Chi fermerà la musica

Mi prendo una pausa dalle recensioni e recupero un post che ho scritto qualche tempo fa ma che non ho mai pubblicato riguardo un tema che sta emergendo negli ultimi anni e mi interessa particolarmente. Ovvero la profonda trasformazione che sta provocando (o forse ha già provocato) lo streaming musicale nel mercato discografico. Non ho intenzione di annoiare nessuno con cifre che vogliono dimostrare quanto i servizi come Spotify rendano molto poco agli artisti che non hanno milioni e milioni di ascolti. Pare infatti che ormai per questi ultimi, Spotify sia diventato una specie di social network, nel quale farsi un po’ di pubblicità e nient’altro. Non rappresenta quindi una sostanziale fonte di entrate. Ma chi se ne importa, potrebbe pensare qualcuno, di dare soldi a questa gente! Che si trovassero un lavoro vero! Forse per alcuni di essi sarei anche d’accordo ma trovo questa visione delle cose un po’ fuori dal tempo. Ci sono persone che fanno (molti) soldi, in modi assurdi o al limite della legalità, e non vedo nulla di male scegliere la musica come un lavoro. Un lavoro piuttosto rischioso, per altro. Oggi vai alla grande e domani non esisti più per nessuno. Una scelta sbagliata e la caduta nell’oblio spesso è inevitabile.

Qualche anno fa sembrava che la pirateria fosse la causa di tutti i mali. Scaricare illegalmente era una cosa considerata normale e ancora oggi per molti lo è. Chi lo faceva senza nessun senso di colpa, ha continuato a farlo e tutti gli altri invece hanno scelto lo streaming legale. Ottimo. La questione sembrava, almeno in parte, risolta. Ma ben presto la realtà si è rivelata un’altra. Lo streaming non poteva sostituire in pieno la vendita di dischi. L’ascolto di musica è sempre in aumento ma i guadagni per gli artisti e le case discografiche calano vertiginosamente. Evidentemente qualcosa non sta funzionando. Ci troviamo in una situazione nella quale le superstar continuano a guadagnare perché possono permettersi maggiore visibilità (pagando spazi pubblicitari all’interno dello stesso servizio di streaming) mentre gli altri si devono arrangiare, spesso illusi dall’ampio riscontro che oggi i social network possono dare.

Ogni artista fa quello che può, ad esempio facendo più concerti (la cui organizzazione ha dei costi), vendendo merchandising, oppure affidandosi a campagne di crowdfounding, alle quali anche io ho partecipato più volte. L’acquisto degli album, anche se spesso non è sufficiente nemmeno per coprire le spese, resta un buon modo per sostenere un artista soprattutto se indipendente o autoprodotto. Ecco perché ho sempre preferito l’acquisto degli album piuttosto che lo streaming. La maggior parte dei dischi che ho sono in formato digitale. Anzi praticamente tutti. I vantaggi di acquistare un album in digitale sono diversi. Prima di tutto il prezzo. Un CD può costare anche più del doppio del digitale per via del fatto che ha i costi di stampa, materiale e distribuzione, ecc. Occupa spazio e se volete ascoltarlo in movimento (a piedi, in treno e perfino in auto ormai) sarete costretti a farne una copia in digitale, abbandonando di fatto il supporto fisico. Capite benissimo che sarebbe inutile pagare il doppio per usare sempre e comunque il digitale. Se ne fate una questione di qualità audio allora vuol dire che siete degli audiofili appassionati. Perché ormai gli album digitali in alta qualità, mp3 a 320 kbits/s o FLAC, si possono acquistare anche senza differenze prezzo, e per distinguere un mp3 320 kbits/s dalla qualità CD dovreste avere un orecchio davvero fino ed allenato.

Al dì là che preferiate il CD al digitale c’è anche un’altra componente che con lo streaming si perde: il possesso. Una volta lessi in un articolo, che evidenziava una curiosa ripresa nelle vendite di CD, una frase che diceva pressapoco così: acquistando un disco, lo paghi una volta e lo si possiede per sempre. Lo streaming lo paghi per sempre e non lo possiedi mai. Lasciando da parte per un attimo i vantaggi nell’acquisto per un artista, quello maggiore per l’ascoltatore è proprio il possesso. Immaginate se tra qualche anno Spotify dovesse chiudere i battenti. Vi lascerà ascoltare ancora gli album che avete salvato offline? Non credo proprio. Semplicemente non sono vostri, è una specie di noleggio. Tutto quello che avrete pagato, collezionato, organizzato in playlist per anni e anni potrebbe un giorno non essere più disponibile, senza che voi possiate fare nulla. Oppure un artista o un gruppo potrebbe lasciare il servizio, rendendo non più disponibile la propria musica (è già successo più volte). Se non siete degli ascoltatori particolarmente appassionati probabilmente la cosa non vi creerebbe molti problemi. Ma per chi, come me, ci tiene particolarmente alla sua collezione musicale, sarebbe piuttosto fastidioso dovesse succedere una cosa del genere.

