Mi ritorni in mente, ep. 77

In questi dieci anni di blog ho avuto modo di ascoltare numerosi artisti e di seguirli per anni. Non tutti però hanno pubblicato regolarmente nuove canzoni o album. Anzi alcuni di essi sembrano scomparsi nel nulla. Forse, non avendo fortuna hanno cambiato lavoro oppure hanno scelto di fare un’altra vita o hanno messo su famiglia. Ho scorso i nomi degli artisti della mia collezione e li ho raccolti in una playlist.

Ho cominciato da Broken Twin alias Majke Voss Rossom, che dopo il suo debutto intitolato May del 2014 non si è fatta più sentire. Pare però stia per tornare usando il suo vero nome. Speriamo. Poi c’è anche Annie Eve sulla quale non sono riuscito a trovare nessuna traccia. Niente più Facebook e neanche il sito esiste più. Credo che il suo Sunday ’91 del 2014 rimarrà il suo primo e ultimo album. L’artista che però mi ha dato l’idea di realizzare questa playlist è Joseph Lyons, conosciuto come Eaves. Anche lui dopo il suo primo, e probabilmente ultimo What Green Feels Like del 2015, è finito nell’oblio ed è davvero un peccato per il suo talento. Una band interessante, formata da tre ragazzi inglesi, i Millbrook, dopo l’omonimo album del 2015, hanno scelto il silenzio. Non si trova più traccia di loro in internet. Anche gli Snowmine, dopo aver pubblicato due album, l’ultimo nel 2014 sono spariti. In realtà qualche nuovo singolo c’è stato ma non ne è seguito nulla. Anche gli Stillwater Hobos non li rivedremo più insieme. L’ultimo My Love, She’s In America del 2014, è un piccolo gioiellino folk e ora la band è da considerarsi sciolta. Che fine ha fatto Tina Refnes? Dopo un singolo di qualche anno fa che seguiva il suo debutto, No One Knows That You’re Lost del 2015 non c’è stato più nulla. E così anche lei è finita in questa playlist.

Sono solo sette artisti per il momento. Ho raccolto qui, chi davvero ha fatto perdere le tracce di sé da anni. Altri, oltre a questi, sono comunque attivi sui social ma da qualche anno non pubblicano nulla di nuovo. Mentre preparavo questo articolo ho anche scoperto anche che altri artisti, apparentemente scomparsi, stanno tornando, addirittura con un nuovo album. Altri sono fermi da pochi anni che è troppo presto per considerarli spacciati. Altri hanno dichiarato di essersi presi una pausa qualche anno fa e io li aspetto ancora per un po’ prima di arrendermi. Spero che tra queste “meteore” possiate trovare qualcosa di interessante, mentre vi godete un altro lockdown un anno dopo.

Fuori legge

Definiscono la loro musica come bloodgrass, una musica dalla quale nessuno esce vivo. Interessante, mi sono detto, quando per la prima volta ho letto di questo gruppo. I Murder Murder sono sei ragazzi canadesi che si presentano con ballate che spaziano dal country al bluegrass, riuscendo subito ad accendere la curiosità con il loro gusto retrò e tradizionale ma fuori legge e un po’ cattive. In men che non si dica ci ritroviamo immersi nelle foreste dell’Ontario, tra risse da bar, storie sfortunate, di gelosia e tradimenti. Il tutto raccolto nel loro secondo album, pubblicato nel 2015 e intitolato From The Stillhouse.

