La luce rossa

A cinque anni di distanza dal suo debutto, intitolato Hold Your Mind, è tornata la cantautrice inglese Bess Atwell con il nuovo Already, Always. L’approdo alla corte di Lucy Rose, fondatrice della etichetta discografica Real Kind Records, ha finalmente sbloccato la realizzazione di questo disco. L’esordio mi aveva fatto scoprire un’artista di sicuro talento e dalla voce cristallina, che con il suo folk moderno e minimale si era rivelata una delle sorprese di quell’anno. Non vedevo l’ora di tornare ad ascoltare qualcosa di nuovo di Bess Atwell e scoprire come era cambiata la sua musica in seguito all’EP Big Blue del 2019.

Bess Atwell
Bess Atwell

L’album si apre con la bella Co-op, nella qual ritroviamo le sonorità alla quale la Atwell ci ha abituato. Una canzone malinconica fatta di ricordi frammentari, tracciati da una voce delicata e pulita, “I slip my hands into my pockets / Lean against the wall at a Blondie tribute concert / We had that same old talk in the car / On the way over, I said I love him / I said I’m not in love“. All You Can Do si affida ad un indie rock lento che accoglie il canto. Un brano dolce ed essenziale che vive di un melodia piacevole e leggera, “I know I’m in love with your cheeks / You’re my sweet puppy / Is man’s best friend on a lead? / Are you coming through / Is this what you’d choose / I can’t unring that bell I rang for you“. La successiva Silver Fir si appoggia su pulsazioni elettroniche che conferiscono un’atmosfera densa, tagliata dalla voce della Atwell. Sono ancora i ricordi a popolare i suoi testi, “The smell of leather in your mother’s car / The peppermints she kept in the glove compartment / Does she have a car in Barcelona? / I know she banked on everybody coming over“. Tra le mie preferite c’è Dolly, un’altra canzone nostalgica e fragile. La voce è sommessa ed eterea, una delle tante caratteristiche che la rendono speciale, “I wanna cleanse your body, clean your arm and kiss your head / I want to wrap you up in cotton wool and make your bed / I want you to let go so you can see what you have left / Choose your wars wisely ahead, choose your wars wisely ahead“. Segue Love Is Not Enough, una canzone d’amore che vuole essere una riflessione sulla sua forze. Non sembra essere abbastanza in questo caso e la voce delicata ne incarna il sentimento, “But what if love is not enough to keep us? / The biggest joke the big man’s had, and we bear the brunt / You are how I learned to feel fine / I can’t hold you in my hands and walk away at the same time“. How Do You Leave si lascia andare verso un indie pop affascinante. Bess Atwell con voce calda evoca immagini sfuggenti ma capaci di evocare qualcosa di profondo, “How do you leave someone you trust? / Who built you like a boat / Can you mourn somebody breathing / Now that you can float?“. Time Comes In Roses sceglie una via più acustica, vivendo ancora di ricordi. Una riflessione sulla vita, sul tempo che scorre inesorabile. Un ritornello perfetto e oscuro, “But time comes in roses, I really love ya / I’m tired of being like my mother / I get excited, I get depressed / I’m never happy with how I’m dressed“. Il singolo Red Light Heaven è un bel pezzo indie pop nel quale quest’artista dà il meglio di sé. Un ritornello orecchiabile e ancora un testo che sembra un flusso di coscienza ma sempre ispirato e ben interpretato, “I can’t stop looking for that red light / Heaven is below my feet / And I could beat around the fucking bush all week / And I won’t be funny or fast / I won’t make you dance / I won’t help you forget / You need a bit of that“. Olivia, In A Separate Bed è una canzone che una musica che cresce pian piano e accompagna la voce della Atwell, assoluta protagonista, “I chose the love of strangers / I chose the fickle crowd / And the woman I wagered / Won’t look at me right now / Not now“. L’album si chiude con Nobody, nella quale si sceglie ancora un approccio più acustico, lasciando spazio alla melodia del canto. Una canzone triste e riflessiva, di poche parole scelte,”Nobody is meant for me / I crossed the river to find / Love was made for watering / If I don’t believe in us / Nobody is meant for me“.