Non nascondo che lo streaming ha i suoi aspetti positivi lato utente. Avere la possibilità di ascoltare ovunque la propria musica senza portarsi dietro i file non è un vantaggio da poco. Scoprire nuovi artisti è semplicissimo e spesso rispecchiano i nostri gusti (forse anche troppo). E poi certamente il prezzo è davvero economico. Ad esempio Spotify a 9.99 € al mese costa quanto un album digitale. A chi piace ascoltare musica come me compra più di un album al mese, perciò non serve la calcolatrice per capire che si risparmia eccome. Se la pubblicità e qualche limitazione non vi infastidiscono, tutto questo può essere perfino gratuito.
Il servizio offerto da Spotify o simili è decisamente allettante ma personalmente ho sensazione che non sia molto corretto. Che lo streaming sia il futuro è più che evidente ma lo è altrettanto che le cose non potranno rimanere a lungo così convenienti per i fan, che ovviamente in questo caso sono a tutti gli effetti dei consumatori e vanno dove costa meno.
Io sono dell’opinione che il digitale sia il miglior compromesso tra ciò che conviene e ciò che è corretto nei confronti degli artisti. La recente ripresa delle vendite di vinili e cassette è puramente una questione che riguarda i collezionisti disposti a pagare (troppo) per supporti considerati decaduti da qualche decennio ma tornati di moda per un effetto nostalgia. Il CD resta il migliore per chi vuole qualcosa da tenere fra le mani senza spendere cifre folli ma proprio a causa delle streaming è il supporto che sta soffrendo di più.

Se qualcuno tra voi volesse acquistare, sempre o qualche volta, un album digitale vi posso consigliare qualche sito. Personalmente mi sono sempre trovato bene con 7digital tra i primi store online di musica digitale. Troverete moltissimi album tutti in mp3 di alta qualità ad un prezzo mediamente di € 10, e con qualcosa in più c’è anche la possibilità di scaricare musica in formato FLAC, tutto senza DRM. Avrete il vostro account con gli album sempre disponibili da scaricare o ascoltare in streaming. Unici difetti, manca una wishlist e talvolta capita che qualche album sparisca dal catalogo dopo un po’ di tempo e non riuscirete più a scaricarlo di nuovo. Quindi è sempre meglio scaricarlo subito dopo l’acquisto, anche se è una cosa che capita raramente e non credo sia loro diretta responsabilità.
Altrimenti se volete acquistare direttamente (o quasi) dall’artista o dalla sua casa discografica c’è Bandcamp. Potrete acquistare qualsiasi cosa dai CD, al digitale, dai vinili e al merchandising vario. Gli album digitali sono senza DRM e ad offerta libera. Ci può essere un prezzo minimo ma potreste trovare qualcosa di gratuito. Si tratta per la maggior parte di artisti indipendenti o piccole etichette ma negli ultimi anni l’offerta è cresciuta molto e qualche nome importante comincia ad esserci. Avrete anche qui il vostro account con tutti gli acquisti scaricabili in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conosciuto, pagando una volta sola. Non è una cosa da poco. C’è una wishlist e potrete seguire artisti, per essere avvisati quando esce un nuovo album, e seguire i fan, per essere aggiornati sui loro nuovi acquisti. Inoltre i prezzi sono espressi nella valuta dell’artista e quando, ad esempio, è in dollari, un album può venire a costare anche meno dei famosi 10 €. Senza contare che nella maggior parte dei casi acquisterete un album direttamente dall’artista, senza intermediari, ad eccezione dello stesso Bandcamp, che è sempre stato trasparente, e il più possibile corretto, per quanto riguarda la sua quota parte. Da notare che per avere un account è necessario acquistare almeno un album o qualsiasi altro prodotto. Qui potete trovare la ma collezione: bandcamp.com/joebarry.
Meglio ancora, se possibile, è acquistare direttamente dallo store ufficiale dell’artista o della sua etichetta.
Nei casi, rari, nei quali non riesca a trovare l’album che si sta cercando in uno di questi tre modi, non resta che Amazon, anche se non è proprio chiarissimo quale sia la qualità dei sui mp3 (comunque al di sotto di 320 kbits/s) se non dopo l’acquisto.

Quindi, se non vi va di pagare, niente è meglio della musica pirata o dello streaming gratuito. Ma se anche solo ogni tanto un album o una canzone vi piace, acquistateli.

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Il più bel fiore

Mi piace ascoltare musica e questo blog è qui a dimostrarlo. La cosa più bella non è solo ascoltare ma soprattutto scoprire e sperimentare. Questo mi porta alla ricerca di una sorta di purezza musicale, una bellezza primordiale perduta ma sempre tenuta in vita da artisti volenterosi e appassionati. Un esempio perfetto di questo genere di artista è Lindsay Straw, cantautrice e musicista americana che da anni porta avanti la tradizione irlandese e scozzese. Accompagnata dai quei musicisti che con lei formavano la band The Ivy Leaf, Lindsay Straw pubblica il suo secondo album intitolato The Fairest Flower Of Womankind. Una raccolta di canzoni tradizionali tutte da scoprire, dove la figura femminile è protagonista, che attraverso il canto hanno attraversato la storia per giungere fino alle nostre orecchie.

