Mi ritorni in mente, ep. 87

Arriva il Natale e non possono mancare le innumerevoli versioni delle varie canzoni natalizie. Dai classici senza tempo a quelle più particolari, passando per alcune originali. Ovviamente capita spesso che artisti diversi propongano le stessa canzoni riviste secondo il loro stile e gusto.

Quest’anno ho voluto raddoppiare e farvi ascoltare due versioni di The Little Drummer Boy, anche conosciuta come The Carol of the Drum. L’originale è della compositrice statunitense Katherine K. Davis che la scrisse nel 1941. In Italia non è molto conosciuta ma se vi interessa esiste anche la versione italiana intitolata Il Piccolo Tamburino. Io vi propongo due versioni diametralmente opposte. Una più classica e vagamente soul di Lauren Daigle, che punta tutto sulla splendida voce di quest’artista, e l’altra è decisamente più sperimentale e alternativa. I Wintersleep e il loro “little dummer boy” Loel Campbell ci danno dentro. Ognuno ha il Natale che preferisce e qualsiasi sia il vostro, vi faccio i miei sinceri auguri.

Non mi giudicate – 2019

Un altro anno è passato e sono qui per fare il punto su quanto di meglio è passato per le pagine di questo blog. Ogni anno è sempre più difficile fare delle scelte ma è bello poter passare in rassegna i dischi ascoltati e i libri letti. Ecco qui sotto, le mie scelte. Chi è rimasto fuori lo potete trovare comunque qui 2019. Ho aggiunto una nuova categoria per gli album esclusivamente strumentali, che quest’anno si sono aggiunti alla mia collezione.

  • Most Valuable Player: Rachel Sermanni
    Con il nuovo So It Turns questa cantautrice scozzese ritrova ispirazione e cresce sotto ogni aspetto, come artista, come donna e soprattutto come madre. Un ritorno che mi è piaciuto molto, nel quale ho ritrovato un’amica.
    Rachel Sermanni – What Can I Do
  • Most Valuable Album: Designer
    Fin dal primo ascolto non ho esitato a definire Designer come l’album dell’anno. Aldous Harding raggiunge la perfezione nell’equilibrio tra il suo folk acustico dell’esordio e l’astrattismo moderno. Consigliatissimo.
    Aldous Harding – Zoo Eyes
  • Best Pop Album: Norman Fucking Rockwell
    Lana Del Rey non sbaglia un colpo e non vuole fare la pop star. Sempre più lontana dall’apparire come una femme fatale, questo album racchiude uno spirito poetico trapiantato in un presente decadente e alla deriva.
    Lana Del Rey – Fuck it I love you / The greatest
  • Best Folk Album: Enclosure
    Le sorelle Hazel e Emily Askew realizzano un album che attraverso brani tradizionali lancia un messaggio attuale. Attraverso un accompagnamento musicale essenziale e la voce di Hazel, le Askew Sisters ci fanno riflettere.
    The Askew Sisters – Goose & Common
  • Best Country Album: The Highwomen
    Il supergruppo con Amanda Shires, Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile sia aggiudica il premio con un mix di canzoni dall’anima country ispirata dai maestri del passato. Il tutto segnato da un’ispirazione femminista.
    The Highwomen – Redesigning Women
  • Best Singer/Songwriter Album: Lucy Rose
    Il suo No Words Left è un album difficile da affrontare. Così personale ed intimo che lascia l’ascoltatore un senso di impotenza. Lucy Rose riesce più di tutte a trasmettere sé stessa attraverso le sue canzoni.
    Lucy Rose – Treat Me Like A Woman
  • Best Instrumental Album: The Reeling
    La giovane musicista Brìghde Chaimbeul con la sua cornamusa ha incantato tutti riuscendo a mescolare tradizione e modernità. Questa ragazza nel suo piccolo sembra avere tra le mani il futuro della musica folk.
    Brìghde Chaimbeul – An Léimras / Harris Dance
  • Rookie of the Year: Jade Bird
    Come poteva essere altrimenti. Jade Bird con il suo esordio si è rivelata una delle promesse più lucenti del panorama musicale inglese e non solo. Una ragazza che punta alla sostanza e rifiuta le mode passeggere. Da non perdere.
    Jade Bird – I Get No Joy
  • Sixth Player of the Year: Emily Mae Winters
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. In realtà il talento di questa cantautrice inglese era già emerso fin dal suo esordio folk, a sorprendere invece, è la sua scelta di virare verso un sound più americano. Coraggiosa e vincente con High Romance.
    Emily Mae Winters – Wildfire
  • Defensive Player of the Year:  Janne Hea
    Questa cantautrice norvegese ritorna dopo tanti anni con Lost In Time e lo fa riproponendo la sua formula vincente: semplicità, sincerità e poesia. Ho ritrovato un’artista che ho ascoltato per anni, in attesa di questo ritorno.
    Janne Hea – Lost In Time
  • Most Improved Player: Joseph
    Le sorelle Closner con il loro Good Luck, Kid brillano per energia e affiatamento. Un album pop curato nei dettagli che oscilla tra passato e presente, portando le Joseph ad un livello superiore rispetto a questo fatto sentire finora.
    Joseph – Green Eyes
  • Throwback Album of the Year: Savage On The Downhill
    Ho inseguito questo album della cantautrice americana Amber Cross per anni. Non mi ha deluso. Per niente. Tanta buona musica country folk, diretta e sincera. La voce della Cross è unica e non vedo l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da lei.
    Amber Cross – Trinity Gold Mine
  • Earworm of the Year: Benefeciary
    Il ritorno della band canadese dei Wintersleep con In The Land Of è un davvero un bel album. Ogni singola nota è ispirata dall’amore per il nostro pianeta. Questa canzone in particolare ci ricorda che siamo beneficiari di un genocidio.
    Wintersleep – Beneficiary
  • Best Extended Play: Big Blue
    Bess Atwell ritorna con un EP che rinfresca il suo sound in attesa di un nuovo album che spero arrivi presto. Questa cantautrice inglese conferma con questo disco tutto il suo talento e la sua voce unica.
    Bess Atwell – Swimming Pool
  • Most Valuable Book: Infinite Jest
    Non ci poteva essere che Infinite Jest come libro dell’anno. Il capolavoro di David Foster Wallace ancora oggi, a distanza di mesi, mi ritorna in mente con le sue storie assurde, tristi e tragicomiche.

