Non mi giudicate – 2021

L’anno è finito ed è arrivato il momento di provare a capire cosa è rimasto di questo 2021. Il mondo della musica ha subito gravi ripercussioni dovute all’epidemia ma la pubblicazione di album non ha subito rallentamenti (o così almeno mi è parso), complice anche l’impossibilità di fare concerti che ha spinto molti artisti a scrivere nuove canzoni piuttosto che starsene con le mani in mano in attesa di tempi migliori. Dal canto mio ho avuto modo di ascoltare numerosi album di debutto (come piace a me) ma ho notato che sono davvero pochi quelli di folk tradizionale, come se, per un genere di nicchia come questo, lo stop ai concerti abbia pesato di più. O semplicemente sono io che mi sono lasciato scappare qualche titolo che mi è passato sotto il naso. I freddi numeri dicono che sono 58 gli album usciti quest’anno e finiti dritti nella mia collezione. Come sempre qui cercherò di riportare gli album e gli artisti che hanno lasciato in qualche modo il segno in questo 2021, con l’inevitabile sensazione di aver escluso qualcuno. Ma tutte le novità di quest’anno, passate per questo blog le trovate qui: 2021.
Oltre alle solite categorie, ispirate ai premi NBA, ho aggiunto “Honourable Mention” per chi ha saputo coraggiosamente cambiare rispetto al passato e merita una “menzione d’onore”.

  • Most Valuable Player: Josienne Clarke
    Questa canatutrice ha deciso di chiudere con il passato e diventare del tutto indipendente. Il risultato è A Small Unknowable Thing, un album che racchiude il talento e l’anima di quest’artista sempre ispirata e prolifica.
    Il tempo è un grande guaritore
  • Most Valuable Album: In These Silent Days
    Se c’è un nome che ormai è una garanzia è quello di Brandi Carlile. Con questo album si conferma una cantautrice abile e sensibile, capace ancora di emozionare oggi come allora.
    Il proiettile d’argento
  • Best Pop Album: Californian Soil
    Il trio inglese dei London Grammar si rinnova rimanendo fedele al sound che li ha fatti diventare una delle promesse più scintillanti del pop alternativo. Questo potrebbe essere un nuovo inizio.
    In buone mani
  • Best Folk Album: The Eternal Rocks Beneath
    Il debutto di Katherine Priddy è senza dubbio il migliore degli album folk di quest’anno. La voce melodiosa e la scrittura sono eccezionali e lasciano intendere tutte le sue potenzialità.
    Le rocce eterne al di sotto di noi
  • Best Country Album: Ramble On
    Non sono pochi gli album country di quest’anno ma quello di Charlie Marie ha qualcosa in più. Un ottimo debutto dove trovare tutto il buono del country tradizionale e una scrittura brillante.
    Baciami gli stivali
  • Best Singer/Songwriter Album: Ignorance
    Scelta difficilissima ma che ricade su Tamara Lindeman, e il suo progetto The Weather Station. L’impegno ambientalista e sociale di questa cantautrice emergono in un album potente ed affascinante.
    Questo è lo scopo delle canzoni
  • Best Instrumental Album: Perséides
    Non potevo che premiare il breve ma riuscitissimo album di Cœur de pirate che, rimasta senza voce e sola al pianoforte traccia un mappa delle note che sono l’anima della sua musica.
    Sans voix
  • Rookie of the Year: Morgan Wade
    Il suo Reckless è un ottimo debutto e sin dai primi ascolti l’avevo già piazzato qui tra i migliori di quest’anno. Una cantautrice carismatica e dal passato turbolento, che ci regala un album sincero ed accattivante.
    Sotto quei tatuaggi
  • Sixth Player of the Year: Vincent Neil Emerson
    La sorpresa dell’anno va a lui al suo album omonimo. Questo cantautore combatte i suoi demoni con la musica e il risultato è un album profondamente country e diretto. Un astro nascente di questo genere musicale.
    Meglio imparare ad annegare
  • Defensive Player of the Year:  Cœur de pirate
    Ancora lei, Coeur de pirate, che con Impossible à aimer ripropone il suo pop malinconico mai scontato ma sempre orecchiabile e unico. Resta una delle cantautrici pop più riconoscibili e coraggiose della sua generazione.
    C’est parfait si l’on tremble
  • Most Improved Player: Danielle Lewis
    Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal nuovo corso di questa cantautrice gallese che con Dreaming In Slow Motion si rinnova e dimostra tutta la forza espressiva della sua voce.
    Sognare al rallentatore
  • Throwback Album of the Year: Prairie Love Letter
    Pochi dubbi riguardo questo album di Brennen Leigh. Una dichiarazione d’amore per la sua terra e la musica country. Un album che ho colpevolmente aspettato troppo ad ascoltare.
    Lettere d’amore alla prateria
  • Earworm of the Year: The Wild One
    Molte canzoni in questo anno mi sono entrate in testa con facilità e tra queste c’è The Wild One, cover nata dalla coppia Jackson+Sellers. Tutto l’album Breaking Point merita un ascolto.
    Punto di rottura
  • Best Extended Play: No Simple Thing
    Devo ammetterlo, gli Sheepdogs non hanno avuto molti concorrenti in questa categoria ma anche diversamente, la sola Keep On Loving You non poteva mancare in questa lista.
    Mi ritorni in mente, ep. 79
  • Honourable Mention: Tori Forsyth
    Ci sono grandi esclusi che non compaiono qui ma l’album Provlépseis è stato un riuscito cambio di rotta per questa cantautrice e non potevo non premiarla, per l’ottimo risultato.
    Sogni oscuri

Il proiettile d’argento

Cosa aspettarsi da un’artista che ha vinto un Grammy al suo sesto album in carriera? La domanda mi è sorta spontanea all’annuncio di In These Silent Days, settimo album della cantautrice americana Brandi Carlile, uscito all’inizio di questo mese. Perché non è affatto strano pensare che un riconoscimento così importante possa dare alla testa e provocare un deragliamento dai binari che l’avevano guidata lungo una carriera ineccepibile per qualità. Successo che l’ha portata a pubblicare il suo primo libro intitolato Broken Horses: A Memoir, che ripercorre la sua carriera ultra decennale. Ma poi mi sono reso conto che l’artista in questione era Brandi Carlile e come potevo pensare queste cose di lei? Non restava che scoprire In These Silent Days.

