutte le canzoni vanno oltre i quattro minuti di durata, denotando così la volontà di dare una connotazione epica, cinematografica alla loro musica. La velocità è costante, i colori sono quelli della notte. Tutto è pulito e perfetto. Chi avrebbe voluto ascoltare qualcosa di diverso dal loro esordio, potrebbe rimanere deluso ma chi voleva semplicemente tornare ad ascoltare i London Grammar ne rimarrà nuovamente affascinato. Non c’è più nessun dubbio ora che questi tre ragazzi siano una delle band più interessanti e di talento degli ultimi anni.

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Mi ritorni in mente, ep. 42

L’anno musicale comincia a delinearsi, uscita dopo uscita, novità dopo novità. Tra vecchie e nuove conoscenze ci sono diversi appuntamenti da segnare sul calendario. Anche se ancora non c’è una data certa, il secondo album dei London Grammar vedrà la luce quest’anno ed è anticipato dal singolo Rooting For You. Il brano è accompagnato da una bella versione live nella quale si può apprezzare al meglio la straordinaria voce di Hannah Reid. La compagine inglese è chiamata a bissare l’ottimo esordio If You Wait del 2013.

Il gruppo olandese Mister And Mississippi dopo due album all’insegna del folk pop dal sapore americano, sono pronti a tornare il 6 Aprile con il nuovo Mirage. Il cambio di sonorità è evidente ma non è detto che sia un male. Il gruppo capitanato da Maxime Barlag svolta verso un alternative rock, un po’ elettronico, un po’ psichedelico. Sono già due i singoli in circolazione, HAL9000 e Lush Looms. Qui sotto il video originale quanto inquietante di HAL9000.

Mi ritorni in mente, ep. 10

Era da un po’ che volevo farlo. Ho cambiato la grafica al blog ed è la seconda volta che lo faccio. La prima volta mi ero stancato dei toni grigi e questa volta mi ero stancato dei toni scuri. Ho optato per qualcosa di più luminoso e colorato. Pensandoci era da perecchio tempo che questo blog aveva lo stesso tema. Con questo posso cambiare immagine di sfondo spesso a mio piacimento. Spero vi piaccia. Questo periodo è pieno di cambiamenti o almeno lo è per me. Alcuni non per mia volontà e altri per mia volontà ma sempre di cambiamenti si tratta. Non mi piace cambiare spesso ma sono contento di farlo se questo significa smettere con un’abitudine e iniziarne un’altra!

In questo periodo di cambiamenti e di stagioni di passaggio c’è una canzone che per non so quale motivo era rimasta nascosta da qualche parte. Sights dei London Grammar mi è come sfuggita ai primi ascolti. Poi mi è tornata in mente una melodia, un ritornello che non riuscivo a mettere a fuoco. Cercando tra la musica dei London Grammar l’ho ritrovato. Una bellissima canzone, malinconica, disperata, tesa, confortante. Grazie London Grammar, questo mio autunno lo devo anche un po’ a voi.

What did you do?
Wonder where your heart came from
What have you done?
My only friend keep on

Wonder will you
Turn into winter lights
Keeping your strength
Lightning gets dark at night

Ancora un attimo

Ultimamente mi sta capitando spesso. Vengo a conoscenza di un nuovo gruppo o un nuovo artista, che fino a quel momento ha pubblicato solo qualche canzone in altrettanti EP,  e mi ritrovo ad ascoltare subito dopo l’album d’esordio. Si può dire che è andata così anche nel caso dei London Grammar. Il loro è anche un caso da manuale. Infatti If You Wait (strano non l’abbiano intitolato semplicemente London Grammar) si presenta come una raccolta di canzoni già pubblicate in precedenza insieme ad altri inediti. Nonostante questo If You Wait è stato un album piuttosto atteso che doveva dimostrare che i tre ragazzi non si erano semplicemente fermati alle quasi-hit tratte dai loro EP. E hanno superato la prova.

