Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 2

A chi segue, come me, le nuove uscite discografiche e qualche notizia musicale qua e là, non sarà sfuggita quella del nuovo singolo di Beyoncé. Perché ha fatto notizia? Prima di tutto per la sua svolta country, un genere spesso considerato “di nicchia” e poi perché lei è afroamericana e qualcuno né ha approfittato per fare polemica. In realtà, questo è solo il punto più alto di una riscoperta della musica country da parte del pop mainstream, di cui Beyoncé è una delle massime esponenti da decenni ormai. Personalmente sono contento di essermi appassionato alla musica country anni fa, prima che diventasse cool e questa rinascita non mi lascia del tutto indifferente.

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La strada ritrovata

Anche se non troverete il nome di Summer Dean tra le pagine di questo blog, non significa che il suo album di debutto del 2021, intitolato Bad Romantic, non sia tra i miei preferiti di quell’anno. Un debutto il suo arrivato a poco più di quarant’anni, quando Summer ha deciso di dismettere i panni di insegnante e dedicarsi completamente alla vita di cantautrice country. Una scelta rischiosa ma dettata da quell’urgenza, quel fuoco che brucia dentro e non a cui non è facile resistere. Il suo nuovo album The Biggest Life è prima di tutto la conferma che la strada è presa e che la scelta è stata quella giusta. Cos’ha di speciale la musica di Summer Dean? La voce unica. Ha qualcosa di speciale, quel genere di voce che incanta al primo ascolto e vorreste riascoltarla ancora e ancora. Diventando così una voce familiare, che ci canta quanto è bello fare ciò che si ama.

Summer Dean
Summer Dean

Se vi piacciono le ballate country, Summer Dean ne ha da offrirvene a sporte, a cominciare dalla bella Big Ol Truck, passando per I’ll Forget Again Tomorrow. L’amore e la vita sono una costante ispirazione per la Dean come la triste She Ain’t Me o la riflessiva Other Women, nella quale la protagonista desidera uscire dalla routine quotidiana di madre. Lonely Girl’s Lament è un’altra ballata solitaria e malinconica che poggia sulla voce carismatica della Dean, capace di regalare sempre qualche brivido. Le ballate terminano con Can’t Hide The Heartache From Her Face, un valzer country che è pura poesia. Una dei quella canzoni che non mi stancherei mai di ascoltare. Queste ballate fanno da contrasto per la parte dell’album più scanzonata e tipicamente honky tonk, a cominciare dalla traccia che dà il titolo all’album The Biggest Life Worth Living Is the Small, una celebrazione della vita fatta di piccole cose. Ancora più trascinate è Might Be Getting Over You, che fa coppia con Clean Up Your Act If You Wanna Talk Dirty To Me, dal piglio rock e divertente come l’irresistibile The Sun’s Gonna Rise Again. Ma non è finita qui, Summer Dean ha altri assi nella manica e ci regala due canzoni che rappresentano una variazione sul tema dell’album. Move Along Devil esplora territori più blues ma che ben si sposano con la voce della Dean. Voce che incanta anche senza cantare come succede in Baling Wire.

The Biggest Life è un ottimo album country, c’è poco da aggiungere. Potrei scrivere della voce di Summer Dean e della sua passione per questo genere musicale che trasmette ad ogni singola nota, per la sua scelta di vita, per la sua terra ma sarebbe tutto inutile per che non servirebbe a nulla. È sufficiente ascoltare questo album (e anche il precedente Bad Romantic) per trovare parole migliori di quelle che potrei scrivere io qui. Quindi mi faccio da parte e lascio che sia Summer Dean a spiegarvi cosa sia la musica country e come andrebbe fatta. L’unico difetto di questo album che mi mette in difficoltà nello scegliere una sola canzone da farvi ascoltare per convincervi The Biggest Life va ascoltato per intero con tutte le sue tredici canzoni.

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Non c’è nessun altro da incolpare

Dopo l’album We Still Go To Rodeos uscito nel 2020, nel pieno del lockdown, e i problemi di salute che l’hanno colpita duramente lo scorso anno, è tornata Whitney Rose con il suo nuovo Rosie. Si tratta del sesto album di studio dopo la svolta in direzione di un country più rock e meno tradizionale. Questa scelta però sembra essere già stata archiviata fin dai primi singoli tratti dall’album, quasi ha voler lasciarsi alle spalle anni difficili tornando alle sonorità dei primi lavori. Whitney Rose è una delle prime cantautrici country che ho iniziato a seguire e riservo a lei un posto speciale nella mia musica. Nonostante qualche trascurabile passo falso, quest’artista è riuscita a produrre ottime canzoni, sempre piacevoli da ascoltare.

