Mi ritorni in mente, ep. 6

Uno dei primi post che ho scritto su questo blog riguadava un gruppo di fine anni ‘9o, ovvero i Neutral Milk Hotel che hanno scritto quel piccolo grande capolavoro di In the Aeroplane Over The Sea. L’album lo ascoltai per la prima volta un paio di anni fa proprio durante l’estate. Ancora oggi lo ascolto con piacere perchè questo secondo e ultimo lavoro della band americana ha qualcosa di speciale. I Neutral Milk Hotel recentemente si sono riuniti per una serie di concerti ma pare non ci sia nulla di nuovo all’orizzonte. Sinceramente penso che In the Aeroplane over the Sea sia un pezzo unico che non si può più replicare e forse un nuovo album intaccherebbe la leggenda del gruppo. Anche se, sotto sotto, sarei molto contento dovesse arrivare un album nuovo o anche solo un paio di canzoni inedite. Per ora continuo ad ascoltare i loro unici due album e questa canzone che mi ronza continuamente, e succede spesso. Curiosamente però questo brano non fa parte del loro capolavoro ma del suo predecessore On Avery Island.

Questa è Gardenhead/Leave Me Alone ed è mio parere la canzone più bella di quell’album.

There are beads that wrap
Around your knees that crackle into the dark
Like a walk in the park, like a hole in your head
Like the feeling you get when you realize you’re dead
This time we ride roller coasters into the ocean
We feel no emotion as we spiral down to the world
And I guess it’s worth your time
Because there’s some lives you live
And some you leave behind
It gets hard to explain
The gardenhead knows my name

Buone nuove

Finalmente è stato svelato il titolo e la tracklist del nuovo album di Agnes Obel. Il nuovo lavoro della cantautrice danese si intitolerà Aventine e uscirè il 30 Settembre 2013. Dopo 3 anni dal precedente Philharmonics, la Obel è pronta a tornare con undici nuove canzoni. Tra queste ci sono Fuel To Fire e Smoke & Mirrors che è possibile trovare in circolazione in versione live. Per pubblicizzare l’uscita è stato realizzato un album teaser nel quale possibile ascoltare un breve estratto di Fuel To Fire. Il singolo di prossima uscita si intitolerà The Curse.

Agnes Obel
Agnes Obel

Sono contento che sia arrivata finalmente qualche notizia relativa al secondo lavoro di Agnes Obel, la quale uscita era stata ritardata a causa di un acufene che ha afflitto per qualche tempo la cantautrice. Per questo album ha dichiarato che sono stati usati maggiormente strumenti a corda come viola, violocello e chitarra, registrando in una stanza molto stretta e gli strumenti uno accanto all’altro. Ecco la tracklist completa di Aventine e l’album teaser:

  1. Chord Left
  2. Fuel To Fire
  3. Dorian
  4. Aventine
  5. Run Cried the Crawling
  6. Tokka
  7. The Curse
  8. Pass Them By
  9. Words Are Dead
  10. Fivefold
  11. Smoke & Mirrors

Una voce nella pioggia inglese

Verso la fine dell’estate scorsa ho avuto il piacere di vedere e ascoltare, del tutto casualmente, il video di Home e non avevo mancato di riportarlo tra le pagine di questo blog. Questa canzone fa parte dell’EP omonimo della cantautrice inglese Gabrielle Aplin. Già allora la ragazza faceva intendere che la data dell’uscita del suo primo album non sarebbe tardata ad arrivare e così è stato. Lo scorso mese ha visto la luce English Rain che apre la strada del successo alla giovane Gabrielle. La prima cosa che mi ha colpito di lei è senza dubbio la voce dolce e pulita e quel pizzico di umiltà che spesso manca nei giovani artisti nostrani. Questo esordio è stato in un certo modo una sorpresa che ha dimostrato che Gabrielle Aplin è maturata dai tempi della sopra citata Home e lo dimostrano diverse canzoni inserite nell’album. La versione Deluxe aggiunge due tracce inedite (più una per iTunes) e varie versioni acustiche oltre alle dodici tracce che compongono English Rain.

