Non è rimasto niente per cui piangere

Quasi dieci anni fa ascoltavo per la prima volta la voce e la musica della cantautrice inglese Billie Marten. Da allora molto è cambiato intorno a noi ma le canzoni di questa artista sembrano rimaste sospese nel tempo. Album dopo album, Billie Marten, si è mossa sulla scena musicale con la sua consueta delicatezza e serenità proponendo sempre un folk genuino e sincero. Questa sua caratteristica è rimasta pressoché inalterata nel corso degli anni, arrivando fino ad oggi con l’album Drop Cherries, il quarto della sua carriera. A soli ventiquattro anni questa cantautrice ha saputo ritagliarsi il suo spazio all’interno del panorama indie folk, decisamente inflazionato negli ultimi anni, grazie al suo stile particolare e la coerenza che l’ha contraddistinta.

Billie-Marten
Billie-Marten

L’album si apre con la strumentale New Idea nella quale la voce della Marten è uno strumento aggiunto. Ritroviamo il canto e le parole nella bella God Above, una luminosa poesia folk arricchitta da archi e fiati. La successiva Just Us riporta a sonorità più consuete per quest’artista che ritroviamo poi anche in I Can’t Get My Head Around You, una canzone che parla d’amore con un piglio pop. Willow è un altro esempio della poetica della Marten, fatta di immagini famigliari e malinconiche. Acid Tooth rallenta ancora di più e ci fa apprezzare una Billie ancora più riflessiva, caratteristica che ritroviamo poi in Devil Swim in maniera più intima e sognante. I Bend To Him è un canzone scarna ed essenziale che si poggia quasi esclusivamente sulla fragile voce della cantautrice. Le sonorità luminose si possono tornare a sentire in Nothing But Mine per continuare in maniera più dolce e delicata in Arrows. Bille Marten non accelera e non rallenta mai, continua costante con il suo passo arrivando alla bella Tongue che si apre con le note di un pianoforte. Poesia e archi danno forma ad un piccolo gioiellino di semplicità e naturalezza. Il singolo This Is How We Move è tutto quello che ci si aspetta da questa cantautrice che chiude poi l’album con la title track, Drop Cherries. Una gentile riflessione sulla vita e sull’amore.

Drop Cherries è un album essenziale come i precedenti, che fa leva sui sentimenti e sulle nostre fragilità piuttosto che sulle melodie orecchiabili e ricchi accompagnamenti. Billie Marten ci offre così ben tredici brani, ognuno di essi non vive di vita propria, non c’è uno singolo che spicca sugli altri, tutti sono immersi in un’atmosfera distesa e malinconica. Non c’è tristezza ma la perenne ricerca di un equilibrio, di una pace interiore che nasce dalle piccole cose. Drop Cherries dimostra la costanza di Billie Marten nel proseguire per la sua strada, ricalcando all’infinito le sue sonorità ma trovando sempre ispirazione nella fasi della sua vita. Ascoltando quest’artista ci si ritrova sempre in uno stato di placida ammirazione per il suo genuino talento.

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Non c’è posto dove scappare

Come due anni fa la primavera ha portato un nuovo album per la cantautrice inglese Billie Marten, da sempre autrice di canzoni folk, moderne e delicate, dalle melodie dolci. Il nuovo Flora Fauna si inserisce nel percorso di crescita di questa artista ventiduenne che non ha nulla da dimostrare ma semmai ha tanto ancora da raccontare. Sapete bene quanto mi piaccia veder crescere gli artisti attraverso la loro musica e devo ammettere che la Marten è stata una delle più equilibrate durante il suo percorso. Ma la sorpresa in questi casi può essere dietro l’angolo. Sarà il caso di Flora Fauna oppure no? Non resta che immergersi ancora una volta nel poetico ed incantato, ma realista, mondo di questa cantautrice.

