Giovane fuoco, vecchia fiamma, ep. 3

Questa settimana ho letto un interessante articolo che riguardava la fruizione della musica nel mondo e in Italia. Per correttezza pubblico il link dal quale l’ho letto: La musica in download vicina all’estinzione. Lo streaming a pagamento è quasi metà del fatturato globale.
Tra l’altro ultimamente, ho l’abitudine di appuntarmi, a chissà quale scopo, gli articoli più interessanti che trovo online. A volte devo ammettere che mi tornano utili, altre volte sinceramente non so perché li metto da parte. Ma torniamo al tema di questo articolo. Il titolo è eloquente, lo streaming musicale si sta divorando il download ma ha ancora pietà per CD e vinili. In Italia chi scarica ancora musica (legalmente s’intende) rappresenta solo l’1% del totale. Sapevo che la mia abitudine di comprare musica in digitale era da tempo passata di moda ma non credevo di essere parte di una così ristretta minoranza.

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Cosa resterà di questi anni… dieci

Per chi non se ne accorto, è mio dovere farvi notare che sta per finire un decennio. Tutti parlano degli anni ’60, dei ’70 oppure degli anni ’80 ma intanto qui, oggi, siamo alla conclusione dei primi vent’anni del nuovo millennio. Ebbene, dato che questo blog attraversa per la prima volta la fine di un decennio, in questo caso quello che va dal 2010 al 2019 (no, non sono nove anni, come sostiene qualcuno, contateli bene), ho deciso di fare una personalissima playlist Spotify (ahimè).

Ero partito con l’interessante idea di stilare i miei 10 migliori album del decennio. Prendo il pc e faccio una bella playlist automatica che filtra le canzoni pubblicate in questo tra il 2010 e il 2019. Quando ho visto che contava circa 360 album e oltre 3500 canzoni ho avuto un ripensamento. Era semplicemente impossibile cavarne fuori 10 miseri album. Non avrebbe rappresentato appieno la mia musica di questi 10 anni. Allora mi sono messo a scegliere qualche brano tra i miei artisti preferiti, anche più di uno ciascuno. Ero arrivato cosi ad una playlist di circa 130 canzoni. Un po’ lunghina. Così ho deciso di tenere una sola canzone per artista. Il risultato finale sono 74 canzoni. Non ho scelto necessariamente le più belle ma semplicemente quelle che hanno un significato particolare per me oppure hanno rappresentato, in generale, un successo per questo artista. La maggior parte di queste le ho scelte perché sono le canzoni che mi hanno fatto scoprire questo o quell’altro artista.

Non è stato facile scegliere ma sappiate che quello tutto quello che ascolterete in questa playlist è un pezzettino di me. Sono solo 5 ore di questi dieci anni ma sono ore che hanno plasmato la mia vita e accompagnato in questo viaggio. Buon ascolto.

Chi fermerà la musica

Mi prendo una pausa dalle recensioni e recupero un post che ho scritto qualche tempo fa ma che non ho mai pubblicato riguardo un tema che sta emergendo negli ultimi anni e mi interessa particolarmente. Ovvero la profonda trasformazione che sta provocando (o forse ha già provocato) lo streaming musicale nel mercato discografico. Non ho intenzione di annoiare nessuno con cifre che vogliono dimostrare quanto i servizi come Spotify rendano molto poco agli artisti che non hanno milioni e milioni di ascolti. Pare infatti che ormai per questi ultimi, Spotify sia diventato una specie di social network, nel quale farsi un po’ di pubblicità e nient’altro. Non rappresenta quindi una sostanziale fonte di entrate. Ma chi se ne importa, potrebbe pensare qualcuno, di dare soldi a questa gente! Che si trovassero un lavoro vero! Forse per alcuni di essi sarei anche d’accordo ma trovo questa visione delle cose un po’ fuori dal tempo. Ci sono persone che fanno (molti) soldi, in modi assurdi o al limite della legalità, e non vedo nulla di male scegliere la musica come un lavoro. Un lavoro piuttosto rischioso, per altro. Oggi vai alla grande e domani non esisti più per nessuno. Una scelta sbagliata e la caduta nell’oblio spesso è inevitabile.