London Grammar
London Grammar

L’album si apre con Hey Now che arriva direttamente dalla profondità della voce della leader Hannah Reid. Musica essenziale ha sostegno della voce della Reid, i London Grammar sono questo e non è poco come potrebbe sembrare, Hey Now ne è un’ottima dimostrazione, “Hey now, letters burning by my bed for you / Hey now, I can feel my instincts here for you“. Si continua con Stay Awake che ricalca la precedente, “Stay awake with me / You know I can’t just let you be”. Shyer propone qualcosa in più dal punto di vista musicale ma la Reid non cambia registro, nell’insieme è però una buona canzone, “I’m feeling shyer / And the world gets darker / Hold yourself a little higher / Breach that gap just through them“. Il pezzo forte resta Wasting My Young Years. La voce di Hannah Reid è più che mai emozionante e la musica che l’accompagna potrebbe perfino non esserci, “I’m wasting my young years / It doesn’t matter here / I’m chasing more ideas / It doesn’t matter here“. Sights dopo più ascolti svela un’anima dolce e malinconica più evidente che nel resto dell’album, “Wonder will you / Turn into winter lights / Keeping your strength / Lightning gets dark at night“. La canzone che può competere per la più bella è sicuramente il singolo Strong, “Excuse me for a while, / Turn a blind eye with a stare caught right in the middle / Have you wondered for a while”. Nightcall ribadisce la capacità della band di creare immagini notturne e supplicanti, un piccolo gioiellino, “There’s something inside you / It’s hard to explain / There’s something inside you boy / And you’re still the same“. La canzone più accattivante è indubbiamente Metal & Dust, lo dimostra la quantità di remix. La Reid colpisce a ritmo con il ritorello, “We argue, we don’t fight / Stay awake in the middle of the night / Stay awake in the middle of the night“. Interlude come da titolo vuole essere una canzone di rottura e lo è attraverso le atmosfere distese che fino ad ora abbiamo solo assaggiato, “Close your hand and run to the moon / Close your hand and run to the moon moon“. Flickers propone qualcosa di più rock anche se caratterizzato dalla ormai nota andatura dei London Grammar, “And every time I go bed / An image of you flickers in my head“. La traccia omonima dell’album chiude in bellezza e mette in mostra (come se ce ne fosse ancora bisogno) la voce di Hannah Reid, “And can you give me / Everything everything everything? / ‘Cause I can’t give you anything“.

In definitiva If You Wait aggiunge poco a quanto di buono ha fatto questo gruppo emergente. Sono stati paragonati a The xx per la musica e Hannah Reid a Florence Welch per la voce ovvero a due gruppi anglosassoni di maggiore interesse degli ultimi anni. I London Grammar hanno colto le caratteristiche di successo dei queste band per realizzare qualcosa di nuovo. Sono un giovane gruppo che è stato capace di mettere insieme un album più che convincente a metà strada tra la musica mainstream e qualcosa di più indie e meno orecchiabile, particolare che fa storecere il naso a chi si aspettava qualcosa di pià accessibile. Mi unisco anche io al coro di chi considera i London Grammar un gruppo con un futuro luminoso davanti a loro. Aspetto solo di ascoltare un album pensato dall’inizio alla fine per capire se hanno cartucce buone da sparare. Sono sicuro che ne hanno ancora.

Orizzonti

La musica non è chiusa per ferie. Infatti queste ultime settimane sono state ricche di anticipazioni riguardo alle novità musicali di questo autunno. Nella prossima stagione infatti ci saranno parecchie nuove uscite, alcune largamente anticipate altre delle vere e proprie sorprese e anche qualche esoridio. Tutto come sempre quindi, solo che quest’anno il caso vuole che parecchie uscite che mi interessano particolarmente siano concentrate nel periodo tra settembre e ottobre.