Billie Marten
Billie Marten

Garden Of Eden apre l’album ed è un inno alla forza della Natura, alla vita che da essa prende forma. La voce delicata della Marten si contrappone ad un trascinante folk pop che la rende orecchiabile, “In my garden, I sleep through the day / Soaking rays like it’s food for the morn / There’s no place I would rather escape / Look at me, I’m a flower in springtime“. Ma la Natura, lo sappiamo è costantemente in pericolo, oggi più che mai e Creature Of Mine ce lo ricorda. Bisogna vivere nel suo rispetto e non solo a parole, un messaggio che si nasconde in questo pop leggero nell’apparenza,”Old Mother Nature says it’s all getting worse / There is no room for another / We signed the wager to be on planet Earth / Wasting hours to be together“. Human Replacement sprofonda verso melodie più scure e notturne. Bille Marten sembra volerci trasmettere una sensazione di insicurezza di cui si fa fatica a liberarsi, “You’re just not safe in the evening / Walking around / You could be taken / You’re just not safe in the evening / Darker than dark / Human replacement“. La successiva Liquid Love è di tutt’altro tenore. Il folk viene accantonato in favore di un beat elettronico che accompagna la voce sussurrata di questa cantautrice. Abbandonarsi, lasciare che tutto scorra, anche solo per un attimo ed smetterla di correre, godendosi la giornata, “I kiss the lips of / Every sun coming / Wanting to wake up / As a human every morning / I’m in the kitchen / I am free pouring / No destination / Liquid love under my skin“. Heaven si rifà alle melodie e alle tematiche dei precedenti album. Una canzone fatta di immagini diverse, come un flusso di coscienza che parla d’amore, di vita, di ricordi, “Been sitting here / Mouth full of blood / And a heart full of love / Still not enough / Yes, I am good enough / Yes, we deserve our love / Yes, I am good enough“. Ruin è una canzone tanto essenziale quanto solare ma solo nelle apparenze. Il testo è difficile da decifrare ma resta il linea con la tematica principale di questo album, “I’ve been committing a crime / Locked up for killing the time / Cold cut, a natural fine / Give me a go on your mind / Freedom to feeling alright“. Segue Pigeon, una ballata irrequieta nel testo ma sempre morbida nella melodia e nella voce. La Marten riesce a restare dolce senza annoiare, “I am sick of branding and one-legged pigeons / They have no idea as to our sour position / Another day on modern Earth / Suffocating all our worth“. Kill The Clown offre ancora questo contrasto in un indie pop frammentario tenuto insieme da un ritornello orecchiabile. Una canzone dimostra il passo in avanti fatto da quest’artista,”Take the heat and you / Crush it in your teeth / It is natural to think / Everything’s your fault / After all I am / Not a baby doll / I got bills to pay / And they never go away“. Walnut si spinge verso melodie rock distese e appena accennate. Si muove lenta e sinuosa questa canzone, sbocciando nel ritornello, “But, oh, to dance around you / Fruit of Eden’s tree / Can’t come back around here / You know I’d never leave you be / I’d never leave you be“. Si chiude con Aquarium, ballata acustica e scarna nello stile della Marten. Qui è nel suo territorio sicuro e l’ascoltatore viene messo a suo agio dala voce rassicurante, “Now I am afraid of the noise / Rattling my brain like a toy / Excuse me while I lay here in the shade / I can feel no pain here, I am made here / Just the same“.

Flora Fauna ci fa riscoprire Billie Marten sotto una nuova forma. Non troppo diversa dalle precedenti, per la verità, ma pur sempre fatta di scelte coraggiose, fuori dalla sua comfort zone. La ritroviamo impegnata con battaglie personali e una ricerca di armonia con la natura, il tutto ben mescolato, fatto di indizi nascosti e immagini. Senza che mai nulla prenda il sopravvento, pop, rock e folk si scambiano i ruoli, ricordando, in diverse occasioni le scelte fatte dalla connazionale Laura Marling. Dal suo primo EP a Flora Fauna sono passati sette anni ma sembra un’eternità, vista la crescita artistica di Billie Marten che questa volta dà vita ad un album perfetto per l’estate in arrivo, un’estate un po’ pigra, nella quale fermarsi a pensare un po’.

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Nel palmo di una mano

Sono passati cinque anni da quando ascoltai per la prima volta Ribbon di una quattordicenne Billie Marten. Da allora questa cantautrice inglese ha pubblicato un EP, e due album, l’ultimo proprio quest’anno intitolato Feeding Seahorses By Hand. Titolo curioso che ben si addice alla sua delicata visione poetica. La sua giovane età e quel modo di cantare poco appariscente, spesso associato a Laura Marling, possono ingannare l’ascoltatore sulla leggerezza delle sue canzoni. Questo suo secondo album mette alla prova uno stile, quello della Marten, che oggi è spesso abusato e preso sottogamba da molti giovani artisti.