Gabrielle Aplin
Gabrielle Aplin

Apre l’album il singolo Panic Cord, già contenuto nell’EP Never Fade del 2011. Il brano è piacevole e con un ritornello orecchiabile anche se in generele la canzone è un po’ adolescenziale ma è giustificata dal fatto che è un eredità del recente passato dell’artista, “Maybe I pulled the panic cord / Maybe you were happy, I was bored / Maybe I wanted you to change / Maybe I’m the one to blame“. Keep On Walking è un riuscito mix di folk e pop dove la voce della Aplin corre tra il ritmo serrato delle chitarre, “I feel so much better now you’re not around / There’s no one to kick me while I’m down / No one to burn my bridges anymore / So keep on walking. A questo punto ci sarà chiaro lo stile e il genere di canzoni che piace scrivere e cantare alla nostra Gabrielle ma le sorprese non mancano. A seguire, l’altro singolo, una canzone che è la sorella maggiore della precendente Panic Cord, ovvero Please Don’t Say You Love Me. Non brillerà certo per originalità ma è la voce straordinaria della Aplin a metterci qualcosa in più, “There used to be an empty space / A photograph without a face / But with your presence, and your grace / Everything falls into place“. La prima delle sorprese dimostra che la maturità artistica di questa cantautrice è vicina, How Do You Feel Today ci permette di ascoltare l’altra voce, più calda e avvolgente e in un certo senso anche più seria, “The sound of your laugh has a ring of weariness / The night has a thousand eyes and your smile of heaviness“. Segue la già nota Home, in una nuova versione. Per qualche motivo che no riesco a spiegare, preferisco la versione originale anche se questa non è poi così diversa nè ne intacca l’atmosfera. Resta comunque una delle migliori canzoni dell’album, “With every small disaster / I’ll let the waters still, / Take me away to some place real“. Ma il vero colpo al cuore arriva con il piccolo gioiello che si presenta sotto il nome di Salvation, nel quale si sente una Gabrielle Aplin finalmente lontana dalle terre dell’adolescenza e più vicina a qualcosa di più maturo. Di nuovo quella voce calda e un semplice giro di pianoforte aprono meravigliosamente la canzone che raggiunge il suo apice in un’epica esplosione di musica. Da notare che questo brano è stato scelto per la colonna sonora del film Diana di prossima uscita, “Just a trick of light / To bring me back around again / Those wild eyes / A pshychedelic silhouette“. Con Ready To Question si ritorna a qualcosa che ricorda i brani di apertura e fondamentalmente non aggiunge nulla se non qualche gradevole minuto in compagnia della voce della Aplin, “But I’m ready to question / That life is a blessing / So give me a sign, am I following blind? / Is there anyone listening?“. The Power Of Love la conosciamo tutti e la nostra ne fa una rivisitazione in chiave personale, riuscendo a fare un’ottima cover. La successiva Alive è in perfetto stile Aplin, ma di più ampio respiro, e anche in questo caso gran parte del lavoro è affidato alla voce. Si ritorna al pop-folk energico con Human che si distingue per la costruzione della canzone che per altro, “Show me that you’re human, you won’t break“. November è una perla pop capace di qualche brivido, “I always used to love November / But now it always floods with rain / Oh how can I forgive? / Those words will stain forever“. La conclusiva Start Of Time tenta di replicare la perfetta epicità di Salvation ma quel che ne esce è un po’ appesantito. Nonstante tutto le doti vocali della Aplin dimostrano che non è poi da buttare. Due tracce bonus su tre, ovvero Evaporate e Wake Up With Me non riservano grosse soprese. La terza bonus track, Take Me Away è invece una spanna sopra le altre, al sopra anche di alcuni brani dell’album. Di nuovo una voce calda e profonda riempie le orecchie come solo Salvation era riuscita a fare ma qui niente di grandioso anzi è tutto più intimo e famigliare. Qualche dubbio sul perchè non sia stata inserita nell’album lo avuto e forse si è solo voluto privilegiare i brani già noti come Home, Panic Cord o a maggior ragione The Power Of Love.

English Rain è un album riuscito a metà. Da una parte abbiamo le prove che con quella voce Gabrielle Aplin può cantare cose meravigliose e la capacità si scriverle di sicuro non le manca e tutto ciò fa ben sperare per il futuro. Dall’altra, a volte cade in qualche passaggio banale e adolescenziale che era, forse, inevitabile data la giovane età dell’artista. Un’album di passaggio all’età adulta che in alcune canzoni già avviene ma che non ha del tutto preso forma. Sono sicuro che Gabrielle migliorerà con l’età e con l’esperienza perchè c’è tutto l’occorrente per fare qualcosa di grande.