Qualche anno fa sembrava che la pirateria fosse la causa di tutti i mali. Scaricare illegalmente era una cosa considerata normale e ancora oggi per molti lo è. Chi lo faceva senza nessun senso di colpa, ha continuato a farlo e tutti gli altri invece hanno scelto lo streaming legale. Ottimo. La questione sembrava, almeno in parte, risolta. Ma ben presto la realtà si è rivelata un’altra. Lo streaming non poteva sostituire in pieno la vendita di dischi. L’ascolto di musica è sempre in aumento ma i guadagni per gli artisti e le case discografiche calano vertiginosamente. Evidentemente qualcosa non sta funzionando. Ci troviamo in una situazione nella quale le superstar continuano a guadagnare perché possono permettersi maggiore visibilità (pagando spazi pubblicitari all’interno dello stesso servizio di streaming) mentre gli altri si devono arrangiare, spesso illusi dall’ampio riscontro che oggi i social network possono dare.

Ogni artista fa quello che può, ad esempio facendo più concerti (la cui organizzazione ha dei costi), vendendo merchandising, oppure affidandosi a campagne di crowdfounding, alle quali anche io ho partecipato più volte. L’acquisto degli album, anche se spesso non è sufficiente nemmeno per coprire le spese, resta un buon modo per sostenere un artista soprattutto se indipendente o autoprodotto. Ecco perché ho sempre preferito l’acquisto degli album piuttosto che lo streaming. La maggior parte dei dischi che ho sono in formato digitale. Anzi praticamente tutti. I vantaggi di acquistare un album in digitale sono diversi. Prima di tutto il prezzo. Un CD può costare anche più del doppio del digitale per via del fatto che ha i costi di stampa, materiale e distribuzione, ecc. Occupa spazio e se volete ascoltarlo in movimento (a piedi, in treno e perfino in auto ormai) sarete costretti a farne una copia in digitale, abbandonando di fatto il supporto fisico. Capite benissimo che sarebbe inutile pagare il doppio per usare sempre e comunque il digitale. Se ne fate una questione di qualità audio allora vuol dire che siete degli audiofili appassionati. Perché ormai gli album digitali in alta qualità, mp3 a 320 kbits/s o FLAC, si possono acquistare anche senza differenze prezzo, e per distinguere un mp3 320 kbits/s dalla qualità CD dovreste avere un orecchio davvero fino ed allenato.

Al dì là che preferiate il CD al digitale c’è anche un’altra componente che con lo streaming si perde: il possesso. Una volta lessi in un articolo, che evidenziava una curiosa ripresa nelle vendite di CD, una frase che diceva pressapoco così: acquistando un disco, lo paghi una volta e lo si possiede per sempre. Lo streaming lo paghi per sempre e non lo possiedi mai. Lasciando da parte per un attimo i vantaggi nell’acquisto per un artista, quello maggiore per l’ascoltatore è proprio il possesso. Immaginate se tra qualche anno Spotify dovesse chiudere i battenti. Vi lascerà ascoltare ancora gli album che avete salvato offline? Non credo proprio. Semplicemente non sono vostri, è una specie di noleggio. Tutto quello che avrete pagato, collezionato, organizzato in playlist per anni e anni potrebbe un giorno non essere più disponibile, senza che voi possiate fare nulla. Oppure un artista o un gruppo potrebbe lasciare il servizio, rendendo non più disponibile la propria musica (è già successo più volte). Se non siete degli ascoltatori particolarmente appassionati probabilmente la cosa non vi creerebbe molti problemi. Ma per chi, come me, ci tiene particolarmente alla sua collezione musicale, sarebbe piuttosto fastidioso dovesse succedere una cosa del genere.

Non nascondo che lo streaming ha i suoi aspetti positivi lato utente. Avere la possibilità di ascoltare ovunque la propria musica senza portarsi dietro i file non è un vantaggio da poco. Scoprire nuovi artisti è semplicissimo e spesso rispecchiano i nostri gusti (forse anche troppo). E poi certamente il prezzo è davvero economico. Ad esempio Spotify a 9.99 € al mese costa quanto un album digitale. A chi piace ascoltare musica come me compra più di un album al mese, perciò non serve la calcolatrice per capire che si risparmia eccome. Se la pubblicità e qualche limitazione non vi infastidiscono, tutto questo può essere perfino gratuito.
Il servizio offerto da Spotify o simili è decisamente allettante ma personalmente ho sensazione che non sia molto corretto. Che lo streaming sia il futuro è più che evidente ma lo è altrettanto che le cose non potranno rimanere a lungo così convenienti per i fan, che ovviamente in questo caso sono a tutti gli effetti dei consumatori e vanno dove costa meno.
Io sono dell’opinione che il digitale sia il miglior compromesso tra ciò che conviene e ciò che è corretto nei confronti degli artisti. La recente ripresa delle vendite di vinili e cassette è puramente una questione che riguarda i collezionisti disposti a pagare (troppo) per supporti considerati decaduti da qualche decennio ma tornati di moda per un effetto nostalgia. Il CD resta il migliore per chi vuole qualcosa da tenere fra le mani senza spendere cifre folli ma proprio a causa delle streaming è il supporto che sta soffrendo di più.

