Non mi giudicate – 2015

Avanti un altro. Anche quest’anno è diventato vecchio quanto gli altri ed è ora di cambiarlo. Come ogni trecentrosessantacinque giorni ci ritroveremo festeggiare l’arrivo di un anno migliore di questo. O almeno si spera. Il mondo cambia e forse noi non siamo pronti, forse non lo saremo mai. L’importante è cercare di passare il guado e anche questa volta pare che l’abbiamo sfangata. Me lo auguro sia così per tutti voi. Non resta che rimboccarci le maniche e affrontare altri trecentrosessantacinque (anzi trecentrosessantasei questa volta) giorni con rinnovato entusiasmo, come succedeva sempre ad ogni Settembre di fronte al nuovo anno scolastico. Ma basta con questa digressione, meglio voltarsi indietro per l’ultima volta e vedere un po’ cosa ci ha offerto di bello quest’anno di musica. Per la prima volta in questo blog ho deciso di premiare alcuni artisti o album che mi sono particolaremente piaciuti, ispirandomi ai premi NBA. Non mi piace dare voti o fare classifiche ma faccio uno strappo alla regola (“Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me” cit.). Ovviamente per decretare chi è meglio di chi avrei dovuto ascoltare tutta la musica uscita quest’anno, nessuno escluso. Come avrei potuto farlo? A mancare è soprattutto il tempo ma anche la voglia di ascoltare tutto (ma proprio tutto). Dunque la mia è una visione ristretta a ciò che ho voluto e potuto ascoltare dal primo Gennaio a oggi. Chi non è d’accordo… bhè se ne faccia una ragione.