Already, Always ci permette di tornare a riascoltare un voce unica, unita ad una capacità di fondere melodia e parole che si vede raramente. La velocità è lenta e costante, senza strappi né saliscendi. Bess Atwell ripropone la sua ricetta vincente, senza perdersi alcun rischio, confermandosi così tra le cantautrici più interessanti della sua generazione. Already, Always è un album che vive di ricordi e sensazioni, spesso slegate tra loro e non sempre di facile comprensione. Non importa però. Bess Atwell sa come attrarre a sé l’ascoltatore, accompagnandolo negli intricati meandri della sua mente e del suo cuore. Lasciando sempre la piacevole sensazione di essere partecipi di qualcosa di speciale.

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Il proiettile d’argento

Cosa aspettarsi da un’artista che ha vinto un Grammy al suo sesto album in carriera? La domanda mi è sorta spontanea all’annuncio di In These Silent Days, settimo album della cantautrice americana Brandi Carlile, uscito all’inizio di questo mese. Perché non è affatto strano pensare che un riconoscimento così importante possa dare alla testa e provocare un deragliamento dai binari che l’avevano guidata lungo una carriera ineccepibile per qualità. Successo che l’ha portata a pubblicare il suo primo libro intitolato Broken Horses: A Memoir, che ripercorre la sua carriera ultra decennale. Ma poi mi sono reso conto che l’artista in questione era Brandi Carlile e come potevo pensare queste cose di lei? Non restava che scoprire In These Silent Days.

Brandi Carlile
Brandi Carlile

Right On Time è la ballata che apre l’album e sembra un abbraccio di benvenuto. La Carlile ci rassicura con le sue parole e con la sua voce unica. Niente sorprese, è sempre lei, “Don’t look down / I can feel it when your heart starts pounding / It’s beyond your control, you know it is / It’s getting to the point where I can’t carry on / I never held my breath for quite this long / And I don’t take it back, I did what I had to do“. La successiva You And Me On The Rock potete piazzarla in qualsiasi altro album di questa artista. Le parole scorrono via veloci su una melodia country folk orecchiabile, creando una sensazione di affetto e appartenenza, “I built paper planes when I learned to fly / Like a 747 fallin’ out of the sky / I folded ‘em crooked and now I’m wonderin’ why / I could always end up in the water / But nobody’s askin’ why she lookin’ so thin / Why she’s laughin’ too hard, why she drinkin’ again / A falling star, she’s a paper plane / And she was goin’ down when you caught her“. This Time Tomorrow vuole dare conforto per quando arriverà il momento in cui ci dovremo separare dalle persone che amiamo. Brandi Carlile lo fa con la sua consueta sensibilità ed onestà, “But our holy dreams of yesterday aren’t gone / They still haunt us like the ghosts of Babylon / And the breaking of the day might bring you sorrow / You know I may not be around this time tomorrow / But I’ll always be with you / I’ll always be with you“. Broken Horses è un veloce country rock nel quale sfodera la sua voce più graffiante. Si tratta del brano più lungo dell’album, la sua colonna portante, “Tethered in wide open spaces / And fields that lead for miles / Right into the barrel of a gun / Mendin’ up your fences with my / Horses runnin’ wild / Only broken horses know to run“. Letter To The Past è un’altra meravigliosa ballata che solo quest’artista riesce a tirare fuori. Una canzone dedicata alla figlia, nella quale rivede sé stessa nel passato, la sua testardaggine. Una canzone affettuosa e commovente, “You’re a stone wall / In a world full of rubber bands / You’re a pillar of belief / Still bitin’ your shakin’ hands / Folks are gonna lean on you / And leave when the cracks appear / But, darlin’, I’ll be here / I’ll be the last / You’re my letter to the past“. Mama Werewolf crea l’immagine di una mamma che ogni tanto perde il controllo di sé ma sua figlia ha la pallottola d’argento per riportarla alla ragione. Un’altra bella canzone, dolce e carica di vita, “If my good intentions go runnin’ wild / If I cause you pain, my own sweet child / Won’t you promise me you’ll be the one? / My silver bullet in the gun / Would you strike me down right where I stand? / Would you change me back, make me kind again? / Won’t you promise me you’ll be the one? / My silver bullet in the gun“. Segue When You’re Wrong che è una canzone malinconica ma anche rassicurante. Commettere degli errori succede a tutti e ognuno merita di non essere abbandonato a sé stesso, “When the day is winding down, my heart abandons me for you / You forgot yourself so long ago and I wish I could too / But you live inside a quiet hell no one can pray away / Leavin’ would be easy, I understand why you stay“. Stay Gentle è una meravigliosa ballata dallo stile classico e intramontabile. Dedicata ai suoi figli, vuole essere un’esortazione a non abbandonare l’innocenza della gioventù quando le cose si faranno più difficili, “Darling, stay wild if you can (If you can) / The girl with the world in her hands (In her hands) / The kingdom of Heaven belongs to a boy / While his worry belongs to a man“. Arriva anche il momento di una canzone dai toni epici come Sinners, Saints And Fools. Il racconto di un uomo timorato di Dio che però respinge chi chiede accoglienza come clandestino. Lo stesso destino sarà riservato a lui quando giungerà davanti alle porte del paradiso, “To the weary, desperate souls who washed up on the sand / He said, “We hadn’t seen your paperwork” and he withdrew his hand / You know he never felt any safer, all the peace he hoped he’d find / And up until the day he died, he never changed his mind“. Si chiude con una ballate lenta e carica di sentimenti dal titolo Throwing Good After Bad. Brandi Carlile dimostra ancora di non aver perso affatto il suo tocco magico, “And you’re fantasizin’ / You’re takin’ us for granted / I know you’re bored / You always say I’m heavy handed / You got a beautiful mind / And a soul of a coyote / Hunger drivin’ you mad / Throwin’ good after bad“.