Brandi Carlile
Brandi Carlile

Right On Time è la ballata che apre l’album e sembra un abbraccio di benvenuto. La Carlile ci rassicura con le sue parole e con la sua voce unica. Niente sorprese, è sempre lei, “Don’t look down / I can feel it when your heart starts pounding / It’s beyond your control, you know it is / It’s getting to the point where I can’t carry on / I never held my breath for quite this long / And I don’t take it back, I did what I had to do“. La successiva You And Me On The Rock potete piazzarla in qualsiasi altro album di questa artista. Le parole scorrono via veloci su una melodia country folk orecchiabile, creando una sensazione di affetto e appartenenza, “I built paper planes when I learned to fly / Like a 747 fallin’ out of the sky / I folded ‘em crooked and now I’m wonderin’ why / I could always end up in the water / But nobody’s askin’ why she lookin’ so thin / Why she’s laughin’ too hard, why she drinkin’ again / A falling star, she’s a paper plane / And she was goin’ down when you caught her“. This Time Tomorrow vuole dare conforto per quando arriverà il momento in cui ci dovremo separare dalle persone che amiamo. Brandi Carlile lo fa con la sua consueta sensibilità ed onestà, “But our holy dreams of yesterday aren’t gone / They still haunt us like the ghosts of Babylon / And the breaking of the day might bring you sorrow / You know I may not be around this time tomorrow / But I’ll always be with you / I’ll always be with you“. Broken Horses è un veloce country rock nel quale sfodera la sua voce più graffiante. Si tratta del brano più lungo dell’album, la sua colonna portante, “Tethered in wide open spaces / And fields that lead for miles / Right into the barrel of a gun / Mendin’ up your fences with my / Horses runnin’ wild / Only broken horses know to run“. Letter To The Past è un’altra meravigliosa ballata che solo quest’artista riesce a tirare fuori. Una canzone dedicata alla figlia, nella quale rivede sé stessa nel passato, la sua testardaggine. Una canzone affettuosa e commovente, “You’re a stone wall / In a world full of rubber bands / You’re a pillar of belief / Still bitin’ your shakin’ hands / Folks are gonna lean on you / And leave when the cracks appear / But, darlin’, I’ll be here / I’ll be the last / You’re my letter to the past“. Mama Werewolf crea l’immagine di una mamma che ogni tanto perde il controllo di sé ma sua figlia ha la pallottola d’argento per riportarla alla ragione. Un’altra bella canzone, dolce e carica di vita, “If my good intentions go runnin’ wild / If I cause you pain, my own sweet child / Won’t you promise me you’ll be the one? / My silver bullet in the gun / Would you strike me down right where I stand? / Would you change me back, make me kind again? / Won’t you promise me you’ll be the one? / My silver bullet in the gun“. Segue When You’re Wrong che è una canzone malinconica ma anche rassicurante. Commettere degli errori succede a tutti e ognuno merita di non essere abbandonato a sé stesso, “When the day is winding down, my heart abandons me for you / You forgot yourself so long ago and I wish I could too / But you live inside a quiet hell no one can pray away / Leavin’ would be easy, I understand why you stay“. Stay Gentle è una meravigliosa ballata dallo stile classico e intramontabile. Dedicata ai suoi figli, vuole essere un’esortazione a non abbandonare l’innocenza della gioventù quando le cose si faranno più difficili, “Darling, stay wild if you can (If you can) / The girl with the world in her hands (In her hands) / The kingdom of Heaven belongs to a boy / While his worry belongs to a man“. Arriva anche il momento di una canzone dai toni epici come Sinners, Saints And Fools. Il racconto di un uomo timorato di Dio che però respinge chi chiede accoglienza come clandestino. Lo stesso destino sarà riservato a lui quando giungerà davanti alle porte del paradiso, “To the weary, desperate souls who washed up on the sand / He said, “We hadn’t seen your paperwork” and he withdrew his hand / You know he never felt any safer, all the peace he hoped he’d find / And up until the day he died, he never changed his mind“. Si chiude con una ballate lenta e carica di sentimenti dal titolo Throwing Good After Bad. Brandi Carlile dimostra ancora di non aver perso affatto il suo tocco magico, “And you’re fantasizin’ / You’re takin’ us for granted / I know you’re bored / You always say I’m heavy handed / You got a beautiful mind / And a soul of a coyote / Hunger drivin’ you mad / Throwin’ good after bad“.

La prima cosa che ci rivela questo In These Silent Days, è che il giorno in cui Brandi Carlile farà una brutta canzone è ancora molto lontano. Come ho potuto dubitare di questa cantautrice? Questo album non si prende rischi, anzi rassicura chi ascolta che nulla è cambiato, compreso l’indissolubile sodalizio con i gemelli Phil e Tim Hanseroth. A quarant’anni quest’artista ha molte cose da dire, da raccontare e lo fa con la consueta energia e smisurata sensibilità. Brandi Carlile è arrivata in quel momento della carriera nel quale non a più bisogno di dimostrare nulla a nessuno. Il successo di critica e pubblico del precedente album, non ha scalfito minimamente la sua umiltà di artista capace di creare sempre qualcosa di magico. E io che ho dubitato, perdonami Brandi.

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Non provate a chiamarle

The Highwomen è un super gruppo nato dall’idea di Amanda Shires per celebrare il country femminile spesso snobbato dalle radio americane. Il suo nome si rifà ad un altro supergruppo formatosi negli anni ’80, The Highwaymen, che vedeva la partecipazione di quattro leggende del country, ovvero Johnny Cash, Waylon Jennings, Kris Kristofferson e Willie Nelson. Nella sua versione al femminile, insieme ad Amanda Shires, ci sono Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile. Proprio quest’ultima mi ha convinto della bontà dell’iniziativa della Shires, sicuro che avrei trovato dell’ottimo country in questo esordio omonimo del gruppo. Carlile e Morris sono tra le cantautrici più in forma del momento mentre Shires e Hemby, oltre ad essere cantautrici, hanno scritto e collaborato con numerosi artisti della scena musicale country. Un mix perfetto che non potevo lasciarmi scappare.

