Fuoco incrociato

Gold Rush è stato pubblicato nel 2017 ed è rimasto da allora nella mia wishlist musicale. L’estate e l’inevitabile blocco delle uscite discografiche mi ha permesso di recuperare il secondo album della cantautrice americana Hannah Aldridge. Il suo country contaminato dalle sonorità rock e blues mi aveva conquistato subito ma, come spesso mi capita, ho aspettato troppo prima di ascoltarlo. Non avevo più scuse ed era giunto il momento di scoprire un’artista sapevo averebbe avuto tutte le caratteristiche per rientrare tra la mia musica preferita. Ecco dunque Gold Rush che segue Razor Wire del 2014 ed anticipa una raccolta live, Live In Black And White, dello scorso anno.

Hannah Aldridge
Hannah Aldridge

Aftermath apre l’album con il suono delle chitarre e ci avvia verso un country rock tanto classico quanto buono. La voce della Aldridge è graffiante ma educata con una venatura dark che ne caratterizza ogni singola canzone. La successiva Dark Hearted Woman è una ballata rock che amplifica questa anima oscura. Un assolo di chitarra elettrica aggiunge fascino ad un canzone che ci inizia a svelare una delle tante sfumature che questa cantautrice sa creare. Burning Down Birmingham è un bel pezzo country, energico e trascinante. La Aldridge è eccezionale, supportata da una band che ne esalta le doti vocali. Una delle migliori di quest’album per orecchiabilità e immediatezza. Da ascoltare. Segue The Irony Of Love che è di tutt’altro tenore. Qui Hannah Aldridge rallenta l’andatura senza rinunciare al quel sentimento di rabbia celato sotto la sua voce. Una delicata cavalcata rock che cresce pian piano fino al finale. Shouldn’t Hurt So Bad è uno dei brani che preferisco di questo album. Si sente l’influenza southern rock che mi fa tornare in mente quei quattro ragazzi di Athens, che di questo stile ne hanno fatto il loro marchio di fabbrica. Davvero un bella canzone. Il singolo di punta dell’album è No Heart Left Behind, un country rock carico e potente. Hannah Aldridge tiene le redini della canzone con sicurezza e mestiere. Un altro brano orecchiabile e trascinante che ci fa ammirare il talento di questa cantautrice. Living On Lonely è un bel country blues che sfiora i cinque minuti e mezzo ma il carisma e l’interpretazione della Aldridge permettono a questo pezzo di essere una delle ballate più belle di questo album. La voce graffiata delle canzoni più rock lascia spazio alla sua versione più morbida e malinconica. La successiva I Know To Much ha un fascino tutto suo. Un rock oscuro nel quale la Aldridge gioca a fare la cattiva ragazza. Le chitarre conducono il gioco e scorrono come un torrente in piena. Lace è una lunga confessione che va oltre i sei minuti. L’anima blues della Aldridge spinge per emergere, con una pulsione sensuale e magnetica. Uno dei brani più maturi e intensi di questo disco. Si chiude con la title track Gold Rush, un altra canzone intensa e dolorosa. In un album personale, questa è forse la canzone che scava più a fondo di tutte. Un finale che sembra mettere in pace le molteplici le anime tormentate dell’album.

Gold Rush è un album che vuole imbrigliare un’inquietudine derivata da storie di autodistruzione e delusioni. Hannah Aldridge è in cerca di riscatto e attraverso la sua voce, l’energia e la rabbia, emerge forte questa sensazione. Sicuramente quest’artista va ad aggiungersi a quelle da tenere d’occhio per il prossimo futuro. Colpevolmente ho lasciato che questo album mi sfuggisse ma per fortuna la mia tendenza al scartare il meno possibile in fatto di musica mi ha permesso di scoprire questo gioiellino che racchiude tutte le variazioni del rock americano. Gold Rush è un album personale e forte ma allo stesso tempo orecchiabile e molto piacevole da ascoltare. Le sue sonorità familiari ci conducono tra le braccia di un genere musica che non stanca mai e si rivela sempre essere uno dei più affascinanti e sorprendenti.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

Dopo tutti questi anni

Ha aspettato troppo questo album prima di giungere alle mie orecchie. Savage On The Downhill è infatti del 2017 e da allora l’ho inseguito, girandoci attorno più volte ma quest’anno ho deciso finalmente di ascoltare questo album di Amber Cross. Questa cantautrice americana ha tutte le caratteristiche alle quali faccio fatica a resistere: voce da vera storyteller e musica semplice ma che va diritta al cuore. Non mi aspettavo altro ma è proprio in questi casi che le sorprese arrivano, con album recuperati in quella lista d’attesa infinita dentro la mia testa e dalla quale saltano fuori sempre cose buone.