La prima cosa che ci rivela questo In These Silent Days, è che il giorno in cui Brandi Carlile farà una brutta canzone è ancora molto lontano. Come ho potuto dubitare di questa cantautrice? Questo album non si prende rischi, anzi rassicura chi ascolta che nulla è cambiato, compreso l’indissolubile sodalizio con i gemelli Phil e Tim Hanseroth. A quarant’anni quest’artista ha molte cose da dire, da raccontare e lo fa con la consueta energia e smisurata sensibilità. Brandi Carlile è arrivata in quel momento della carriera nel quale non a più bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Il successo di critica e pubblico del precedente album, non ha scalfito minimamente la sua umiltà di artista capace di creare sempre qualcosa di magico. E io che ho dubitato, perdonami Brandi.

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Diecimila rose in fiamme

Tra le prime novità discografiche arrivate dopo l’estate c’è stata l’uscita del quarto album della cantautrice americana Dori Freeman, dal titolo Ten Thousand Roses. Posso dire che quest’artista è tra le più rassicuranti della mia collezione, il suo country non è mai sopra le righe ed è sempre fatto di piccole semplici cose. Quando ho saputo della pubblicazione di questo album, non avevo dubbi riguardo a ciò che ci avrei trovato dentro. Dori Freeman ormai è una garanzia e non mi restava altro che scoprire quale altro gioiellino country ci avesse regalato.