collage

Non ti lasceremo mai andare

Un nuovo album dei Wintersleep rappresenta per me un momento nel quale riascoltare uno dei gruppi ai quali sono più affezionato. Uno dei pochi baluardi indie rock che ancora resistono nella mia collezione, retaggio di anni passati a bazzicare questo genere che più delle volte mi ha deluso. Ma questo gruppo canadese non lo ha mai fatto ed ero sicuro che il nuovo In The Land Of non sarebbe stato da meno. Sono sempre loro Paul Murphy, Tim D’Eon, Loel Campell e Jon Samuel, con la new entry Chris Bell al basso, alla loro settima fatica. In copertina l’immagine della plastica che invade i nostri mari che mette subito in chiaro quali sono i temi di questo album. Non resta che ascoltarlo.

Wintersleep
Wintersleep

L’iniziale Surrender si srotola sul suono delle chitarre e introduce la voce inconfondibile di Murphy. Il tempo che va avanti, l’età che si fa sentire e un sentimento di resa si fa spazio nella mente. Un inno rock come solo questo gruppo sa fare, “Thirty six years now / Halfway to my tomb / In this flesh I have / Grown accustomed to / You can see the way / Irretrievably doomed / Darling, I’m still consumed by you / I’m consumed / Consumed / Consumed“. Forest Fire è un ritorno alle sonorità delle origini. Un delle canzoni più poetiche del gruppo, una dichiarazione d’amore, non è chiaro per chi o per cosa, ma sicuramente è un amore profondo, ardente, “You were the dead of night / Burning in the embers of my eyes / I was a distant light / Shimmering after life / You were the pre-dawn light / Gleaming, ever-dreaming / I will love you for all time / I will love you for all time“. Il singolo Beneficiary è il cuore dell’album. Una sola frase racchiude tutta la crudeltà dell’uomo che sta distruggendo il suo pianeta per fare una vita tranquilla, ognuno di noi è il beneficiario di un genocidio. Una canzone all’apparenza gioiosa ma con un testo importante che alla parola genocidio è capace di farci riflettere, “All my days I wake up, open my eyes / Beneficiary of a genocide / Drive to work all day / Go to sleep at night / Beneficiary of a genocide“. Ma sembra esserci spazio anche per qualcosa di più leggero come Into The Shape Of Your Heart. In realtà anche questa volta il gruppo dichiara amore a questa Terra e non vuole distruggerla, non vuole essere complice della sua distruzione. Un’altra bella canzone, vibrante di vita e profonda nel testo, “I could sleep in your arms / I could die in your dreams / I could live in your woods / Wander endlessly / I can give you the words / I won’t leave it to chance / I never wanted to be / Complicit victims of a dead romance“. La successiva The Lighthouse fa calare il buio ed si torna in territori più rock. I Wintersleep sfoderano un brano tirato e senza fronzoli. Murphy e compagnia sono più vivi che mai e ce lo fanno sapere, “All the way up to the lighthouse / Where we spent so many nights / Always thought you’d live a long life / You’re a ghost now on your own time“. Echi dei loro esordi si possono sentire in Never Let You Go. Con un ritornello orecchiabile e un ritmo trascinante, la band ribadisce di non voler abbandonare la Terra ad un triste destino. Un gioioso inno da ascoltare e riascolatare, “Smoke on the horizon / Yeah I’m still surviving / A flicker in a moment / I won’t let it die yet / I have a vision that we live forever / I have a vision there was nothing after death / Just the garbage of a hundred thousand years / Floating through the great Pacific of our heads“. Chitarre distorte e sonorità più alternative in Soft Focus. Una canzone che sembra quasi voler confondere l’ascoltatore, evocando un sentimento di alienazione e distacco, “Fall through the sky / I don’t know why / No one around to catch it / You live, then you die / No reasoning why / Only the sound of your heart / Resounding, surrounding / Resounding, surrounding“. Waves esprime il desiderio di fuggire dalla città e cercare una tranquillità lontano da un mondo che diventa sempre più distante dalla natura umana. Forse rimarrà solo un desiderio, “Maybe I’ll / I’ll move to the countryside / That little French town / I’ve had in my mind’s eye / Where the waves unspeakably speak / Where the days spill so violent and free / I’m a freak here / I’m a freak here / I’m a freak here“. Non solo l’inquinamento soffoca il pianeta ma anche la guerra e il terrorismo distruggono l’umanità. Terror infatti denuncia la crudeltà e la freddezza della guerra moderna combattuta con silenziosi droni che incobono nella notte, tra l’indifferenza del mondo, “Once upon a time in an unknown sky / From an unnamed source through an unclear line / Flew an unmanned drone they called Lady Night / It’s an inside joke / That nobody knows“. La canzone più personale e intima di Paul Murphy è in fondo a questo album e si intitola Free Pour. Una riflessione sulla sua vita, ormai vicina ai quarant’anni, la band e la musica. Una canzone quasi parlata, confidenziale, a tratti commovente, “Baby, I’m on the shy side of forty / Still writing riffs like nobody’s business / Except in my case it most certainly is / I’m a professional riff writer / Slinger of pure metaphor / I named my band and couple of stands I commanded / Even TM’d on a gaggle of tours“.