  • Most Valuable Player: Laura Marling
    Quest’anno è iniziato con un grande ritorno. Quello di Laura Marling, sempre meravigliosa nonostante abbia ritoccato il suo sound. Avere venticinque anni e cinque ottimi album alle spalle non è cosa da tutti. Soprattutto essere già diventati così influenti è ancora più raro. La migliore.
    Laura Marling – False Hope
  • Most Valuable Album: How Big How Blue How Beautiful
    I Florence + The Machine quest’anno hanno sfornato un album grandioso. Un grande riscatto, carico di emozioni ed energia. Florence Welch con la sua voce domina incontrastata, inimitabile e unica. Senza dubbio l’album più forte dell’anno, da ascoltare se non l’avete ancora fatto.
    Florence + The Machine – Delilah
  • Best Pop Album: Light Out The Dark
    Il secondo album Gabrielle Aplin è convincente e lancia la giovane cantautrice inglese tra quegli artisti da tenere assolutamente d’occhio in futuro. Anzi forse il futuro è già qui. Io ho avuto la fortuna di scoprirla agli esordi, prima del suo debutto e sono molto contento che abbia trovato la sua strada.
    Gabrielle Aplin – Light Up The Dark
  • Best Folk Album: The Firewatcher’s Daughter
    Forse considerare folk The Firewatcher’s Daughter è riduttivo, lo stesso vale per Brandi Carlile ma dovevo assolutamente inserire la cantautrice americana in questa lista. Brandi Carlile migliora con gli anni e il successo di questo album se lo merita pienamente. Una voce emozionante senza eguali.
    Brandi Carlile – Wherever Is Your Heart
  • Best Singer/Songwriter Album: Tied To The Moon
    Rachel Sermanni è tornata con Tied To The Moon, riconfermandosi come cantautrice di talento e sensibilità. Anche per lei è arrivato il momento di cambiare sound ma lo fa con attenzione senza strappi con il passato. Voce e chitarra acustica è una ricetta semplice ma eccezionale quando si parla di questa giovane cantautrice scozzese.
    Rachel Sermanni – Banks Are Broken
  • Rookie of the Year: Lael Neale
    Tra gli esordi di quest’anno è difficile scegliere quale sia il migliore. Voglio premiare la cantautrice americana Lael Neale che con il suo I’ll Be Your Man ha dimostrato di saper scrivere canzoni magiche ed emozionanti. Spero per lei che in futuro possa avere più visibilità perchè è un’artista che non merita di stare nascosta.
    Lael Neale – To Be Sad
  • Sixth Man of the Year: Kacey Musgraves
    Per sesto uomo si intende colui il quale parte dalla panchina ma dimostra di avere un ruolo importante nella squadra. Kacey Musgraves partiva da un buon album ma niente di eccezionale. L’avevo quasi accantonata quando il suo secondo Pageant Material la eleva a country star. Kacey saprà sicuramente deliziarvi con la sua musica.
    Kacey Musgraves – Are You Sure ft. Willie Nelson
  • Defensive Player of the Year:  The Weather Station
    Ovvero l’artista più “difensivo”. Tamara Lindeman e il suo Loyalty la riconferma come cantautrice intima e familiare. Sempre delicata, non cerca visibilità e successo ma solo un orecchio al quale porgere le sue confidenze. Un piacere ascoltare The Weather Station e lasciarsi abbracciare dalla sua musica.
    The Weather Station – Way It Is, Way It Could Be
  • Most Improved Player: The Staves
    Niente da dire. Le tre sorelle inglesi Staveley-Taylor sotto l’ala di Justin Vernon hanno fatto un album che ruba la scena al buon esordio. If I Was è malinconico ma anche rock, le The Staves non sono mai state così convincenti e abili. Speriamo che in futuro la collaborazione di ripeta perchè abbiamo bisogno di voci come quelle di Jessica, Emlily e Camilla.
    The Staves – Steady
  • Throwback Album of the Year: Blonde
    L’album Blonde della cantautrice canadese Cœur de pirate è del 2011 ma solo quest’anno ho avuto il piacere di ascoltarlo. L’ho ascoltato a ripetizione per settimane, catturato dalla voce dolce e dai testi in francese di Béatrice Martin. Un album pop dal gusto retrò che ha trovato il suo erede (più contemporaneo) in Roses, pubblicato quest’anno.
    Cœur de pirate – Ava
  • Earworm of the Year: Biscuits
    Non avrei voluto che un’artista apparisse in due categorie diverse ma non posso fare a meno di premiare Biscuits di Kacey Musgraves. Mi ha martellato la testa per settimane.“Just hoe your own row and raise your own babies / Smoke your own smoke and grow your own daisies / Mend your own fences and own your own crazy / Mind your own biscuits and life will be gravy / Mind your own biscuits and life will be gravy“.
    Kacey Musgraves – Biscuits
  • Most Valuable Book: Moby Dick
    In questo blog, saltuariamente, scrivo anche di libri. Non tutti quelli che leggo durante l’anno ma quasi. Senza dubbio Moby Dick è il migliore. Un classico, un libro a tutto tondo. Non è una semplice storia, non è un avventura ma un’esperienza come lettore. Un’enciclopedia sulle balene, dialoghi teatrali, scene comiche e drammatiche, digressioni filosofiche. Tutto in un solo libro.

A conti fatti, ho premiato un po’ tutti. Chi è rimasto escluso è solo perchè altrimenti avrei dovuto inventarmi una categoria per ognuno di essi! Sarebbe stato sinceramente un po’ patetico oltre che inutile. Un altro anno è qui davanti, carico di musica nuova e meno nuova da ascoltare e riascoltare. Ci saranno tanti graditi ritorni…

Buon 2016.
Anno bisesto, anno funesto. 😀

Penitenziagite

Non potevo mancare di leggere un classico moderno come questo se volevo continuare il mio viaggio alla scoperta dei romanzi storici medievali. Sto parlando de Il nome della rosa del nostro Umberto Eco. Non ero sicuro di cosa aspettarmi da questo libro. Anni fa avevo visto il film con Sean Connery ma ricordavo poco o nulla della trama. Quale occasione migliore per leggere il romanzo? Sapevo che si poteva considerare un giallo, ambientato nel Medioevo, in un monastero italiano. Un frate straniero deve indagare su una serie di omicidi misteriosi. Tutto qui, non sapevo nient’altro. Il nome della rosa è stato pubblicato nel 1980 ed è stato il primo romanzo di Eco. Il frate straniero si chiama Guglielmo da Baskerville, francescano ed ex inquisitore di origini inglesi, una sorta di Sherlock Holmes con il saio. Ad accompagnarlo c’è il novizio benedettino Adso da Melk, nonchè autore del resoconto dei fatti raccontati nel libro. Tutto è scritto in prima persona da Adso che in età avanzata trova il coraggio di raccontare i terribili eventi avvenuti nell’inverno del 1327 in un imprecisato monastero benedettino del nord italia. Eco finge di ritrovare il manoscritto dopo una lunga ricerca.