Billie Marten
Billie Marten

Cartoon People è una canzone che prende spunto dall’America di Trump per tracciare un quadro delicato e malinconico. La Marten non rinuncia al suo modo sommesso di cantare, sostenuto dal suono delle chitarre e una ritmica più evidente che in passato, “The only guy that’s got you in the palm of his hands / Is busy today with someone else’s plans / She chooses life and then she chooses a man / He’s picking her up but she don’t give a damn“. Mice sottolinea una sensazione di stanchezza. La vita ha volte sembra troppo pesante da sopportare nonostante l’età. Una canzone matura, accompagnata da sfumature moderne e interessanti, “And the stars, they look like little mice / To me, I am my only vice / Sat on a dead man’s bench / The sun cools my neck / It covers my skin / The earth pulls me back / How ‘bout that?“. Il sound rinnovato si sente meglio in Betsy. Le chitarre stendono il tappeto sul quale scivola lente la voce della Marten. Riflessioni sul clima d’odio e sul fanatismo religioso che pervadono il mondo di oggi, nella speranza di un mondo migliore, “Bang bang baby you’re dead / Politics will mess with your head / Oh you voice of the people / You leader of evil / You messed up the church / Put a gun to the steeple“. Un accompagnamento scarno ma non privo di suoni elettronici in sottofondo, danno vita a Blood Is Blue. Qui Billie Marten appare ancora più fragile ed oscura ma capace ancora di cullare l’ascoltatore con i suoi toni pacati, “I pour it out for you / My baby, I’m a fool / Our love is new / I speak, I speak like you / No matter who you are, I imitate you / Cut my body open / Completely dry / I’m a slaughtered pig and I’m happy to die“. Blue Sea, Red Sea fa penetrare un raggio di sole in questo album. Una canzone poetica dai colori giovani e freschi ma sempre pervasi da quella persistente malinconia nella voce della Marten,”And it’s all good ‘cause I feel it too / Hanging around with nothing to do / Make friends with the angels that blessed you / Maybe together we get in the good“. Vanilla Baby rappresenta bene la musica della Marten. Un brano molto vicino alle sonorità dell’esordio, che rendono unica quest’artista capace di sposare melodia e parole in un delicato equilibrio, “I am only as good as you want me to be / I don’t pick up the phone if I don’t want to speak / I am only as good as you want me to be / I don’t know what I’m doing / It’s easy to see“. Molto bella anche Toulouse ispirata dalla città di Tolosa. Se fosse un dipinto sarebbe un acquerello dai colori chiari, appena accennati. Billie Marten mostra tutto il suo talento di cantautrice, “We have the makers and the movers / The lifeguards and the gardeners who are / Killing time like big / Spilling on his paper / The old boys with the new girls / The lovers with the half-pipes / And the solos, the wolves, the men“. She Dances si sviluppa provando nuove soluzione musicali che possano dare risalto al canto. Ancora immagini delicate e fragili si susseguono lentamente in un avanzare di parole e musica, “And as she reads aloud, ankles hanging off the bed / She’ll read to nobody, or was it something that she said? / She is like the trees, the sun that creeps through my window / She knows her body, the kind that turns you into gold“. La successiva Bad Apple è una canzone personale, una riflessione sulle scelte della proprio vita. Billie Marten dimostra ancora di essere cresciuta, e noi con lei, “Well I just like to sing / Forget everything and write of colour and string / Talk of life in the sea / And none of that will ever be healthy for society“. Forse il brano più maturo è Boxes. Si affrontano le difficoltà della vita in una società votata al consumo con una visione lucida e profonda. Ma c’è ancora spazio per i sentimenti, “We are boxes on boxes / On boxes on boxes, haunted / And we have things we don’t need / We are with and without in the road / So damn tired of being a lady / So damn bored of being a girl / Then again / If we look at it plainly / I’d feel the same if I were a boy“. Anda rallenta ancora il procedere dell’album con semplicità e meraviglia. Billie Marten non ha intenzione di accattivarsi l’ascoltatore che facili melodie ma lo sorprende pian piano, “Colourful boxes against our grave / Take it in hand / We have traveled a long way / And I have not seen myself / In several days / And man it feels good to not think / The sea, the sand, the air / The salt in your hair“. Chiude in modo perfetto la bella Fish. Canzone breve ed essenziale che custodisce con eleganza lo spirito dell’album, “Honestly, floating, it’s all good to me / I feel quite innocuously, being peacefully / I like the water / I like the sea / I like the way it used to be“.

Feeding Seahorses By Hand svela una Billie Marten cresciuta e più consapevole delle sue capacità e del mondo che ci circonda. Dodici canzoni che denotano la volontà di questa cantautrice di rallentare i ritmi di una vità snaturata dalla velocità con la quale viene vissuta e consumata. Nuove idee, soprattutto musicali, rinnovano il suo sound lasciando intatta quella sensazione di piacevole staticità della sua musica. La velocità di questo album è lenta, la voce della Marten è sommessa, non c’è alcun tipo di fretta o urgenza. Feeding Seahorses By Hand è la naturale prosecuzione del suo predecessore, una crescita apparentemente lenta ma forte e costante che lascia intendere che il talento di quella quattordicenne non è andato affatto perduto.