Dori Freeman
Dori Freeman

Get You Off Of My Mind ci accoglie nel nuovo album con un suono pieno, accarezzato dalla voce dolce della Freeman che ritroviamo in splendida forma. Una canzone orecchiabile che amplifica il suo talento, “Tried to cleanse my mind of you, but you’re still swimming there / Do you find it comfortable, roaming through my head / Going through the catalogues of things we left unsaid”. Tra le mie preferite c’è The Storm, una bella canzone dedicata alle donne che hanno passato momenti difficili. Un bel ritornello che rassicura e dà una speranza, “When you gonna let him go / Listen to the rain and the rolling thunder / Honey don’t you know / That he’s waiting on the flood to pull you under / Don’t you let the storm win“. Almost Home è una canzone malinconica ma dolce che vuole evocare la nostalgia di casa. La voce della Freeman è supportata da un accompagnamento country dallo stile classico, “Left my home with a fiddle on my back / Buttoned up, put my pennies in a stack / Every night I remember what you said / While layin’ in our bed“. La successiva I Am vira verso un folk rock vivace che vuole dirci che a volte le apparenze ingannano. Le fragilità emergono al di là di ciò che sembriamo, “I ain’t a good girl, though everybody thinks I am / I gotta mind that’s dirty as the bottom of a coffee can / Untied, what a wide-eyed thing I am / I am, I am, I am“. Nobody Nothing si riprende le sonorità country e parla d’amore. Ma quello che va oltre la passione del momento. Dori Freeman illumina la canzone con la sua voce cristallina che sovrasta il suono delle chitarre, “Now don’t go trying to please anybody / Unless somebody is pleasing you too / This world is made up of troubles and wonders / They’ll spend forever competing for you“. Appalachian è una dichiarazione d’amore verso le proprie origini, le radici che affondano nella storia. Un’altra bella canzone, nello stile riconoscibile di questa artista, “They’ll try to wither you right down, tear you up from the red ground / If you’re poor then you’re stupid and blind / But I’d say a calloused hand / Is far better than a callous mind“. Walk Away è una ballata lenta, un classico a due in coppia con Logan Ledger. Una canzone romantica vecchia scuola che scalda i cuori, “I tried to tell you that I really loved you / And you walked away / Oh but lovers’ arms, wanna hold you most / Tight and close, just before they say / They’re gonna walk away“. La title track Ten Thousand Roses è un bel country folk luminoso e pieno di belle sensazioni. Si chiede una dimostrazione d’amore, un gesto che esprima qualcosa di grande, “If you can give me a wildflower field / Not a carnation in cellophane / Leave a pink daisy by my window sill / Stand by the glass and I’ll spell out your name“. Echi rock ci raccontano di un amore non corrisposto. Dori Freeman ci incanta come sempre con la voce, in un vivace rincorrersi di chitarre, “No I’m not coming back, you’re on your own / You always wanted to be all alone / So take my name and number off your phone / I won’t be dreaming of you”.L’album si chiude con una cover in chiave country di Only You Know, dall’originale cantata da Dion nel 1975. Una bel modo di finire questo bell’album, “And only you know where you have been to / Only you know what you have been through / There’s better things you’re gonna get into / And I wanna be there too“.

Con Ten Thousand Roses ci regala un’altra prova del suo talento di cantautrice. Il suo approccio sereno e la sua voce pulita nascondono conflitti interiori e un’amore per la vita che emergono attraverso canzoni brevi e semplici. Non c’è la volontà di stupire o di impressionare chi ascolta ma solo renderlo partecipe di un tentativo di condividere qualcosa di profondo ma sfuggente. Dori Freeman ci riesce sempre attraverso i dettagli, le sensazioni di tutti i giorni, la semplicità che la contraddistingue. Ten Thousand Roses è l’album più ricco musicalmente dei suoi, più vivace ma ugualmente riuscito e ben bilanciato. Tutto quello che mi aspettavo da questo album e da Dori Freeman c’è, quindi non posso chiedere altro.

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Più facile a dirsi che a farsi

Da dove cominciare? Dal fatto che non sono un fan dei concept album o dall’incomprensibile moda di scrivere i titoli delle canzoni tutti minuscoli? Oppure dalla chiara svolta pop intrapresa da Kacey Musgraves, iniziata con il precedente Golden Hour? Il nuovo album della cantautrice texana, intitolato star-crossed, si presenta subito in linea con il gusto pop dei giorni nostri, accompagnato anche da un film che riassume questa tragedia in tre atti. Un’imponente macchina commerciale è stata messa in moto per questo album, ispirato dal divorzio da Ruston Kelly, dopo tre anni di matrimonio. Ma io sono qui per la musica. Metto da parte film, video, lettere minuscole e cose varie e ascolto star-crossed come non fosse successo nulla.