Umbero Eco è Umberto Eco e non poteva limitarsi a scrivere un semplice romanzo giallo. In realtà tolte le digressioni sulla storia, sulla letteratura, sull’arte e quant’altro, si arriva ad avere un thriller storico di tutto rispetto e dal ritmo serrato. Con ciò non voglio dire che il resto è da buttare, anzi. Eco mi ha incantato raccontando la storia medievale, la società di allora e la vita monacale, mesoclando realtà e finzione. C’è spazio anche per scambi di battute divertenti tra Guglielmo e Adso ma non solo. Al centro del romanzo giallo c’è la serie di omicidi dei quali sono vittime gli stessi monaci benedettini. Un giallo dalla struttura classica della “stanza chiusa” ovvero una situazione nella quale i personaggi sono all’interno di un gruppo ristretto e chiuso. L’assassino è tra di loro non c’è dubbio. C’è anche un romanzo storico sovrapposto a questo. Racconta l’incontro-scontro tra i sostenitori del papa “avignonense” Giovanni XII e quelli dell’imperatore Ludovico. Con tanto vicendevoli accuse di eresia, di gran moda all’epoca. Una buona occasione per ripassare un po’ di storia. Poi c’è un terzo libro, più frammentario, nel quale Eco racconta attraverso citazioni e disquisizioni varie, l’avanzata della ragione sulla fede. C’è chi vede quattro, addirittura cinque, piani di lettura differenti. Insomma Il nome della rosa non è un semplice romanzo giallo ambientato nel Medioevo.

Al termine del libro c’è un appendice intitolata Postille al Nome della rosa nella quale Eco spiega la genesi del romanzo, compresa qualche lezione di letteratura al volo. In un ulteriore appendice l’autore ammette alcuni errori storici poi corretti nelle edizioni successive alla prima. Con Il nome della rosa ho avuto il piacere di leggere mio primo libro di Umberto Eco, scoprendo uno dei più importanti personaggi della letteratura italiana. Il romanzo, nonostante le numerose digressioni, l’ho letto tutto d’un fiato come un vero giallo. Ho già pronto nella libreria Il cimitero di Praga. Scusa Umberto se ho commesso qualche errore grammaticale nello scrivere questo post. So che sei uno che ci tiene ma non l’ho fatto apposta. Scusi anche se le do del tu, sarebbe meglio darle del lei…

Adamantine

English version of Adamantina originally published one year ago.

Time ago I was looking for some music videos of Patch & The Giant on Youtube and I found some live sessions of the channel Under The Apple Tree. Among the related videos, I tried to listen to some other folk artist brought by the same channel. My attention was caught by the British singer-songwriter Kelly Oliver with the song Far From Home. I was immediately captured by the crystalline voice and plucked guitar (I like it so much). Although her style is very close to some kind of folk music that is not exactly my thing, I wanted listen to her debut album This Land anyway, it was published last October. My expectations were based exclusively on Far From Home and are not disappointed at all.