The Highwomen
The Highwomen

Si comincia con Highwomen, una versione rivista di Highwaymen, nella quale si alternano la quattro voci, quattro storie di donne. Queste donne sono morte ma la loro storia vive ancora in mezzo a noi, perché hanno combattuto per i loro diritti. Non si poteva chiedere di meglio per cominciare, “I was a Highwoman / And a mother from my youth / For my children I did what I had to do / My family left Honduras when they killed the Sandinistas / We followed a coyote through the dust of Mexico / Every one of them except for me survived / And I am still alive“. Manifesto della band, la bella Redesigning Women. Un country moderno e trascinante nel quale spicca la voce della Carlile. Una canzone sulle donne e il loro ruolo di oggi, sempre in bilico tra la classica immagine e quella più moderna ed emancipata, “Full time livin’ on a half time schedule / Always tryna make everybody feel special / Learnin’ when to brake and when to hit the pedal / Workin’ hard to look good till we die“. Loose Change vede al microfono la Morris. Una delle canzoni più orecchiabili di questo album, che parla di come l’amore gira, “Loose change / I ain’t worth a thing to you / Loose change / You don’t see my value / I’m gonna be somebody’s lucky penny someday / Instead of rolling around in your pocket like loose change“. La successiva Crowded Table è il piccolo capolavoro. Una canzone positiva e corale. Le voci delle quattro ragazze creano un’atmosfera accogliente e calda, un invito alle donne ad unirsi, “I want a house with a crowded table / And a place by the fire for everyone / Let us take on the world while we’re young and able / And bring us back together when the day is done“. Decisamente più spensierata My Name Can’t Be Mama. Un veloce honky tonk che racconta come una mamma può lasciarsi andare ed essere semplicemente una donna almeno per un giorno, “Things are gettin’ better / But right now it’s not looking great / My ceiling still is spinning / From a night that went too late / I used to sleep this off / And let the shame just melt away / But not for tiny feet in hallways / Calling my name“. If She Ever Leaves Me è una ballata cantata dalla Carlile. Una canzone d’amore, un amore omosessuale. In un country di uomini etero, le donne si uniscono e cantano un altro amore, “I’ve loved her in secret / I’ve loved her out loud / The sky hasn’t always been blue / And it might last forever / Or it might not work out / But if she ever leaves me it won’t be for you“. Old Soul è un’altra ballata country, la più lunga dell’album, con leggere sfumature pop. C’è tutta l’energia della voce calda della Morris, sostenuta da tutto il resto del gruppo, “Oh to be a wild child for a day / All the promises I’ve ever kept / I’d line ‘em up to break / Oh to be a dancer on the edge / I’d rip the filter from my mouth / And all my cigarettes“. Decisamente più country è Don’t Call Me. La Shires prende le redini del gruppo e insieme alla Carlile danno vita ad una canzone ironica ma non troppo. Una coppia che gioca a fare le cattive ragazze, “You get yourself in another one of your binds / Run for help, yell for someone, pray for a sign / Dial 911, light a roadside flare, up and run / I don’t care, just don’t, don’t call me“. Un altro gioiello di questo album si presenta sotto il titolo di Only Child. Queste donne vogliono guidare una rivoluzione ma non dimenticano la dolcezza di essere mamme, “Pink painted walls / Your face in my locket / Your daddy and me / Your tiny back pocket / Mama’s first love / Last of my kind / You’ll always be my only child“. La successiva Heaven Is A Honky Tonk è un omaggio a quegli highwaymen che hanno ispirato questo gruppoCash e Jennings ci hanno lasciato e chissà se lassù continuano a cantare le loro canzoni e a fare baldoria, “There’s a choir singin’ in a southern accent, a fiddle in the band / There’s a “Hallelujah!” on the lips of every dying man / Mama, don’t you cry when they’re dead and gone / Jesus, he loves his sinners and Heaven is a honky-tonk“. Il ricordo del padre morente si risveglia nella canzone della Shires intitolata Cocktail And A Song. Una ballata commovente ed ispirata che mette in evidenza tutto il talento di questa cantautrice, “The day is close, no it won’t be long / Couple of cocktails and a song / Don’t you let me see you cry / Don’t you go grieving / Not before I die“. Si chiude con un altro eccezionale esempio di country dal titolo Wheels Of Laredo. Scritta e cantata da Brandi Carlile è una delle più belle di questo album e interpretata anche nell’ultimo album di Tanya Tucker, prodotto proprio dalla cantautrice americana. Un inno di libertà, emozionante ed intenso, “Singing, if I was White-Crowned Sparrow / Well I would float upon the southern skies of blue / But I’m stuck inside the wheels of Laredo / Wishing I was rolling back to you“.

The Highwomen è un album speciale ed eccezionale per la densità di qualità che troverete al suo interno. Quattro cantautrici che hanno unito le loro forze, il loro talento regalandoci quello che è già l’album country dell’anno. Ogni canzone è un piccolo capolavoro, ogni componente trova il suo spazio, il suo piccolo momento in cui far sentire la sua voce. Il messaggio che unisce le canzoni è una rivendicazione del ruolo delle donne nel mondo di oggi e in quello di ieri, aprendo la strada ad un futuro migliore. Quei quattro highwaymen saranno sicuramente fieri di queste quattro highwomen che hanno saputo rendere omaggio alla tradizione country nel migliore dei modi. Brandi Carlile mi ha reso partecipe di questo progetto che spero abbia una seguito, e che per ora rappresenta una pietra miliare del country femminile e non solo.

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Mi ritorni in mente, ep. 62

Anche quest’anno si stanno avvicinando le ferie ma devo ammettere che questo mese di Luglio sembra più lungo del solito. Ma tra una decina di giorni sarà finito anche lui e lascerà spazio al più estivo dei mesi, Agosto. Dato che non ho, al momento, nuovi album da sottoporre alla vostra attenzione, mi limiterò ad una sola canzone nuova nuova.

The Highwomen è un supergruppo tutto al femminile formato da Brandi Carlile, Amanda Shires, Maren Morris e Natalie Hemby. Il loro album di debutto è previsto per il 6 Settembre ma nel frattempo ci possiamo ascoltare il primo singolo Redesigning Women. Un bel country rock nello stile di Brandi Carlile, che la vede insieme alle sue tre compagne, dare alle fiamme oggetti che solitamente sono associati alle donne. Che dire? Se c’è di mezzo Brandi Carlile sarà sicuramente un album da non lasciarsi scappare.

Non mi giudicate – 2018

Simo giunti al termine di questo 2018. Un anno nel quale la mia collezione si è arricchita di numerosi album di debutto (i miei preferiti) ma anche di graditi ritorni. Ho anche ascoltato diversi album che non hanno trovato spazio nel blog ma tra quelli che lo hanno avuto ne ho scelti alcuni tra i migliori. Di questo spazio ne ho dovuto sacrificare un po’ per quanto riguarda le mie letture. Pur continuando a leggere come sempre, le recensioni, o qualunque cosa siano, dei libri sono sempre meno frequenti. Un po’ mi dispiace non riuscire a consigliarvi qualche lettura ma ci riproverò il prossimo anno. Qui sotto le mie personalissime scelte per questo 2018 e anche quest’anno è stato difficile scegliere ma alla fine ho scelto. Questo è il risultato.