Amber Cross
Amber Cross

Pack Of Lies apre l’album, avvicinandoci alla musica della Cross con una storia di menzogne e perdono. Fin da subito la sua voce tratteggia emozioni sincere che prendono vita grazie ad un country dallo stile impeccabile, “And I pray life is going to get easier / It won’t always be this hard / Through penitent tears I watch us fade / I never meant to do you wrong / Wish I could heal your breaking heart“. Eagle & Blue è una splendida ballata blues, velata di malinconia ma carica d’amore. Lo stile senza tempo della Cross è qualcosa di magico e perfetto, “You’d sing some say love is a flower / Some say love is a rose / If we give all we have to each other / Surely something might grow“. Tra le canzoni che preferisco di questo album, la title track Savage On The Downhill, è senza dubbio una delle migliori. Questa canzone pulsa di vita, attraversata da un’energia che sottintende una voglia di rivalsa, “I drop low into the canyon where you’re bound to be / Lying in the shadows, blending and unseen / You will know my heart and taste it’s ragged beat / When your beastly eyes set darkly upon me“. La successiva Leaving Again si affida a sonorità country nella sua forma più classica. Una storia da raccontare, una canzone da cantare, tanto basta a Amber Cross per incantare ancora, “Can I live with myself, his poor heart in my hands / I tell him I tried but he don’t understand / I know this is home but it don’t feel that way / He don’t want me to go but he drives me away“. Echoes dipinge un quadro familiare dove l’amore si è un po’ spento ma c’è speranza che tornerà. Un pezzo malinconico che ricorda lo stile di Margo Price, “Let’s go back to when you and I were young love / What’d we ever do to pass away the time / It had something to do with sunshine on a dew drowned meadow / Going walking and talking with the apple of my eye“. Trinity Gold Mine racchiude le sonorità dell’album. Amber Cross racconta una storia di emarginazione con profondo rispetto e una spiccata sensibilità. Da ascoltare, “I live out on the edge of town / Joe and I we settled down / With him I found a common ground / But no one knows about me / I guess I’m the quiet kind / The girls I like won’t give their time / They think I’m weird, they’re probably right / They don’t want to know about me“. Segue Tracey Jones, un gioiellino country che racconta la triste storia di questo ragazzo. La voce della Cross corre sul suono delle chitarre, svelando una delle ballate più belle di questo album, “Got a picture of the family when he was only three / The only one ever taken that included me / He was holding my hand standing next to his dad / On the day that he left us, that picture makes me sad“. Storms Of Scarcity è un’altra triste ballata triste, dove musica e voce compongono un sentimento di speranza. Tutto è al posto giusto al momento giusto, “Come sit by my side and wipe your weeping eyes / These hard times are more than I can bear / And here on the sand we’ll write our names inside this heart / Let the waves wash us away from here“. Paesaggi americani si dispiegano in One Last Look, evocati dalle parole della Cross e dalla musica della sua band. Un pezzo country vecchia scuola che si lascia sempre ascoltare volentieri, “These hills run deep into my bones, I know the secrets they keep / I know where the ancient souls lay wake beneath the trees / They turn around, they come and go, doing as they please / Stay with me everywhere I go, like a worn out melody“. Si chiude con Lone Freighters Wail, ballata dalle atmosfere notturne che conferma tutto il talento di questa cantautrice e ci lascia la voglia di riascoltare questo album ancora una volta.

Savage On The Downhill è un album per chi ama ascoltare quel country che racconta la vita, le sue difficoltà e le sue speranze. Si respira un’aria di familiarità, sincera che Amber Cross riesce ad interpretare sempre con passione ed energia. Questa cantautrice canta le sue esperienze e le storie che toccano le corde giuste di chi ascolta con un stile pulito e semplice, con la voce di chi ha alle spalle qualcosa che vale la pena raccontare. Savage On The Downhill è per chi ama il country folk, quello più sincero, e vuole credere, anche solo per un attimo che la redenzione è dietro l’angolo e c’è qualcuno che potrà cantarlo ancora una volta.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

Leggere fra le righe

Questo album, Somewhere Ride, con in copertina un baffuto ragazzo dai capelli lunghi, è stato nella mia wishlist per un bel po’ di tempo. Solo di recente sono tornato sulle tracce di Almighty American, moniker sotto il quale si nasconde il cantautore americano Michael Gay e la sua band. Il suo folk americano e la sua voce mi avevano conquistato subito, in particolare con la sua Bus Brakes. Questo Somewhere Ride è il suo album d’esordio, uscito nel 2017 anticipato dall’EP On The Edge di un paio di anni prima.

Almighty American
Almighty American

Si comincia con Dead Star, ballata country folk che richiama le sonorità più classiche di questo genere. Michael Gay con la sua voce ed un testo ricco di immagini ci svela il suo talento, supportato da una band di tutto rispetto. Tra le canzoni che preferisco di questo album c’è senza dubbio Bus Brakes. Un ritornello orecchiabile dove musica e parole si fondono alla perfezione, trascinando l’ascoltatore in quella meraviglia nella quale solo la musica ci può trascinare. The Only Eyes I Care About è probabilmente dedicata ad una persona speciale. Michael Gay riflette su sé stesso e sull’importanza di essere un artista in una delle canzoni più belle e personali di questo album. Reading Mind svolta verso un un folk rock dalla chiare sonorità americane. Ancora una volta questo cantautore riesce ad attirare l’attenzione di chi ascolta con il suo stile sincero e diretto che fa dell’immediatezza il suo punto di forza, in particolare in questa canzone. La successiva I Didn’t Know rallenta il ritmo essendo una ballata riflessiva e solitaria. Un vero e proprio gioiellino incastonato in questo album, che rende evidente il rispetto e la profonda ispirazione che Almighty American ha per i grandi cantautori della tradizione americana che lo hanno preceduto. In The Quiet è un’altra bella canzone sul desiderio di vivere in una felice tranquillità lontano da tutto. La voce di Michael Gay si fa più morbida che in precedenza, sottolineando questa profonda necessità di serenità. Law Of Club And Fang ricalca quanto fatto sentire finora, il suono della chitarra e la voce unica delineano il sound di questo cantautore. Così come succede nella bella Passing Time. Michael Gay si rifà uno stile vecchia scuola, giocando anche con la voce. La band si affida al suono familiare di una chitarra pedal steel che è sempre la benvenuta da queste parti. Si abbassano le luci e si fa spazio il folk rock scuro di Neon Catacombs. Una canzone per certi versi diversa del resto dell’album, più accattivante ma ugualmente sincera e personale, che ricorda un po’ un certo tipo di rock anni ’90. La conclusiva Wild, Young, Free affonda ancora di più in un’atmosfera malinconicamente rock. Almighty American confeziona una ballata solitaria e carica di rabbia e tristezza.