Whitney Rose
Whitney Rose

A partire da Tell Me A Story, Babe è chiaro che ci troviamo di fronte ad un album profondamente diverso al precedente. Questa ballata country ci introduce alle atmosfere confidenziali che ritroviamo anche un’altra canzone, l’ottima Mermaid In A Pantsuit che va a chiudere l’album. Le sonorità degli esordi sono rilanciate da canzoni come Memphis In My Mind, che con sue chitarre e il suo ritmo ci fa restituisce tutto il carisma della voce della Rose. Lo stesso vale per la malinconica You′re Gonna Get Lonely e per la scanzonata Honky Tonk In Mexico. L’unica cover dell’album è Can’t Remember Happiness, che si affida ad un country dalle vaghe tinte rock nella corde della Rose ma preso in prestito da Joanne Mackell. Una canzone carica di nostalgia del passato. Barb Wire Blossom è un’altra canzone che ricorda le migliori della cantautrice americana, grazie ad un mix di country e rock ed un pizzico di romanticismo. I Need A Little Shame torna sui ricordi, riflettendo sugli errori del passato, rimanendo fedele alle sonorità dell’album. Il country più puro arriva con Minding My Own Pain, che ancora una volta vede la Rose fermarsi e riflettere, affidandosi a sonorità ben rodate e di sicuro effetto. Per finire My Own Jail, che con la sua anima blues ci mostra l’abilità come autrice della Rose, capace di tirare fuori un sound senza tempo, un country rock vecchio stile.

Con Rosie si ritorna perlopiù ad un country classico rinunciando di proseguire sulla strada del precedente album. Con questa scelta Whitney Rose ritrova un’ispirazione ben bilanciata tra canzoni più malinconiche e altre più spensierate, dimostrando un ottimo stato di forma. Questo album si distingue soprattutto per la sua uniformità, quasi come se ogni canzone prendesse spunto da un’ispirazione comune, che viaggia sottotraccia. Rosie è un album che ci riporta una Whitney Rose al suo meglio (oltre che evidentemente in salute), facendoci ascoltare quello che potrebbe essere uno dei migliori album country di quest’anno, riaffermandosi, in questo modo, come una della cantautrici più talentuose della nuova generazione.

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Non ci sono più cowboy in questa città

Correva l’anno 2020 quando uscì l’album di debutto della cantautrice americana Brit Taylor. Per qualche motivo che non ricordo, non scrissi nulla riguardo a Real Me ma quando quest’anno ho letto notizia che sarebbe stato pubblicato il suo seguito dal titolo Kentucky Blue non ho esitato ad ascoltarlo. Evidentemente, pur non impressionandomi in modo particolare, Real Me mi aveva lasciato delle buone sensazioni. Di solito tendo ad abbandonare un artista quando mi accorgo che, con il passare del tempo, si riducono gli ascolti e dimentico praticamente ogni canzone. Nel caso di Brit Taylor non è stato così, perciò eccomi qui all’ascolto del nuovo Kentucky Blue.

Brit Taylor
Brit Taylor

Si comincia con Cabin In The Woods che mette subito in chiaro che le sonorità marcatamente country saranno una caratteristica che si farà sentire per tutta la durata dell’album. Lo confermano canzoni come Anything But You o la bella Rich Little Girls che richiamano anche lo stile honky-tonk, che ritroviamo in modo particolare nella trascinante Ain’t Hard Livin’. La title track Kentuky Blue apre alle ballate country con le sue melodie malinconiche e la voce morbida della Taylor che impreziosisce anche la lenta No Cowboys. Con canzoni come queste l’album prende una piega più sentimentale e distesa, dolce e un po’ nostalgica, di cui fanno parte anche Loves Never Been That Good To Me, dalle atmosfere romantiche e la poetica ed essenziale Best We Can Do. Non mancano momenti dl piglio blues come If You Don’t Wanna Love Me che ci fanno ascoltare una Brit Taylor decisamente a suo agio. L’album si completa con For A Night che vira su sonorità dal sapore pop ma ben bilanciare dalla voce dolce della sua interprete ed autrice.