In The Land Of è un album potente che scava nelle conseguenze delle nostre scelte su questa Terra che soffre. Che sia la vostra città o il mondo intero, i Wintersleep ci aprono gli occhi sulla situazione che stiamo vivendo e lo fanno con una visione lucida e appassionata. Un album personale e riflessivo ma si apre ad un’interpretazione più ampia, globale. Siamo tutti sulla stessa barca, come si dice. Questa volta i Wintersleep abbracciano tutte le sfumature del loro sound, dagli esordi ad oggi, regalandoci questa sorta di concept album che vive di una rabbia e di un amore smisurato per tutto ciò che rischiamo di perdere. Dopo diciott’anni insieme e sette album, questo gruppo di ragazzi canadesi ha ancora qualcosa da dirci. E io sono qui ad ascoltarli. Ancora una volta.

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Mali minori e melodie morte

Risale al 2012 l’esordio solista del cantautore canadese Jon Samuel che con l’album First Transmission (La prima trasmissione di Jon) si faceva conoscere al di fuori della band Wintersleep, di cui ne fa parte dal 2006. Questo gruppo canadese ha un posto speciale nella mia musica e proprio prima dell’uscita del loro nuovo album, ecco che Jon Samuel dà alla luce Dead Melodies, il secondo disco in solitaria. Il suo esordio fu per me una sorpresa, un album davvero ben fatto, dalle sonorità indie ma anche profondamente cantautorale. Non sapevo cosa aspettarmi da questo nuovo album ma non ho esitato un istante ad ascoltare questo artista che di sicuro sa fare musica al di là di generi e definizioni.