Somewhere Ride è un album brillante per la capacità di Michael Gay di trarre su si sé l’attenzione del ascoltatore mescolando testi personali a musiche facilmente riconducibili ad un certo tipo di cantautorato americano, e in questo la band ha un ruolo importante. Fa un certo effetto pensare che questo possa essere solo l’esordio di un cantautore, che dimostra di avere un certo carisma e talento nella scrittura. Sicuramente Somewhere Ride non è un album nato nel giro di poco tempo ma racchiude il lavoro di anni e che, viste le premesse, lascia presagire un interessante carriere per il progetto Almighty American. Per chi vuole ritrovare tutto il gusto del buon sound del folk americano questo album è perfetto per lo scopo.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

La misteriosa

Il nome di Alexandra Savior mi è balzato all’occhio un po’ per caso e un po’ perché stavo cercando qualcosa di diverso da ascoltare. Il suo album d’esordio del 2017 intitolato Belladonna Of Sadness mi ha subito incuriosito per le sue atmosfere dark e quel sound alternative rock che stavo cercando. Spesso questa cantautrice americana la troverete associata al nome di Alex Turner, produttore dell’album, nonché suo mentore. Personalmente non scelto questo album per i nomi che si portava dietro ma semplicemente perché i suoi numerosi singoli tratti da esso mi aveva attratto, facendomi riscoprire un genere musicale che avevo ultimamente lasciato un po’ in disparte.

Alexandra Savior
Alexandra Savior

L’iniziale Mirage ci svela le oscure trame dell’album, scandite dalla voce distaccata della Savior. La protagonista Anna-Marie Mirage è una donna che si è ritrovata in un mondo, quello dello spettacolo, lasciandosi trascinare dagli eventi e nel quale deve fingere di essere ciò che non è, “Dress me like the front of a casino / Push me down another rabbit hole / Touch me like I’m gonna turn to gold / She’s almost like a million other people / That you’ll never really get to know / And it feels as if she’s swallowing me whole“. Bones è una canzone che parla di un amore appena sbocciato ma che affolla, fin da subito, i pensieri della protagonista. Scritta da Alex Turner, questo brano, scandito dalle chitarre è uno dei più orecchiabili dell’album, “In my bones, I can feel it in my bones / In a way that I’ve never felt before / I just can’t stop from wondering where you are / How’s it for you, baby?“. Shades vira verso sonorità più marcatamente alternative rock, senza abbandonare le atmosfere oscure e ossessive dell’album. Il suono del basso suonato dallo stesso Turner guida la canzone e la voce della Savior, “Like when you’re looking for your shades / Rifling through your pockets / And you find them on your face / Walking around in a daze / I don’t want to stop it / Baby let you trade“. La successiva Girlie prende di mira il modo distaccato e snob dello show-business. La voce della Savior si fa melensa come quella di Lana Del Rey, in una canzone ben confezionata ed elegante, Talk about Hollywood problems / She’s got ‘em / She’s always looking for a wilder ride / And she’ll be fuckin’ with her phone all night / She calls me ‘Girlie’“. Frankie è una torbida storia di amanti, carica del fascino della voce della Saviour. La presenza di Alex Turner si fa ancora sentire ma esalta le doti espressive della giovane cantautrice, “You got falling stars at your feet / You got stolen from next to me / And the moment’s gone back to sleep / You got stolen from next to me / You say you gotta go / To a place I don’t know / Well, the ace in the hole / Is I’ve got a friend called Frankie“. Il pezzo da novanta dell’album è M.T.M.E., tributo alle colonne sonore dei film di Dario Argento. Una relazione interrotta rivive attraverso una compilation di dieci brani, “Scribble down in pencil / Ten-track souvenir / Audio momento / Music to my ears / You questioned my credentials / You quoted Vladimir / You’re Dario Argento / Music to my ears / Music to my ears / Music to my ears / Music to my ears“. Audeline è un altro brano a tinte fosche e un testo criptico. Un brano vagamente ipnotico e percorso da un ritmo lento ma costante, “Far behind / I struggle to cast a line / Motorcycle leather alliance / Don’t leave me caught up / He spends his days / With what’s-her-face / The seven shades of Shaman / She’s being vague / He’s in that phase / I’m by your place“. L’amore può far male, lo sa bene la protagonista di Cupid. Un punto di vista più drammatico dell’operato del dio Cupido che ben si sposa con il mood dell’album, “There’s a mysterious force / It sinks in it’s claws / Pulls me closer to yours / Some cosmic business / Illuminating allure / What are we waiting for / Never hated you more / Why does nobody but you“. ‘Til Your Are Mine affonda ancora di più in una nebbia da film horror. Tutta l’ossessione di una donna per il suo amante che però si rivela un traditore. La Savior è perfettamente calata nel ruolo, tanto è dolce e romantica la sua voce quanto sinistro il suo intento, “Do you think she feels like she’s being watched? / Maybe not / But baby, when the music stops all you got / Is a risky photo / Bathroom mirror moment, bozo / Smoke show / She’s fine / Perfect kissing height / Yeah, she suits you alright / But I won’t stop until you’re mine“. Ancora una relazione difficile, in fuga da qualcosa o qualcuno, in Vanishing Point. Affascinante scelta musicale che riaccende l’album e arricchisce la voce della Savior, “You’re a thousand times mine / I’m a thousand times yours / A thousand times mine / And I want a thousand more / Oh, until the vanishing point / And baby, not a moment before / You’re a thousand times mine / And I am a thousand yours / A thousand yours“. L’album si conclude con la lunga Mistery Girl. Ancora un amore ossessionato dalla presenza di un’altra donna. Alexandra Saviour ancora una volta si affida, sempre con il benestare di Turner, ad atmosfera da film horror vecchia scuola, “Pardon me, baby / But who’s the mystery girl? / Don’t you try to calm me down / Don’t you try to calm me down / Pardon me, baby / But who’s the mystery girl? / Mystery girl“.