Se qualcuno tra voi volesse acquistare, sempre o qualche volta, un album digitale vi posso consigliare qualche sito. Personalmente mi sono sempre trovato bene con 7digital tra i primi store online di musica digitale. Troverete moltissimi album tutti in mp3 di alta qualità ad un prezzo mediamente di € 10, e con qualcosa in più c’è anche la possibilità di scaricare musica in formato FLAC, tutto senza DRM. Avrete il vostro account con gli album sempre disponibili da scaricare o ascoltare in streaming. Unici difetti, manca una wishlist e talvolta capita che qualche album sparisca dal catalogo dopo un po’ di tempo e non riuscirete più a scaricarlo di nuovo. Quindi è sempre meglio scaricarlo subito dopo l’acquisto, anche se è una cosa che capita raramente e non credo sia loro diretta responsabilità.
Altrimenti se volete acquistare direttamente (o quasi) dall’artista o dalla sua casa discografica c’è Bandcamp. Potrete acquistare qualsiasi cosa dai CD, al digitale, dai vinili e al merchandising vario. Gli album digitali sono senza DRM e ad offerta libera. Ci può essere un prezzo minimo ma potreste trovare qualcosa di gratuito. Si tratta per la maggior parte di artisti indipendenti o piccole etichette ma negli ultimi anni l’offerta è cresciuta molto e qualche nome importante comincia ad esserci. Avrete anche qui il vostro account con tutti gli acquisti scaricabili in qualsiasi momento e in qualsiasi formato conosciuto, pagando una volta sola. Non è una cosa da poco. C’è una wishlist e potrete seguire artisti, per essere avvisati quando esce un nuovo album, e seguire i fan, per essere aggiornati sui loro nuovi acquisti. Inoltre i prezzi sono espressi nella valuta dell’artista e quando, ad esempio, è in dollari, un album può venire a costare anche meno dei famosi 10 €. Senza contare che nella maggior parte dei casi acquisterete un album direttamente dall’artista, senza intermediari, ad eccezione dello stesso Bandcamp, che è sempre stato trasparente, e il più possibile corretto, per quanto riguarda la sua quota parte. Da notare che per avere un account è necessario acquistare almeno un album o qualsiasi altro prodotto. Qui potete trovare la ma collezione: bandcamp.com/joebarry.
Meglio ancora, se possibile, è acquistare direttamente dallo store ufficiale dell’artista o della sua etichetta.
Nei casi, rari, nei quali non riesca a trovare l’album che si sta cercando in uno di questi tre modi, non resta che Amazon, anche se non è proprio chiarissimo quale sia la qualità dei sui mp3 (comunque al di sotto di 320 kbits/s) se non dopo l’acquisto.

Quindi, se non vi va di pagare, niente è meglio della musica pirata o dello streaming gratuito. Ma se anche solo ogni tanto un album o una canzone vi piace, acquistateli.

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Mi ritorni in mente, ep. 63

Siamo ad Agosto ed è tempo di ferie e proprio adesso che avrei più tempo per fare recensioni, mi manca la voglia. Dopotutto è pur sempre Agosto ed è tempo di ferie. Quindi mi predo una pausa e comincio ad anticipare qualche nuova uscita prevista dopo l’estate. Ecco qui una playlist di novità in arrivo (ho scelto Spotify per comodità anche se non lo uso molto e presto capirete perché). Si inizia con il country rock di Aubrie Sellers e la sua Drag You Down che anticipa il suo secondo album di prossima uscita. Si passa poi al ritorno di Angel Olsen con All Mirrors, tratto dall’album omonimo in uscita il 4 Ottobre. Un altro graditissimo ritorno è quello dei Bon Iver con Faith che ci svela una piccola parte del loro quarto album, dall’enigmatico titolo i,i che sarà pubblicato il 30 di questo mese. Così come il tanto annunciato Norman Fucking Rockwell di Lana Del Rey. Ho scelto Venice Bitch e i suoi nove minuti in perfetto stile Del Rey. Si torna al country con Dori Freeman e la sua That’s How I Feel. Il suo terzo album Every Single Star uscirà il 27 Settembre e non vedo l’ora. Le tre sorelle Joseph tornano con il 13 Settembre con Good Luck, Kid e Fighter è il singolo scelto per presentare l’album. Ci sono altre novità nelle prossime settimane ma per oggi mi fermo a queste sei. Buon ascolto!