  • Most Valuable Player: Anna Calvi
    La cantautrice inglese è tornata in grande stile con il suo album Hunter, affrontando, con la consueta energia, la propria sessualità. Le sue performance drammatiche e teatrali, la confermano una delle migliori artiste rock degli ultimi dieci anni.
    Anna Calvi –  As A Man
  • Most Valuable Album: By The Way, I Forgive You
    Alla cantautrice americana Brandi Carlile le riesce difficile sbagliare un album. Quest’anno è riuscita perfino a migliorarsi. Profondamente ispirato e intenso, il suo sesto disco è il migliore della sua carriera.
    Brandi Carlile – Party Of One
  • Best Pop Album: en cas de tempête, ce jardin sera fermé
    Alla fine per l’album pop la spunta Coeur de pirate. La cantautrice canadese sceglie di tornare a cantare in francese e fa bene. Un album che mescola bene passato e presente, tra ballate al pianoforte e inni electro-pop.
    Coeur de pirate – Combustible
  • Best Folk Album: Away From My Window
    La giovane cantautrice scozzese Iona Fyfe debutta con un album che mette in mostra sia le sue doti vocali che l’interesse e la ricerca per le ballate tradizionali della sua terra. Si tratta solo dell’inizio della carriera di una delle folk singer più promettenti.
    Iona Fyfe – Banks of Inverurie
  • Best Country Album: Songs Of The Plains
    Non me la sono sentita di premiare Golden Hour di Kacey Musgraves perché il dubbio che sia country o meno rimane. Chi invece country lo è per davvero è Colter Wall. Questo ragazzo canadese sembra sbucato dal passato e piazza un altro album di tutto rispetto.
    Colter Wall – Saskatchewan 1881
  • Best Singer/Songwriter Album: Louis Brennan
    A questo cantautore irlandese va riconosciuta una rara propensione a prendere a cuore temi importanti che riguardano tutti ma che sembrano toccarlo sul personale. Nel suo Dead Capital c’è la sua vita e la sua parabola di artista.
    Louis Brennan – Airport Hotel
  • Rookie of the Year: Kitty Macfarlane
    La cantautrice inglese con Namer Of Clouds mette in mostra tutto il suo talento con un folk giovane e moderno che trae ispirazione dalla tradizione e dalla natura, uscendo anche dai confini nazionali. Un album tra terra e mare di rara sensibilità.
    Kitty Macfarlane – Namer Of Clouds
  • Sixth Player of the Year: Lydia Luce
    Premio destinato alla sorpresa dell’anno e Lydia Luce lo è senz’altro. Dopo un buon EP senza lode, forisce con Azalea. Un album dalle tinte malinconiche del folk americano, piacevole da ascoltare e ricco di emozioni.
    Lydia Luce – My Heart In Mind
  • Defensive Player of the Year:  Kelly Oliver
    Con Botany Bay, la cantautrice inglese Kelly Oliver, va sul sicuro proponendo una breve antologia di canzoni tradizionali della sua terra. Quasi un passaggio obbligato per qualsiasi artista folk, che la vede promossa a pieni voti.
    Kelly Oliver – Botany Bay
  • Most Improved Player: Salt House
    Il trio folk guidato da Ewan MacPherson e Lauren MacColl si arrichisce della voce e delle canzoni di Jenny Sturgeon. Il loro Undersong evoca paesaggi e sensazioni come pochi altri sanno fare. Un folk affascinante, moderno ma rispettoso della tradizione.
    Salt House – Charmer
  • Throwback Album of the Year: My Love, She’s In America
    Questo titolo era prenotato ormai da tempo dall’album degli Stillwater Hobos. Un disco che mescola il folk irlandese con quello americano e il risultato è irresistibile. Tra cover, brani originali e tradizionali, questi ragazzi americani hanno fatto centro.
    The Stillwater Hobos – French Broad River
  • Earworm of the Year: Into A Bottle
    Poche canzoni, come questa di Wes Youssi, tratta dal suo Down Low, mi sono rimaste in testa così a lungo. Il suo country old school non può non piacere. Già lo scorso anno il singolo High Time aveva sortito lo stesso effetto.
    Wes Youssi – Into A Bottle
  • Best Extended Play: Live Forever
    Non sono molti gli EP che ascoltato quest’anno ma sicuramente quello della cantautrice gallese Danielle Lewis spicca sugli altri. Sonorità moderne ed elettroniche guidano la sua voce melodiosa. Un EP di ottimo pop folk che anticipa l’album di debutto.
    Danielle Lewis – Live Forever
  • Most Valuable Book: Imprimatur
    Questo libro, primo di una serie, è un romanzo storico-giallo ben scritto e dettagliato. La coppia Monaldi & Storti riesce a tenere una tensione costante, documentandone ogni singola riga. Praticamente ignorato (o censurato) in Italia per diversi anni, ma di grande successo in tutto il mondo, è un gran bel romanzo da scoprire.

Tanti album sono rimasti fuori da questa lista ma se trovate una recensione su questo blog vuol dire che mi sono piaciuti. Ad esempio Golden Hour di Kacey Musgraves, a cavallo tra pop e country era difficile collocarlo in questa lista e alla fine è rimasto fuori. Ho dovuto sacrificare anche May Your Kindness Remains di Courtney Marie Andrews a favore del country di Colter Wall. Stessa sorte per Florence & The Machine e il loro High As Hope. Il folk resta in primo piano ma purtroppo non c’era spazio per tutti e Hannah Rarity e il suo Neath The Gloaming Star è rimasto alla porta.
Così finisce dunque questo 2018, un anno pieno di soddisfazioni e nuove scoperte. Sono sicuro che il prossimo non sarà da meno.

collage

Quando la pioggia non cade

Solo guardando la copertina di By The Way, I Forgive You si può intuire molto del nuovo album di Brandi Carlile. Il suo volto in primo piano, dipinto dall’amico Scott Avett, emerge dal buio alle sue spalle. Per la prima volta la copertina di album della cantautrice americana è così oscura e personale. Il suo sesto album si presenta, fin dal primo sguardo, come qualcosa di diverso. Dopo l’album di transizione del 2015, intitolato The Firewatcher’s Daughter, Brandi Carlile è tornata quest’anno con un album importante che potrebbe segnare una tappa, ma anche un traguardo, della sua carriera che la vede sul palco da più di dieci anni.