Ad un primo ascolto Kentucky Blue si fa ricordare per le sue canzoni più accattivanti nelle quali si fanno sentire maggiormente il trio banjo, pedal steel e pianoforte. Le ballate scivolano via ma con gli ascolti successivi assumono sempre più importanza all’interno dell’album, facendoci apprezzare la varietà di colori a disposizione nella tavolozza di Brit Taylor. Proprio in questa varietà si riconosce il talento e la gavetta che questa cantautrice si porta dietro, riuscendo ad evitare di cadere in un country pop stucchevole e ripetitivo. Kentucky Blue è un bel passo in avanti rispetto al precedente Real Me, anche grazie alla produzione di una vecchia conoscenza del country come Sturgill Simpson che ha saputo tirare fuori tutto il talento della Taylor. Insomma Kentucky Blue è un perfetto album country per chi ama passare da momenti spensierati ad altri più malinconici senza strappi o brusche frenate.

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Mi ritorni in mente, ep. 88

Tra le uscite dello scorso anno mi sono lasciato scappare, per così dire, l’album Peculiar, Missouri del cantautore e poeta statunitense Willi Carlisle. Si tratta del suo secondo disco ma non mancherò di approfondire la sua discografia il prima possibile. Inutile aggiungere che sono bastati pochi ascolti per ammirare la sua capacità di raccontare storie ed essere sincero con chi ascolta, catturato dalla sua voce e dal carisma del classico artista country un po’ scapestrato.

Oggi vi propongo Vanlife solo perché ho dovuto fare una scelta e questa canzoni è anche accompagnata da un bel video. Ma ci sono molte canzoni che meritano un ascolto in questo Peculiar, Missouri. Come ad esempio la splendida ballata Tulsa’s Last Magician o Este Mundo dalle melodia messicane. Non posso non invitarvi ad ascoltare anche l’intensa I Won’t Be Afraid o Rainbow Mid Life’s Willow che ricorda le sonorità folk anglosassoni. Oppure se vi piace il bluegrass, The Down and Back fa per voi ma se preferite qualcosa di più particole c’è la title track Peculiar, Missouri, interamente recitata. Insomma c’è un po’ di tutto in questo album e questa Vanlife ne è solo un assaggio.

Se fossimo fiammiferi, ci sarebbe il fuoco

Solitamente non sono il tipo che va in cerca di musica che mette allegria. Preferisco le melodie malinconiche e talvolta anche un po’ sentimentali. Capita a volte però, che le canzoni allegre trovino me. Spesso non sono di mio gusto e le scarto in fretta. Quando però l’artista si presenta con un sorriso sincero e una melodia orecchiabile di un genere musicale che preferisco, allora non mi resta che concedere un ascolto. Questo è il caso di Emily Nenni, cantautrice americana al suo secondo album, intitolato On The Ranch. Non ci è voluto molto per trascinarmi in un country spensierato, dalle sonorità vintage ma sempre gradevoli e accattivanti. Potrei ricredermi sulla musica allegra.