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Non mi giudicate – 2016

Eccomi dunque ancora una volta a fare i conti con il tempo che passa. Un altro giro intorno al sole tra le pagine di questo blog se ne andato. Come ho fatto lo scorso anno, premio gli album e gli artisti che più hanno lasciato il segno nel 2016. Naturalmente le mie scelte si limitano a ciò che ho potuto ascoltare quest’anno, per ognuna di esse troverete la recensione dell’album su questo blog. Quest’anno, rispetto al precedente, ho ascoltato un bel numero di EP e così ho aggiunto una categoria tutta dedicata a loro. Un’altra novità è dettata dal maggiore spazio che ha trovato il country nella mia musica, così ho aggiunto un posto anche per questo genere americano. Quest’anno non è stato affatto facile scegliere e ho dovuto escludere qualcuno ma poco importa. In fin dei conti questo 2016 è stato un anno ricco di musica e ha volte mi sono ritrovato sommerso di cose da ascoltare. Il tutto per merito mio, si capisce.

  • Most Valuable Player: Agnes Obel
    Questa cantautrice rimane una delle più affascinanti degli ultimi anni. Il suo terzo album Citizen Of Glass è uno dei più belli di quest’anno. Un ritorno ispirato e magico, caratterizzato da tutto ciò che rende unica quest’artista. Imperdibile.
    Agnes Obel – Stretch your Eyes
  • Most Valuable Album: Jet Plane And Oxbow
    Johnatan Meiburg torna nella sua forma migliore con un disco carico e intenso. Le sonorità anni ’80 rilanciano gli Shearwater, un gruppo che non è mai troppo tardi scoprire. Vivamente consigliato per la sua qualità.
    Shearwater – Jet Plane And Oxbow
  • Best Pop Album: Keep It Together
    Lily & Madeleine virano su sonorità più pop ma riescono a non perdere la bussola. Le due ragazze di Indianapolis crescono a vista d’occhio, staccandosi sempre di più dai loro modelli e trovando una strada più personale. Ben fatto.
    Lily & Madeleine – Westfield
  • Best Folk Album: Between River And Railway
    Quando si parla di folk, si parla di tradizione. Nel caso di Claire Hasting è quella scozzese. Tra inediti e classici, questa giovane cantautrice ci porta nella sua terra con semplicità e una bella voce. Da tenere d’occhio per il futuro.
    Claire Hastings – The House At Rosehill
  • Best Country Album: Honest Life
    Courtney Marie Andrews nonostante la giovane età è già da tempo nel country che conta. Questo album però ha qualcosa di speciale, per maturità e ispirazione. Carico di sentimenti e malinconia, Honest Life è un must per gli appasionati del genere.
    Courtney Marie Andrews – How Quickly Your Heart Mends
  • Best Singer/Songwriter Album: Angel Olsen
    Difficile inquadrare questa artista americana in un genere musicale. Quello che è sicuro è che è una cantautrice. Ecco perchè non si può fare a meno di mettela al primo posto. Il suo MY WOMAN è un gioiellino anche se ha diviso critica e fan.
    Angel Olsen – Shut Up Kiss Me
  • Rookie of the Year: Billie Marten
    Con Writing Of Blues And Yellows fa il suo esordio la giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. Il suo folk pop delicato e sognante è il suo punto di forza. Aspettavo da tempo questo esordio e questo album si è rivelato al di sopra di ogni aspettativa.
    Billie Marten – Milk & Honey
  • Sixth Man of the Year: Bon Iver
    Certo, mettere uno come Justin Vernon in panchina non è mai una buona idea ma è successo. Lui si è fatto trovare pronto con l’enigmatico 22, A Million, che provoca reazioni contrastanti. A me è piaciuto e tanto basta. Un’esperienza da fare.
    Bon Iver – 29 #Strafford APTS
  • Defensive Player of the Year:  Keaton Henson
    Come dire, Keaton Henson è Keaton Henson. Chi è più “difensivo” di lui.? Con il nuovo Kindly Now prova a buttare giù quella barriera tra lui e l’ascoltatore. Ci riesce con la consueta sensibilità e tristezza. Da ascoltare in totale solitudine.
    Keaton Henson – Alright
  • Most Improved Player: Kelly Oliver
    Dopo l’ottimo This Land, la cantautrice folk inglese compie un ulteriore passo avanti nella sua crescita artistica. L’album Bedlam è un concentrato di ballate folk senza tempo che traggono ispitazione dalla tradizione. Consigliatissimo.
    Kelly Oliver – Bedlam
  • Throwback Album of the Year: Soon Enough
    L’esordio di Erin Rae e dei suoi The Meanwhiles dello scorso anno è un album incredibilmente malinconico e emozionante. La voce di Erin Rae è tra le più e emozionanti che si possano sentire. Solo per malinconici cronici.
    Erin Rae And The Meanwhiles – Minolta
  • Earworm of the Year: Amerika
    Il gruppo canadese Wintersleep è tornato quest’anno in grande stile con The Great Detachment. Il singolo Amerika mi ha trapanato il cervello per settimane. Ritornello orecchiabile e tanto buon indie rock. Da ascoltare a vostro rischio e pericolo.
    Wintersleep – Amerika
  • Best Extended Play: Tide & Time
    Tanti EP quest’anno. Difficile scegliere ma sicuramente questo Tide & Time della cantautrice inglese Kitty Macfarlane è stato il più sorprendente. Voce unica e attenzione ai dettagli. Profondamente ispirato. Si attende un seguito.
    Kitty Macfarlane – Song to the Siren (Tim Buckley cover)
  • Most Valuable Book: I Racconti (1831 – 1849)
    Nonostante abbia letto libri con la regolarità di sempre, ho dato meno spazio a loro su questo blog. Senza dubbio la raccolta di tutti (o quasi) i racconti di Edgar Allan Poe è il libro dell’anno. Vi consiglio l’edizione di Einaudi con la traduzione di Manganelli.

