Sei anni. Tanto si è fatto attendere il cantautore americano Jeffrey Martin. Sei anni nei quali ho consumato il suo album One Go Around e ascoltato e riascoltato il precedente Dogs In The Daylight, aggiungendoci anche l’EP Build A Home. Finalmente è arrivato il momento di ascoltare undici nuove canzoni raccolte sotto il titolo di Thank God We Left The Garden, il quarto della sua carriera. Undici tracce registrate in un piccolo capanno con due microfoni, con l’idea di farne delle demo da portare in studio ma che poi sono finite direttamente nell’album. Voce e chitarra (e il contributo di Jon Neufeld) sono più che sufficienti a Martin per regalarci ancora delle canzoni straordinarie.
Lost Dog apre l’album e ci propone un Martin notturno e triste, dalle sonorità vicine agli esordi. Proseguendo poi con Garden si può scoprire quali nuove melodie ci riserva. Un testo personale, pervaso da sentimenti più positivi e di speranza. Tutta la forza della scrittura di Martin emerge nella splendida Quiet Man. Un susseguirsi di riflessioni e immagini di vita che scavano a fondo dell’animo con la consueta onestà. Red Station Wagon affronta, in maniera chiara e sincera, il tema del pregiudizio nei confronti dell’omosessualità, non facendo la morale ma, anzi, ammettendo di essere stato lui stesso colpevole e esprimendo così un sincero pentimento. Da ascoltare. Paper Crown è una di quelle canzoni di Martin che ti fanno drizzare le orecchie. Una riflessione sul nostro tempo, spesso pieno di cose vuote e superficiali, fatte per nascondere altro. There Is A Treasure ci mette di fronte alla fragilità della vita in un mondo che va avanti lo stesso, qualsiasi cosa succeda. Anche se può sembrare una canzone triste e rassegnata, c’è un sentimento di speranza che la pervade, un sentimento che corre lungo tutte le tracce di questo album. La successiva All My Love ci fa ascoltare la poesia della penna di questo cantautore, capace di regalarci anche un gioiellino come Daylight. Ma Martin ha ancora in serbo tre ottime canzoni, cominciando da I Didn’t Know. Una canzone molto personale fatta di commoventi e toccanti ricordi d’infanzia. Segue Sculptor, uno dei momenti più alti dell’album, che con il suo susseguirsi di immagini ci restituisce qualcosa su cui riflettere, grazie al talento di questo cantautore. Si chiude con Walking, altra meraviglia, un affresco di un mondo che va sempre avanti e nel quale è importante trovare un momento per sé per guardarsi intorno.
Thank God We Left The Garden è Jeffrey Martin nella sua forma più intima ed essenziale. La sua voce e le sue parole sono l’essenza stessa delle sue canzoni e la sua scelta di tenere buone queste registrazioni dimostra quanto non sia necessario aggiungere altro a queste undici tracce. Martin non perde la lucidità della sua visione del mondo, riesce sempre ad andare oltre le apparenze e a trovare la chiave per esprimere qualcosa che va al di là delle parole, sempre con onestà e sincerità. In questa occasione riesce a farlo senza restare sopraffatto dalla malinconia, rimanendo aggrappato a quel filo di speranza e riscatto che la raggiunta maturità artistica gli suggerisce di tenere ben saldo. In definitiva Thank God We Left The Garden è un ottimo album che soddisfa appieno ogni aspettativa e ci dà riprova di tutto il talento di Jeffrey Martin.
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