Brandi Carlile
Brandi Carlile

Every Time I Hear That Song ci riporta alle toccanti canzoni che rendono quest’artista speciale e unica. Si sente fin da subito un piglio più maturo, come se qualcosa fosse scattato dentro di lei, rompendo qualsiasi barriera tra la sua musica e la sua anima, “By the way, I forgive you / After all, maybe I should thank you / For giving me what I’ve found / Cause without you around / I’ve been doing just fine / Except for any time I hear that song“. Il singolo The Joke amplifica questa sensazione, grazie al suo inizio dimesso. La musica e la voce crescono insieme fino ad esplodere in un finale epico. Un testo bellissimo che ci invita a non arrenderci di fronte alle ingiustizie della società di oggi, “Let ‘em laugh while they can / Let ‘em spin, let ‘em scatter in the wind / I have been to the movies, I’ve seen how it ends / And the joke’s on them“. Con Hold Out Your Hand, si passa ad un folk rock che oscilla tra momenti veloci e tirati ad altri più distesi e liberatori. Una Carlile inedita, carica di energia, che sporca la sua voce per tirare fuori quel qualcosa in più, “When the rain don’t fall and the river don’t run / And the wind takes orders from the blazing sun / The devil don’t break with a fiery snake / And you handled about goddamn much as you can take / The devil don’t take a break“. La successiva è una dolce canzone dedicata alla figlia Evangeline, intitolata The Mother. Brandi Carlile sfodera tutta sua sensibilità per esprimere la gioia di essere madre e vedere la propria vita stravolta mentre il mondo intorno al loro continua ad essere quello di sempre, “She’s fair and she is quiet, Lord, she doesn’t look like me / She made me love the morning, she’s a holiday at sea / The New York streets are as busy as they always used to be / But I am the mother of Evangeline“. La successiva Whatever You Do rappresenta bene il filo conduttore di questo album. Una canzone sulle difficoltà della vita e dell’amore, cantata con quella voce emozionante alla quale non si può rimanere indifferenti, “There’s a road left behind me that I would rather not speak of / And a hard one ahead of me too / I love you, whatever you do / But I got a life to live too“. Fulton County Jane Doe è dedicata ad una donna senza nome trovata agonizzate ad Atlanta e morta pochi giorni dopo in ospedale. Dal 1988 questa donna è rimasta senza nome, “We came into this life with nothing / And all we’re taking is a name / That’s why I’ve written you this song / This is for Fulton County Jane“. Sugartooth racconta la triste storia di un ragazzo consumato dalla droga, nella quale cerca di affogare il proprio incomprensibile dolore. Una delle migliori canzoni che Brandi Carlile abbia mai scritto (con la complicità dei fratelli Hanseroth) sia dal punto di vista del testo che della musica. Da ascoltare, “He wanted to be a better man / But life kicked him down like an old tin can / He would give you the shirt on his back / If not for a sugartooth“. Most Of All ritorna sulle sonorità più care alla Carlile. Racconta attraverso ricordi e sensazioni tutto ciò che di bello lega una famiglia nel corso del tempo, facendolo sempre con la straordinaria sensibilità che la contraddistingue, “I haven’t seen my father in some time / But his face is always staring back at me / His heavy hands hang at the ends of my arms / And my colors change like the sea“. Brandi Carlile non è mai rimasta indifferente alle emozioni che il tempo che passa lascia dietro di sé e Harder To Forgive ne è un altro esempio. Ancora una canzone splendida, interpretata magnificamente, “I love the songs I hated when I was young / Because they take me back where I come from / When every broken heart seemed like the end / When everyone was someone different then“. Perfetta conclusione di questo album, la bella Party Of One. Sopra un pianoforte si poggia la voce della Carlile, che appare stanca ma ancora viva. Una canzone intensa e riflessiva, “Oh your constant overthinking and your secretive drinking / Are making you more and more alone / And girl, you can slam the door behind you / It ain’t ever gonna close / Because when you’re home, you’re already home“.

Quello che ha fatto Brandi Carlile in questo By The Way, I Forgive You è non assecondare la volontà di ricondurre la sua musica ad un genere o stile. Alla cantautrice americana, per la verità, le sono sempre andate strette le etichette ma in qualche modo ricadeva sempre all’interno di qualche definizione vicina al country. In questo album invece ha fatto tabula rasa di qualsiasi legame ai generi musicali a lei associati, anche affidandosi spesso ad accompagnamenti orchestrali. Ha ripreso il controllo della sua musica, sostenuta sempre dai gemelli Hanseroth, e così facendo ha rinvigorito sé stessa e il suo essere cantautrice. L’album è carico di temi maturi e malinconici. Non c’è posto in By The Way, I Forgive You per una gioia spensierata ma solo per gratitudine e speranza. Non si tratta di un album “triste” ma semplicemente di un album che va ad esplorare le difficoltà della vita e le piccole grandi emozioni che sa riservare.

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Promessa mantenuta

Ho aspettato un anno prima di ascoltare un altro album di Brandi Carlile. A dire la verità non mi sono nemmeno accorto che sia passato un anno. The Firewatcher’s Daughter è finito dritto tra i miei preferiti del 2015 ma la discografia in mio possesso della cantutrice americana non era completa. Sono corso ai ripari, nemmeno tanto in fretta visto che è passato un anno, e ho ascoltato la quarta fatica di Brandi Carlile, Bear Creek del 2012. Per una volta sapevo cosa aspettarmi e sarebbe stata una delusione non trovarci la Carlile di sempre. Ora posso dire di non essere stato deluso.

Brandi Carlile
Brandi Carlile

Brandi Carlile inizia con la bella Hard Way Home che ricalca tutte le sue caratteristiche. Un country folk orecchiabile e trascinante, sorretto dalla voce sempre perfetta della cantautrice. Meglio di così non si può iniziare, “Oooh, follow my tracks / See all the times I should have turned back / Oooh, I wept alone / I know what it means to be on my own / Oooh, the things I have known / Looks like I’m taking the hard way home“. Segue Raise Hell, blues rock vibrante dove trova sfogo tutta l’energia della Carlile, che in questa versione mi piace e saprà ripetersi nell’album successivo, “I found myself an omen and I tattoed on a sign / I set my mind to wandering and I walk a broken line. / You have a mind to keep me quiet / And although you can try, / Better men have hit their knees / And bigger men have died“. Ma le ballate malinconiche non mancano, Save Part Of Yourself ne è la conferma. Ci sono sempre i gemelli Hanseroth ad accompagnarla e ha dare qualcosa di unico e riconoscibile alle sue canzoni, “I remember you and me / Lost and young and dumb and free / And unaware of years to come / Just a whisper in the dark / On the pavement in the park / You taught me how to love someone“. That Wasn’t Me è una ballata soul, profonda ed intensa. La voce della Carlile sa esprimere sfumature senza orpelli, arriva dritta e pulita al cuore. Un po’ graffiata quando vuole ma anche calda e confortante, “Tell me, did I go on a tangent? / Did I lie through my teeth? / Did I cause you to stumble on your feet? / Did I bring shame on my family? / Did it show when I was weak? / Whatever you’ve seen, that wasn’t me / That wasn’t me, oh that wasn’t me“. Una scapagnata folk dalle atmosfere bucoliche e nostalgiche in Keep Your Heart Young. Un ritornello da cantare in coro, una canzone semplice ed efficace. Brava Brandi, “You gotta keep your heart young / Sometimes you don’t die quick / Just like you wished you’d done / The love is a loaded gun / You’ve gotta keep your heart young / You can’t take back what you have done / You gotta keep your heart young“. La successiva 100 è un pulsante pop folk malinconico e romantico. Una delle canzoni più belle della cantautrice americana, “I always think about you / And I have to close my eyes / If I live to be one hundred / Will I ever cross your mind“. Un’altra bella ballata con A Promise To Keep. Brandi tira fuori tutta la sua dolcezza e quella vena di tristezza che tocca le corde giuste. Un altro gioiellino da conservare gelosamente, “I still talk to you in my sleep / I don’t say much cause the hurt runs too deep / I gave you the moon and the stars to keep / but you gave them back to me“. I’ll Still Be There non è da meno, non si può essere giunti a questo punto dell’album e non amare quest’artista, che qui si diverte a giocare con la voce, “It breaks my heart, but now you know / That the broken binds are an open door / And if it all disappears / I promise you I’ll still be there“. Un pianoforte per What Did I Ever Come Here For? che scioglie il cuore. Ho finito le parole, “I knew right then that I’d return / To where I was before / And I was so tired of being away / That I just couldn’t stay anymore / What did I ever come here for?“. Heart’s Content è una canzoncina leggera e un po’ zuccherosa. Riesce tutto alla Carlile, lo ha dimostrato in passato e lo dimostra tuttora, “Here’s you and me / And in between / We draw a line / But we can’t see / Where it’s been / We scratch our heads / And race against / The heart’s content“. Ecco che attacca con Rise Again. Un po’ di rock dal sapore americano non fa mai male, anzi. C’è anche un bell’assolo finale, “Now I’m dreaming to myself / With a tear behind my eye / For a shelter is my mind / In the quiet of the night“. Ma non è finita perchè c’è ancora il bel country di In The Morrow. Le parole scivolano via morbide su una melodia da canticchiare, “In the morrow I’ll be gone / I gave it everything I had for so long / Save your sorrow for your song / Don’t we always find a way to carry on“. Si finisce con l’eterea Just Kids. Quasi sette minuti nei quali si prova a tornare indietro nel tempo a quando eravamo bambini. Quasi ci riesce, “Were we just kids, just starting out / Didn’t we know then love was about / Were we just fooling, playing around / Were we ever gonna get out of this town“.