Emily Nenni
Emily Nenni

Can Chaser ci accoglie subito con un bel sound country che ci presenta una tipa davvero tosta, la regina del rodeo. La voce della Nenni è particolare e riconoscibile, perfetta per questo genere di canzoni, “She’ll ride that Appaloosa / In head-to-toe rhinestones / Roughie or a roper / Never you mind who she takes home / She’s no buckle bunny / She’s got some of her own / Clover leafin’ woman / You call her backyard grown“. La successiva Useless è tra quelle che preferisco di questo album. Un ritornello irresistibile, che rivendica il diritto di guadagnasi da vivere. L’interpretazione di questa artista è perfetta, “Oh, I’m workin’ to make a livin’ and that feels good, you see / Oh, I’m worthy and I’m willin’, I’ll bark and I’ll bite for free / Oh, I’ll try, try, try, you can bleed me dry / Oh, I’m useless if you ain’t got no use for me“. La title track On The Ranch è una divertente istantanea della vita in un ranch. Qui viene a galla tutta la simpatia e la spontaneità della Nenni, “Kitchen’s for two-steppin’ and trappin’ mice / Afternoons are for off-roadin’ and not thinkin’ twice / Crankin’ diesels be three for three, that way, you’ll be better company / Hangin’ ‘round, better be handy; early nights, oh, they can be nice“. C’è posto anche per le ballate come questa malinconica Leavin’. Una storia d’amore finita offre l’ispirazione per un brano sentimentale, addolcito dalla voce della cantautrice, “Bet you been plannin’ your great return / Some Sunday evenin’ / Once you were ready, and hands were steady / You’d come back beamin’ / There won’t be tears of joy, I’ve no more feelin’ / I haven’t missed you, you haven’t missed me / And I’m just leavin’“. In The Mornin’ è invece un’altra canzone ironica su una vita piena di impegni e sempre di fretta. Emily Nenni si affida al suo stile personale, per offrirci un’altra canzone leggera e orecchiabile, “In the mornin’, I got work to do / And in the afternoon, I’m a-walkin’ the dog / And come dinner time, taste what you been cookin’ / When the sun comes up, I’m hittin’ the road / Two sugars in my coffee to go“. Matches si ispira ancora all’amore, dando vita ad una bella canzone carica di sentimento. Una piccola variazione all’interno di questo album, “As the last cigarette goes out from lack of kisses / This smoke-filled room is full of wishes / The light in the corner tells I’m a liar / And if we were matches, there would be fire“. Segue Gates Of Hell che con amara ironia affronta la fine di un amore che sembrava destinato a durare a lungo. Un ballata country che si lascia ascoltare e scivola via leggera, “If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell / I’ll be the one punchin’ the tickets / And weighin’ your bags as well / I was young and I thought pain was / A symptom of bein’ loved awful well / If that makes me the devil / I’ll greet you at the gates of Hell“. L’unica canzone non originale di questo album è Does Your Mother Know. L’originale è infatti degli ABBA e questa versione in chiave country è davvero ben riuscita, “Take it easy (Take it easy) / Better slow down, girl / That’s no way to go / Does your mother know? / Take it easy (Take it easy) / Try to cool it, girl / Take it nice and slow / Doеs your mother know?“. The Rooster And The Hen è un honky tonk immediato e trascinante. La Nenni dimostra di saperci fare anche in fatto di scrittura, affrontando tutto con leggerezza e immancabile ironia, “Well, the rooster and the hen met at a honky tonk / She was sittin’ pretty as a bump on a log / He’d ruffled many feathers under plenty of roofs / Wasn’t all that long ‘til they shared a coop“. Si chiude con Get On With It che abbraccia un country blues graffiante. Anche in questo caso quest’artista sa mettersi a suo agio e confezionare un’altra bella canzone, “The world is fixin’ to fall apart / Best that I can do, try to halt the hurt / Sit my ass at home, call my sisters on the phone / Spend my days and nights alone, throw my dog a bone“.

On The Ranch è un album country dal sapore genuino, condizionato dall’energia e la vitalità di Emily Nenni. Il sound senza tempo delle sue canzoni fa subito presa e non importa che sia qualcosa di già sentito. Perché se si sceglie un album come questo non è per ascoltare qualcosa di innovativo ma tutt’altro. Oltre alle canzoni più spensierate ed ironiche, offre momenti più malinconici e riflessivi, sempre però supportati da una positività che non manca mai nella scrittura di questa cantautrice. Anche se On The Ranch non avrà la visibilità di altri album country, sono sicuro che rappresenterà un punto di partenza per la carriera di Emily Nenni. La voce particolare, l’abilità nella scrittura e la spontaneità non mancano ma farsi strada nell’affollato panorama musicale di Nashville non è affatto facile. Non resta che aspettare, godersi On The Ranch e vedere un po’ che succede.

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Consunto come un vecchio paio di jeans

Anche se non troverete il nome di Kelsey Waldon tra le pagine di questo blog, il suo album del 2019 intitolato White Noise/White Lines è nella mia collezione da allora. Non so esattamente il motivo per cui non ne ho scritto al riguardo ma quando è uscito lo scorso agosto il nuovo No Regular Dog ho pensato subito che fosse giunto il momento di spendere due parole per questa cantautrice country americana. Il suo è un country dal sapore tradizionale caratterizzato dalla voce unica e carismatica della Waldon. Tutto questo mi basta e avanza per sapere che avrei ascoltato un buon album country ma le sorprese non mancano mai.