Mi ritorni in mente, ep. 17

Avevo intenzione di scrivere riguardo qualche altra canzone oggi ma proprio ora sto ascoltando Bon Iver. Per l’esattezza Wisconsin ed è la prima volta che la sento. Conoscevo già Bon Iver ma non ho mai approfondito la sua musica. Questo pomeriggio ho deciso di raccogliere un po’ di album nuovi e vecchi in una playlist di Spotify per trovare qualcosa da ascoltare nei prossimi giorni. Ci ho messo dentro anche Bon Iver. Questa Wisconsin saltata fuori per caso è davvero una bella canzone, davvero una bella canzone. Mi sono quasi venute le lacrime agli occhi. Non ho mai pianto con una canzone, alcune volte ci sono andato vicino ma mai come questa volta. D’accordo, caro Justin Vernon questa volta mi ha convinto. For Emma, Forever Ago sarà il prossimo album che amerò ne sono sicuro. Scusa se per tutto questo tempo non ti ho considerato. Convincermi con un solo ascolto di Wisconsin non era impresa semplice ma ci sei riuscito. Grazie. Credo di aver finito le parole… 😦

Le scappatelle di Ellen

In questo periodo sono stato a corto di nuova musica da ascoltare. Di solito non mi butto a capofitto in qualsiasi cosa mi capiti sotto mano ma faccio una selezione ascoltando qua e là qualche brano. Ora con Spotify ci si può permettere di ascoltare un album per intero prima di acquistarlo. Sì, perchè io sono uno di quelli che ancora compra gli album. Per gran parte digitali, ultimamente solo digitali. Non mi interessa tutta la confezione, non fa altro che livitare il prezzo. Mi interessa la musica che c’è dentro e mi interessa averlo, collezionarlo. Come scrivevo sopra, ultimamente sono alla ricerca (spesso sconclusionata) di qualche nuovo artista che allieti le prossime future giornate estive. Tra quelli che hanno seguito il rigido iter spiegato sopra (in alcuni casi l’iter non viene affatto rispettato), c’è la band Ellen And The Escapades. Capitanati da Ellen Smith, il gruppo britannico ha esordito nel 2012 con l’album All The Crooked Scenes, riscuotendo un discreto successo. Era inevitabile quindi che io partissi proprio da questo album per scoprire il gruppo. I primi ascolti non mi avevano convinto appieno ma pian piano è cresciuto.

Ellen And The Escapades
Ellen And The Escapades

L’album si apre con una canzone pop-rock intiolata Run che fa leva sulla voce di Ellen Smith, tratto caratteristico di tutte le canzoni del gruppo, “So run for your life / Swallow your pride / chase the setting sun / and your steps will collide / with the footprints and eyes of everyone / who’ve been here before“. Segue il country trascinante di Without You che mette in mostra tutte le pontenzialità della band ,”And sometimes I think about the things we used to do / And the love I gave to you / And now youve gone away theres better ways to fill my days / Without you, without you“. Una partita a carte come metafora della vita per This Ace I’ve Burned. Una ballata pop costruita appositamente per essere un po’ mielensa, “And all the games that I’ve played / And all the things that I’ve learned / Oh won’t they help me regain“. Il gruppo si affida unicamente alla voce di Ellen per I’ll Keep You Warm, che risulta più brillante nelle strofe che nel ritornello, “I’ll keep you warm / I’ll keep you warm / I’ll keep you warm“. La titletrak All The Crooked Scenes è il manifesto della band, un pop-folk caricato a molla, “All the rooftops and street lights and fading to white / But Ill be alright if my feet carry me through the night“. Tra le canzoni migliori di questo album non è possibile non inserire, When The Tide Creep In, nella quale Ellen Smith si diletta con la voce e ci trascina fino ad un tracimante ritornello del quale non vi dimeticherete facilmente, “So I tried to follow you round but they swallowed you / Down into the sea bed / You were just finding out how to crawl out / When you threw me in the deep end“. Si continua con Can’t Make It So, nella quale il gruppo cambia registro per proporci un pianoforte e voce per un risultato nient’affato male dalle tonalità pop-soul. Si ritorna al country folk di Preying On Your Mind per un’altra prova di tutto rispetto anche se suona inevitabilmente di già sentito (that’s country music, baby), “Sometimes I can’t sleep / Because I think too much / And I can’t rest my mind. / Sometimes I can’t sleep / Because I think too much / And I can’t rest my mind“. Un piccolo gioiellino folk è nascosto in Coming Back Home, che ancora una volta fa affidamento unicamente alla voce della Smith. Un altro brano da aggiungere tra i migliori, “But I said I am coming back home to you / please my love, just keep me in mind / don’t you forget I’m still thinking about you“. Yours To Keep non convice appieno, nonostante le buone intezione della band, forse a causa della sua atmosfera troppo differente da resto dell’album. Stone Bird è tutta un’altra cosa. Un altro bel brano apertamente folk e poetico. Un’altra canzone da aggiungere alla top list. Chiude l’album, Cast che si trascina per cinque minuti con un blues che si traforma in un pop rock senza, forse, lasciare il segno.