Brandi Carlile è sempre Brandi Carlile. C’è qualcosa di speciale nella sua musica e nella sua voce che non vorrei cambiasse mai. Questo è forse il suo album più intimo e personale che ho sentito finora. Mi manca solo l’esordio per completare la sua discografia. Ma ora mi voglio godere queste tredici canzoni. Se già conoscete Brandi Carlile allora questo Bear Creek vi piacerà, altrimenti è l’occasione per conoscerla. Scoprirete un’artista unica che migliora con il tempo e non vi deluerà mai.

Non mi giudicate – 2015

Avanti un altro. Anche quest’anno è diventato vecchio quanto gli altri ed è ora di cambiarlo. Come ogni trecentrosessantacinque giorni ci ritroveremo festeggiare l’arrivo di un anno migliore di questo. O almeno si spera. Il mondo cambia e forse noi non siamo pronti, forse non lo saremo mai. L’importante è cercare di passare il guado e anche questa volta pare che l’abbiamo sfangata. Me lo auguro sia così per tutti voi. Non resta che rimboccarci le maniche e affrontare altri trecentrosessantacinque (anzi trecentrosessantasei questa volta) giorni con rinnovato entusiasmo, come succedeva sempre ad ogni Settembre di fronte al nuovo anno scolastico. Ma basta con questa digressione, meglio voltarsi indietro per l’ultima volta e vedere un po’ cosa ci ha offerto di bello quest’anno di musica. Per la prima volta in questo blog ho deciso di premiare alcuni artisti o album che mi sono particolaremente piaciuti, ispirandomi ai premi NBA. Non mi piace dare voti o fare classifiche ma faccio uno strappo alla regola (“Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me” cit.). Ovviamente per decretare chi è meglio di chi avrei dovuto ascoltare tutta la musica uscita quest’anno, nessuno escluso. Come avrei potuto farlo? A mancare è soprattutto il tempo ma anche la voglia di ascoltare tutto (ma proprio tutto). Dunque la mia è una visione ristretta a ciò che ho voluto e potuto ascoltare dal primo Gennaio a oggi. Chi non è d’accordo… bhè se ne faccia una ragione.

  • Most Valuable Player: Laura Marling
    Quest’anno è iniziato con un grande ritorno. Quello di Laura Marling, sempre meravigliosa nonostante abbia ritoccato il suo sound. Avere venticinque anni e cinque ottimi album alle spalle non è cosa da tutti. Soprattutto essere già diventati così influenti è ancora più raro. La migliore.
    Laura Marling – False Hope
  • Most Valuable Album: How Big How Blue How Beautiful
    I Florence + The Machine quest’anno hanno sfornato un album grandioso. Un grande riscatto, carico di emozioni ed energia. Florence Welch con la sua voce domina incontrastata, inimitabile e unica. Senza dubbio l’album più forte dell’anno, da ascoltare se non l’avete ancora fatto.
    Florence + The Machine – Delilah
  • Best Pop Album: Light Out The Dark
    Il secondo album Gabrielle Aplin è convincente e lancia la giovane cantautrice inglese tra quegli artisti da tenere assolutamente d’occhio in futuro. Anzi forse il futuro è già qui. Io ho avuto la fortuna di scoprirla agli esordi, prima del suo debutto e sono molto contento che abbia trovato la sua strada.
    Gabrielle Aplin – Light Up The Dark
  • Best Folk Album: The Firewatcher’s Daughter
    Forse considerare folk The Firewatcher’s Daughter è riduttivo, lo stesso vale per Brandi Carlile ma dovevo assolutamente inserire la cantautrice americana in questa lista. Brandi Carlile migliora con gli anni e il successo di questo album se lo merita pienamente. Una voce emozionante senza eguali.
    Brandi Carlile – Wherever Is Your Heart
  • Best Singer/Songwriter Album: Tied To The Moon
    Rachel Sermanni è tornata con Tied To The Moon, riconfermandosi come cantautrice di talento e sensibilità. Anche per lei è arrivato il momento di cambiare sound ma lo fa con attenzione senza strappi con il passato. Voce e chitarra acustica è una ricetta semplice ma eccezionale quando si parla di questa giovane cantautrice scozzese.
    Rachel Sermanni – Banks Are Broken
  • Rookie of the Year: Lael Neale
    Tra gli esordi di quest’anno è difficile scegliere quale sia il migliore. Voglio premiare la cantautrice americana Lael Neale che con il suo I’ll Be Your Man ha dimostrato di saper scrivere canzoni magiche ed emozionanti. Spero per lei che in futuro possa avere più visibilità perchè è un’artista che non merita di stare nascosta.
    Lael Neale – To Be Sad
  • Sixth Man of the Year: Kacey Musgraves
    Per sesto uomo si intende colui il quale parte dalla panchina ma dimostra di avere un ruolo importante nella squadra. Kacey Musgraves partiva da un buon album ma niente di eccezionale. L’avevo quasi accantonata quando il suo secondo Pageant Material la eleva a country star. Kacey saprà sicuramente deliziarvi con la sua musica.
    Kacey Musgraves – Are You Sure ft. Willie Nelson
  • Defensive Player of the Year:  The Weather Station
    Ovvero l’artista più “difensivo”. Tamara Lindeman e il suo Loyalty la riconferma come cantautrice intima e familiare. Sempre delicata, non cerca visibilità e successo ma solo un orecchio al quale porgere le sue confidenze. Un piacere ascoltare The Weather Station e lasciarsi abbracciare dalla sua musica.
    The Weather Station – Way It Is, Way It Could Be
  • Most Improved Player: The Staves
    Niente da dire. Le tre sorelle inglesi Staveley-Taylor sotto l’ala di Justin Vernon hanno fatto un album che ruba la scena al buon esordio. If I Was è malinconico ma anche rock, le The Staves non sono mai state così convincenti e abili. Speriamo che in futuro la collaborazione di ripeta perchè abbiamo bisogno di voci come quelle di Jessica, Emlily e Camilla.
    The Staves – Steady
  • Throwback Album of the Year: Blonde
    L’album Blonde della cantautrice canadese Cœur de pirate è del 2011 ma solo quest’anno ho avuto il piacere di ascoltarlo. L’ho ascoltato a ripetizione per settimane, catturato dalla voce dolce e dai testi in francese di Béatrice Martin. Un album pop dal gusto retrò che ha trovato il suo erede (più contemporaneo) in Roses, pubblicato quest’anno.
    Cœur de pirate – Ava
  • Earworm of the Year: Biscuits
    Non avrei voluto che un’artista apparisse in due categorie diverse ma non posso fare a meno di premiare Biscuits di Kacey Musgraves. Mi ha martellato la testa per settimane.“Just hoe your own row and raise your own babies / Smoke your own smoke and grow your own daisies / Mend your own fences and own your own crazy / Mind your own biscuits and life will be gravy / Mind your own biscuits and life will be gravy“.
    Kacey Musgraves – Biscuits
  • Most Valuable Book: Moby Dick
    In questo blog, saltuariamente, scrivo anche di libri. Non tutti quelli che leggo durante l’anno ma quasi. Senza dubbio Moby Dick è il migliore. Un classico, un libro a tutto tondo. Non è una semplice storia, non è un avventura ma un’esperienza come lettore. Un’enciclopedia sulle balene, dialoghi teatrali, scene comiche e drammatiche, digressioni filosofiche. Tutto in un solo libro.