Murder Murder
Murder Murder

Si parte con l’incalzante Sweet Revenge, una stroria di vendetta a bordo di un treno nero che viaggia senza sosta. Un brano che evoca immagini nitide dei paesaggi western di frontiera, “I dream I am flying out through the pines / Through to the Devil’s mouth / There’s some folks down there, they gotta pay for their sins / Eye for an eye, blood for blood / Sweet revenge“. Where The Water Runs Black è una straordinaria ballata guidata da un violino e accompaganta da un’immancabilie banjo. Una voce tagliente e carismatica ci racconta una stroria di tradimento. Una delle migliori canzoni dell’album che trova la sua perfezione nella sua tradizionalità e melodie famigliari, “And if you wanted I could take you / I walked that road ‘til the water runs black / I loved that woman but she left me lonely / She broke my heart, lord, she never turned back“. Si nasconde una storia di violenza sotto il titolo di Evil Wind. Facile lasciarsi ingannare dalle melodie gioiose ma è solo un’apparenza. I Murder Murder sono divertenti e spietati, “Well now I can’t remember / what was going through my head / My blood turned to fire / And my face turned red / And I flew into that room / Like a moth to a torch / An evil wind, an evil wind is gonna blow“. Duck Cove è una triste ballata che mette in luce tutto il talento di questa band, in grado di raccontare storie e mettendole in musica. Tutto suona tradizionale tuttavia allo stesso tempo c’è qualcosa di nuovo nel loro modo di porsi, “I never felt so low, / I looked through the port hole / And I saw the drop boat / headed for Duck Cove / The thought of my lover / out with another / Somebody else than the / one who has loved him“. Una storia di riscatto nella bella Movin On, una delle canzoni più positive dell’album. I Murder Murder spingono sempre sul pedale dell’acceleratore, sono un treno in corsa tra le foreste dell’Ontario, “I got friends in Brown and Hardy / And a brother down in Carling / I got family up north in Sudbury / Everybody knows / that I can’t set foot back in Mowat / There’s folks there’d like / to get their hands on me“. When The Lord Calls Your Name è una ballata lenta e strappalacrime. I Murder Murder propongono una canzone dal sapore vintage con una grinta e intensità di grande impatto, “So gather the angels, / and sing us a prayer / When his sights are upon you, / you can’t hide anywhere / Now accept and rejoice him, / not with pride, not with shame / And you’ll know my intentions, / when the lord calls your name“. The Last Gunfighter Ballad è la cover di un classico country scritto da Marty Robbins. La versione dei Murder Murder è più brillante e scanzonata dell’originale, “Stand in the street at the turn of a joke / Oh, the smell of the black powder smoke / And the stand in the street / at the turn of a joke“. Tanto breve quanto bella, Half Hitch Knot. Irresistibile ballata up tempo, dove le parole escono veloci, scappa anche qualche parolaccia. Cattivi ragazzi, “You’re a polite motherfucker / with your hands tied up / Like a barnyard pig just about to get stuck / The knife’s coming down if you like it or not / You won’t never get out of my half hitch knot“. La successiva Alberta Oil è una classica murder ballad, veloce e senza respiro. Ancora una volta i Murder Murder sono irresistibili in tutto e per tutto, “He was buried with his passport / in a black Alberta ditch / His life was cut far too short / by a cold Alberta bitch / We all knew what had happened / and it gave us all a fright / He was buried with his passport that night“. Bridge County ’41 è una bella ballata blues. Senza dubbio una delle canzone più intense di questo album, storia di un contrabbandiere, fuori legge come questo gruppo, “The law found me in the middle of the night / When I’s lyin’ on my back / in the pale moonlight / Couldn’t tell if I was dead or alive / Until they caught that little hint of blood / in my eye“. Chiude l’album un’altra ballata intitolata Jon & Mary. C’è poco altro che posso aggiungere arrivati alla fine di queste undici canzoni, se non avvisarvi che la tentazione di ricominciare dall’inizio è forte, “I parted with things / that I never though I’d sell. / It’s got to where I barely recognize myself. / The boy I was is gone, / it’s written on my face. / All the time that he spent dying, / her beauty never waned“.

Questo From The Stillhouse ci porta altrove, velocemente come un treno a vapore. I Murder Muder sembrano venire dal passato, ci riempiono le orecchie di buona musica, dal sapore d’altri tempi, sporca e impolverata. Hanno la faccia da duri come gli eroi dei film western ma un animo buono. Una particolarità di questo gruppo è che non hanno un vero proprio frontman ma si alternano al microfono dando ad ogni brano un’impronta personale e diversa. Qui sotto trovere una versione live di Bridge County ’41 ma non posso fare a meno di consigliarvi di ascoltare l’album completo, se volete essere anche voi per un attimo dei fuori legge, sporchi e impolverati.