Questo 2016 è stato un anno nel quale ho potuto ascoltare davvero tanti album e non tutti hanno avuto spazio in questo blog. Avevo intenzione di elencarli qui, in questo post di fine anno ma poi ci ho ripensato. Chissà magari meritano più spazio e l’anno prossimo lo troveranno. Nel 2017 ci saranno tanti ritorni e spero come sempre di avere il tempo di ascoltare musica e di scrivere in questo blog.

Buon 2017

Dolce come il miele

Ho avuto la fortuna di seguire Billie Marten fin dal suo EP d’esordio del 2014 e sono contento di poter ascoltare il suo album d’esordio intitolato Writing Of Blues And Yellows. Questa cantautrice a soli diciassette anni dimostra un talento innato che le ha permesso di scrivere canzoni molto belle e delicate. Billie Marten raccoglie in questo album tutto quello che ha fatto di buono in questi ultimi anni, aggiungendo diversi inediti oltre a demo e cover nella ricca versione deluxe. Writing Of Blues And Yellows è stato, per quanto mi riguarda, un album molto atteso nel quale cercavo conferme. E lo ho trovate.

Billie Marten
Billie Marten

Si comincia con il bel singolo La Lune, nel quale si trovano tutte le caratteristiche di questa cantautrice. Voce appena accennata e melodie dolci e confortevoli. La Marten riesce però sempre a trovare un ritornello, o un passaggio della canzone, che rimane in testa con facilità, “Breaking my back in the heart of this land / Feet above water and softened in sand / I could have wanted any part of this“. La successiva Bird faceva già parte del suo ultimo EP e si inserisce perfettamente in questo album. Una bella melodia e un pianoforte che fa da sfondo ad una delle canzoni più belle di questo album, “Nobody’s watching / Drowning in words so sweet / Mild is the water / Caught as a bird once free / I don’t mind“. Il singolo Lionhearted è ancora più delicata e eterea delle precedente, quasi sfuggente. Billie Marten riesce sempre a mettere in musica sensazioni spesso fragili e come ci riesca è per me un mistero. Soprattutto con testi così essenziali e semplici, “Oh this is lonely territory / I’ve got miles and miles ahead / How I wish that I was lionhearted / And if you talk to me I don’t reply / I am way over here on the otherside“. Segue Emily che non si allontana dalla strada tracciata in precedenza. Questa volta però i toni sono più cupi e tristi. C’è un senso di disagio interiore che pervade questa canzone, che appare come la più matura di questo album, “Take my coat and have it for your own / Out there’s a world that I’ve never been shown / It’s on the outside but, its a river too wide / For I’m weighted by this stone / It hangs at the back of my throat / And it hurts me so / And it hurts me so“. Milk & Honey vuole celebrare una vita lontano dalla frenesia dei nostri tempi. La voce della Marten e la sua musica sono perfette per portare questo messaggio alle giovani generazioni. Io sto con lei, “But all you want is milk / More than you can drink / All you want is honey / You can’t take the sting / You live for overkill / But you’re ungrateful still / All you want is honey / Well honey I tried / You just want more and now it’s all gone“. La successiva Green è una bella canzone, sempre delicata ma positiva e poetica. Billie Marten non ha paura di ripetersi e così facendo trova una sua espressione artistica riconoscibile e unica, “And I want you to hurt, my heart, like you always could / And I bet it would feel better, than this darkness / For I can do no good, for I can do no good“. Heavy Weather è una storia di una relazione tormentata come un temporale. Questa volta la Marten porta qualche sfumatura più rock nella sua