Nonostante io continui a leggere libri regolarmente, molto meno regolarmente questi trovano spazio su questo blog. Dopo aver terminato le avventure dell’arciere Thomas di Hookton con L’eroe di Poitiers di Bernard Cornwell e attraversato la terra di mezzo con Tolkien e Bilbo ne Lo Hobbit, mi sono infilato nei dedali dei tribunali de Il processo di Kafka. Tre libri molto diversi tra loro ma tutti, per un motivo o per l’altro, mi sono piaciuti. Lo Hobbit mi ha permesso di approfondire la storia e i personaggi dietro a Il Signore degli Anelli tanto da spingermi verso quella che sembra una lettura più difficile de Il Silmarillion. Ma le letture difficili non mi spaventano, anzi mi incuriosiscono. Il processo del buon Kafka lascia un po’ l’amaro in bocca per la sua natura incompiuta ma è così surreale e perfino divertente che merita una seconda lettura.
Ma veniamo al tema della puntata. Finalmente dopo aver lasciato Stephen King un attimo in disparte, sono tornato da lui con un libro che desideravo leggere già da diverso tempo. L’ombra dello scorpione mi ha sempre affascinato a partire dalla trama e i libri belli corposi sono sempre ben accolti. Ma partiamo dal titolo. Dopo aver letto il romanzo non posso credere che i traduttori italiani non abbiano saputo trovare qualcosa di meglio. Certo il titolo originale The Stand era intraducibile ma L’ombra dello scorpione è davvero forzato e anche fuorviante. Di scorpioni ce ne sono ben pochi. A parte questo dettaglio, Stephen King questa volta decide di azzerare, o quasi, l’umanità con un virus influenzale ribattezzato Captain Trips. Per buona parte del romanzo King descrive un mondo che sta candendo a pezzi, nel quale la società di sgretola ad una velocità impressionate. Le autorità minimizzano ma anch’esse vengono spazzate via, lasciando spazio ad una nuova umanità. Ecco che qualcuno se ne approfitta subito, come Randall Flagg (personaggio ricorrente nei romanzi di King anche con nomi diversi) una sorta di signore delle tenebre, Satana in persona o il demone Legione. Flagg è un personaggio ambiguo e inquietante che per buona parte del romanzo si risparmia nelle sue apparizioni. Chi si oppone all’uomo nero è l’anziana Abagail Freemantle chiamata da tutti Mother Abigail. Donna pia, con una grande forza di volontà e saggezza. I personaggi sono destinati a scegliere se stare dalla parte del bene o del male. Tutto qui. King caratterizza i personaggi in modo ossessivo e li rende quasi reali o quantomeno verosimili. Viaggeremo insieme a loro attraversando gli Stati Uniti, soffriremo e gioiremo con loro, che siano cattivi o meno. Ognuno di noi, ne sono convinto, si riconoscerà o almeno proverà simpatia per uno o più personaggi in modo particolare. Il mio è Harold Lauder. Forse l’unico personaggio che è sempre in bilico tra Flagg e Mother Abigail. Per lui ho provato compassione e pietà. A mio parere il personaggio meglio caratterizzato da King, il più umano se vogliamo, anche se un po’ folle. Stephen King oltre a raccontare una storia si cimenta anche in digressioni filosofiche, teologiche e sociali, dimostrando di essere un uomo di cultura o almeno un uomo che si è ben documentato.
Non voglio addentrarmi nella trama e lascio che ve la racconti lo zio Steve, che in questo è nettamente meglio di me. Ma quello che dovete sapere è che ancora una volta che con King quello che conta è il viaggio e non la meta. Ne La Torre Nera mette in guardia il lettore e gli pone una domanda più o meno come questa: sei sicuro di voler sapere come va a finire? Io dico che chi si lamenta del finale de L’ombra dello scorpione ha solo perso tempo a leggere le precedenti novecento pagine. Il finale per me è stato come salutare quel gruppo di amici come Stu, Frannie, Tom, Larry, Nick, Harold compreso. Chiudere il libro e sapere che continueranno a vivere lì dentro, ripetendo la loro storia fintanto che qualcuno abbia la pazienza di leggerla.