Belladonna Of Sadness è album affascinante sotto molti punti di vista e con una direzione stilistica ben definita. Forse proprio questa solidità, merito della presenza ingombrante di Alex Turner e James Ford, rende questo debutto fin troppo maturo per una ragazza che all’epoca aveva solo ventun anni. La strada tracciata dal leader degli Arctic Monkeys può essere di aiuto per la giovane Alexandra Savior in futuro ma è evidente che non potrà dipendere da lui molto a lungo. Belladonna Of Sadness è un album che non cattura al primo ascolto e le sue particolari sonorità potrebbero non piacere a tutti, nonostante rappresentino una novità, però ci fanno conoscere un’artista dalla grandi potenzialità che deve ancora svelarsi completamente in un prossimo futuro.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / YouTube

Il destino d’un bracconiere

Chi segue questo blog sa che da tempo seguo con interesse la musica folk tradizionale britannica e devo dire che quasi riesco a distinguere quella inglese da quella scozzese o irlandese. Al dì là di un aspetto strettamente musicale, l’accento e spesso anche la lingua usata fanno la differenza. A volte non è poco più che un dialetto, altre volte è il meno comprensibile gaelico. Ultimo ad aggiungersi alla mia collezione è The Poacher’s Fate è una raccolta di dodici canzoni tradizionali inglesi, proposti dalla coppia Laura Smyth e Ted Kemp. L’album è uscito lo scorso novembre ma è da maggio che l’ho acquistato e da allora l’ho ascoltato con tutta calma, tirandolo fuori di tanto in tanto. Il bello di questa musica è proprio questo, non si presta ad un consumo veloce e distratto ma richiede attenzione e interesse per ciò che queste canzoni raccontano. Forse è per questo che ho aspettato così tanto per scriverne su questo blog.

Laura Smyth & Ted Kemp
Laura Smyth & Ted Kemp

L’album si apre con la title track The Poacher’s Fate. Le due voci si uniscono e raccontano di sei giovani bracconieri che escono a caccia di fagiani ma vengono scoperti dal guardiacaccia. Questo giura di uccidere uno dei ragazzi e a farne le spese è il più giovane e coraggioso del gruppo, “I and five more a poaching went to kill some game was our intent / As through the woods we gaily went no other sport we’d try / And the moon shone bright not a cloud in sight / The keeper heard us fire our gun and to the spot did quickly run / He swore before the rising sun that one of us should die“. Alizon Device racconta di una giovane donna molto povera che vorrebbe comprare tre spille da un venditore ambulante incontrato per strada. Il venditore si rifiuta di farlo e la insulta solo perché povera. La ragazza allora si augura la morte del venditore e, grazie a qualche potere oscuro, cade a terra morto poco dopo. Non a caso la figura di Alizon Device è associata spesso a quella di una strega, “And when he spoke these spiteful words it made my heart full sore / I vowed he would not speak such words to young maids anymore / And at these thoughts my will was done, down the pedlar fell / And all the while I feared that I had damned my soul to hell“. There Is A Tavern è una canzone che parla d’amore e del dolore quando questo finisce, è tradito o non corrisposto. Una delle canzoni più belle di questo album, “There is a tavern in yonder town / Where my true love goes and sets him down / He takes another girl on his knee / Now don’t you think that’s a grief for me?“. La successiva Murder In The Red Barn è cantata da Ted Kemp e racconta la vera storia dell’omicidio di Maria Marten avvenuto nel 1827. L’assassino è William Corder e questa canzone è una sorta di confessione ed è una delle tante ispirate a questo fatto di cronaca. In particolare questa è del 1912, “My name is William Corder / The truth I do declare / I courted Maria Marten / Both beautiful and fair / I promised that I’d marry her / All on one certain day / Instead of that I was resolved / To take her life away“. Cecilia è la storia di una ragazza che si veste da uomo per mettere alla prova l’amore della sua dolce metà. Tutto finisce per il meglio, la ragazza riesce a dimostrare la sua lealtà e, una volta rivelato l’inganno, sposa il giovane, “Cecilia on one certain day / She dressed herself in man’s array / With a brace of pistols all by her side / To meet her true love, to meet her true love / To meet her true love away did ride“. Winder’s Hornpipe / Kill Him With Kindness è un brano strumentale in due parti che divide l’album a metà e fa apprezzare le doti di musicisti della coppia. Segue Here’s Adieu To All Judges And Juries che racconta il dolore di un uomo che viene esiliato. Tutto la sua disperazione per essere lontano dalla sua amata emerge dai versi di questa canzone. Sette lunghi anni lontano da lei, “Here’s adieu to all judges and juries, / Justice and Old Bailey too. / Seven years I’m parted from my true love, / Seven years I’m transported, you know“. The Brown Hare Of Whitebrook è una poesia scritta da Ammon Wrigley ispirata ai paesaggi di Saddleworth. Alcuni uomini danno la caccia ad una lepre che però riesce sempre a fuggire. Dopo un lungo inseguimento e riconoscendosi sconfitti, uno dei cacciatori giura di lasciare in pace la lepre per sempre, “Going down the dale by Alphin they heard John Andrew’s horn / And every lad worth rearing was hunting bread and born / The squire and the poor man, hand in hand went they / And the life was worth the living in old John Andrew’s day“. Brave Benbow racconta la morte dell’ammiraglio John Benbow in una battaglia navale durante la guerra di successione spagnola. L’eroico ammiraglio, nonostante abbia perso entrambe le gambe, vuole continuare a combattere e questa canzone, in una delle sue versioni, celebra il suo gesto, “Admiral Benbow lost his legs / by chain shot, by chain shot / Admiral Benbow lost his legs by chain shot / he down on his stumps did fall and quite bitterly he did call / ‘Fight on my British Tars, ‘tis my lot, ‘tis my lot’“. Segue The Manchester Angel che racconta la storia di una giovane recluta che si innamora di una donna conosciuta in un pub di Manchester chiamato The Angel. La loro storia d’amore dura poco perché il soldato deve tornare subito al fronte. La canzone è legata ai fatti storici dell’insurrezione giacobita del 1745 e questa è una versione del 1906, “It’s coming down to Manchester to gain my liberty, / I met one of the prettiest girls that ever my eyes did see / I met one of the prettiest girls that ever my eyes dd see / At the Angel Inn in Manchester, there is the girl for me“. Wild Rover affronta una tematica ricorrente nelle ballate folk ovvero quella delle bevute e il girovagare senza meta. Qui il protagonista dopo una vita di bagordi decide di smettere e ritornare a casa come fece “figliol prodigo”, “It’s coming down to Manchester to gain my liberty, / I met one of the prettiest girls that ever my eyes did see / I met one of the prettiest girls that ever my eyes dd see / At the Angel Inn in Manchester, there is the girl for me“. Chiude l’album The Carrickmannon Lake. Una canzone d’amore, un amore non corrisposto, di origine irlandese, “One evening for my pastime a ramble I did take / Down by yon crystal fountain called Carrickmannon Lake / Down by yon crystal fountain an image I did view / Sure nature never could design an image quite like you“.