musica ma lo fa con attenzione, dosando la voce e lasciando che tutto scorra da sé, “Together we walk the English winter / So caught up in one another / Who cares if we’re under thunders showers / The rain us ours and we are lovers of / Heavy weather / Heavy weather, heavy weather“. Unaware faceva parte del primo EP della Marten ed è una canzone nella quale si trova tutta l’energia e passione della sua giovane età. Una canzone che collega il recente passato dell’artista al presente e le dà slancio per il futuro, “Mind is so clouded and covered in smoke / What isn’t mine is starting to choke / You’re just a fly, you’ll be flying too close / Keep holding on but you’re wanting to be wild“. Hello Sunshine è un altra bella canzone, acustica e leggera. Billie Marten fa sembrare tutto semplice e naturale. La sua capacità di incantare e scaldare il cuore è impareggiabile. Tra le più belle dell’album c’è da inserire senza dubbio la straoridinara Live. Ancora un inno alla vita traquilla e serena con un sorriso appena accennato sulle labbra. Una canzone irresistibile per mille motivi. Inutile spiegare, meglio ascoltarla, “They say don’t go out / Don’t get lost in the dark / Don’t go in too deep / Don’t swim out too far / They say don’t go out / Don’t go out too fast / Cos I feel it all and I need to live a little at last“. Si continua con Theet, splendida ballata al pianoforte con tanto di uccellini in sottofondo. Billie Marten appare ancora più fragile, tutto in questa canzone è così delicato che si teme che ascoltandola troppo si possa letteralmente consumare. Per fortuna non succede, “We float upon the hills and on the grass / Speak words that they will hear but, never understand / And I’m writing this in a bad way / No one can hear what my head says“. Il suo titolo è Untitled e ci guida alla fine dell’album. Altro gioiellino plasmato dalla voce e dalla chitarra della Marten, che affonda ancora di più nel sogno, risultando sfumata e ammaliante. Chiude l’album una cover a cappella di It’s A Fine Day, “It’s a fine day / People open windows / They leave their house / Just for a short while“.

Writing Of Blues And Yellows è conferma di una delle cantautrice più talentuose degli ultimi anni. Billie Marten è solo agli inizi e non può che migliorare sotto ogni aspetto della sua musica. Ogni canzone di questo album è curata in ogni dettaglio, ognuna di esse sembra volerci portare verso un mondo più tranquillo e positivo, pervaso da una speranza che trova forza nelle piccole cose della vita. Non voglio perdermi in paragoni, non mi piace farlo, ma senza dubbio Laura Marling è la prima artista che viene in mente dopo aver ascoltato Billie Marten. A differenza della Marling che è sempre stata più spavalda nel suo modo di porsi, la Marten è all’apparenza più introversa ma non per questo meno sensibile. Questa cantautrice inglese è una di quelle cantautrice che non vorrei cambiassero mai, perchè sanno dare un senso di sicurezza e conforto non sempre facile da trovare.

Nient’altro

Era l’estate del 2014 quando ascoltai l’EP d’esordio di una giovanissima cantautrice inglese intitolato Ribbon. Billie Marten lo scorso anno è tornata con un nuovo EP presagio del primo album. Il suo titolo è As Long As ed è stato pubblicato lo scorso Novembre. Non potevo farmi scappare l’occasione di riascoltare una delle sorprese di quell’anno e così non è stato. Riecco dunque Billie Marten con un anno di esperienza in più alle spalle e una rinnovata voglia di fare dopo il cambio di casa discografica. Le premesse per un’altra dimostrazione di giovane talento ci sono tutte e Billie Marten dimostra di saperle sfruttare.