Lindsay Straw
Lindsay Straw

The Forester è una splendida ballata conosciuta anche con il titolo di The Knight and the Shepherd’s Daughter. Lo stile della Straw cattura l’attenzione dell’ascoltatore, raccontandoci di una storia nella quale una donna trova giustizia. Da ascoltare, “‘I’m a forester in this wood and you’re the same design, / It’s the mantle of your maidenhead, bonny lassie, will be mine.’ / He took her by the milk-white hand and he laid her on the ground, / And when he had the will of her, he let her up again. / Singing di-dee-eye-oh, sing fa-la-doh, sing di-dee-eye-oh, ah-yay“. The Maid Of The Shore ha il fascino delle ballate di mare. Protagonista una donna che inganna l’uomo che la voleva con sé. L’essenzialità nella musica di questa canzone riporta a quella bellezza che solo le canzoni tradizionali sanno far emergere con la loro poesia, “‘Oh, thank you, oh, thank you, this young maid,’ she cried, / ‘That’s just what I’ve been waiting for, oh. / For I’ve grown so weary of my maidenhead, / As I walked all alone on my rocky old shore, / And walked all alone on my shore.’“. The Female Rambling Sailor ci racconta la triste storia di Rebecca Young, che fingendosi un uomo, riesce a diventare un marinaio. La donna muore a causa di un incidente o forse viene uccisa a causa del suo sesso, “From stem to stern she freely goes, / she braves all dangers, fears no foes, / And soon you’ll hear of the overthrow / of the female rambling sailor“. Basket Of Eggs racconta la storia di una donna che ha accettato di allevare un bambino che due marinai avevano inconsapevolmente ricevuto da una donna in un cestino. Lindsay Straw incanta solo con la voce, “One of these sailors, he picked up the basket; / ‘There’s eggs in the basket, please take care; / And if by chance you should outwalk me, / At the halfway house, please leave them there.’“. La ballata di Fair Annie, racconta la storia di Annie che scopre che la sposa dell’uomo che ama è sua sorella. Una storia dove i destini di due donne s’incontrano, “‘Who was your father, Fair Annie, do you know who your mother was?’ / ‘King Easter was my father dear, the queen my mother was.’ / ‘The queen my mother was also, my father King Easter, too, / So it shall not be for lack of gold that your love shall part from you.’“. La successiva Geordie è una delle tante versioni di una ballata che in Italia è stata tradotta e cantata da Fabrizio De André. Le due storie sono diverse, anche come ambientazione, ma il tema di fondo è lo stesso: una donna disposta a tutto pur di salvare il suo amato Geordie, “There was a battle in the north, and nobles there were many, / And they have killed Sir Charlie Hay, and laid the blame on Geordie“. Young Beichan è composta da due tracce, e racconta la storia di un giovane prigioniero di un re straniero, in questo caso è turco. La figlia del re libera il giovane inglese che promette di sposarla. Anni dopo, fedele alla promessa, sposa la figlia del re nonostante fosse promesso sposo ad un’altra donna, “‘Take home your daughter, madam,’ says he, ‘with all my lands to be her fee; / For I must marry my truest love that gave me life and liberty.’“. Una donna viene sedotta da un cavaliere straniero che la deruba e tenta di ucciderla. Ma la donna si difende e uccide il cavaliere, vendicando la morte delle sue precedenti vittime, “Lie there, lie there, you false-hearted man, / Lie there instead of me. / For six pretty maidens have you drowned here, / But the seventh has drowned thee, drowned thee; / The seventh has drowned thee“. The Crafty Maid’s Policy/Fingal’s Cave (strathspey)/Sheepskins & Beeswax (reel) è una ballata nella quale una donna si prende gioco di tre gentiluomini, con un finale strumentale molto bello, “Come listen awhile and I’ll sing you a song, / Of three merry gentlemen riding along. / They met a fair maid and to her did say, / ‘We’re afraid this cold morning will do you some harm“. In William Taylor, la giovane Sarah Jane si imbarca fingendosi un uomo per cercare il suo amato. Il capitano della nave scopre l’inganno e le rivela che William Taylor si è sposato con un’altra donna e gli dice dove trovarlo. Sarah Jane uccide William e il capitano gli affida il comando, “On the ship there was a battle, / She fought there with all the rest; / Her jacket burst her silver buttons, / There appeared her snow white breast, oh, / There appeared her snow white breast“. Sweet Lovely Joan è la storia di un donna che, con l’inganno, deruba un cavaliere e scappa per sposare il suo vero amore, “Oh, noble knight, pray you forbear, / I cannot marry you, I swear; / For on tomorrow I’m to wed, / My own, my own, true love instead“. Chiude l’album Blow Away The Morning Dew che vede protagonista ancora una volta una donna che si fa valere nei confronti di un pretendente, “Oh, it’s aye, the dewy morning, blow the winds aye-oh, / Blow the winds of a dew morning, how sweet the winds do blow“.

The Fairest Flower Of Womankind è una sorta di concept album, sulla rivincita delle donne nelle canzoni tradizionali. Lindsay Straw fa un grande lavoro di ricerca e mette insieme tredici storie che, a metà tra fantasia e realtà, ancora appassionano e fanno riflettere. Il tempo passa ma queste ballate conservano un fascino del tutto particolare, così lontane per come si presentano ma ancora attuali nei loro messaggio. Ascoltare questo album è qualcosa di speciale, per le sue melodie e la sua poesia, interpretate magistralmente dalla Straw e la sua band. Ho voluto fare un po’ di ricerche per poter scrivere questo post, perché queste canzoni lo meritavano per la storia che portano con loro. Se volete approfondire, ho consultato questo interessante sito The Traditional Ballad nel quale troverete tutte le canzoni di questo album (e moltissime altre) e da dove ho tratto le informazioni sulle storie che racchiude.