The Poacher’s Fate è un album di ballate tradizionali, eccetto Alizon Device scritta dalla Smyth, riproposte in maniera semplice e mantenendosi fedeli alla tradizione. Laura Smyth e Ted Kemp sono una coppia che ben si completa, dove la voce femminile prevale nella maggior parte delle canzoni. Conoscere il significato delle canzoni è quantomeno indispensabile per apprezzare questo album, e in generale questo genere di musica, che non si propone di essere immediato. Ammiro sempre la volontà di questi ragazzi di portare avanti la tradizione, a volte con un tocco di modernità e altre, come nel caso di Laura Smyth e Ted Kemp, mantenendosi il più possibile fedeli ad una versione originale, che spesso è andata persa con il passare degli anni o, addirittura, secoli.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Bandcamp

Una bottiglia vuota nel vicolo

Ho conosciuto Anna Tivel grazie alle sue collaborazioni con Jeffrey Martin e ho deciso così di ascoltare il suo ultimo album uscito lo scorso anno, intitolato Small Believer. La musica di questa cantautrice americana ha tutte le caratteristiche che piacciono a me e Martin ha fatto il resto. Questo album è uno di quelli che mi sono tenuto in serbo per ascoltarlo beatamente durante le vacanze estive e devo ammettere che non potevo fare scelta migliore. Le atmosfere intime e introverse della sua musica sono l’ideale per passare alcuni minuti di relax cullati dalle melodie e dalla voce. Eccomi dunque alla prese con il quarto album di Anna Tivel.

Anna Tivel
Anna Tivel

L’iniziale Illinois affronti temi con il viaggio e la solitudine, che vanno spesso a braccetto. La voce delicata della Tivel esprime una fragilità che è raro trovare così naturale. Il folk cantautorale americano è una costante di questo album, “And nothing hurts like crying on a long drive home / Nothing worse than hiding in the dark alone / From the beautiful lights of a dangerous love“. Saturday Night esprime il contrasto tra il sabato sera chiassoso e la volontà di passare una serata tranquilla in solitudine. Anna Tivel esprime bene i sentimenti di chi è introverso è preferisce stare solo, anche il sabato sera, “The only light in the basement apartment, the flicker and fade of time / The heavy and hopeful heart of a Saturday night / Of a Saturday night“. La successiva Alleway è una delle canzoni che preferisco di questo album. Una riflessione su una vita di coppia che deve affrontare le difficoltà della vita. In quella melodia, in quelle parole ed immagini ritrovo tutta la bellezza delle canzoni di Jeffrey Martin, “But sometimes still at night I dream, an empty Bottle in the alleyway / On a night so clear a billion stars are born / And each one is a world I guess, of dust and flame And wishes cast / By lovers hoping love will last til morning“. Dark Chandelier racconta la storia di Tommy, un operaio che ha passato la vita in fabbrica, fa un incidente guidando ubriaco di notte. La voce della Tivel è tagliente, ferma, in contrasto con il suo timbro delicato, “Thirty-one years on the factory floor / The grease and the motor, the seven to four / And the face of his daughter, no child anymore / His wife and his mother, his life and his love“. Ancora la notte e la solitudine si ripresentano alla porta con Blue World. Poetica riflessione sulla vita, fatti di singole immagini che si susseguono una dopo l’altra, quasi uscissero naturalmente, senza filtri, “And no one to call your name / And no one to bring a rose / And you come to the heavy gate / And you open it all alone / And a wild magnolia blooms / On the damp uncovered earth / And the twist of the tangled roots / And you’re leaving the blue world“. Last Cigarette è tra le migliori di questo album. Tra le più orecchiabili ma non meno intensa e malinconica delle altre. Ancora immagini di vita quotidiana, di difficoltà affrontate con tutta la forza e la speranza di un riscatto, “You woke and the window wide open, your pillow, all wet from the rain in the night / The trail of a siren, the red and white neon, a broken reflection, a cry / Just a girl in the alley, a bicycle bell, and the last cigarette won’t light“. Riverside Hotel è un altro gioiello di poesia e malinconia. Tutta la sensibilità della Tivel viene fuori in un incessante melodia triste e malinconica, “A memory comes winding through the ruin of his mind / The hardhats and the heavy boots, the nail gun’s ringing whine / A jungle with the same sharp sound, his brothers falling all around / They built them up, just to tear them down, and left him half alive“. Ordinary Dance racconta il passare del tempo attraverso le immagini di una casa che si va svuotando e invecchia. Anna Tivel usa la voce e la musica come un pennello per di dipingere un quadro, “And nobody remembers anymore / Nobody remembers anymore, it’s just another story that never got told / And ordinary dance across an ordinary floor / Nobody remembers anymore“. In All Along è protagonista ancora il viaggio, la nostalgia di casa. Tutto è perfetto, un accompagnamento mai sopra le righe che lascia emergere la voce della Tivel, “There you go just running, like a color, like an engine / You got ninety miles to get back to the place where you were born / And truth is just a sound you make, when no one else is listening / And the blue and bitter wind has left you feeling mighty low“. Con Highest Building la cantautrice americana si spinge verso sonorità più rock. Quello che è fatto è fatto, sembra voler dire questa canzone, “And the sun beats on the highest building / And a shadow on the street below / And there ain’t no fixing what’s been broken / And there ain’t no price for what’s been sold“. La title track Small Believer chiude l’album. Voci, persone e paesaggi si fondono, portandoci nell’universo poetico e solitario della Tivel, “And small believer i’m alive i guess / The whiskey mixing with a dream i had / The music lifting me above the bed / The silver trumpet and the clarinet“.