Kelly Oliver
Kelly Oliver

Opens the album The Witch Of Walkern, a beautiful folk song, energetic which tells the story of a witch. Since the first song you can appreciate the vocal abilities of Kelly Oliver and her classic approach that is the underlying theme of the entire album, “And I appeal to you, as did the Witch of Walkern. / She was given a trial, and then a royal pardon. / I am as innocent as her, I can prove this isn’t fair, / I can say the Lord’s prayer“. The single Diamond Girl introduces the fingerpicking which I wrote above. This song also features the participation of colleague Luke Jackson. This song sounds like traditional folk music but with an air more younger and more modern that makes the song one of the most catchy, “And she could do no wrong in his eyes, all he could see / was this perfect one for him to spend his time with. / And if she said the word, he would be ready for her, / she was his diamond girl“. Mary And The Soldier is an exciting ballad with old-world charm. Oliver’s voice is light and bright, enough to be worth, in my opinion, as the best interpretation of the album, “And when we’re in a foreign land, I’ll guard you darling with my right hand, / in hopes that God might stand a friend to Mary and her gallant soldier“. Looks a little bit rock the next Daughter Dear that charms for its refrain, the result of the crystalline Oliver’s voice, who does not fail to show her talent with the harmonica, “No! Oh no no no, / no girl of mine will cross the sea / for this young boy’s glee. / He’d have you follow him but no, / a father’s love can see beyond a young girl’s dream“. Mister Officer returns to the atmosphere of the opening track, raising the bar at the final in a whirlwind of words and music,“Oh sir, Mr Officer, I wish I hadn’t seen / the sight of a guilty man, with no remorse showing in him. / And sir, Mr Officer, I wish I could erase / the sound of a dying boy, praying for God to end his pain“. Far From Home is the older sister of Diamond Girl. This is the song that kept me glued to that video and the reasons can be found in simplicity, melody and lyrics. All the magic is in the girl’s voice that lulls us into another story pleasant to listen and listen again, “There was a young boy. He thought he was a man. / He’d done a lot of work, he’d seen a lot of lands. / He loved the water, he loved the wind through his hair, / he loved the country, and the city dear. / He was always far from home, but he knew he’d always come home“. The next one is a classic traditional song called Caledonia. A beautiful version of a beautiful song although I prefer that of her compatriot Amy Macdonald, “So let me tell you that I love you, and I think about you all the time. / Caledonia you’re calling me, now I’m going home. / And if I should become a stranger, know that it would make me more than sad. / Caledonia’s been everything I’ve ever had“. A Gush Of Wind is another delicate and sad song that tells the troubled history of Bernadette. Another nice song to listen, “Until tragedy fell where Bernadette was living. / She woke to find her baby brother had died. / It was the start of the sadness and shame, / and the blessings yet to come“. Off To The Market continues on the same path laid out previously. The rhythms and sounds are the same and Kelly Oliver does not fail to enchant again this time, “Off to the market we’ll go, we’ll search high and we’ll search low. / For we’re looking for a body to buy. Then we’ll take the bones and eyes, / heart, blood, liver and skin. We’ll sell it all for half a million“. Grandpa Was A Stoker is no exception, “Tell, tell the story again. Tell, tell of Grandpa again. / Grandpa worked as a stoker, he worked on his feet. / The work was hard, you wouldn’t believe. / For so the ships could sail“. Closes Playing With Sand that has a hint of pop, resulting catchy and light. The track hides an a cappella reprise of Diamond Girl, “There were five brothers and a baby girl, / they lived respectably in the Eastern part of the world. / Their father worked his way to the head of the railway. / Their mother, she was in a class of her own“.

This Land is an album that has graced this fall but is good for every season. It is hard not to fall in love with the crystalline voice of Kelly Oliver and her guitar with her harmonica. This album is an excellent debut that leaves you the feeling that this singer-songwriter is one of those discoveries to watch for the future. I’m sure you’ll hear about her in the future, when she will be a protagonist of the folk music scene.  You can listen This Land over and over again. However, it show some signs of weakness in the last few songs. Just details, nothing else. I leave you to her music and her lyrics, simple but poetic stories.

Thank you Kelly

Lupo solitario

Ora che gli svedesi Holmes si sono presi una pausa dalla durata indefinita, il loro leader Kristoffer Bolander ha pensato bene di pubblicare un album da solista. Lo scorso Novembre è uscito I Forgive Nothing esordio in solitaria per il cantautore svedese, accompagnato da Johan Björklund (alla chitarra lap steel), già membro degli Holmes. Io che aspettavo invano un nuovo album di questo gruppo, ho accolto con entusiasmo questà novità sperando di ritrovarne le sonorità che lo caratterizzavano. Sicuramente avrei ritrovato la voce inconfondibile e unica di Kristoffer Bolander. Le mie aspettative non sono state deluse.