Cominciando da Agnes Obel che ha finalmente rivelato la copertina del nuovo album Aventine, rivelazione anticipata da quattro assaggi dei nuovi brani. Sono anticipazioni troppo belle per essere vere ma troppo corte per soddisfare l’appetito. A me e a moltissimi altri fan questi “scorci” fanno più male che bene. La data di uscita del secondo lavoro della cantautrice danese è fissata al 30 settembre e l’uscita del singolo The Curse non dovrebbe tardare ad arrivare. Questo qui sotto è il “glimpse” numero 3, il mio preferito ma è davvero difficile scegliere.

Il 9 settembre, prima di Agnes Obel, uscirà il disco d’esordio del trio inglese London Grammar. Scoperti di recente, come non ho mancato di riportare su questo blog, i London Grammar sono alla prova del nove. Il titolo dell album sarà If You Wait e conterrà le già conosciute Hey Now, Wasting My Young Years e Metal & Dust che insieme al resto della tracklist più bonus track eccetera arriverà a contare 17 brani. Non male per un esordio! Sono proprio curioso di alscoltare queste giovani promesse del pop rock inglese. Questo è il singolo Strong.

Anna Calvi, invece mi ha colto alla sprovvista. Sapevo bene che stesse registrando il nuovo album ma non avrei mai pensato uscisse così presto. Anche Anna Calvi è pronta con il suo secondo lavoro intitolato One Breath e uscirà il 7 ottobre. Per ora c’è solo un trailer di un minuto che ne anticipa le atmosfere. Anna Calvi sembra essere tornata con tutta la sua forza ancora intatatta e dopo l’acclamato album omonimo la pressione è tutta su di lei. Sono sicuro che la Calvi non ci deluderà. Ascoltare per credere.

C’è dell’altro? Sì c’è ancora qualcosa. In realtà questo singolo intitolato Wings mi ha fatto ritornare alla mente una giovanissima cantautrice, ovvero Birdy. Non avevo mai ascoltato nulla di suo e forse è giunto il momento di farlo. Devo correre ai ripari e ascoltarmi il suo album d’esordio e poi fiondarmi del prossimo Fire Within anticipato da questo singolo. Ho letto e sentito parlare molto bene di Birdy, perchè dunque non concedergli un ascolto?

Ok, credo di aver finito. Almeno per ora. Nell’attesa mi sto ascoltando Rockferry di Duffy e devo ammettere che è un album molto piacevole. Dato che l’estate e le ferie concedono qualche momento di tempo libero in più, sto anche ascoltando Good Music dei gallesi Colorama. Si stanno rivelando molto interessanti anche loro. Quando sarà il momento scriverò quali saranno le mie impressioni su questi due album prima di tuffarmi nel mare delle nuove uscite che si vedono in lontananza.

Grammatica londinese

Scoperti quasi per caso, questo trio di ragazzi inglesi, potrebbe riservarci delle piacevoli sorprese per il futuro. I London Grammar sono un giovanissimo gruppo rock, o art-rock, agli esordi. Finora hanno pubblicato un pugno di canzoni raccolte nel loro primo EP Metal & Dust, uscito nel Febbraio di quest’anno. Le loro sonorità sono ispirate dalle notti cittadine tipiche londinesi, come vuole il loro nome e anche alle esprienze personali dei suoi membri. La band è formata da Hannah Reid, Dot Major e Dan Rothman. La cantante Hannah ricorda Florence Welch ed è sufficiente per capire le potenzialità della ragazza. Ho ascoltato con piacere i quattro brani contenuti nel loro EP ovvero Metal & Dust, Wasting My Young Years, Darling Are You Gonna Leave Me e Hey Now.

London Grammar
London Grammar

Nell’attesa di ascoltare il loro primo album mi ascolto il loro EP e in particolare la bella Wasting My Young Years. Una canzone quasi dal piglio classico ma per qualche motivo profondamente moderna che mostra le capacità e la forza espressiva di Hannah Reid. Un gruppo da tenere d’occhio per i prossimi mesi e anni.