Anna Tivel è una cantautrice che non nasconde sé stessa all’ascoltatore. Small Believer è un viaggio sia dentro l’animo che fuori, una lunga riflessione sulla vita e le sue piccole cose che la rendono preziosa. I sentimenti più tristi e malinconici trovano espressione attraverso la musica, sempre essenziale, e la sua voce delicata. Anna Tivel ha il talento di cogliere le più piccole sfumature della quotidianità, frutto di riflessioni fatte, molto probabilmente, in solitudine. Small Believer non è un album immediato ma nemmeno un ascolto difficile. Basta solo sapersi ritrovare, anche solo un po’, nelle sue atmosfere e scoprire così di essere di fronte ad una cantautrice dalle eccezionali qualità che mai avrebbe potuto fare altro nella vita. Qui sotto Anna Tivel e Jeffrey Martin con Alleway.

Sito Ufficiale / Facebook / Instagram / YouTube / Bandcamp

Mi ritorni in mente, ep. 53

L’estate si sta facendo avanti ma manca ancora qualche settimana alle tanto agognate ferie. A causa di qualche impegno lavorativo che mi porterà via qualche ora del weekend, mi vedo costretto a rinunciare alla mia consueta recensione della settimana. Ma per fortuna questa rubrica mi viene in soccorso e mi permette di continuare a scrivere di musica su questo blog senza impiegare troppo tempo.

Affrontare una recensione di un album prevalentemente strumentale non è, almeno per me, impresa facile. Credo che sia più semplice limitarsi ad ascoltarlo. Bando alle ciance e vado quindi a recuperare per voi un album uscito nel 2017 intitolato The Seer. L’album è ad opera della violinista scozzese Lauren MacColl, già ascoltata come membro dei Salt House. Un primo ascolto di questo album solista mi aveva affascinato e per i successivi è stato altrettanto. Il violino della MacColl accompagna e guida la band in un album prevalentemente strumentale, ad eccezione di paio di brani cantati da Rachel Newton. Le sonorità sono quelle tipiche della musica folk scozzese e tutte sono di grande impatto. The Seer vuole raccontare, attraverso la musica, la vita e le profezie di Coinneach Odhar, il veggente di Brahan, un leggendario profeta del XVII secolo che visse nella località di Easter Ross, in Scozia. Vi lascio con questa And Sheep Will Eat Men / Brahan e l’invito ad ascoltare l’album per intero.

La strada verso casa

Il nome di Dori Freeman non mi era di certo nuovo ma fino ad ora non avevo mai approfondito la conoscenza della sua musica. Questa cantautrice americana ha all’attivo due album, il primo del 2016 che porta il suo nome e il secondo uscito lo scorso anno, intitolato Letter Never Read. Sono partito da quest’ultimo per scoprire Dori Freeman e il suo country cantautorale che va ad unirsi all’ondata revival di questi anni. Come ho scritto in precedenza, il suo nome si ripresentava spesso durante le mie ricerche e non ho voluto rimandare ulteriormente l’ascolto di questo album, spinto anche dall’ottima impressione dei primi ascolti.