Kelsey Waldon
Kelsey Waldon

La title track No Regular Dog è stata scelta per aprire l’album. Un country guidato dal suono delle chitarre e della pedal steel, sul quale riflettere su ciò che si è diventati, “Daddy loved his work, I guess I do too / Same old show, a different place, another person / Just grinnin’ in your face / But look what got me here, look at what I’ve become / Another highway, another song / Don’t it all sound sweet when we all sing along?“. Sweet Little Girl è una bella canzone venata di quella malinconia che solo questo genere di musica sa evocare. Sfumature blues e la voce della Waldon rendono tutto perfetto, “Sweet little girl, straight off the farm / Didn’t mean nobody, didn’t mean nobody any harm / Sweet little girl with her mama’s charm / Took everything she had to not put daddy’s money in her arm / I said nobody’s raisin’ you now, she said nobody ever did / So what’s it matter anyhow?“. La successi Tall And Mighty è una ballata nella quale questa cantautrice torna a fare i conti con il tempo che scorre e le scelte che ha compiuto, “Some days you’re gonna feel real fine / On top of the world, on cloud nine / Can’t nobody touch you when you’re after your piece of the pie / Other days you won’t feel alright / Other days you wanna break down and cry / Blow up in smoke like some ol’ pipeline, like teargas in the sky / You can’t stand tall and mighty all the time“. Un country folk si dispiega sulle note di un violino in You Can’t Ever Tell. Una canzone che racconta come la vita può essere imprevedibile e che si può cambiare, “You might wanna cut loose / You might kick off your ol’ boots / You might let down your hair / But now they’re coming in pairs / And they just might put you in a suit“. La malinconica Season’s Ending si affida alla voce della Waldon per cantare un invito ad apprezzare le piccole cose, perché tutto ha una fine, “I’ve heard it said that God don’t make no mistakes / But it’s hard to say that God don’t wear a crooked smile / I suppose the one that gives is the one that takes away / Seems like you can’t have Heaven on earth without hell to pay“. History Repeats Itself è tra le canzoni che preferisco di questo album. Una storia di fuga e riscatto che corre lenta ma inesorabile con la voce della Waldon tagliente come un coltello, “Worn out like an old pair of denim, I’m faded / Politicians pushin’ pills wanna keep me sedated / Keep the poor in prison and interrogated / Don’t history repeat itself? Find your faith in somewhere’s else / Gotta get out before I kill myself“. Blackwater Blues è un orecchiabile country blues che si fa amare dalle prime note. Una canzone che da ascoltare e riascoltare, “Oh mama, seems like the water’s been ten feet high / And I just don’t understand why it makes me cry / If I can keep it together ‘til the spring / When that damn river runs dry / I’ll count my blessings, just like the stars / That are in the sky“. Simple As Love è una ballata che parla della bellezza dell’amore nella sua semplicità. Sono ancora le cose semplici ad essere importanti nella vita, “Simple as a cotton dress / Patient as the moon never in contest / Just like a heart beats in a chest / It knows what it needs to survive / Love, love, love simple as love / Love, love, love simple as your love“. Segue Peace Alone è una ballata country dove è possibile trovare tutto quello che si può chiedere ad una ballata country. Non c’è bisogno di aggiungere altro, “There ain’t no money in this world that could fix you / Not if you don’t have peace, I know / You can toil all day, worry your life away / But that’s a hard row to hoe, reap what you sow“. Progress Again è un’altra ballata riflessiva ed intima. La voce della Waldon, sincera e sicura, non manca di catturare l’attenzione, “There’s time’s I’ve been rough, been a little too rowdy / Been a little too selfish cause I needed a friend / Whether I’m up or I’m down or this dream’s getting cloudy / I’ll write it all down as progress again“. Si finisce con The Dog (Outro) che riprende l’intro della traccia di apertura per chiudere il cerchio di questo album.

No Regular Dog è un album solido nel quale ogni canzone si completa con le altre, dove non c’è un solo passo falso o momenti bassi. Kelsey Waldon oltre ad avere talento come cantautrice, ha dalla sua anche una buona dose di esperienza che la guida nei territori polverosi della musica country. Lo stile della Waldon è tradizionale sia nelle sonorità che nelle tematiche ed è per questo che mi piace. No Regular Dog è uno degli album country migliori che ho potuto ascoltare quest’anno, nonché uno dei più sinceri e orecchiabili. Non mi resta che riscoprire Kelsey Waldon andando a ritroso nella sua discografia. Non vorrei mi fossi perso qualcosa che non merita affatto di essere perso.