Billie Marten
Billie Marten

La prima di queste quattro canzoni è Roots, un pop dalle tinte pastello e l’inconfondibile voce della Marten, sempre delicata e cristallina. Appare subito più sicura di sé, una consapevolezza nei propri mezzi che si percepisce, “What am I? / What am I, alone? / Leave it all behind you, I’d love to / Cause I’ve got tired eyes and nothing to sink into / Somewhere to belong, to / Heaven knows I could find my place to be“. La successiva Cursive è più malinconica e la voce della Marten è calda e famigliare. Il suono della chitarra acustica da sostegno ad uno dei suoi brani più maturi e riusciti, “I write in cursive lines / And I need the help / I miss the shoulder of knowing / Nothing else / And I will never be / I will never be myself / I will never be / I will never be too well“. Segue Bird che richiama maggiormente le sonorità del precedente Ribbon. Voce angelica e pulita ci trascinano nel delicato ed evanescente mondo della Marten. Impossibile non rimanere incantati dal suo genuino e sincero talento, “Hope is a distance unreached / Ink on her skin incomplete / And the faint sound of friends / As she neared to the end she had peace / Nobody’s watching / Drowning in words so sweet / Mild is the water / Caught as a bird once free“. Chiude, purtroppo, la bella As Long As, nella quale Billie Maten sembra cantare solo per noi. Ci sono tracce di soul nella sua voce e nella musica, delicate ma profonde. Un finale strumentale impreziosisce il brano prima della fine, “And it’s been hard / And your body bears the weight of it all / And we’re bound and broken in two in ourselves / And I know / We’ll start all over again / Grow a new, soft skin / And through it all we’ll fight them off / As long as I have got“.

Con queste quattro canzoni Billie Marten rafforza in me la convinzione di trovarmi davanti ad un’artista che ha qualcosa di speciale. La voce e la musica sono dosate alla perfezione, mai eccessive e stucchevoli. As Long As è un altro assaggio del suo talento che attende di trovare il suo compimento in un album. Un esordio che promette di essere uno dei più interessanti del 2016 e io sono in prima fila ad aspettarlo. Billie Marten scioglie anche i cuori più duri, le basta una chitarra, il resto lo fa la sua voce e le sue parole.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Inconsapevoli speranze

Un’altra delle novità che ho ascoltato quest’estate è il primo EP della giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. Avevo già scritto di lei in occasione dell’uscita di Ribbon, che ora ho potuto ascoltare interamente. Inutile nascondere la sua età, quattordici anni, perchè ormai lo sanno tutti e si vede. Ma non si sente. L’interpretazione dei brani e la loro straordinaria maturità non sembrano essere attribuibili ad una adolescente che ancora non si può definire del tutto tale. Certo non si tratta di canzoni che sembrano fatte da una trentenne ma da una ventenne di certo sì.

Billie Marten
Billie Marten

La traccia di apertura è anche quella che da il titolo all’EP, ovvero Ribbon. A mio parere la canzone più bella delle quattro che lo compongono e quella nella quale si intravedono le potenzialità della ragazza. Rilassante, delicata e cantata sottovoce quasi a non voler disturbare l’ascoltatore. Un piccolo gioiellino che ricorda Laura Marling, alla quale è stata paragonata più volte. La successiva Unaware ha sonorità meno folk rispetto alla precedente ma è ugualmente valida e fresca dalla quale viene fuori maggiormente la giovane età dell’interprete. In For The Kill è una cover dell’originale di La Roux. Sarà perchè la musica di La Roux non è il mio genere ma questa cover è decisamente meglio dell’originale. Una dimostrazione di talento. Questo EP si chiude con I’d Rather. Forse la canzone meno sorprendente di tutte che viaggia su binari pop piuttosto collaudati ma non significa che ciò sia un male.

Billie Marten è stata accostata a diverse interpreti femminili del nuovo folk cantautorale ma a mio avviso ho sentito maggiori assonanze con la collega e connazionale Gabrielle Aplin. Quest’ultima privilegia un pop fresco e poco radiofonico e la Marten non mi sembra molto lontana da lei, considerando gli eventuali sviluppi che avrà la sua musica di pari passo con l’età. Non mi resta che tenere sott’occhio Billie Marten e aspettare qualche uscita un po’ più corposa per capire se è un fuoco di paglia o la luce di una stella pronta a nascere.