 

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La lunga attesa

Ma che fine anno fatto gli Holmes? Il gruppo svedese capitanato da Kristoffer Bolander ha pubblicato il suo ultimo album nel 2012. Qualche post su Facebook un anno fa e poi più nulla. Il 2014 non ha portato niente di nuovo in casa Holmes e spero che per questo 2015 ci siano delle novità. Nel frattempo mi porto avanti o meglio mi porto indietro. Sì, perchè continua il mio percorso a ritroso nella musica di questo gruppo alfiere della scandinavian americana, sono partito da loro ultimo Burning Bridges (2012) per poi passare al precedente Have I Told You Lately That I Loathe You (2010) e infine eccomi a Wolves (2008). Come sempre, quando scrivo degli Holmes, ho sempre qualche difficoltà a reperire i testi delle canzoni, è un peccato non poter comprendere a pieno il loro significato ed un peccato anche non poterne riportare qualche estratto in questa recesione. Inoltre tutta la discografia degli Holmes è disponibile, anche gratuitamente, nella loro pagina Bandcamp: holmes.bandcamp.com.

Holmes
Holmes

Apre Possession che conferma lo stile particolare degli Holmes. Un’atmosfera notturna e avvolgente trafitta dalla voce pungente di Kristoffer Bolander. Immancabile come sempre la fisarmonica di Larisa Ljungkrona. Storm propone un accattivante indie rock che caratterizzerà gli album a venire. Le chitarre si mescolano guidate ancora una volta da Bolander e dalla Ljungkrona. A New Still Morning è la classica ballata stile Holmes, sognante e romantica. Curiosa a partire dal titolo è David Letterman dedicata al popolare showman americano. Mi piacerebbe leggere il testo di questa canzone ma purtroppo non riesco a trovarlo. Vorrei capire se è ironica oppure no. Anche se personalmente credo sia sincera. Long Waiting è un’altra ballata (titolo adatto per l’attesa di novità dalla band!). Queste ballate sono belle ma tendono ad essere un po’ ripetitive tra loro. Una piccola variazione sul tema con Hold On che sempre un piacere ascoltare anche per il suo finale più rock. Relapse è un’altra ballata dalle sonoritià più pop che scivola via in sottofondo. The Arms Of Someone Else è a mio parere la canzone più bella di questo album. Delicata e dolce, questa canzone conquista per quel nonsochè particolare. La voce di Bolander si sposa con una straordiaria melodia di fisarmonica. Da ascoltare. Satan è altrettanto bella e anche in questa occasione mi piacerebbe leggerne il testo. Il titolo sembra in contrasto con le atmosfere della canzone. Chiude l’album Wolves, che da il titolo all’album. Un altro brano in perfetto stile Holmes.

Il secondo lavoro degli Holmes è alla pari del successivo. Il quarto e ultimo album è invece un grande passo avanti su tutti i fronti. Il gruppo svedese spesso propone delle straordinarie ballate che ascoltate una dopo l’altra perdono un po’ del loro fascino. Se volete ascoltare per la prima volta questa band sicuramente Burning Bridges è l’album dal quale partire. Spero che questo anno sia quello buono per risentire gli Holmes con nuove canzoni. Perchè alla fine, nonostante qualche canzone un po’ noiosetta, li ascolto sempre volentieri anche se mi manca il supporto dei testi. A volte non capisco fino in fondo quello che canta Bolander ed è un peccato.

Tempo al tempo

Questa estate ho avuto il piacere di ascoltare, finalmente per intero, il secondo album della cantautrice canadese Tamara Lindeman, che si esibisce sotto il nome di The Weather Station. L’album si intitolava All Of It Was Mine, datato 2011. Questo Ottobre l’artista ha pubblicato un EP, intitolato What Am I Going To Do With Everything I Know, composto da sei nuove canzoni che anticipa il nuovo album del prossimo anno. Ascoltare The Weather Station richiede la disponibilità da parte dell’ascoltatore di lasciarsi trasportare dalle parole della Lindeman, capaci di creare immagini famigliari e trasmettere emozioni genuine. Poco è cambiato rispetto a qualche anno fa ma quel poco è abbastanza per rendersi conto di essere di fronte ad un’artista che ha qualcosa di speciale.

Tamara Lindeman
Tamara Lindeman

Don’t Understand richiama le sonorità dell’ultimo album, un folk sussurrato preda di mille pensieri. Una canzone magica come tutte le cazoni della Lindeman, “I looked down at my hands lined with nothing but the ways I had moved. And in waking and in sleeping everything irretrievably new – and I go out for meals, and I meet up for coffee. Could be how it feels, irreversibly free“. La successiva What Am I Going To Do (With Everything I Know) si riaccende di quella poesia, guidata da una chitarra sempre poco invadente. L’autrice sembra chiedere il permesso per poter cantare, quasi non volesse essere di disturbo. Nient’affatto, Tammy, “What am I going to do with everything I know? When I set it out in letters, work in my fingers, and now I don’t remember what I touched. Oh, I would throw out all the water for want of a cup – as though it didn’t matter if it can’t be drunk“. Seemed True è un altra canzone dal perfetto stile The Weather Station ma non si può fare a meno di rimanerne rapiti un’altra volta. Anche se ripetuto in più di un’occasione l’incantesimo, voce e chitarra, sortisce sempre lo stesso effetto. La Lindeman ha creato un so piccolo mondo, un suo stile personale e questa canzone ne è l’ennesima dimostrazione, “In your youth, you wanted to know only the truth. And so, you were so confused how so much escaped you. Left with so little, you felt like you’d been robbed, I sat down beside you so lost“. Comincia con Soft Spoken Man la seconda parte dell’EP che rappresenta meglio quel poco di cambiamento  che c’è stato nelle canzoni. Una canzone che fa respirare a pieni polmoni, delicata e malinconica, “One in the well never minds the water, for it’s clear and still. In time, light can come to be a stranger, and it takes will. Always will. Such a soft spoken man. I had to do most of the talking“. Il bello deve ancora arrivare. La canzone migliore è Time. Una Lindeman inedita rispetto a quanto fatto sentire finora. Indescrivibile, semplicemente da ascoltare, “You don’t care, no, it’s not your way, you smile and you make a joke, and I don’t know when to laugh, or think, or ask – Is it all on the line? It is all in my mind? I said “this is love, we’ll go through all the stages.You said my love! This song! Do you hear all the changes!“. Chiude Almost Careless, un altro gioiello. Le parole scorrono via come musica, un brivido condesato in poco più di due minuti, “Every day a shaken image, every day a mirrored surface of our love and darkness and happiness. “What if we get married?” I said it almost careless, as though it was nothing to me“.