In definitiva questo All The Crooked Scenes si è rivelato al di sopra delle mie aspettative. Un album compatto ma vario che prende come punto di riferimento la particolare voce di Ellen Smith. Un misto di pop, rock, folk e country che mette in mostra le capacità della band ma lasciando al tempo stesso aperta la domanda che ci si può porre riguardo alla sua identità artistica. Pare infatti che il prossimo album, a giudicare dal nuovo singolo Lost Cause, sia una decisa svolta verso qualcosa di più rock anche se è presto per dirlo. All The Crooked Scenes e gli Ellen And Escapades non sono entrati ancora nell’olimpo nella mia musica preferita ma sono sicuro che potrebbero farlo con altre canzoni convincenti come ce ne sono state in questo esordio. Posso dire che questo album è un buon album che si ascolta facilmente senza troppo impegno e con rischio di incappare in quanche cosa di po’ scontato.

Mi ritorni in mente, ep. 12

In questa settimana sono stato incuriosito da un ritorno. In qualche modo che non ricordo, sono incappato di nuovo nella musica della cantautrice canadese Cœur de pirate. Gli ho concesso un paio di ascolti su Spotify. Sinceramente non ricordavo cantasse in francese! Ho subito pensato: ma che fai, ascolti musica francese? Innanzi tutto lei è canadese però, sì, canta in francese. E ci tiene particolarmente a sottolinearlo. Francese o no, mi è piaciuta. Non mi sarei mai aspettato di trovare intereressante un album di canzoni in francesi. In men che non si dica ho scaricato il suo album d’esordio dalla sua pagina di Bandcamp (il cambio con i dollari canadesi è favorevole). Ora che ci penso, ad un primissimo ascolto, di qualche tempo fa, Cœur de pirate era finita dritta nella mia personale ignore list ma non mi è dato sapere per quale motivo. Forse il francese è uno di quelli.

Nonostante abbia già ascoltato un paio di volte su Spotify Cœur de pirate, è troppo presto per tirare le somme sull’album. Attualmente ha all’attivo un secondo album di inediti e uno di cover uscito quest’anno. Ho la tendenza di desiderare tutta la discografia di un artista e quindi mi sembrava corretto partire dall’esordio, anche perchè non sono un amante delle cover in generale. Eccolo dunque nella mai libreria virtuale pronto per essere ascoltato.

Provaci ancora

Non avevo mai ascoltato nulla di Birdy fino a pochi giorni fa. O forse avevo distrattamente ascoltato la cover di People Help The People senza clamore. In genere non mi attraggono le cover figuriamoci un intero album di cover come quello pubblicato da Birdy nel 2011. Anche questo è uno dei motivi per il quale non ho ascoltato subito Birdy. Ma la recente uscita del suo secondo album (o primo se volete) e la mia maggiore propensione ad ascoltare un certo tipo di musica rispetto al passato, mi ha convinto ad ascoltare questo album prima di fare altrettanto con il successivo Fire Within. Eccomi qui dunque ad assaporare qualche cover di una delle giovani promesse della musica internazionale.