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La morte di mille sigarette

Stacy Antonel è uno dei nuovi nomi della musica country che mi sono appuntato sin dai tempi del suo primo EP, Ginger Cowgirl, uscito nel 2019. Tre anni dopo eccola debuttare con Always The Outsider con un country ricco di influenze, che vanno dal jazz al R&B. Un country un po’ diverso da quello che si può ascoltare di solito e per questo mi ha incuriosito fin da subito. Sono dovuto uscire però dalla mia comfort zone per poter apprezzare fino in fondo questo album. Il mio sforzo è stato ripagato.

Stacy Antonel
Stacy Antonel

La title track Always The Outsider apre l’album viaggiando sulle sonorità della classica ballata country. La voce della Antonel è sicura e venata di una forza, dettata forse dalle difficoltà di essere un’artista, citate proprio nel testo di questa canzone, “Burned by my own fire / watching my own hunger / eat me alive / I’ve got no one to blame / thought I was too good to play / It’s been a rough two years / ‘cause I was wrong“. Karmic Cord è una canzone personale e sincera su una relazione che finalmente è stata interrotta. Qui si intravedono le influenze musicali che caratterizzano il country di quest’artista, “A nagging seed of doubt told me I shouldn’t stay / Thought it might go away / but it grew / Slowly it took over my entire chest / Brambled and bloomed and crept / And I knew“. La successiva Kicking And Screaming è una ballata western che dimostra come questa cantautrice ci sappia fare. Ancora una canzone per una delusione d’amore, “There’s not enough liquor in the world / for you to seem like a good idea again / Is your breath still hot, still stale / from the death of a thousand cigarettes“. Planetary Heartache è un lento country blues che racconta di un amore troppo grande finito troppo presto. Ancora una volta la Antonel si dimostra a suo agio anche con qualcosa di diverso, “It took an alien for me to feel / That earthling love is all too real / Well you left me and went back to Mars / Left me with a planetary heartache“. Più scanzonata è Heartbroken Tomorrow che risulta essere una delle canzoni più accattivanti e orecchiabili di questo album anche grazie ad un bel assolo di chitarra nel finale, “Heartbroken Tomorrow / Catatonic today / There’s no sorrow / It’s lying in wait / Eyes on the ceiling all night long / Slowly the shadows cross the walls / Saw you on the street with my own eyes / Where were you going? And why did you lie?“. Più malinconica e riflessiva è la bella Absent Captain. Un senso di spaesamento e incertezza è quello che il testo evoca, lasciando a chi ascolta la libertà di interpretarlo, “I’m from another plane / Where bodies don’t exist / Called me down to earth / Flesh from the abyss / Ooooh / Ooooh / There’s no captain on my ship / There’s no captain I’m adrift“. Lo spirito malinconico del country emerge in Texas Lasts Forever. Tra pedal steel e chitarre, questa canzone corre leggera grazie al suo stile un po’ vintage, “The car gets so crowded with all three of us / And all this time my anxious mind treads the same old lines / Wondering if he’ll be there / When my key turns in the lock / He & I & Texas can’t say goodbye“. You Can’t Trust Fate è un’ottima ballata country folk dalle atmosfere notturne e fumose dei bar. Una canzone tra le più belle e ben scritte di questo album, “They pushed through the crowd / To where the bar curved and met the wall / The music was loud / Soon the bartenders were threatening last call / They ignored it all“. Altrettanto si potrebbe dire di I Talk When I’m Nervous. Una canzone d’amore e sentimento nella quale la Antonel ci mostra il suo lato più intimo e sincero, “I talk when I’m nervous / I drink beer too / But I want to be bold / when I’m around you / You’re at the piano / your guitar’s in my hand / Your smoke billows skyward / toward the ceiling fan“. I’m Not Looking For Love è una canzone breve ma che ribalta l’idea di essere perennemente in cerca di un’amore. Una canzone d’amore al contrario praticamente, “I’ve got a heart like Magellan / And a pussy in rebellion / I’m tempted by the offer / But love conquers / Maybe this all changes tomorrow / But not today“. Si chiude con Better Late Than Never che torna ad affrontare uno dei temi di questo album: la vita da cantautrice country. Non tutto è bello come appare ma chi tiene duro alla fine sarà ripagato di tutto, “You’ve gotta see and be scene / Took me awhile to wake up / Better late than never / hate the game but now I’m playing / Now I’m playing“.