Dori Freeman
Dori Freeman

Si comincia con la bella If I Could Make You My Own. Una canzone d’amore, inteso nel suo senso più ampio. La voce della Freeman è pulita e toccante, va a completare un accompagnamento country nella sua forma più classica, “Oh the rivers and seas may churn / Oh the flowers and leaves may turn / I need never to grieve and yearn / If I could make you my own“. La successiva Just Say It Now continua sulla stessa strada, svelandoci l’animo più dolce di questa cantautrice. Le bastano poche parole per riuscire ad esprimere anche il sentimento più profondo, “I wish my little heart had not been born so blue / I’m so much older for the things its put me through / And now I’m cryin’ on a big ol’ empty floor / And, yes, you wanted me, but I wanted you more“. Lovers On The Run si porta verso melodia più orecchiabili. Un’altra canzone d’amore delicata, che trova la sua forza in un accompagnamento essenziale ma efficacie. Da ascoltare, “Well I’ve listened to excuses and I’ve watched ‘em walk away / It’s only after holding me they say they cannot stay / I’ve spent many an hour writin’ letters never read / I’ve stared away the ceilings of a thousand lonesome beds“. Con Cold Waves, la Freeman ci propone una delle canzoni più tristi dell’album. In brani come questo si percepisce meglio la sua capacità di sposare il country con un cantautorato moderno e femminile, dimostrando così il suo talento, “The morning comes in fast, at least my dreams are done / There’s somethin’ livin’ in and weighin’ down my lungs / There’s something bitter and it’s tyin’ up my tongue / My body’s restless but I’ve got nowhere to run“. Seque una delle canzoni più curiose, Ern And Zorry’s Sneakin’ Bitin’ Dog. Interamente cantata senza alcun accompagnamento musicale, racconta di un ragazzo che deve affrontare ogni volta che torna a casa un terribile cane. Non teme nulla, a parte questo cucciolo per niente innocuo, “I learned the mud-holes and the ditches / The shortcuts and the fences / I could even cross old Elk Fork on a log / But what I always feared the most, more than ol’ dark holler’s ghost / Was Ern and Zorry’s sneakin’ bitin’ dog“. Un banjo accompagna Over There. Dori Freeman dimostra ancora di saper tenere le redini di una canzone anche solo con la voce e senza fare uso di virtuosismi. Davvero notevole, “Over there, over there / I’m gonna wear that starry crown over there / Well I got no skillet and I got no lid / And the ash cake tastes like shortnin’ break / And I’m gonna wear that starry crown over there“. I Want Too See The Bright Lights Tonight è una cover dell’originale di Richard Thompson. Un inno alla voglia di una serata senza pensieri dopo una settimana di duro lavoro. Tutto è perfetto, semplice ed evocativo, senza sbavature, “Meet me at the station, don’t be late / I need to spend some money and it just won’t wait / Take me to the dance and hold me tight / I want to see the bright lights tonight“. Turtle Dove è una triste canzone d’amore che esalta il lato dolce e sensibile della musica della Freeman. Anche questa volta si fa leva sulla semplicità e sull’essenziale, lasciando più spazio alle parole e ai sentimenti, “I never meant to fall in love / Come as the fated turtle dove / Plant her kiss upon my lips to stay / You are the one I’ve fallen for / Hard as I try I can’t ignore / Surely I know my heart is bound to pay“. That’s All Right è ancora una canzone malinconica, dove si riesce a cogliere tutta l’intensità dei sentimenti. La voce della Freeman si fa meno luminosa che in precedenza, dando più profondità al canto, “And every time / You held me down / You looked at me / Just like the devil had been found / But in your eyes / You knew it too / That it was only your reflection scaring you“. Chiude l’album la bella Yonder Comes As Sucker, cover dell’originale di Jim Reeves. Una versione spogliata di ogni accompagnamento, ad eccezione di un rullio di tamburi, “Railroad steamboat river and cannal yonder comes a sucker and he’s got my girl / And she’s gone gone gone gone and she’s gone gone gone / And I’ll bid her my last farewell“.

In questo Letter Never Read la parola d’ordine è semplicità. Dori Freeman va alla ricerca di un country essenziale, dove prevalgono le parole sulla musica. La sua voce pulita e dall’apparenza innocente contrasta con i sentimenti espressi nelle sue canzoni. Le cover presenti sono riproposte in una forma più semplice ma rispettosa. Dori Freeman è una cantautrice che definirla country significa dare un limite alla sua musica. Il suo approccio è più moderno di quanto possa apparire ma non per questo slegato dalla tradizione americana. Letter Never Read è un ottimo album, nel quale trovare il gusto semplice delle canzoni tradizionali con un’attenzione particolare ai testi piuttosto che ad una ricerca musicale.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / Instagram / Bandcamp

L’estate si avvicina

Questo è un buon momento dell’anno per recuperare qualche uscita dello 2017. Ci sono album che sono finiti nella mia wishlist per poi rimanere sotterrati dalle nuove uscite. Lo scorso mese, ad esempio, è stato foriero di tanta nuova musica ma questo aprile si è rivelato più tranquillo in questo senso. Perciò mi sembrava il momento di recuperare questi album rimasti in lista d’attesa. Uno è Wild & Wicked Youth, terzo album della cantautrice inglese Kim Lowings e la sua band The Greenwood. Il suo folk in bilico tra tradizione e modernità era già giunto alle mie orecchie con l’album Historia del 2015 ma non avevo approfondito. Per conoscere la musica di Kim Lowings dovevo pur iniziare da qualche album e questo Wild & Wicked Youth è quello che ho scelto.