A conti fatti, ho premiato un po’ tutti. Chi è rimasto escluso è solo perchè altrimenti avrei dovuto inventarmi una categoria per ognuno di essi! Sarebbe stato sinceramente un po’ patetico oltre che inutile. Un altro anno è qui davanti, carico di musica nuova e meno nuova da ascoltare e riascoltare. Ci saranno tanti graditi ritorni…

Buon 2016.
Anno bisesto, anno funesto. 😀

Il viaggio, il fiume e la bestia

A volte la curiosità di ascoltare un album è dettata quasi esclusivamente da quello che c’è in copertina. Si dice che non si giudica un libro dalla sua copertina. Ma per la musica è diverso. La copertina è molto legata a quello che ci si può trovare all’interno. Una ragazza bionda con un cappello nero in testa e l’aria triste, indicano quasi certamente che si tratta di una cantautrice. Sullo sfondo un paesaggio brullo e sembra si intraveda anche un sentiero. Quasi sicuramente è una cantautrice folk americana. Fuochino. Holly Arrowsmith è nata in New Mexico ma è cresciuta dall’altra parte del mondo, in Nuova Zelanda, ma ciò non significa che la sua non sia musica di matrice americana. For The Weary Traveller rappresenta in suo album d’esordio, pubblicato nel Luglio di quest’anno, e quella copertina è stata la prima cosa che mi ha convinto ad ascoltarlo. Quello che c’è al di sotto è musica.

Holly Arrowsmith
Holly Arrowsmith

Il viaggio parte con Mouth Of The Morning che fin dalle prime note ci porta là dove ci sono territori sconfinati e solitari. La voce della Arrowsmith appare fragile e sicura allo stesso tempo. La canzone accelera nel finale, una corsa nel deserto, “From the mouth of the morning out poured the dawn / Waking the valley with her silent song / To tell of a mercy that’s new with each morning / And at an uncertain moment day came / And dawn was gone“. Voices Of Youth è ancora più influenzata dal folk americano. Una riflessione sul tempo che passa e sul senso della vita, nascosta sotto una melodia allegra. Una prova di maturità, “And if one man stops and asks ‘Well why? / ‘What’s it all for when I die?’ / The rest all shake their heads and say ‘Don’t speak!’ / ‘Seeking meaning’s for the weak!’ / Well you can call me weak“. Desert Owl è una delle più belle di questo album. Si ha sensazione di viaggiare in quelle terre selvagge, fare i conti con sé stessi. Holly Arrowsmith sfodera tutta la sua voce, non si nasconde, facendoci provare anche qualche brivido, “I walk a lonely road there’s a junction up ahead / I’ve got no job, no home nearly all my money’s spent / I came for a resolution a certain answer clear / But it ain’t what I need and I will not find it here“. Sembra quasi di vederla, lì seduta all’aperto a cantarci questa Canyons, con la chitarra. Non è facile creare immagini così nitide ma sembra che per la Arrowsmith non sia un problema. Lo fa con i suoi testi attenti e mai banali, “But like that stream love wants to grow obstacles clutter its flow / The land turns steep and the sun seems low we’re forced into the canyons throw / The river wants to reverse to clamber uphill to its birth / But it can’t return, so lovers learn / Now that little stream is a deep strong force“. Affascinante e oscura è la successiva Lady Of The Valley. Una personificazione della sua terra, che dimostra ancora quanto lei ne sia legata. Il testo dimostra tutto il talento della ragazza e quasi fa impressione, “There are too many stories of how, greed can kill a man / She told me all her gold is for the fools / For what we see as valuable, it surely is worth nothing / And what we see as nothing / Is more priceless than we’ll know“. Mountain Prayer arricchisce l’album di un’altra perla scura e notturna, un lamento che gioca tutto sull’interpretazione sofferta della Arrowsmith, “As You call, ‘Come home My son My daughter come home / I am slow to anger and abounding in love / I won’t rest, till you’re back in my arms / Please come home’“. La title track è breve ma racchiude in meno di due minuti tutta l’essenza della sua musica, “To find comfort, first you must know sorrow / To know healing, there must be a wound / To find strength you, first of all you must know weakness Oh friend / Without evil, how could we know what’s good?”. Luminosa e malinconica The Beast Called Love, riempie l’aria e racconta l’amore in modo originale e poetico. Questa canzone è la prova che Holly Arrowsmith è un’ottima cantautrice, dando all’amore la forma di una terribile bestia, “I was young, I heard about, a thing called love / So I sailed out, to see what the fuss was about! / Quickly did, the ocean turn, into a fearsome beast / Tossed me in his watery arms, onto a lonely shore / I’d fallen for his charm“. Ancora l’amore protagonista in Love Will Be A River, una bella canzone folk che sale e cresce pian piano. Da ascoltare, “Maybe the more we let out, the stronger it’ll grow / Till all who, fall in its path feel the warmth of its glow / And our love will be a river, flowing out into the sea / Started in the mountains  / Where you washed my feet“. Si chiude con Flinted, una ballata molto bella e malinconica. Il testo è ancora una volta una poesia in musica. Ci ritroveremo a cantarne il ritornello in men che non si dica e a provare un po’ di nostalgia anche noi, “So I wanna know what the seasons know / There’s a time to reap and a time to sow / A time to hold on and a time to let go / Teach me to trust when I don’t see“.