Racconto #1

Ho sempre provato a scrivere qualcosa. Questo è un racconto che ho scritto ispirandomi al maestro Poe e al suo erede Lovecraft. Non ho saputo dargli un titolo. Non ha importanza.

Mi trovavo chiuso dentro una stanza. Non potevo vedere, non potevo sentire. Solo un’aria mortale e densa invadeva le mie narici e ricopriva il mio corpo come un sudario. Non potevo immaginare un futuro per me, non c’era speranza. Qualcosa strisciava lungo i muri. Non avrei avuto scampo da quella creatura, un futuro non ci sarebbe stato. Dovevo impedire a quella creatura di avvicinarsi a me. Forse mi era già accanto, forse mia alitava sul collo pronta a mordermi. Mi potrebbe stringere tra le sue immonde mascelle, colme di denti memori di centinaia di corpi dilaniati. Il suo odore lo sentivo nella gola, la sua malvagità la sentivo nella mia testa. Mi parlava, la creatura. Mi intimava di stare fermo e di rispiarmare il fiato. Il mio corpo trovò nuove forze con queste parole che significavano che potevo gridare e divincolarmi per allontanare la bestia. Gridavo ma non potevo sentirmi. La creatura gridava ancora più forte e io cercavo di liberarmi dalla sua presa. La mia gamba era sua prigioniera e non potevo liberarla. Dovevo provarci con tutte le forze. Più tiravo e più la bestia rinsaldava la presa. La creatura continuava a strisciare lungo le pareti, le sentivo vibrare sotto gli artigli, sentivo la polvere che invadeva la stanza. Continuavo a gridare, tentando di liberare la gamba dai tentacoli del mostro. Stringeva senza tregua e io senza tregua tiravo. La polvere saturava l’aria ormai irrespirabile. Non avevo futuro. La bestia era vicina. La stanza sussultò, lo stridore dei suoi artigli giuse fino alle mie ossa. Di nuovo polvere. Nella mia gola piccoli demoni aveva acceso i loro fuochi e avrebbero chiamato a loro l’orrenda creatura, la sua bocca li avrebbe liberati. Ora potevo vedere l’occhio della bestia. Si apriva, bianco, accecante. Il mostro mi parlava più forte, mi diceva di stare immobile, di non gridare. Di nuovo quelle parole mi infusero nuove energie e ne approffittai per liberare la gamba. Gridavo sempre più forte finchè il tentacolo della bestia mollò la presa. La salvezza mi restituiva il futuro, un grido disumano fece divampare i fuochi dei piccoli demoni. L’occhio del mostro esplose in un fragore di artigli. Dalla sua bocca uscirono migliaia di serpenti e tentacoli che si avventarono sulle mie braccia.  Salirono lungo le  spalle e cominciarono a stringere. Potevo sentire il suo fiato. Di nuovo quelle parole, di nuovo quella forza. Mi liberai con un strattone, ritrovai l’uso delle braccie e delle mani. Con tutta la forza che era rimasta nel mio corpo massacrato, tolsi ogni segno di vita alla creatura. Sotto le mie dita sentivo la sua gola scricchiolare. Stringevo forte quanto la bestia aveva stretto la mia gamba. Le forze mi abbandonarono. Ricaddi sulla schiena e accanto a me vidi un uomo. Il volto sfigurato dal dolore e la gola deformata provocarono in me un senso si rimorso così orribile che non riesco a descrivere. Oltre il mio petto potevo vedere la mia gamba ancora sotto una pesante trave di legno. La gamba ed io distavamo un paio di metri e  non eravamo più una cosa sola. Calcinacci e polvere di cemento erano diventati la mia tomba e qulla del mio soccorritore. In quel momento ricordai il boato, il nemico nei cieli e poi il buio. Infine la bestia.