Kim Lowings and The Greenwood
Kim Lowings and The Greenwood

Si comincia con In Spirit, una ballata folk dove la musica gioiosa contrasta con il testo. Il fantasma senza pace di un suicida conduce alla morte altri uomini, trascinandoli nelle profondità del mare, “We may get seven years or more / Of life and love both rich and poor / Before the song it calls me back to sea. / Then I will pull you through the door, / Bid a farewell to the shore. / Drag you under, bring you home with me“. Segue Oyster Girl, la prima delle ballate folk tradizionali di questo album. Una scelta musicale azzeccata, racconta la storia di un francese in visita a Londra che viene truffato da una ragazza che vende ostriche, “We’d not been in the room scarcely but a half an hour / Before she picked my pockets of fifty pounds and more / And out of the doorway so nimbly she did trip / And left me with her basket of oysters“. Farewell, My Love So Dear si apre con un coro di voci maschili che lascia spazio alle note del contrabbasso. Un canzone più oscura delle precedenti, con un’atmosfera ben calibrata, “Farewell my love so dear / For now the time is near / From thee I’m going. / But I will come again / When frost is on the pane / And storms are blowing“. The Cuckoo è un altro brano tradizionale, riproposto in una veste accattivante. Kim Lowings con la sua voce riesce trasmettere quel senso di inquietudine, reso più pungente dal suono del violino, “Oh the cuckoo she’s a pretty bird, / She sings as she flies. / She brings us glad tidings, / She tells us no lies. / She drinks from wild flowers / To keep her voice clear / And when she sings cuckoo / The summer draws near“. The Tortoise And The Hare si rifà alla nota fiaba della tartaruga e la lepre per rappresentare un amore che va a due velocità diverse. Una ballata folk colorata e positiva che mostra tutto il talento della Lowings e della sua band, “I’m like the tortoise and you’re like the hare. / You’re quick off the blocks while I tread with care. / I’d rather be cautious it’s a harsh world out there. / And your smug smile it tells me that I’d better beware“. La successiva Firestone si poggia sulle note di un pianoforte. Senza dubbio uno dei brani più affascinanti di questo album, oscuro e toccante con una spiccata personalità pop, “But I will not stray from the pathway. / My steps will not falter nor fail. / Though this burning inside me / May try to deny me / The firestone will tell its own tale“. Wyle Cop / The Wonderful Mr Clark è una gioiosa ballata folk che affonda a piene mani nella tradizione inglese. L’intro di violino ci apre a lieti e sconfinati scenari, la voce della Lowings ci racconta tutto il fascino di Mr Clark, “With pockets full of charm, / That twinkle in his eye. / See how all the ladies swoon as Mr Clark walks by / And you may try and tell him / But this he will deny / There’s nobody as wonderful as Mr Clark“. Segue Bold Riley, una ballata tradizionale, proposta in una versione corale. Queste canzoni hanno passato il vaglio dei secoli e giungono a noi intatte anche grazie ad artisti come Kim Lowings, “Goodbye me sweetheart, / Goodbye me dear-o / Bold Riley-o, Bold Riley, / Goodbye me darlin’, / Goodbye me dear-o, / Bold Riley-o has gone away“. Oh The Wind and Rain è una classica murder ballad spesso riproposta dagli artisti folk. Conosciuta anche con il titolo di The Two Sisters, racconta la storia di due sorelle che s’innamorano dello stesso uomo e una sorella uccide l’altra per gelosia, “They pushed her into the river to drown / ‘Oh the wind and rain’ / Watched her as she floated on down / ‘Crying oh the dreadful wind and rain’“. La successiva Away Ye Merry Lassies è una cover dell’originale di Georje Holper del ’89. Anche questa volta c’è spazio per una gioiosa ballata con un ritornello orecchiabile e accattivante, “Oh the moon is wax tonight / Don’t you like the fellas? / I prefer the girls tonight / I’m goin’ to ride the wind. / ‘Cause it’s the girls’ night out. / Away ye merry lassies! / Get your brooms, get ‘em out. / We’ll ride the wind tonight“. The Newry Highwayman
è una delle canzoni che preferisco di questo album. Un brano della tradizione, che racconta la storia di un uomo che vive la sua vita nell’illegalità finendo per essere ripudiato anche dai suoi cari, “I robbed Lord Golding I do declare, / And Lady Mansel in Grosvenor Square. / I closed the shutters, bid them goodnight. / And carried their gold to my heart’s delight“. C’è spazio per un’altra ballata al pianoforte per chiudere l’album. Si intitola Fly Away ed è una delle canzoni originali di questo album. Un testo toccante e intenso che mette in luce tutte le doti di cantautrice della Lowings, “Hold on to innocence my child. / You’ll miss it when you’re older… / I’ll fly away, fly away oh glory. I’ll fly away. / When I die hallelujah by and by. I’ll fly away“.

Wild & Wicked Youth è da inserire tra i migliori album folk dello scorso anno. Kim Lowings e la sua band sono riusciti a proporre un folk ricco ed intenso, che guarda alle sonorità più contemporanee di questo genere. I brani originali e quelli tradizionali si mescolano alla perfezione avendo come filo che li unisce la voce educata e morbida della Lowings. La mia, seppur lenta, ma costante scoperta del folk d’oltre Manica, mi ha portato ad ascoltare diverse versioni delle stesse ballate ed ognuna di esse è speciale a modo suo e quelle di Wild & Wicked Youth non fanno eccezione. Le sonorità più allegre si contrappongono felicemente ad quelle più oscure e tristi, dando una forte impressione di essere complementari l’une alle altre. Sì, Kim Lowings & The Greenwood meritano un approfondimento e non posso evitare di ripercorre la loro discografia ed evitare così di lasciarmi scappare ancora qualcosa di buono.

Sito Ufficiale / Facebook / Twitter / YouTube / Bandcamp

Mi ritorni in mente, ep. 50

Piccola pausa prima di riprendere con le consuete recensioni e per l’occasione vado a ripescare una canzone tratta da un EP uscito lo scorso anno. L’artista in questione è Sophie Morgan, giovane cantautrice inglese, al debutto lo scorso anno con Annie, composto da quattro canzoni. Voce morbida e innocente che richiama alla memoria le sonorità tipiche che del cantautorato pop inglese. Tra queste quattro canzoni spiccano l’originale Hey Annie e la cover di una canzone dei The Waterboys intitolata The Whole Of The Moon. Tutto l’EP viagga sulla stessa lunghezza d’onda, lasciandoci la curiosità di scoprire qualche sfumatura in più nella sua musica magari in un prossimo album.

Mentre io mi preparo alle nuove uscite del mese di marzo, non sono poche e anche piuttosto interessanti, vi lascio ascoltare Hey Annie.