Bello ritrovare The Weather Station così come l’avevo lasciati (o lasciata) questa estate. L’unico vero cambio degno di nota è l’abbandono del classico suono del banjo a favore di un’altrettanto classica chitarra. Nient’altro sembra essere cambiato. Perchè mai dovrebbe cambiare qualcosa che è quasi perfetto e poi c’è Time. Vale l’intero EP. Come scrivo sempre, se questo è solo un assaggio del futuro album… ma diamo tempo al tempo. Non vi consiglio di ascoltare questo What Am I Going To Do With Everything I Know ma di ascoltare The Weather Station in generale per scoprire cosa ha di speciale.

Achillea e menta

Prima di scrivere questo post non ero a conoscenza di un fatto. Era da diverso tempo che volevo acquistare e ascoltare l’album di The Weather Station, All Of It Was Mine. Insieme agli album degli Holmes, è sempre stato nella mia wishlist di Bandcamp. Solo di recente ho ascotato per intero questo album della cantautrice canadese Tamara Lindeman senza sapere una cosa. Tamara Lindeman non è solo una cantautrice ma anche un’attrice. Ha recitato in film di successo (ad esempio Shall We Dance?) e io semplicemente non lo sapevo. Per me è sempre stata la ragazza con i capelli biondi sulla copertina dell’album. Oggi cercando qualche informazione in più su di lei per questo post ho scoperto dell’altra occupazione. Bisogna aggiungere che Tamara Lindeman è però conosciuta nel mondo del cinema con il nome di Tamara Hope, la tal cosa all’inizio mi ha creato un po’ di confusione. Devo essere sincero che ho guardato un po’ di sue foto perchè non riuscivo a capire se fosse la stessa persona. Poi mi sono convinto anche grazie all’aiuto di Wikipedia. Ma a parte questo, io mi sono limitato ad ascoltare l’album.

Tamara Lindeman
Tamara Lindeman

Apre la bellissima Everything I Saw, un classico folk americano che scivola via sulle parole della Lindeman, un canto quasi onomatopeico che rende incredibilmente viva la canzone, “I dug up shattered glass and forgotten plastic trucks and coiled faded twine / and all of it is mine. / My buckling plaster walls, cracks snake and wind, all of it is mine“. Come So Easy è un altro gioiellino folk, delicato e poetico nel quale la cantautrice gioca con la voce. Sembra quasi di vedere un’oziosa giornata di primavera, “Just cause it came so easy like quiet evenings in my kitchen / Just cause it came so easy like little breezes of indecision / Line of ants came crawling through the cracks there in my tiles / Sat there and I watched them as they pillaged in single file“. La successiva Traveller non ci porta lontano ma la voce è più calda e accogliente, quasi magica, “I felt just like a traveler as I went walking up my street/ Every building so familiar but it’s like I never seen em.  There’s the same rows of houses, row on row / I felt just like a stranger as I set my key in the door, and lingered“. Trying sembra essere una una ricerca o meglio, un’attesa, dell’ispirazione, di qualcosa in più, qualcosa di speciale, “Then I’d forget – or have I already forgotten – all that I love as all the strings that pull me start to tauten / I am trying – for what – I can’t place. I am trying for some kind of grace“. Un vago blues-folk per Chip On My Sholder che arriva e se ne va dolcemente anche grazie ad un songwriting efficace e genuino, “Oh I spoke to my sisters and the child of a friend but no promises could I keep / Stay always emboldened and don’t reach for that crown but it’s a want that goes down so deep“. Know It To See It trasforma la voce della Lindeman in una della canzoni più oscure dell’album, un viaggio, una fuga per le strade blues USA, “It’s not love, it’s not cause of love.  It’s not a blessing or a curse, I don’t know what it is.  But I know it to see it, and I know it when I don’t see it.  And I don’t see it in you“. In Yarrow And Mint c’è l’estate. Un estate in mezzo alla natura, una bella estate, “What are you looking for? / Something you never even seen / Better to know all those weeds that ever will grow beneath your feet“. Running Around Asking è il bisogno di trovare una risposta a una domanda, della quale già conosciamo quale sarà, “I went running around asking everybody I know / I already asked my mother and the woman who lives next door / I’ve been running around asking for so long.  I wanted to ask my grandmother, but I couldn’t get past the weather“. Sulla stessa strada, Nobody, che ci fa sentire un po’ di chitarre senza stravolgere nulla, “But you could find yourself down by a lake / About as wide and still as you can take.  With a gladness you just can’t shake / Down by that cold, clear lake“. L’album si chiude con If I’ve Been Fooled che chiude anche un ideale trittico aperto da Running Around Asking, una canzone malinconica e solitaria, “And what if I been fooled? By a story, or a song, or by a memory remembered wrong / It’s gonna take so long to unravel the con, and by then I know that you’ll be gone“.