Jon Samuel
Jon Samuel

Si parte subito con il trascinante indie rock di Another Lie. Sommersa dal suono distorto delle chitarre si fa spazio la voce inconfondibile di Samuel. Tanto ritmo ma senza rinunciare alla melodia, con un’attenzione particolare al testo, “I got out of bed / Opened up the blinds / i saw a man walking / Into the drugstore / He had no shoes / Wore bandages on his feet / I must confess I’ve never been there / For people in need“. La title track Dead Melodies alza il tiro e la voce sprofonda ancora di più in una nebbia di suoni distorti. Jon Samuel trova però il modo di emergere grazie ad ritornello orecchiabile molto indie rock, “We’ve come face to face / With the doldrums of our age / Falling in love with the chase / Afraid to be out of place / Running the rat race / Black death and / Dead melodies dead melodies / Ringing in my head“. Tra le migliori dell’album, la bellissima Modern Lovers. In linea con le sonorità dell’album d’esordio, Jon Samuel, sfodera tutta la sua poesia e sensibilità di cantautore, accompagnato quasi esclusivamente dal suono di una chitarra. Un testo oscuro e fatto di immagini vivide, “Mother nature and father time / They could not nurture / We’ve cracked their spines / They’re ancient myths / And modern lies / In a Petri dish / Leading clandestine lives“. La successiva To Repel Ghosts si affida ritmo per guidare il canto sottovoce di Samuel. Ancora un testo criptico e dalle tinte scure ma che incanta l’ascoltatore, “Coffin keyhole pupils / Speakers for the dead / Sifting through delirium / Lacking hospice for a collapsed lung / A knife to puncture breathing holes“. Lesser Evils è il pezzo più forte dell’album. Un brano pop rock dalle sonorità anni ’80, che fa presa fin dalle prime note. Qui Jon Samuel dimostra di sapersi muovere anche al di fuori di territori vicini al rock, facendoci anche un po’ ballare, “I’ve lost to the lesser evils / But they don’t deceive me / Machination lies / I’ve lost to the lesser evils / If you don’t believe them / The congregation dies“. Salvo poi tornare ad un marcato sound rock con Unlovable. Una canzone rabbiosa ma mai eccessiva, sempre tirata, e ben scritta. Qui si può notare la particolare abilità di songwriting di Samuel, “You won’t find love sleeping / In the backseat of your car / You paint pictures in the windows with your breath / Laying waste to all your old friends / Your frostbitten skin / Your lips turn a deathly blue / As the universe dies you wonder / If you were ever really you“. Ormai la strada è aperta e Sister Outsider segue le orme della canzone precedente. Jon Samuel scrive un’altra canzone affascinate per il suo carattere oscuro e criptico, ma incredibilmente accattivante, “Headphones on / Protomartyr splitting my ears / Dressed all in black like an afro punk / Could’ve been this for years / Summertime crush summertime blues / Got no time for tears / Gonna sit at the bar / Pixelate my social fears“. Heels Of The World è una lenta cavalcata rock pervasa da immagini di un modo violento, nel quale sembra non esserci speranza per il futuro, “Collecting knives for the cue / Violent scenes wash through your dreams / Can you hear the voices calling you / To disinfect disaffected youth / The gnawing blood dripping dagger tooth / A holy hunger ravaging truth / Words that crumble from your mouth / Come to choke you while you sleep“. Questo Jonny protagonista in Jonny Panic And The Bible Of Dreams è un ragazzo schiacciato dal nostro tempo che vuole trovare redenzione nella musica. Una bella canzone per chiudere l’album, “Johnny Panic wants to get his shit together / Start a punk band and carry on that way / He says pop music has gone from the cradle to the grave / And the hangman’s noose is in the hands of a DJ“.
Dead Melodies offre una prospettiva diversa della musica di Jon Samuel ascoltata nel primo First Transmission. Il sound è più sporco e dark, così come le tematiche al suo interno. La bravura di Samuel è quella di non lasciare sprofondare l’ascoltatore nel buio ma di tenerlo in un limbo affascinante. Il lento processo creativo, che ha portato alla nascita di questo album, si nota nella scelta di ogni singola parola e delle sue melodie che vanno ad incastrarsi perfettamente con le scelte musicali (supportate anche da Loel Campbell, batterista dei Wintersleep). In definitiva Jon Samuel crea un disco ancora una volta sorprendente e ben scritto. Non lo faccio spesso, solo in rare occasioni, ma il consiglio è quello di ascoltare tutto l’album per scoprire davvero la musica di questo artista.

 

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Non mi giudicate – 2016

Eccomi dunque ancora una volta a fare i conti con il tempo che passa. Un altro giro intorno al sole tra le pagine di questo blog se ne andato. Come ho fatto lo scorso anno, premio gli album e gli artisti che più hanno lasciato il segno nel 2016. Naturalmente le mie scelte si limitano a ciò che ho potuto ascoltare quest’anno, per ognuna di esse troverete la recensione dell’album su questo blog. Quest’anno, rispetto al precedente, ho ascoltato un bel numero di EP e così ho aggiunto una categoria tutta dedicata a loro. Un’altra novità è dettata dal maggiore spazio che ha trovato il country nella mia musica, così ho aggiunto un posto anche per questo genere americano. Quest’anno non è stato affatto facile scegliere e ho dovuto escludere qualcuno ma poco importa. In fin dei conti questo 2016 è stato un anno ricco di musica e ha volte mi sono ritrovato sommerso di cose da ascoltare. Il tutto per merito mio, si capisce.