Ponti in fiamme a Nord

Scandinavian americana. Che i popoli del nord fossero giunti nel continente americano ben prima di Colombo è ormai risaputo ma che gli americani fossero approdati sulle coste scandinave di recente è meno noto. Il termine scandinavian americana è stato affibiato dalla rivista Rolling Stone alla musica di un gruppo svedese che si fa chiamare Holmes che mescola folk-rock nordico con sonorità tipicamente americane tenute assiema dalla voce unica del frontman Kristoffer Bolander. Il loro secondo album l’avevo scaricato lo scorso anno dalla loro pagina ufficiale di Bandcamp (holmes.bandcamp.com) dopo essere rimasto affascinato dalla splendida Brothers. I successivi ascolti dell’album non mi avevano convinto a sufficienza e per questo motivo non ho mai scritto di loro su questo blog. Quando mi trovo a corto di musica nuova da ascoltare vado a cercarla tra quegli album che ho messo da parte per qualche motivo. Come mi è già successo con Anna Calvi e Brandi Carlile, è stata una saggia idea riascoltarli. Sembrerà strano ma il successo dei Mumford & Sons, Sigh No More, che molti apprezzano anzi amano, io proprio non riesco a farmelo piacere nonstante anche questo album l’ho ripescato recentemente dopo un anno nel limbo. Forse tutto è dovuto alla voce di Marcus Mumford per la quale ho un’avversione naturale e servirà altro tempo, probabilmente prima della mia conversione. Per quanto riguarda gli Holmes la conversione è già avvenuta.

Holmes
Holmes

Burning Bridges comincia proprio con la meravigliosa Brothers che mostra subito i tratti caratteristici della band. Il resto dell’album non si discosta molto da questo brano d’apertura e ciò potrebbe apparire una cosa negativa ma in realtà, grazie alla particolarità della loro musica, ne risulterà il contrario. Subito la trascinante Bells è la dimostrazione che gli stessi ingredienti possono dare vita ad una canzone più luminosa, pur sempre con una nota di malinconia. La bella Night Bright Night ci immerge nella notte con l’immancabile fisarmonica di Larisa Ljungkrona riuscendo a creare un’atmosfera rilassante e distesa. Una delle canzoni più belle. Più rock e “cattiva” è I Will Never Be Free sorretta dalla straordinaria voce del leader Bolander. All I Had In Store si rifà ai tratti tipici della musica degli Holmes ma gran parte del merito va attribuito, di nuovo, alla fisarmonica. La successiva Every Stream Of Light è una sorta di ninnananna sulla punta delle dita, una delle canzoni più magiche dell’intero lavoro. Il risveglio prende forma con Where Dreams Come From, un altro pezzo in perfetto stile Holmes. Successivamente si viene travolti dal singolo di punta, Debris, un piccolo gioiellino del quale ascolterei l’intro per ore. Si ritorna su sonorità più distese con la nostalgicamente noridica Vinter. Ancora un po’ di energia con Waiting che si potrebbe definire il brano più allegro dell’album che si chiude con la lunga Captain Weakheart, una dimostrazione della capacità di songwriting del gruppo e l’ennesima prova della voce spigolosa del frontman.

Questo Burning Bridges è il terzo album della band svedese e non potrò esimermi dall’ascoltare anche i due precedenti. Ho fatto bene a riscoprire questo gruppo, ne sono contento, e ancora una volta ho sbagliato ad abbandonare un album che non mi ha convinto ai primi ascolti. Di nuovo sono rimasto affascinato da una voce particolare come quella di Bolander e piacevolmente sorpreso dalla fisarmonica della Ljungkrona, che è ormai il marchio di fabbrica della band. Un album che mi sento di consigliare, per certi versi unico e magico, dalle atmosfere malinconiche ma incredibilmente affascinanti.

 

Mi ritorni in mente, ep. 5

Sono passati quasi 5 anni. A volte non ci si rende conto quanto tempo sia passato dall’ultima volta che abbiamo ascoltato una canzone. Spesso continuiamo a canticchiarla per anni senza renderci conto che è parecchio tempo che non l’ascoltiamo. Questo è il caso di Warwick Avenue della cantautrice Duffy che ogni tanto si ripresenta nella mia testa. Sarà anche merito del video originale che l’accompagna ma questa canzone mi ha fatto nascere la voglia di conoscere di più la musica di Duffy. In realtà non mi è mai dispiaciuta ma non sono mai andato oltre la simpatia per lei. In fin dei conti Duffy ha rappresentato, con il suo album d’esordio, una novità musicale che si andava delineando in quegli anni ovvero il soul bianco. Non sono particolarmente attratto dal genere, nonostante abbia comunque apprezzatto l’ultimo successo di Adele ma mi pare di capire che Duffy penda più verso qualcosa di più vicino al rock.

Warwick Avenue è il singolo estratto da Rockferry che preferisco. All’attivo Duffy ha due album di cui l’ultimo pubblicato tre anni fa (avrei giurato meno). In questi ultimi anni si è presa una pausa dalla musica ma non è escluso che per il prossimo anno Duffy ritorni con un nuovo lavoro. Quello che devo fare nel frattempo è ascoltare i suoi primi due e cominciando proprio con Warwick Avenue.