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Kristoffer Bolander

Duet Of Turrettes è l’ipnotica traccia d’apertura con il quale possiamo dare il bentornato a Bolander. Sempre essenziale e malinconico con la sua voce spigolosa ma confortevole. Un gradito ritorno. La titletrack I Forgive Nothing cavalca le melodie del folk rock americano. Soprattutto ritorna il suono delle chitarra lap steel tanto cara agli Holmes. Scelta come singolo, questa canzone è lo specchio di questo artista ed è esattamente quello che ci si aspetterebbe da lui. La successiva Running Man è ancora più magica e magnetica. Se amo il gruppo svedese di Bolander è per canzoni come questa. Una ballata americana attraversata dal vento freddo del nord, condensata in meno di tre minuti. Da ascoltare. Bolander con Rooted propone una delle sue delicate ballate, affidandosi inizialmente alla chitarra acustica. La sua voce risuona limpida e dà profondità, supportata poi da un sottofondo musicale più ricco, che si trascina lento, per oltre sei minuti, verso il finale. Nonostante la ricetta sia sempre quella, Bolander non smette di incantare. La breve Home suona come una ninnananna, calda e confortante, perfetta per in un freddo inverno. Starlight mette quel brivido che solo gli Holmes hanno saputo darmi con le loro canzoni. La chitarra lap steel è ancora in primo piano. Una canzone pulita e a suo modo perfetta, con tanto assolo di chitarra nel finale. Fredda e triste la bella In Vain. Un’altra ballata imperdibile, costruita sulla voce di Bolander. Il finale è epico, in contrasto con la delicatezza iniziale, vero e unico tratto distintivo tra la musica degli Holmes e quella da solista di Bolander. L’organo risuona in Something Wrong, attentamente dosato in due minuti. C’è poco altro da dire. Tra le migliori che la successiva The Rings Above. Poetica e oscura, sostenuta da una chitarra acustica pulita ed essenziale, è l’occasione perfetta per tirare fuori tutta l’espressività che si nasconde nella voce di questo cantautore. La più lunga dell’album è Outlaws che raggiunge i sette minuti. Bolander tesse una trama distesa e lenta, usando al meglio il suo talento. Poi la canzone cresce e torna sulle sonorità ascoltate nelle tracce precedenti fino al finale strumentale. C’è ancora spazio per una meravigliosa Scale, evocativa di paesaggi invernali. Perfetta per questo periodo. Di nuovo Bolander riesce a trasmetterci l’anima del nord e il calore della musica.

Questo I Forgive Nothing non è distante dagli Holmes. La differenza principale sta nella musica. Il gruppo svedese proponeva un folk americano più marcato, grazie all’uso, ad esempio, della fisarmonica. Il solo Kristoffer Bolander è meno folk e più orientato all’indie rock ma non rinuncia alle sonorità della tradizione americana. La collaborazione con Johan Björklund si rivela fondamentale per ritrovare quelle melodie e quelle atmosfere che gli Holmes hanno saputo creare, soprattutto nell’ultimo album. Bolander, quindi, si rivela l’anima e il motore del suo gruppo, dal quale di fatto dipende ancora. Se la sua esperienza in solitaria avrà futuro allora gli Holmes possono anche sciogliersi. Da solo Kristoffer Bolander ha saputo fare meglio di quanto fatto con la formazione al completo. Con lui sono tornato in quella casa, riscaldata dal fuoco del camino, ad osservare dalla finestra il gelido inverno del nord.

L’acqua calda

Ultimamente avevo voglia di tornare ad ascoltare un po’ di sano indie rock. Non mi restava che pescare nel mucchio ma non è stato facile trovare l’artista giusto. Le band indie rock nascono come funghi ogni giorno e poche catturano la mia attenzione. C’è stato un gruppo, però, che mi ha convinto più di altri. Sono gli inglesi Kid Wave, ovvero Serra Petale, Mattias Bhatt e Harry Deacon, capitanati dalla frontwoman Lea Emmery. La band ha pubblicato il suo album d’esordio nel Giugno di quest’anno, intitolato Wonderlust. Fin dalle prime note ho capito che non avevo tra le mani un album molto originale ma senza dubbio un album indie rock e tanto basta. Volevo indie rock e i Kid Wave mi hanno dato indie rock. Non chiedo altro.

