Ho sempre provato a scrivere qualcosa. Questo è un racconto che ho scritto ispirandomi al maestro Poe e al suo erede Lovecraft. Non ho saputo dargli un titolo. Non ha importanza.
Mi trovavo chiuso dentro una stanza. Non potevo vedere, non potevo sentire. Solo un’aria mortale e densa invadeva le mie narici e ricopriva il mio corpo come un sudario. Non potevo immaginare un futuro per me, non c’era speranza. Qualcosa strisciava lungo i muri. Non avrei avuto scampo da quella creatura, un futuro non ci sarebbe stato. Dovevo impedire a quella creatura di avvicinarsi a me. Forse mi era già accanto, forse mia alitava sul collo pronta a mordermi. Mi potrebbe stringere tra le sue immonde mascelle, colme di denti memori di centinaia di corpi dilaniati. Il suo odore lo sentivo nella gola, la sua malvagità la sentivo nella mia testa. Mi parlava, la creatura. Mi intimava di stare fermo e di rispiarmare il fiato. Il mio corpo trovò nuove forze con queste parole che significavano che potevo gridare e divincolarmi per allontanare la bestia. Gridavo ma non potevo sentirmi. La creatura gridava ancora più forte e io cercavo di liberarmi dalla sua presa. La mia gamba era sua prigioniera e non potevo liberarla. Dovevo provarci con tutte le forze. Più tiravo e più la bestia rinsaldava la presa. La creatura continuava a strisciare lungo le pareti, le sentivo vibrare sotto gli artigli, sentivo la polvere che invadeva la stanza. Continuavo a gridare, tentando di liberare la gamba dai tentacoli del mostro. Stringeva senza tregua e io senza tregua tiravo. La polvere saturava l’aria ormai irrespirabile. Non avevo futuro. La bestia era vicina. La stanza sussultò, lo stridore dei suoi artigli giuse fino alle mie ossa. Di nuovo polvere. Nella mia gola piccoli demoni aveva acceso i loro fuochi e avrebbero chiamato a loro l’orrenda creatura, la sua bocca li avrebbe liberati. Ora potevo vedere l’occhio della bestia. Si apriva, bianco, accecante. Il mostro mi parlava più forte, mi diceva di stare immobile, di non gridare. Di nuovo quelle parole mi infusero nuove energie e ne approffittai per liberare la gamba. Gridavo sempre più forte finchè il tentacolo della bestia mollò la presa. La salvezza mi restituiva il futuro, un grido disumano fece divampare i fuochi dei piccoli demoni. L’occhio del mostro esplose in un fragore di artigli. Dalla sua bocca uscirono migliaia di serpenti e tentacoli che si avventarono sulle mie braccia. Salirono lungo le spalle e cominciarono a stringere. Potevo sentire il suo fiato. Di nuovo quelle parole, di nuovo quella forza. Mi liberai con un strattone, ritrovai l’uso delle braccie e delle mani. Con tutta la forza che era rimasta nel mio corpo massacrato, tolsi ogni segno di vita alla creatura. Sotto le mie dita sentivo la sua gola scricchiolare. Stringevo forte quanto la bestia aveva stretto la mia gamba. Le forze mi abbandonarono. Ricaddi sulla schiena e accanto a me vidi un uomo. Il volto sfigurato dal dolore e la gola deformata provocarono in me un senso si rimorso così orribile che non riesco a descrivere. Oltre il mio petto potevo vedere la mia gamba ancora sotto una pesante trave di legno. La gamba ed io distavamo un paio di metri e non eravamo più una cosa sola. Calcinacci e polvere di cemento erano diventati la mia tomba e qulla del mio soccorritore. In quel momento ricordai il boato, il nemico nei cieli e poi il buio. Infine la bestia.