Kacey Musgraves
Kacey Musgraves

La title track star-crossed imposta le premesse di questo album. Cori angelici e una chitarra solitaria ci presenta due amanti arrivati alla fine del loro amore. Le carte firmate, le strade che si separano nonostante gli sforzi. L’inizio è eccezionale e cinematografico, “Let me set the scene / Two lovers ripped right at the seams / They woke up from the perfect dream / And then the darkness came / I signed the papers yesterday / You came and took your things away / And moved out of the home we made / And gave you back your name“. Segue good wife che ribalta il concetto moderno di moglie, riflettendo sul ruolo più classico. La Musgraves è sembra essere disposta a fare la brava moglie pur di salvare il suo matrimonio. Un pop anni ’70 che ricorda le sonorità del precedente album, “Help me let go of all the things that make me mad / At the end of the day, he’s gotta know that I’ve got his back / And if he comes home stressed out, I could pack him a bowl / Just let him be himself, don’t try to control“. cherry blossom è la prima delle canzoni più danzerecce di questo album. Testo essenziale e scontato che sembra un po’ slegato dal resto dell’album. Un pop dalla presa facile e nient’altro, “I’m your cherry blossom baby / Don’t let me blow away / I hope you haven’t forgotten / Tokyo wasn’t built in a day / I’m your cherry blossom baby / I don’t wanna blow away“. La successiva simple times è un pop in linea con quello che si può ascoltare oggi, con accenni orientaleggianti. Qui la Musgraves sembra voler rifiutare il fatto che le cose non vadano affatto bene, “I think I’m going off of the deep end / I wanna wake up on an island / Throw everybody a peace sign / Put all the static on silent / We could stay up all night / Pour one out for the simple times“. if this was a movie.. vede Kacey riflettere sulle differenze tra realtà e finzione, in un lento pop pulsante. Qui siamo ancora nel disperato tentativo di salvare un amore ormai senza speranze, “If this was a movie / I’d be surprised / Hearing your car / Coming up the drive / And you’d run up the stairs / You’d hold my face / Say we’re being stupid / And we’d fall back into place / If this was a movie“. justified è un singolo che riprende le sonorità di Golden Hour ed torna, di nuovo, a riflettere su questa difficile relazione. Kacey Musgraves illumina il brano con la sua splendida voce e poco altro, “It was a fun, strange summer / I rolled on, didn’t think of you / We lost touch with each other / Fall came and I had to move / Moving backwards, hurt comes after / Healing doesn’t happen in a straight line“. angel è un parentesi acustica, raro momento di poesia e tenerezza di questo album. Una canzone d’amore genuina e sentita nel quale ritrovare la Musgraves che fu, “If I was an angel / I’d use only pretty words / And when I’m talking to you / It would never hurt / You’d only get the best of me / I’d never make you wanna leave“. Ecco che ci pensa un brano con breadwinner a riportarci sulla terra. Si torna al pop orecchiabile anni ’90 che va in contrasto che l’atmosfera evocata dal testo, “Here’s what he’ll do / He’ll play it cool / When he hangs out with a woman like you / Say he ain’t pressed by all your success / Tell you he’s different than all of the rest“. Con camera roll c’è un inaspettato ritorno al country o quanto meno a qualcosa di molto vicino. Si sente l’emozione, tutta la dolcezza e la malinconia della voce della Musgraves, “Chronological order / And nothing but torture / Scroll too far back / That’s what you get / I don’t wanna see ‘em / But I can’t delete ‘em / It just doesn’t feel right yet / Not yet“. easier said galleggia su un tappetto di pulsazioni elettroniche. Qui siamo alla resa, l’amore è giunto al capolinea. Una canzone piacevolmente triste, “But it ain’t easy / It ain’t easy to love someone / I’ve been tryin’ and I found out / That it’s easier said than done / Easier said than done / It’s easier said than done“. hookup scene è una bella ballata pop che dimostra che Kacey ci sa ancora fare. La sola voce angelica e la chitarra acustica sono più che sufficienti, “So if you’ve got someone to love / And you’ve almost given up / Hold on tight / Despite the way they make you mad / ‘Cause you might not even know that you don’t have it so bad“. La successiva keep lookin’ up è un luminoso pop che finalmente esce dal buio dei precedenti brani. La semplicità funziona ancora, “Keep lookin’ up / Don’t let the world bring you down / Keep your head in the clouds / And your feet on the ground / Keep lookin’ up / Keep lookin’ up“. what doesn’t kill me ritorna al pop facile e consumato, e quindi orecchiabile ma tutto sommato piacevole, “But you’re gonna feel me / You’re gonna feel me / You’re gonna feel me / When I’m done / When I’m done / What doesn’t kill me / What doesn’t kill me / What doesn’t kill me / Better run / Better run“. there is a light apre alla speranza e lo fa con una musica danzereccia, un po’ leggera ed inconsistente. Forse la canzone meno ispirata di questo album e anche un po’ fuori contesto, “There is a light / At the end of the tunnel / There is a light / Inside of me / There was a shadow of a doubt / But baby it’s never going out / There is a light / Inside of me“. Si chiude una bella cover di gracias a la vida. Cantata in spagnolo con voce dolce e amara. Tra le distorsioni si intravede il talento della Musgraves, che ci lascia con una delle canzoni più belle di questo album, “Gracias a la vida, que me ha dado tanto / Me dio dos luceros que cuando los abro / Perfecto distingo lo negro del blanco / Y en el alto cielo su fondo estrellado / Y en las multitudes el hombre que yo amo“.