All Of It Was Mine è un album pieno di immagini famigliari. Un stanza, una cucina e le erbacce che crescono in giardino. Un album che si fa apprezzare subito se siamo disposti ad aprire la nostra mente ai ricordi che suscita. Un album delicato, spesso quasi sussurrato e dall’incedere lento. Un album che ho aspettato di ascoltare per troppo tempo. Ogni giorno è sempre più bello riascoltarlo. Leggetevi i testi per sono davvero belli, dipingono delle scene davvero uniche. Un bell’album, nient’altro da aggiungere.

Les jeux sont faits

Da dove cominciare per spiegare chi è Cœur de pirate? Innanzi tutto il suo vero nome è Béatrice Martin ed è una cantautrice canadese. Non mi sono fermato alla prime perplessità che avevo nei suoi riguardi e ho ascoltato sempre più volentieri il suo disco d’esordio, Cœur de pirate. Le mie perplessità si riducevano ad una sola, ovvero il francese. Infatti Béatrice canta in francese e a queste latitudini la musica francofona non arriva spesso. La curiosità però è stata più forte e grazie ancora al cambio favorevole dollari canadesi-euro, mi sono lasciato tentare dalla sua pagina Bandcamp (musique.coeurdepirate.com). C’è altro da aggiungere? Sì, per la verità. La ragazza è anche nota per alcune foto di qualche anno fa che la ritraggono “poco vestita” che lei ovviamente vuole dimenticare. Béatrice però non nasconde i suoi innumerevoli tatuaggi che ritraggono, tra le altre cose, anche dei pirati. La ragazza però fa intendere che oltre ad aver messo in mostra il suo corpo è anche stata capace di mettere in mostra le sue doti musicali, soprattutto al pianoforte (che suona dall’età di tre anni). Se ne sentiva il bisogno? La risposta è soggettiva. Io rispondo: perchè no!

Cœur de pirate
Cœur de pirate

Si inizia con La Long Du Large, un frizzante pop cucito alla perfezione sulla giovane voce, dell’allora ventenne, Cœur de pirate. Subito l’ascolto si rivela piacevole e il francese non sarà un problema, “Et sans prendre le bord / On reste sans visage / Une masse comme une autre / Qui vit dans un mirage“. Comme Des Enfants vi farà innamorare della voce della cantautrice che si accende in un luminoso ritornello che canticchierete senza sapere (almeno per quanto mi riguarda) cosa state dicendo, “Mais il m’aime encore, et moi je t’aime encore plus fort / Et malgré ça , il m’aime encore et moi je t’aime encore plus fort“. La successiva Found Au Noir è la canzone più oscura dell’album, nonchè una delle più belle, “Et si ça fait mal c’est parce qu’il te voit pas / Alors que ton sourire enfin s’éteindra“. Corbeau è un’altra canzone triste e un’altra bella canzone nella quale Béatrice si diletta un po’ con il suo pianoforte prima di ricordarci ritornello, “Et je ne sais plus à quoi penser / C’est dur d’être libre comme toi / Et je ne sais plus à qui penser / C’est fini rhabille-toi“. Berceuse è una ninnananna (come da titolo) con tipiche sonorità della canzone francese, è quindi lecito non aspettarsi nulla di orginale, “Et sans souffrir j’en ris / Mes regrets restent dans son lit / Et sans rire je souffre / Car il a eu mon dernier souffle“. Il brano strumentale è Intermission, una breve ma ispirata musica suonata esclusivamente con il pianoforte. Con Printempssi risentono i toni più frizzanti dell’inizio dell’album e si ritorna a canticchiare, “Et toi tu ne sais pas / Que je voudrais bien de toi / C’est bien triste ce sera dans cette chanson seulement”. Ensamble ritorna sulle sonorità della canzone francese, con una musica ricca e spensierata. Un altro piacevole pezzo pop, “Car ensemble rime avec désordre, / Et l’homme que tu es n’est plus que discorde / Car ce que tu es rime avec regrets / Pour ma part je n’ai que ceux qui restent à jamais”. Ancora più radicata nella tradizione francese è La Vie Est Ailleurs che ha un altro ritornello piuttosto appiccicoso, “Car la vie est ailleurs / Dans un âge lyrique / Et tes peines s’enfuient / Tes tristesses se dissipent”. Un duetto con il canadese Jimmy Hunt per Pour Un Infidèle, una canzonetta d’amore che passa e và, “Doucement tu me fais voir les plus douces de tes histoires / Et plus notre idylle avance d’autres filles entrent dans la danse”. Francis è probabilmente la canzone meno convincente dell’album ma si fa ascoltare, “Francis tu as tant de choses à dire / Mais le tout reste enfermé / Et quand tu ne sais plus quoi dire / Tu te mets à pleurer”. Il finale è affidato a C’etait Salement Romantique dove Cœur de pirate ritrova il suo pianoforte migliore, confezionando una piacevole ballata dolce e oscura, “Et au sud de mes peines j’ai volé loin de toi / Pour couvrir mon coeur d’une cire plus noir / Que tous les regards lancés à mon égard / J’ai tenté de volé loin de toi”.