Always The Outsider ci fa conoscere una cantautrice emergente che ha tutte le carte in regola per regalare soddisfazioni, sia a sé stessa che a noi ascoltatori. Stacy Antonel riesce a proporre un country vario e ben equilibrato, frutto, probabilmente, di anni di lavoro, tra serate in locali polverosi e qualche bevuta. Come spesso accade agli esordi dei cantautori country, il tema della scalata al successo, o quanto meno ad una stabilità economica e artistica, è un tema ricorrente. Non fa eccezione questo album, che riesce anche a restituire un ritratto più personale e intimo, e quindi non solo professionale, di una cantautrice dei nostri tempi che tenta la fortuna in quel di Nashville.

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Meglio tardi che mai, ep. 1

Il caldo ha colpito anche questo mio blog e la voglia di ferie si fa sentire. Queste due cose messe insieme (oltre ad altri eventi che hanno messo sotto sopra la mia routine ma, non preoccupatevi, ora è tutto tornato alla normalità) hanno provocato qualche rallentamento nella regolare pubblicazione delle mie “recensioni”. Nei giorni scorsi ero ben intenzionato a recuperare, preparando un paio di post per le settimane successive ma è mi mancata la voglia. Sì, ogni tanto succede. Mi sono guardato indietro e ho pensato di fare un’operazione di “recupero”. Siamo a metà dell’anno e non tutta la musica che ho ascoltato finora è passata da queste parti. Ci sono album che meritano di essere quantomeno consigliati e ho pensato che sarebbe comodo riunirli in un unico post e dedicare loro qualche parola. Ecco il primo episodio di una serie che potrebbe diventare un genere di post piuttosto frequente in futuro. Forse. Non lo so nemmeno io.


Kim Carnie è un’artista scozzese che con il suo And So We Gather esordisce come solista dopo una carriera ricca di soddisfazioni come cantante in lingua gaelica. Il suo folk moderno e tradizionale allo stesso tempo mi hanno subito conquistato. Un album etereo e giovane.


Con A Miss / A Masterpiece, la cantautrice statunitense Sylvia Rose Novak, sceglie sonorità più rock rispetto al passato ma conserva il suo stile personale anche grazie ad una voce unica e riconoscibile. Un album che migliora ad ogni ascolto, forte e carico di sentimenti e passione.


Let There Be No Despair è il secondo album di Jess Jocoy che ascolto e posso dire che trovo davvero magica la sua voce e il modo di interpretare il country e l’americana. La sua è una voce soul prestata al folk e il risultato è qualcosa di unico e affascinante. Provare per credere.


The Sheepdogs sono una band canadese che ha appena pubblicato il loro settimo album. Io li ho scoperti di recente e mi piace il loro southern rock, un po’ vintage, che pesca anche dal country e dal folk americano. Questo Outta Sight è pieno di canzoni irresistibili che piaceranno sicuramente ai nostalgici degli anni ’70.


Elles Bailey con la sua voce black e il suo blues rock è giunta al suo terzo album intitolato Shining In The Half Light. La sua musica esce dalla mia comfort zone e ogni tanto bisogna provare a vedere cosa c’è fuori. Un album che si ascolta tutto d’un fiato, attratti dalla voce soul di questa artista.

Non c’è più niente da salvare

Non sapevo nulla riguardo alla storia di Jessica Willis Fisher e della sua famiglia, sono arrivato a lei leggendo una recensione come tante che ha attirato la mia attenzione. Non sarò certo io a riportarla qui, ognuno di voi potrà farlo cercando un po’ in rete, se vuole. Ma è chiaro fin dal titolo del debutto solista di questa cantautrice e musicista americana, che Brand New Day vuole segnare l’inizio di una nuova vita, lontano dalle brutte esperienze che ha vissuto. Ho l’impressione a volte di prevedere con facilità cosa ascolterò ancora prima di premere play. Mi bastano la copertina dell’album, qualche foto promozionale, l’artwork in generale, per indovinare. Questo album profumava di country americano fino al midollo. Ed era quello che volevo.