Cos’è dunque star-crossed? Difficile dirlo. Più che un concept album io lo definirei un album monotematico. Una sfoltita alle sue quindici tracce io l’avrei data, togliendo quelle due o tre canzoni che sembrano fuori contesto, soprattutto musicalmente. Sembra ormai chiaro che non risentiremo più la Kacey Musgraves irriverente e controcorrente, che aveva giurato eterno amore al country. Forse questo album rappresenta il divorzio, non solo dal marito, ma anche dal genere musicale che l’ha lanciata. La scrittura è forse un po’ ripetitiva e l’amore finito è un tema fin troppo ricorrente, così tanto da perdere forza avvicinandosi alla fine. star-crossed è un album ambizioso, dove la Musgraves, a mio parere, ha fatto il passo più lungo della gamba. Il risultato è un disco eccessivamente lungo, pericolosamente ripetitivo, capace di emozionare solo in poche occasioni. La mia speranza di tornare ad ascoltare una Kacey Musgraves più ispirata e meno pop è ancora viva e resto qui ad aspettarla.

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Sotto un’altra luce

Era il 2017 quando una ventenne inglese si affacciava nel mondo della musica, attirando subito su di sé l’attenzione di pubblico e critica. Jade Bird non si presentava come molte sue colleghe coetanee, sia dal punto di vista dell’immagine sia da quello puramente musicale. La sua musica guardava più al passato che al futuro, al rock anni ’90 con echi grunge. Nel 2019 arriva l’album di debutto che tutti si aspettavano. La ragazza fa centro e non delude le aspettative, dando alla luce uno dei dischi più belli di quell’anno. Con il nuovo Differents Kinds Of Light tutti l’aspettavano al varco, compreso io. Devo essere sincero, ero sicuro non avrebbe deluso. E così è stato.