Un album breve, composto da canzoni corte ma raramente veloci. Un pop cantautorale fresco e giovane ma che si rifà ad una tradizione che funziona sempre anche se un po’ consunta. Io personalmente conosco pochissimo la lingua francese ma facendo una veloce traduzione dei testi non sono rimasto sorpreso della loro semplicità. Un album di una cantautrice ancora acerba che sboccerà, come ho letto da più parti, nel suo secondo lavoro. Dunque questo esordio è solo un assaggio di quello che Cœur de pirate può regalarci. La ragazza quest’anno ha realizzato un album di cover per una serie tv canadese e recentemente a pubblicato la colonna sonora del videogioco Ubisoft, Child of Light. Non certo una cosa da poco. Béatrice Martin non è dunque una semplice “voce dietro un bel visino” ma qualcosa di più. Forse il francese in musica non a tutti può piacere e io stesso sono rimasto sorpreso dal fatto che in fondo non è poi così male. Questo non significa che mi sono appassionato alla musica francese ma posso dire di aver superato qualche pregiudizio nei suoi confronti. Insomma, se volete cambiare lingua dal solito inglese o italiano, questo Cœur de pirate potrebbe essere una buona occasione.

Mi ritorni in mente, ep. 12

In questa settimana sono stato incuriosito da un ritorno. In qualche modo che non ricordo, sono incappato di nuovo nella musica della cantautrice canadese Cœur de pirate. Gli ho concesso un paio di ascolti su Spotify. Sinceramente non ricordavo cantasse in francese! Ho subito pensato: ma che fai, ascolti musica francese? Innanzi tutto lei è canadese però, sì, canta in francese. E ci tiene particolarmente a sottolinearlo. Francese o no, mi è piaciuta. Non mi sarei mai aspettato di trovare intereressante un album di canzoni in francesi. In men che non si dica ho scaricato il suo album d’esordio dalla sua pagina di Bandcamp (il cambio con i dollari canadesi è favorevole). Ora che ci penso, ad un primissimo ascolto, di qualche tempo fa, Cœur de pirate era finita dritta nella mia personale ignore list ma non mi è dato sapere per quale motivo. Forse il francese è uno di quelli.

Nonostante abbia già ascoltato un paio di volte su Spotify Cœur de pirate, è troppo presto per tirare le somme sull’album. Attualmente ha all’attivo un secondo album di inediti e uno di cover uscito quest’anno. Ho la tendenza di desiderare tutta la discografia di un artista e quindi mi sembrava corretto partire dall’esordio, anche perchè non sono un amante delle cover in generale. Eccolo dunque nella mai libreria virtuale pronto per essere ascoltato.

Le fredde notti del Nord

In attesa che il gruppo svedese Holmes dia alle stampe il nuovo album, il più presto possibile, inizio a portarmi avanti ripercorrendo la loro discografia. In realtà si tratta di un passo indietro perchè ho voluto ascoltare l’album che ha preceduto l’ultimo Burning Bridges del 2012. Sono tornato indietro di due anni e ho ascolatato Have I Told You Lately That I Loathe You. Titolo a dir poco curioso che gioca anche sull’assonanza tra “loathe” e “love” ma da significato opposto. L’ultimo album della band non è stato immediato ma dopo ripetuti ascolti è entrato dritto tra i miei preferiti. Ero naturalmente incuriosito da questo Have I Told You Lately That I Loathe You ma anche un po’ spaventato. Ho creduto che avrebbe sortito gli stessi iniziali effetti di Burning Bridges e ne sarei quindi inizialmente stato deluso. Non è andata così ma ci è andato vicino.

Holmes
Holmes

L’apertura con True Lies è un’anticipazione di quello che gli Holmes hanno in serbo per il futuro. Chitarra e un pizzico di fisarmonica fanno da sfondo alla voce inconfondibile del leader Kristoffer Bolander. Lo stesso vale per la successiva Voices And Vices ma c’è più intensità e una buona dose di orecchiabilità. I Still Remember rappresenta invece l’altra faccia di questo album. Una faccia che ha le caratteristiche si troveranno più raramente due anni più tardi. Calde ballate malinconiche per le fredde notti nel Nord. Sì, rende l’idea. Afar è ancora più lenta e distesa ma le atmosfere sono le stesse, perfino più pervase da quel senso di conforto che il gruppo sa trasmettere alla perfezione. Si ritorna a qualcosa di più vicino all’inizio dell’album con la bella Malysz. Per ascoltare quel rock “americano-scandinavo” che li ha resi noti si deve aspettare The Strangest Calm, nella quale la voce di Bolander e le chitarre elettriche si mescolano alla perfezione. Una delle migliori dell’album. Con 46 il gruppo ritorna su ritmi più lenti affidandosi alla fisarmonica (il marchio di fabbrica), rischiando però di ripetersi. Anche la successiva Olis è della medesima pasta e se non è giornata ci si sente quasi in obbligo a saltarla. Per fortuna poi c’è Blod, dalle sonorità a là R.E.M. che ci risveglia come si deve. Ancora più forte l’influenza americana (ancora una volta R.E.M.) nella lenta (!) A Bad Aubade. Questa volta il risultato è migliore e si fa ascoltare volentieri ma il colpo di grazia potrebbe arrivare con l’immancabile canzone di oltre cinque minuti. Piano e voce per l’eterea Breathing. Una bella canzone, per carità, ma forse una di troppo ma poco male visto che chiude l’opera.