  • Most Valuable Player: Agnes Obel
    Questa cantautrice rimane una delle più affascinanti degli ultimi anni. Il suo terzo album Citizen Of Glass è uno dei più belli di quest’anno. Un ritorno ispirato e magico, caratterizzato da tutto ciò che rende unica quest’artista. Imperdibile.
    Agnes Obel – Stretch your Eyes
  • Most Valuable Album: Jet Plane And Oxbow
    Johnatan Meiburg torna nella sua forma migliore con un disco carico e intenso. Le sonorità anni ’80 rilanciano gli Shearwater, un gruppo che non è mai troppo tardi scoprire. Vivamente consigliato per la sua qualità.
    Shearwater – Jet Plane And Oxbow
  • Best Pop Album: Keep It Together
    Lily & Madeleine virano su sonorità più pop ma riescono a non perdere la bussola. Le due ragazze di Indianapolis crescono a vista d’occhio, staccandosi sempre di più dai loro modelli e trovando una strada più personale. Ben fatto.
    Lily & Madeleine – Westfield
  • Best Folk Album: Between River And Railway
    Quando si parla di folk, si parla di tradizione. Nel caso di Claire Hasting è quella scozzese. Tra inediti e classici, questa giovane cantautrice ci porta nella sua terra con semplicità e una bella voce. Da tenere d’occhio per il futuro.
    Claire Hastings – The House At Rosehill
  • Best Country Album: Honest Life
    Courtney Marie Andrews nonostante la giovane età è già da tempo nel country che conta. Questo album però ha qualcosa di speciale, per maturità e ispirazione. Carico di sentimenti e malinconia, Honest Life è un must per gli appasionati del genere.
    Courtney Marie Andrews – How Quickly Your Heart Mends
  • Best Singer/Songwriter Album: Angel Olsen
    Difficile inquadrare questa artista americana in un genere musicale. Quello che è sicuro è che è una cantautrice. Ecco perchè non si può fare a meno di mettela al primo posto. Il suo MY WOMAN è un gioiellino anche se ha diviso critica e fan.
    Angel Olsen – Shut Up Kiss Me
  • Rookie of the Year: Billie Marten
    Con Writing Of Blues And Yellows fa il suo esordio la giovanissima cantautrice inglese Billie Marten. Il suo folk pop delicato e sognante è il suo punto di forza. Aspettavo da tempo questo esordio e questo album si è rivelato al di sopra di ogni aspettativa.
    Billie Marten – Milk & Honey
  • Sixth Man of the Year: Bon Iver
    Certo, mettere uno come Justin Vernon in panchina non è mai una buona idea ma è successo. Lui si è fatto trovare pronto con l’enigmatico 22, A Million, che provoca reazioni contrastanti. A me è piaciuto e tanto basta. Un’esperienza da fare.
    Bon Iver – 29 #Strafford APTS
  • Defensive Player of the Year:  Keaton Henson
    Come dire, Keaton Henson è Keaton Henson. Chi è più “difensivo” di lui.? Con il nuovo Kindly Now prova a buttare giù quella barriera tra lui e l’ascoltatore. Ci riesce con la consueta sensibilità e tristezza. Da ascoltare in totale solitudine.
    Keaton Henson – Alright
  • Most Improved Player: Kelly Oliver
    Dopo l’ottimo This Land, la cantautrice folk inglese compie un ulteriore passo avanti nella sua crescita artistica. L’album Bedlam è un concentrato di ballate folk senza tempo che traggono ispitazione dalla tradizione. Consigliatissimo.
    Kelly Oliver – Bedlam
  • Throwback Album of the Year: Soon Enough
    L’esordio di Erin Rae e dei suoi The Meanwhiles dello scorso anno è un album incredibilmente malinconico e emozionante. La voce di Erin Rae è tra le più e emozionanti che si possano sentire. Solo per malinconici cronici.
    Erin Rae And The Meanwhiles – Minolta
  • Earworm of the Year: Amerika
    Il gruppo canadese Wintersleep è tornato quest’anno in grande stile con The Great Detachment. Il singolo Amerika mi ha trapanato il cervello per settimane. Ritornello orecchiabile e tanto buon indie rock. Da ascoltare a vostro rischio e pericolo.
    Wintersleep – Amerika
  • Best Extended Play: Tide & Time
    Tanti EP quest’anno. Difficile scegliere ma sicuramente questo Tide & Time della cantautrice inglese Kitty Macfarlane è stato il più sorprendente. Voce unica e attenzione ai dettagli. Profondamente ispirato. Si attende un seguito.
    Kitty Macfarlane – Song to the Siren (Tim Buckley cover)
  • Most Valuable Book: I Racconti (1831 – 1849)
    Nonostante abbia letto libri con la regolarità di sempre, ho dato meno spazio a loro su questo blog. Senza dubbio la raccolta di tutti (o quasi) i racconti di Edgar Allan Poe è il libro dell’anno. Vi consiglio l’edizione di Einaudi con la traduzione di Manganelli.

Questo 2016 è stato un anno nel quale ho potuto ascoltare davvero tanti album e non tutti hanno avuto spazio in questo blog. Avevo intenzione di elencarli qui, in questo post di fine anno ma poi ci ho ripensato. Chissà magari meritano più spazio e l’anno prossimo lo troveranno. Nel 2017 ci saranno tanti ritorni e spero come sempre di avere il tempo di ascoltare musica e di scrivere in questo blog.