Birdy
Birdy

Prima di scrivere questo post non avevo mai ascoltato l’originale di 1901 cantata dai Phoenix e ora posso dire senza ombra di dubbio che è decisamente migliore la cover dell’originale. Un punto a favore della giovane cantautrice. La successiva Skinny Love se la gioca con l’originale di Bon Iver che sicuramente è più conosciuta proprio nella versione di Birdy. Anche People Help The People non si allontana dall’originale rendendola più intima e accorata di quanto già non fosse. White Winter Hymnal mi ha fatto rivalutare i Fleet Foxes, chissà magari gli concedo un ascolto in più su Spotify, anche se la versione di Birdy è davvero molto bella. The District Sleeps Alone Tonight è un altra bella prova e anche questa volta preferisco la versione di Birdy rispetto a quella dei The Postal Service. La successiva I’ll Never Forget You si cuce perfettamente addosso a Birdy ed è molto fedele all’originale dei Francis And The Lights. Young Blood conferma che Birdy non si allontana mai dal suo sentiero che gli garantisce di fare ottime cover di qualsiasi cosa. Così come fare una cover si Shelter dei The xx (giuro che c’ho provato ad ascoltarli almeno una volta) e tirare fuori una versione che preferisco nettamente. Un po’ piu semplice Fire And Rain di James Taylor che personalmente non conoscevo. Without A Word è l’unica canzone originale scritta da Birdy e si può dire che la ragazza ci sa fare. A chiudere, Terrible Love dei The National rifatta senza quella patina opaca che ricopre la maggior parte delle canzoni del gruppo.

Come ho già scritto, non sono un amante delle cover ma Birdy è stata brava a pescare tra canzoni poco conosciute,  a parte in un paio di casi. Questo dovrebbe dimostrare che la ragazza, al secolo Jasmine van den Bogaerde, ha dei riferimenti musicali non certo scontati per la sua età. La sua voce (sembra sempre sul punto di scoppiare in un pianto) è calda e intima in grado di tirare fuori quanto c’è di buono in ogni canzone. Non si può giudicare un esordio da un album come questo ed è quindi necessario attendere Fire Within per sapere se Birdy sa camminare con sulle sue gambe una volta scesa dalle spalle dei giganti. Comunque vada Birdy mi ha fatto un’ottima impressione. I mezzi per fare bene non le mancano di certo.

Mi ritorni in mente, ep. 8

Questa volta è un po’ diverso. Rooks degli Shearwater non mi è tornata in mente in modo spontaneo. Stavo ascoltando un po’ di musica su Spotify (bella invenzione) e il modo più comodo per scoprire nuova musica è avviare la radio basata su un artista a scelta. La radio non fa altro che pescare nell’enorme archivio di Spotify tutti gli artisti che in qualche modo somigliano a quello che abbiamo scelto. Se una canzone ci piace clicchiamo sul pollicione all’insù e la radio selezionerà nuovi brani in base alle nostre scelte. Se riteniamo che una canzone non c’entri nulla con quanto vogliamo ascoltare c’è anche il pollicione all’ingiù. Avevo avviato la radio basata sui Wintersleep quando è iniziata una canzone degli Okkervil River. Questo gruppo già lo conoscevo ma non ho mai approfondito la sua musica. Pollicione all’insù e subito a cercare più informazioni sugli Okkervil River. Leggendo qua e là, gli Okkervil River mi hanno convinto e mi sono ripromesso di ascolatre un loro album prima o poi. Ma cosa c’entrano gli Shearwater? C’entrano, c’entrano. Un paio di membri degli Okkervil River,  Jonathan Meiburg e Will Sheff hanno fondato gli Shearwater per fare un certo tipo di musica che non si addiceva al folk rock della band originaria. Poi gli Shearwater sono diventati un vero e proprio progetto parallelo che continua ancora oggi anche se uno dei due membri originali, Will Sheff, ha salutato tutti mentre l’altro, Jonathan Meiburg, ha lasciato gli Okkervil River. Curioso. Ecco spiegato perchè mi è tornata in mente Rooks.

Avevo ascoltato l’album Rook, quasi omonimo di questa canzone, diversi anni fa apprezzandone qualche canzone. Poi me ne sono quasi completamente dimenticato. Ero convito che si trattasse di una band anglosassone e invece sono texani. Non cambia nulla. Devo ascoltare di nuovo Rook perchè non vorrei essermi perso qualcosa.