Il successivo Burning Bridges risulterà più rock e meno malinconico senza rinunciare alle caratteristiche tipiche del gruppo. Chitarre, fisarmonica ci sono sempre ma mescolate per ottenere un risultato diverso. L’unico difetto è forse l’eccessiva lentezza di alcuni brani che tendono a confondersi l’uno con l’altro. In generale però questo Have I Told You Lately That I Loathe You non affatto male. Bisogna, in alcuni casi, trovare il momento adatto per ascoltarlo. Data la natura di alcune canzoni mi è risultato un po’ indigesto ai primissimi ascolti ma successivamente, anche grazie al fatto che già conoscevo gli Holmes, ho potuto apprezzare meglio le sfumature di questo lavoro. Non sono rimasto deluso, nient’ affatto, ma solo un po’ perplesso dalla volontà del gruppo di viaggiare con il freno a mano tirato. Forse gli Holmes sono sempre stati così e sono cambiati solo con l’ultimo Burning Bridges ma io non posso saperlo. Lo saprò solo ascoltando i due album precedenti e lo farò.

Voglia di indipendenza

Un paio di anni fa avevo pubblicato un breve post intitolato Laminati, volpi e boschi nel quale mi interessavo di una band americana Snowmine. Il loro primo album Laminate Pet Animal era ed è disponibile anche gratuitamente alla loro pagina Bandcamp. Nonstante questo album non sia entrato nella lista dei miei preferiti rimane comunque un buon ascolto. La notizia è che gli Snowmine sono pronti a tornare. Il secondo album uscirà il 4 Febbraio e si intitolerà Dialects. L’annuncio del nuovo album è accompagnato da una raccolta fondi che ha lo scopo di sostenere le spese di produzione. La band ha deciso, infatti, di fare da sé ritenendo che legarsi ad una casa discografica non sarebbe vantaggioso per l’artista. Ovviamente le spese ci sono ed ecco che la band ha chiamato a raccolta i fan per sostenerli economicamente.

Io personalmente ho già prenotato l’album Dialects sborsando 10 dollari (poco più di 7 euro). Il 4 Febbraio avrò l’album completo risparmiando così sui canonici 9.99 che avrei dovuto pagare dopo la pubblicazione. Le altre offerte sono un po’ eccessive ma fanno bene a provarci. Ad esempio 650 dollari per l’album in ogni formato conosciuto autografato e una lezione privata da un membro della band oppure 1000 per un concerto privato. Se avete altri soldi perchè non passare una giornata in studio con 2500 dollari? Non so quanti ne troveranno disponibili a sborsare queste cifre ma mai dire mai. Il mio l’ho fatto, e ho risparmiato pure, sostenendo la band e ricevendo immediatamente due brani del nuovo album. Chissà se funzionerà oppure era meglio per loro avere una casa discografica alle spalle.

Questo è il loro sito ufficiale: snowmine.com dove troverete un’anticipazione di Dialects che dovrebbe convincere gli avventori a donare. Mi hanno convinto e sinceramente quel poco che ho sentito mi piace sopratto i due sigoli in omaggio, Silver Sieve e Columbus.

Scacco matto

Avevo scoperto questa band, come succede spesso, del tutto casualmente o forse in una delle mie scorribande su Bandcamp. Attratto dalla possibilità di scaricare gratuitamente (ora non è più possibile) l’Ep, mi sono ritrovato ad ascoltare con piacere i To Kill A King. Questa band britannica non inventa nulla di nuovo ma propone un folk rock che si distingue in qualche modo dai colleghi più prossimi. Sarà per la presenza di strumenti orchestrali o per la voce del leader Ralph Pelleymounter ma questi To Kill A King mi piacciono. Questo Ep, intitolato My Crooked Saint è stato pubblicato un paio di anni fa, precedendo l’uscita dell’album d’esordio Cannibals With Cutlery uscito in versione deluxe il mese scorso.

La traccia d’apertura Bloody Shirt ci guida nella musica dei To Kill A King con un rock ritmato e orecchiabile, “Get out! And get gone / This town is only gonna get worse / Get out! And get gone / This town is only gonna eat you“. We Used To Protest/Gamble fa altrettanto calcando la mano sull’aspetto più epico e tipicamente indie della loro musica senza però scadere in qualcosa di scontato, “Eyes might age and places fade / Skin gets thicker but I hope, I hope, I hope we’ll feel the same / Gambling“. La successiva Family è senza dubbio la migliore canzone dell’Ep. Una bella melodia che accompagna la voce di Ralph in un’atmosfera malinconica, “The difference between a rut and a grave is an inch / Caught in between the earth and a rock like a pinch / I don’t sit so well/ On the banks of Boston“. Chiude questo breve viaggio Wrecking Crew una tipica accorata canzone folk che nulla aggiunge a quanto di buono è già stato ascoltato, “Oh, calm my ghost, I don’t need this now, oh not yet / Bring your wrecking crew, leave this town, alive or dead“.

Ho già messo in lista Cannibals With Cutlery perchè questi To Kill A King mi stanno piacendo sempre di più. Sono sicuro che di questa band se ne sentirà parlare negli anni a venire.