Buon 2017

Anima immortale

Sono passati quasi cinque anni da quando scrissi per la prima volta su questo blog riguardo alla band canadese Wintersleep. Sono molto legato a questo gruppo e ricordo ancora quando ascoltai per la prima volta il loro brano più conosciuto Weighty Ghost. Ho dovuto aspettare quattro anni prima di poter ascoltare un nuovo album. Infatti il loro quinto album Hello Hum è del 2012 e dopo qualche ripensamento e il cambio di etichetta discografica ha visto la luce The Great Detachment, sesta fatica del gruppo canadese. Il titolo è già eloquente di per sè ma bastano pochi secondi per cogliere il rinnovamento di questo gruppo ormai attivo da quindici anni.

Wintersleep
Wintersleep

Si comincia con Amerika energico inno rock dove ritroviamo la chitarra di Tim D’eon e Loel Campbell, alla batteria, in gran spolvero. C’è sempre la voce di Paul Murphy, più calda e meno distaccata rispetto alle uscite precedenti. Bentornati, “What am I trying to find? / Are you alive, oh my Amerika? / Perennial with the Earth And freedom, love, and law, and life / Perennial with the Earth / My freedom, I don’t wanna die“. Segue la trascinante Santa Fe, che accelera il ritmo. La voce distorta, le chitarre e la batteria si fondono esplodendo in un ritornello rock accattivante. I Wintersleep virano verso sonorità quasi pop rock ma con la loro esperienza e mestiere, riescono a non rendere banale una canzone, che in mano ad altri, sarebbe potuta esserlo. Lifting Cure è un altro inno indie rock, vibrante e colorato. Murphy se la cava bene anche con il falsetto sequito a ruota dalla chitarra di Tim D’eon. I Wintersleep sembrano avever abbandonato le tonalità scure del passato ma le sorprese devono ancora arrivare. La successiva More Than è forse il brano più debole dell’album ma nel quale si possono ritrovare i Wintersleep del procedente Hello Hum. C’è anche un finale da cantare tutti in coro, “I read your letter, printed it up, / Crumpled up the paragraphs so that / I could fit it in my mouth / The words you said / That you were meant for / That despite everything you said before / I’m still in your head / And I love you more / More than I said then / More than I said / More than I ever felt before“. Il gruppo canadese torna alle origini con la cupa Shadowless. Al centro c’è la voce di Murphy, la musica è essenziale ed eterea. Sempre alla ricerca di una melodia, di un ritmo che finisce per crescere d’intensità nella seconda metà. I cari vecchi Wintersleep fanno centro ancora infilando anche un finale da brividi. Sulla stessa frequenza la bella Metropolis, un viaggio nottuno tra i volti e i pensieri di una grande città. Paul Murphy è ispirato e guida i suoi lungo strade buie, a dare il passo ci pensa i buon Campbell, sempre presente, pronto a lasciare il segno. Tra le migliori dell’album, “A full-grown man, / Man casually dressed / Caught a thought in a plan / In a busy metropolis / Hold tarot cards held to tightly to his chest / As if to protect / As if his life depended on / His way to work / Some other more adventurous“. Spirit è una pulsante canzone originale e viva. Qui si nasconde il titolo dell’album e “il grande distacco” si sente nella rinnovata energia di questo gruppo che non finisce mai di stupire. A darne prova ci pensa Freak Out. Indie rock dal sapore americano, veloce e divertente. Loel Campbell ci da dentro senza sosta e gli altri non faticano a stargli dietro, ormai lo conoscono bene. Attenzione, ritornello appiccicoso. Love Lies è un passo indietro verso i suoni elettronici di quattro anni fa. Un’atmosfera fumosa e sfuggente si forma lentamente intorno noi fino a trovare una via di fuga in una melodia e un ritornello prepearati con cura. L’esplosiva Territory vede la preziosa partecipazione di Geddy Lee, bassisita del gruppo rock canadese Rush. Un mix perfetto tra musica e testo, dove Murphy appare rigenerato e ispirato. Chiude The Great Detachment la sorprendente Who Are YouI Wintersleep scelgono un indie pop dal sapore dolce e spensierato. Sono capaci anche di questo, lo hanno dimostrato in passato e continuano a farlo.

I Wintersleep sono un gruppo in continuo movimento. Cambiano sempre, anche a costo di perdere l’etichetta di band indie rock. Sono un gruppo sottovalutato a mio avviso ma che il recente riscontro che sta avendo il singolo Amerika, dimostra il loro straordinario talento. Un gruppo che sembra avere un’anima immortale, un marchio di fabbrica che non cambia mai. Questi tre amici, Paul Murphy, Tim D’eon e Loel Campell sono il cuore pulsante del gruppo, accompagnati come sempre da Jon Samuel e Mike Bigelow. The Great Detachment è un album che rilancia i Wintersleep sotto una nuova forma ma con l’anima intatta.