Jessica Willis Fisher
Jessica Willis Fisher

La title track Brand New Day dà il via non solo all’album ma anche alla speranza di un futuro migliore. Un country positivo e luminoso che lascia buone sensazioni, “Life can’t let you down / When you’re leaving rock bottom with the lost and found / Luck comes knocking on the way / Jump don’t turn around / You’re gonna hit the net before you touch the ground / Love will rise again and say it’s a brand new day“. La successiva Fire Song affronta il passaggio più doloroso, ovvero lasciarsi alle spalle il passato, bruciare ogni sua traccia. In un’atmosfera notturna spicca il suono del violino della Willis Fisher, “Wake up, wake up / This ain’t just a dream / The smoke is fillin’ up the room / Can you smell the kerosene? / Let go, let go / There’s nothin’ left to save / There’s poppin’ in the timbers / And the sky’s about to cave“. Hopelessly, Madly è una canzone d’amore che può apparire banale ma è soprattutto sincera che si lascia ricordare per un bel ritornello, cantato con voce angelica, “Laying down in thе dark you kiss me goodnight / I feel the warmth of your body and everything’s right / I don’t know why the time should fly and go so fast / But I believe that you and me can make this last“. Segue Slow Me Down, una ballata che corre sulle note di una chitarra acustica. Un invito a non vivere la vita con frenesia e saper rallentare per godersi le gioie della vita, “Sweet, sweet simplе life and / Spending all my time with you and mе and family around / And get more of this, sweet, sweet way of living / I didn’t know what I was missing, taking all for granted until now / Baby, slow me down, baby, slow me down“. Con Lucky One si vira verso un country blues che ci ricorda di non mollare mai di fronte alle difficoltà. Jessica Willis Fisher dimostra di saper cambiare registro con naturalezza tra una canzone e l’altra, “You can try and say it’s all right / When you should cry and say it’s not alright at all / But if you lie, heaven help you when you fall / ‘Cause it’s a long way down, a long way down / When you’re not the lucky one“. My History forse non è un caso che si piazza a metà di questo album. Qui Jessica cerca di affrontare la propria storia con un country delicato ma duro allo stesso tempo, “All my story now belongs to me / I will try to build a better life for me / No one else will know what I could see / I am my survivor and you will be my history“. River Runaway si apre con le note del violino che introduce il canto della Willis Fisher. Una canzone che lascia molto spazio alla musica e fa risaltare il suo talento di musicista, “River runaway / Oh, I’m ready to ride to the end of the line / No more need to stay / No one else will believe in the path only mine“. You Move Me mi ha ricordato la Musgraves degli esordi. Una canzone sulla forza dell’amore, semplice e dolce, “Here is how love was to me, I could look and not see / Going through the emotions, not knowing what they mean / And it scared me so much, that I just wouldn’t budge / I might have stayed there forеver if not for your touch only mine“. La successiva Gone è un’iniezione di fiducia ed energia. Ancora una volta il tema è la volontà di guardare avanti e seguire la propria strada, “And I’ll keep walking down this road I’m on / Knowing you’ll be gone and I’ll be fine / And I’ll keep going ‘til there’s no more fear / Knowing I’ll be here and you’ll be gone“. L’album si chiude con October First che affronta in modo più esplicito le vicende che hanno segnato la vita di Jessica e della sua famiglia. Una canzone toccante quanto liberatoria, “Oh, the times have changed but so have I / And I can’t help but wonder why I even wrote this song / Oh, you’ll have to reap the seeds you’ve sown / And I’ll leave well enough along and just keeping going on / I’ll just keep going on“.

Brand New Day è un album dalle melodie immediate, squisitamente country, con un approccio marcatamente americano ma nel quale si percepisce una volontà forte di chiudere un capitolo doloroso della vita. Jessica Willis Fisher sceglie di farlo attraverso la musica, quella musica che ha unito la sua famiglia. Un album che può essere ascoltato anche senza conoscere nulla di tutto quello che ha vissuto ma che comunque sa trasmettere una sensazione di riscatto e fiducia. Brand New Day è un bell’album nel quale spicca la componente emotiva e ci fa conoscere un’artista di sicuro talento da tenere d’occhio nel prossimo futuro.

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