Questo esordio mi ha sorpreso per la maturità espressa da quest’artista. A venticinque anni è giovane ma non più una ragazzina e Holly Arrowsmith dimostra di saper trarre ispirazione dalle sue esperienze di vita. Questa è un segnale che in futuro non potrà fare altro che migliorare, crescendo d’esperienza e sensibilità. Non mi piace fare paragoni tra le cantautrici ma non è possibile negare che la ragazza è molto vicina a Brandi Carlile, soprattutto per l’uso della voce. For The Weary Traveller odora di sabbia del deserto, di polvere. Questo album è come una valigia che ha macinato chilometri. Holly Arrowsmith l’ha aperta per noi e non possiamo che dirle grazie. Perchè in fondo siamo tutti viaggiatori, sempre un po’ stanchi, con la nostra valigia.

Tanta energia, tanto cuore

Tra i ritorni più attesi di questo 2015 c’è sicuramente quello di Brandi Carlile. La cantautrice americana è tornata con il suo quinto album intitolato The Firewatcher’s Daughter. L’album segna il passaggio ad una casa discografica indipendente dettato dalla voglia, dell’artista, di fare qualcosa di diverso di quanto fatto in passato. La quinta fatica di Brandi Carlile è stata registrata live in studio con lo scopo di conservare tutta la genuinità della sua voce e della sua musica. Ho letto recesioni molto positive ma, positiva, è stata anche l’accoglienza del pubblico. The Firewatcher’s Daughter è risultato essere il più grande successo di Brandi Carlile, superando l’ottimo risultato del precedente Bear Creek. Quello che mi aspettavo da questo album era semplicemente ritrovare Brandi Carlile nella sua forma migliore e così è stato.

Brandi Carlile
Brandi Carlile

Wherever Is Your Heart è il miglior inizio che si potesse dare a questo ritorno. Energia e cuore sono le basi di questo album e questa canzone ha tutto. Vi ritroverete a cantare il ritornello in men che non si dica. Brava Brandi, “I think it’s time we found a way back home / You loose so many things you love as you grow / I missed the days when I was just a kid / My fear became my shadow, I swear it did“. Più delicata è The Eye ma l’anima della cantante sembra venir fuori da ogni singola nota, anche grazie alla consueta e preziosa partecipazione dei gemelli Phil e Tim Hanseroth, “I wrapped your love around me like a chain / But I never was afraid that it would die / You can dance in a hurricane / But only if you’re standing in the eye“. The Things I Regret è carica e vibrante. Un’altra bella canzone nella quale si può ritrovare quella Carlile che ci piace tanto, “There’s a hole in my pocket where my dreams fell through, / from a side walk in the city to the avenue. / There’s a leak in my dam ‘bout the size of a pin, / and I can’t quite remember where the water’s getting in“. Quel qualcosa di diverso che voleva fare in questo album è spiegato da Mainstream Kid. Un blues rock che esplode con la voce della Carlile. Una bella prova per lei e il risultato mi piace, “I came to separate the classes / To place the fails above the passes / And there has never been a better time to set the bar beneath the masses / Can I blend in with your kind?“. Più classica Beginning To Feel The Years immersa in un’atmosfera malinconica creata dall’abile voce della Carlile, “And I’m beginning to feel the years / but I’m going to be ok / as long as you’re beside me along the way / Going to make it through the night / and into the morning light“. Probabilmente la più bella di questo album è Wilder (We’re Chained) dedicata al figlio di Tim Hanseroth, Wilder. Un semplice folk dove la voce della Carlile è carica di emozione e il testo gioca con le rime e il suono delle parole. Un piccolo capolavoro, “You came into this world with eyes as clear as water / You didn’t look a thing like your grandmother’s daughter / With a heart so heavy and beating like a drum / Yeah, neither did you look like your grandfather’s son“. Blood Muscle Skin & Bone è un pop rock pulsante con un altro ritornello indimenticabile. Tanta energia e tanto cuore, la ricetta e semplice, “I need somebody strong / For when I’m feeling weak / With an open heart that can listen / For when my soul is too tired to speak“. Un classico pezzo alla Brandi Carilie è I Belong To You che non spicca certo per la sua originalità ma non è quella la sua missione. Una canzone che si ascolta volentieri e nient’altro, “I know I could be spending a little too much time with you / but time and too much don’t belong together like we do / If I had all my yesterdays I’d give ‘em to you too / I belong to you now“. Alibi è un altro bel pezzo pop rock che dimostra tutto il talento della cantautrice americana. Anche questa volta il ritornello funziona, “If you’re good at telling lies / You could be my alibi / And I won’t have to atone for my sins / If you’re good at telling lies / You could be my alibi“. The Stranger At My Door è un folk affascinante e oscuro di ispirazione biblica. Forse la sua canzone più ambiziosa ma sicuramente la più originale dell’album anche grazie alla marcia nel finale, “It’s a good ol’ bedtime story, give you nightmares ‘til you die / And the ones that love to tell it, hide the mischief in their eyes / Condemn their sons to Hades / And Gehenna is full of guys, alive and well / But there ain’t no hell for a firewatcher’s daughter“. Heroes And Song è una di quelle canzoni che solo Brandi Carlile sa fare, “Some rights and some wrongs / Some heroes and songs / Are much better left unsolved / Between fiction and fact / Illusion and pact / Where we’ve been into what we’ve become“. Chiude l’album una bella cover di una bella canzone The Avett Brothers, Murder In The City, “If I get murdered in the city / Don’t go revenging in my name / A person dead from such is plenty / There’s no sense in getting locked away“.

The Firewatcher’s Daughter è un ottimo album. C’è la Brandi Carlile di sempre e quella nuova più rock e divertente. Chissà magari qualcuno si aspettava di più dal suo quinto lavoro ma io lo vedrei piuttosto come un nuovo inizio. Si percepisce in ogni canzone la libertà con la quale è stata scritta e il cuore che ci è stato messo. Un album nel quale viene fuori lo sconfinato talento della cantautrice, spesso sottovalutato anche se qualche volta non sfruttato a pieno. Sono contento del successo che sta avendo, perchè Brandi Carlile se lo merita tutto. Parte del merito va anche ai gemelli Hanseroth, co-autori di numerose delle sue canzoni. The Firewatcher’s Daughter è un album da non perdere.