Mi ritorni in mente, ep. 33

Tra le prime novità di questo anno ecco spuntare il nuovo album delle sorelle Lily e Madeleine Jurkiewicz, il terzo in quattro anni. S’intitolerà Keep It Together ed uscirà il 26 Febbraio. Questo album segna anche il passaggio ad una nuova casa discografica e il primo singolo Hourglass sembra indicare la nuova strada intrapresa dalle due giovani cantautrici americane. Un indie pop che lascia intatte le peculiarità del duo ma che sottolinea la rottura con le sonorià folk dell’esordio, per altro già intrapresa nel secondo Fumes. Lily & Madeleine non conoscono sosta e sono già al terzo album nonostante la più grande delle due sorelle, Medeleine, abbia solo 21 anni.

Sono contento del ritorno di Lily & Madeleine soprattutto in un anno, il 2016, che si prevede ricco di uscite interessanti e tanti ritorni. La nuova canzone Hourglass mi piace soprattutto perchè nonostante sia più pop delle precedenti, non è un taglio netto con il passato. Sono curioso di ascoltare il nuovo album Keep It Together in compagnia delle sorelle Jurkiewicz.

Ultimo ma non ultimo il ritorno dei Wintersleep. La band canadese è pronta a tonare con il sesto album a quattro anni di distanza da Hello Hum. Anche loro hanno deciso di cambiare casa discografica abbandonando la major dopo un solo album. Non a caso il nuovo album s’intitola The Great Detachment e uscirà il 4 Marzo. Il primo singolo è Amerika, ispirato dalla poesia America di Walt Whitman, è un ritorno a sonorità rock più pure e scarne. Questo è un grande ritorno, questi sono i Wintersleep. E poi c’è Loel Campbell che anche questa volta picchia duro. Un consiglio se non conoscete i Wintersleep, recuperate la loro discografia prima di ascoltare The Great Detachment. Bentornati…

Intermission

A volte mi sono chiesto perchè mi ritrovo sempre a scrivere di musica o di libri su questo blog. Dallo scorso anno sto pensando a qualche nuovo tipo di post. Di cos’altro potrei scrivere? Non mi sono stancato, e nemmeno credo mai mi stancherò, di ascoltare musica e di leggere libri. Non ho iniziato questo blog con lo scopo di scrivere di me stesso ma in questo momento non posso nascondere di farlo. Mi sono trovato a pensare a ciò che mi piace fare e a quello che sono. Mi sono ritrovato davanti a cose diverse tra loro e idee interessanti ma non credo di avere il tempo di pensarci o forse mi manca solo un po’ di voglia. Ho anche pensato ad un blog divertente, po’ cattivo e ironico. Un blog parallelo a questo. Poi ci ho ripensato o forse ho solo messo da parte l’idea. Il fatto è che questo blog è un appuntamento settimanale, praticamente fisso, ormai da più di quattro anni. Non è sempre facile trovare il tempo necessario per scrivere. Questa volta è una di quelle volte che mi sarebbe piaciuto scrivere d’altro. Non ho ancora ascoltato abbastanza il nuovo Tied To The Moon di Rachel Sermanni per farne una recensione e non ho ancora finito l’ultimo libro della Torre Nera di Stephen King. Quindi per il momento non ho nulla di nuovo da scrivere. Ho in lista un paio di album interessanti, uno dei quali recuperato tra quelli pubblicati lo scorso anno. Ogni giorno mi segno qualcosa da ascoltare di nuovo ma ci sono un paio di album che attendo da parecchio tempo. Il nuovo dei Wintersleep dovrebbe venire annunciato questo autunno e nella migliore delle ipotesi, uscire entro l’anno. Il quarto album di Amy Macdonald invece è pronto ma ancora da registrare e la ragazza se la sta prendendo comoda.