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Kid Wave

La traccia di apertura è anche la titletrack Wonderlust. Chitarre in primo piano e melodia trascinante. Avrete già la sensazione di averla sentita da qualche parte ma nessuno inventa niente dal nulla. La voce della Emmery è fagocitata dalla musica, fino a diventare parte di essa, “Why you’re so hard all the time / It’s like your head, it slips on down / You’re like a goldfish in a bowl / But still your love goes on and on“. Luminosa e viva è la successiva Gloom. Una melodia malinconica percorre tutto il brano che esplode in un finale liberatorio. Nient’affatto male, “Some days we dance and some days we don’t / Some days we’re young and some days we’re old / Some days we’re sad and wanna go home / Some days we live and some days we don’t / Some days we dance and some days we don’t“. Honey è altrettanto carica di energia. Le chitarre riempiono la scena, sostenute dal ritmo. Questo è un buon esempio di indie rock, “Everyone’s different, everyone’s right / And the lights you took with you left me tonight / Surfing down colours and rivers of blood / And the sun’s making shapes, making shapes in my head / Some say dreaming is a waste of time / I can’t get you out of my mind“. Best Friend è più pop e la Emmery non si nasconde. Sempre alla richerca della melodia, i Kid Wave, sfornano un brano irresistibile e orecchiabile, tra i migliori dell’album. Improvvisamente il ritmo rallenta con Walk On Fire e ci mostra l’altra faccia della band. Una lenta ballata, smorzata dalla voce indolente della Emmery. Una bella prova per mettere in risalto altre qualità lontane dal rock, che si ritrova però nel finale. La successiva Baby Tiger ci va giù pesante. La Emmery non cambia registro ma il resto della band spinge sul pedale dell’acceleratore. Si lascia da parte un attimo la melodia a favore di distorsione e ritmo per il giro di boa dell’album. Si ritorna alle atmosfere di apertura con All I Want. Ancora chitarre protagoniste e un po’ più di vivacità nella voce, ci catturano e ci fanno ascoltare un altro brano indie rock accattivante e brillante, “To change the common faster, / Closed in my sorrow / Always fooling running after, / Just go with them before they rise / Do you hear them coming for you?“. Una parentesi più pop che rock è il lento Sway nella quale Lea Emmery risulta calata perfettamente nella parte. Un gusto vagamente retrò pervade il brano e giova al gruppo. Una boccata d’aria fresca. Freeride ti fa davvero venir voglia di correre. Come in precedenza, la chitarra tesse la trama. Una trama già nota a molti ma che non ci stancheremo mai di ascoltare. I’m Trying To Break Your Heart mi convinse ad approfondire la conoscenza dei Kid Wave. Ritornello appiccicoso ma l’energia che ci mette il gruppo è sempre apprezzabile. Qui ho ritrovato l’indie rock che cercavo. Chiude Dreaming On leggera ed eterea. Qui l’approccio soft della Emmery trova il suo ambiente ideale, facendosi trasportare della musica. Succede anche a chi ascolta, venendo accompagnato dolcemente fino alla fine.

I Kid Wave scoprono l’acqua calda ma almeno è calda davvero. Il loro indie rock è un ritorno alle origini, dove la melodia gioca un ruolo fondamentale. Fra tante band solo loro mi hanno convinto e un motivo ci deve essere anche se ancora non l’ho ben capito. Sono dell’idea che questi quattro ragazzi abbiano dismostrato con questo album di avere un asso nella manica ma che non è ancora giunto il momento di tirarlo fuori. Ai Kid Wave serve solo tempo per poter trovare l’amalgama giusta tra ciò che sono loro e ciò che sono stati i loro maestri. Gli perdono qualche sensazione di “già sentito” solo perchè sarebbe successo lo stesso con altre band indie rock oggi in circolazione. Non resta che il tempo e l’esperienza possano dare una forma più personale a Lea Emmery e soci.