Jade Bird
Jade Bird

L’album prende forma con la breve introduzione strumentale intitolata DKOL, che lascia poi spazio a Open Up The Heavens. La Bird ripropone le sonorità del debutto, voce graffiante, chitarre in primo piano che richiamano un rock di altri tempi, “I’m stood still completely drenched / Do you know what it feels like / To have water in your shoes / Oh, it’s raining on me again / Oh, it’s raining on / A sunny day / Day“. Honeymoon si affida ad un ritmo veloce che fa viaggiare la voce della Bird con la consueta energia. Un amore che ogni giorno viene messo alla prova in un testo giovane ed orecchiabile, che dà prova del talento di questa cantautrice, “Ooh, my lover in the morning light / I wanna feel something that I want twice / Ooh, my lover with your hairdo down / Why not try to change it now / Maybe if I start pleasing you nice / Finally, I would start to feel alright“. La successiva Punchline prova a rallentare, rincorrendo una melodia dall’animo rock. La voce ferma della Bird è magnetica e venata da una tristezza mista a rabbia, “What a difference a day makes / Oh, you started off thinking you were the top of your game / You were telling jokes with the sun rise / But by the end of the day, you were looking like a punchline“. La title track Different Kinds Of Light è una balla lenta ed eterea. Jade Bird dimostra ancora di saper calibrare la sua voce ed allontanarsi per un attimo dal rock, “Who’s gonna call you tonight? / Who’s gonna make you feel storms and thunder? / Who’s gonna bring you to life? / Who’s gonna make you feel beautiful under / Different kinds of light“. Trick Mirror ritorna alle consuete sonorità, cantando ancora di un amore difficile. Testo e musica si intrecciano alla perfezione, “I love you like I always have, but my body’s cold / Whenever the weather gets bad / I start to run and I don’t look back / But you’re my shelter and I’m left alone in the black“. Segue I’m Getting Lost una veloce cavalcata rock che si muove in un’atmosfera notturna. Jade Bird riesce sempre a dosare la sua giovane rabbia e dare slancio alla canzone, “I’ll take off to the station / Nothing but the clothes on my back / There are chances worth taking / I need to know what I’m living for / Get it all back on track“. Le ballate però trovano sempre spazio e Houdini è una di queste. L’amore e le sue difficoltà offrono ancora lo spunto alla Bird per una canzone matura e ben scritta, “Oh, if they need a one to one / A reason or an explanation / If they need lessons on leaving / I’ll send them to you, Houdini / Oh, you’re looking at me like you can’t / Quite believe what you’re feeling / But I’ve always known that you’d go / Without giving a reason“. Chitarre distorte e voce carica di energia danno vita a 1994. Una delle canzoni che preferisco di questo album e che rientra appieno nello stile di quest’artista, “And if you get caught / Tell them nothing at all / Say that I wasn’t short of six feet tall / And if you get caught / Tell them nothing at all / Say that I was born in 1994“. Più solare, con richiami al rock made in UK, è Now Is The Time. Una scrittura ispirata e libera, ci fa apprezzare il lato più spensierato di questa ragazza, “When you get your hair styled / Come on down the stairs / Turn the TV on and off again / All they do is talk shit / If I had a penny for all your potential / I’d be left drowning, my mouth full of metal“. Candidate è ancora Jade Bird all’ennesima potenza. Ondate di risentimento viaggiano veloci sulle chitarre e la voce è irresistibile. Da ascoltare, “If you want somebody to judge, if you want somebody to blame / If you want somebody to hate, I’m a great candidate / If you want to employ, somebody to toy with / Really why would you wanna wait, I’m a great candidate“. Red White And Blue è una mesta ballata, semplice ma carica di sentimento. Questa cantautrice sa come toccare le corde giuste e sorprende il contrasto con le canzoni più rock, “Have you ever thought / That the first chord you hit might be the one? / Have you ever sat / And looked upon your hands / And seen the things they’ve done?“. Rely On è un rock lento dalle sonorità vagamente anni ’80. Una canzone rassicurante e dallo spirito giovane che non manca di emozione, “If you need me to rely on, I’m there for you / Somebody in the wild, when the lions move / If you need me to rely on, I’m there for you / When it comes down to the wire / I’m the only one, only one you should choose“. Jade Bird piazza un altro pezzo dei suoi con Prototype. Il suono della chitarra acustica traccia una melodia folk e la voce corre leggera. Una bella canzone, tra le mie preferite, “Oh, things got better the moment I fell / When I wasn’t looking, it all stood still / I know with these things you can’t always tell / But I love you, and I think I always will“. L’album si chiude con Headstart che ha un bel ritornello orecchiabile, la consueta energia e il testo sincero. Non si può chiedere altro, “I’ve more pride than many / This is kind of rare for me / Everyone knows that it’s true / You’re the only one in the room / But you don’t see me, do you? / Must be blind not to / That’s alright I’ll keep on / Putting myself on the line“.

Con Differents Kinds Of Light, Jade Bird fa un passo nella direzione giusta, senza prendersi troppi rischi. L’unico, il più evidente, è la scelta di inserire quindici tracce. Troppe? Non credo sia un difetto ma certo è una cosa che può non piacere a qualcuno. Lo stile della Bird rimane pressoché immutato, cambia l’approccio che risulta più maturo ma ugualmente giovane e ricco di vitalità. La sua capacità di porsi a metà tra il rock americano e quello british resta uno dei suoi punti di forza, così come trovare delle melodie orecchiabili e accattivanti. Differents Kinds Of Light offre la conferma che tutti si aspettavano, niente di nuovo forse ma non sbagliare il secondo album è già un bel traguardo. Jade Bird mantiene saldo il suo nome tra le promesse più luminose della musica di questi ultimi anni in attesa di degni concorrenti.

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