Mi ritorni in mente, ep. 19

Un anno e più è passato dall’uscita dell’album d’esordio di Gabrielle Aplin. Ascolto ancora oggi English Rain con piacere e devo ammettere che mi piace più di allora. Una canzone però si ripropone spesso nella mia testa e questa canzone è Take Me Away, bonus track dell’album in questione. Trovo che questo brano sia uno dei migliori della giovane cantautrice inglese. Una canzone semplice e sincera, riproposta di recente da questo video realizzato durante le registrazioni dell’album d’esordio. Spero che la Aplin torni il prossimo anno con un nuovo album. Il 2015 si prospetta ricco di nuove uscite per me, anche perchè questo si è rivelato un po’ magro.

Anche se a dire il vero un’uscita che mi riguardava c’è stata. Si tratta di Ultraviolence di Lana Del Rey, artista della quale avevo già scritto su questo blog nel Gennaio dello scorso anno. Non mi era affatto dispiaciuta, l’ho sempre considerata “a simple prop to occupy my time” (cit.) e niente di più. Questo suo secondo album non è che lo attendessi con la bava alla bocca e infatti mi sono deciso solo ora ad ascoltarlo. L’estate non ha portato novità particolarmente interessanti e allora rieccoci con Lana Del Rey. In aggiunta già, che c’ero, mi sono impossessato di Birthdays di Keaton Henson, Magnolia EP di Wilsen e Native Dreamer Kin delle Joseph. Tutti ascolti “alla cieca” e vada come vada. Questa estate ho dovuto riempirla con un po’ di nuova musica e mi dedicherò all’ascolto di questi album non prima di passare per i Patch & The Giant, Bille Marten e Laura Marling. Così mi preparo per le nuove uscite dell’autunno (forse qualcosa anche in Agosto e Settembre potrebbe arrivare), per il quale, voci di corridoio, è previsto il nuovo di Florence + The Machine. Vabbè, ora non pensiamoci, mi sono fatto una bella scorta per le prossime settimane. Ora però faccio un passo indietro e ritorno ad ascoltare Gabrielle Aplin.

Take me away from the demons in my brain
Take me out to the world
Take me out into the day
And let me find
My peace of mind

Non ci capisco nulla

Voi cosa facevate a quattordici anni? C’è chi ha questa età è già pronta a pubblicare un EP. Sto parlando della giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. I soli paragoni con Laura Marling, Rachel Sermanni e Lucy Rose mi sono bastati per provare ad ascoltare il singolo d’esordio Ribbon. Provate voi a concedere un ascolto. Non si può rimanere indifferenti di fronte ad una maturità artistica (forse ancora un po’ di facciata) così precoce. La ragazza si era già cimentata in diverse cover, tra le quali anche Lucy Rose, all’età di dodici anni. Fa quasi impressione pensare che a quattordici anni si possa cantare con tanta sicurezza e semplicità e non è un caso isolato. In questi ultimi anni succede spesso che artisti poco più che ragazzini sfornino album che alcuni colleghi più grandi di loro non si sognano nemmeno. La stessa Marling esordì a sedici anni e oggi è la regina del folk di nuova generazione. Anche la già citata Rachel Sermanni sta facendo passi da gigante affermandosi sempre di più come un artista di tutto rispetto, nonostante i suoi ventidue anni, un album e una manciata di EP.

Quando guardo in casa nostra purtroppo non vedo niente di tutto ciò. Forse sono io che non mi impegno abbastanza a cercare. Forse non ne ho nemmeno voglia. Forse perchè tutto il nuovo in Italia sembra uscire dai talent show e, se devo essere sincero, un po’ mi indispone. Vincono il talent e si sentono arrivati, invece di sentirsi come esordienti. Ed eccoli già supponenti che strillano su un palco, spinti dalla televisione e dalle case discografiche. Ogni tanto penso a cosa potrebbe rimanere dei giovani cantanti italiani, che poi a ben guardare, spesso, non sono nemmeno poi tanto giovani. Trentenni o ultratrentenni che cantano canzoni adolescenziali con testi tanto banali da non notare nemmeno quanto sono banali. Io personalmente non riesco a comprendere come si possa pensare, scrivere, cantare e pubblicare canzoni così raffazzonate e prive di qualsiasi intento artistico. Probabilemente sono io che non ci capisco nulla. Perdonatemi se continuo a cercare e ascoltare musica straniera ma proprio non ce la faccio. Billie Marten ha quattordici anni e canta come una trentenne e qui in Italia abbiamo trentenni che cantano come quattordicenni. Questo abbiamo e questo ci meritiamo. Metto in lista questo EP in uscita a Giugno e sono contento così. Anche se un po’ mi piacerebbe trovare qualcosa di italiano o forse no. Non so mai come finire questo genere di articoli. Ci metto dei puntini…