Lasciatemi aprire una parentesi a riguardo. Più passa il tempo e più sembra strano che una casa discografica come quella della Macdonald sia disposta ad aspettare quattro anni tra un album e l’altro. Amy è una giovane cantautrice di successo ma non è certo una star. Mi domando se può permettersi una pausa così lunga. Lei si giustifica dicendo che viene da un lungo tour e in questo momento si sta godendo la vita. A chi non piacerebbe prendersi un anno di pausa dal lavoro o dagli studi? Evidentemente lei se lo può permettere. Io resto dell’idea che qualsiasi artista giovane debba sfruttare i primi anni della sua carriera. Un album ogni due anni è una buona media. Prendo sempre come esempio la carriera dei R.E.M. che dal 1982 al 1988 pubblicarono un album all’anno. Poi rallentarono il ritmo arrivando ad una pausa di quattro anni solo tra il 2004 e il 2008 che coincide con il momento più basso della loro parabola. La loro storia si è conclusa con un quindici album pubblicati in trent’anni. Un album ogni due anni. Un’altro esempio viene dalla band britannica Editors che hanno fatto una pausa di quattro anni tra il 2009 e il 2013, durante la quale c’è stato un cambio di formazione. Ma quest’anno, il 2 Ottobre, sono pronti a pubblicare il quinto album In Dream, a distanza di due anni dall’ultimo. Per non citare Laura Marling che a soli venticinque anni ha gia cinque album alle spalle. In sostanza, da fan di Amy quale sono, mi sarebbe piaciuto ascoltare questo quarto lavoro addirittura lo scorso anno, a due anni esatti dall’ultimo Life In A Beautiful Light del 2012. Avevo sperato per questo anno e invece no. Ci sarà da aspettare. Addirittura le registrazioni potrebbero iniziare nei primi mesi del 2016. Questo significherebbe che tra un anno potremmo sperare di ascoltare l’album. E se fosse tutta una montatura? Ne dubito. Ma allora perchè non me la prendo anche con i Wintersleep? Anche loro hanno fatto l’ultimo album nel 2012 e sono lì lì per pubblicarlo nel 2016. Semplicemente il loro caso mi sembra diverso. Hanno un altro pubblico e poi il loro album è praticamente finito. Erano già pronti ad annunciarlo questo inverno, hanno avuto qualche intoppo, tutto qui. Nessuna pausa. Quello che spero è che questa attesa di quattro anni si ben spesa da parte di Amy Macdonald e che non deluda le aspettative di noi fan. Chiusa parentesi.

Quanto scritto qui sopra va inteso coma una sorta di sfogo estivo, nient’altro. Nel frattempo mi troverò altro da ascoltare come ho fatto finora. Nel frattempo devo trovare anche qualche altro argomento per questo blog. Ho dei dubbi che riuscirò a scrivere altro di ugualmente interessante o per meglio dire, che io riesca a scrivere di altro in modo altrettanto interessante. A dire la verità mi piace il basket, più correttamente basketball, o ancora meglio in italiano, pallacanestro. Ormai seguo questo sport da dieci anni ed è l’unico sport che mi piace. Il calcio è semplicemente noioso. Ma riuscirei a scrivere articoli di pallacanestro? No. Non voglio nemmeno farlo. Temo che continuerò a scrivere di musica e libri, per ora. Perchè farlo mi piace e con questo blog mi sono tolto delle piccole soddisfazioni nel corso di questi anni. Intermission significa intervallo. Questo post è una pausa ricreativa, dopotutto siamo ad Agosto e le ferie ci vogliono. Poi si ricomincia. Ho rubato il titolo ad un brano di Cœur de pirate e mi faccio perdonare permettendo a tutti di ascoltarlo qui sotto.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Mi ritorni in mente, ep. 24

È dei momenti come questo che mi ricordo perchè questo blog ha come titolo L’Antenato. In questi giorni come non mai, mi sento come se non appartenessi alla mia generazione, a questi tempi. Siamo in una società che ci costringe ad essere tutti uguali e perseguire i medesimi obbiettivi. Sembra che fare carriera sia la massima aspirazione nella vita. Io penso che ognuno a il suo posto in questo universo e siamo liberi di fare le nostre scelte, soprattutto se abbiamo il diritto di farle. C’è chi vuole tentare la scalata e chi guarda dal basso ma tentare non significa riuscire ad arrivare alla vetta. Non mi interessa quello che troverò in vetta ma so che quello che ho qui in basso mi piace.

C’è una canzone dei canadesi Wintersleep che mi ha sempre affascinato. Il suo significato non è chiaro ma ascoltandola ho sempre avuto la sensazione che parlasse proprio di questo. Tirare dritto per la propria strada senza badare a quello che dicono gli altri. Chissà magari parla di tutt’altro non l’ho mai capito e proprio per questo mi piace.

Mumbling monosyllabic moments
Nobody understands
Life’s too short for explanations
You’ve got too many big big plans
You’ve mapped out every single second
Of what you’ll do when your done
You keep your caliber loaded
No one’s gonna fuck this up
You drive the exact speed limit
Keep of a track or your miles
Listen to radio music
Smiling when everyone else smiles
You should take a beating willing
Do it in the name of the cause
Do it for the feeling that one day
Maybe you could be your own boss
Maybe get a beautiful woman
Get a fat piece of land
Get a couple of kids
A prototypical civilian
Housing towards the future
Mining towards the sun
You keep you caliber loaded
No one’s gonna fuck this up
You have got to stay on top
Don’t forget to load it up