Non mi giudicate – 2022

Come tutti gli anni è giunto il momento di tirare le somme di questo 2022. Sono 72 i miei album usciti quest’anno e quindi candidabili per la breve selezione che troverete qui sotto. Come sempre, ma quest’anno in particolar modo, è stato difficile scegliere per alcune categorie. Forse anche a causa nel gran numero di album, molti di più del 2021. Avrei voluto dare spazio su questo blog ad altri album ma anche sulle recensioni ho dovuto fare delle scelte, spesso a malincuore. Ma tutto ciò mi ha aiutato a restringere la rosa dei candidati per questa lista. Ecco dunque svelati i miei personalissimi migliori album del 2022. Buona parte degli esclusi lì trovate comunque tutti qui: 2022. E i restanti? Li trovate un po’ qui, su Bandcamp, e un po’.. chissà dove.

  • Most Valuable Player: Aldous Harding
    Pochi altri artisti sono paragonabili a lei. Con il suo Warm Chris si conferma una delle più originali cantautrici della sua generazione. Una di quelle che si faranno ricordare a lungo. Ascoltare per credere.
    Amore è il nome del gioco
  • Most Valuable Album: Palomino
    Il ritorno delle First Aid Kit è segnato da un album eccezionale. Probabilmente il più bello della loro carriera sotto tutti i punti di vista. Positivo e solare ma venato di una malinconica maturità.
    Lascia che il vento ti riporti a casa
  • Best Pop Album: Dance Fever
    I Florence + The Machine danno vita ad un album potente ma allo stesso tempo fragile e insicuro. Le difficoltà del lockdown ci mostrano una Florence Welch meno dea e più mortale.
    Welch la Rossa, il diavolo e la voce d’oro
  • Best Folk Album: To Have You Near
    Categoria colma di ottimi album. Alla fine però l’angelica voce di Hannah Rarity riesce a spuntarla sulle contendenti. Il suo è un folk moderno ed emozionante che prende ispirazione dalla tradizione.
    Un vento pieno di ricordi
  • Best Country Album: No Regular Dog
    Pochi dubbi sul migliore album di questa categoria. Kelsey Waldon ci regala un album solido nel quale ogni canzone si completa con le altre, dove non c’è un solo passo falso. Non so quante volte l’ho riascoltato.
    Consunto come un vecchio paio di jeans
  • Best Singer/Songwriter Album: Loose Future
    Altra categoria affollata di ottimi album. Ho voluto premiare il coraggio di Courtney Marie Andrews di rinnovarsi e trovare nuove strade. Il risultato è ottimo come lo è sempre stato per questa cantautrice americana.
    La vita è migliore senza piani
  • Best Instrumental Album: Beatha
    Quest’anno ho ascoltato album prevalentemente strumentali più del solito. La mia scelta ricade però su quello di Tina Jordan Rees, stimata musicista scozzese, che debutta da solista con le sue composizioni originali.
  • Rookie of the Year: Iona Lane
    Con Hallival questa cantautrice inglese debutta con un album che è una finestra sulle bellezze della natura ma anche sugli uomini che la abitano, arrivando infine a noi stessi. Un folk moderno e senza tempo.
    Brutale bellezza avvolta dalle mareggiate occidentali
  • Sixth Player of the Year: Katie Spencer
    Quando ascoltai The Edge Of The Land non avrei mai pensato di inserirlo tra i migliori di quest’anno. Ma pian piano è cresciuto e ogni tanto mi chiama ancora a sé ed io ritorno piacevolmente da Katie.
    Come il gelsomino la sera
  • Defensive Player of the Year: Erin Rae
    Non poteva mancare questa cantautrice con il suo Lighten Up che torna a deliziarci con la sua voce unica e le sue canzoni sincere. Un album rassicurante e familiare, dove rifugiarsi quando se ne sente il bisogno.
    Sotto un vecchio familiare bagliore
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La mia scelta ricade, senza esitazioni, sull’album Raised. Il country spensierato e solare ma anche un po’ nostalgico di questa cantautrice trova qui la sua massima espressione. Semplicemente irresistibile.
  • Throwback Album of the Year: Saint Cloud
    Complice il debutto del duo Planis, ho riscoperto questo album del 2020 di Waxahatchee ovvero Katie Crutchfield. La sua voce carismatica e il suo stile particolare mi hanno conquistato subito.
    Mi ritorni in mente, ep. 86
  • Earworm of the Year: Karma Climb
    Molte sono le canzoni che mi sono ronzate in testa per un bel po’. Forse più delle altre c’è questa degli Editors, che sono tornati come sempre carichi di novità, con il loro EBM. Tom Smith è una garanzia.
    È così che ci nascondiamo dalla vita moderna
  • Best Extended Play: I Promised You Light
    Sono ben due gli EP pubblicati quest’anno da Josienne Clarke, uno di brani originali e uno di splendide cover. Ho scelto il primo solo perché ne ho scritto a riguardo da queste parti ma anche l’altro Now & Then merita un ascolto.
    Queste furono le prime luci
  • Honourable Mention: Nikki Lane
    Non potevo dimenticare lei e il suo Denim & Diamonds. Un ritorno in grande stile a distanza di anni. Una album maturo e personale che segna una svolta rock ma che non rinnega l’anima outlaw country di questa cantautrice.
    Ti farà girare e ti sputerà fuori

È così che ci nascondiamo dalla vita moderna

Quando una band come gli Editors annuncia un nuovo album, l’unica cosa che sicura è che sarà qualcosa di diverso dal precedente. Fatta eccezione dei primi due, in qualche modo paragonabili, i successivi sono sempre stati orientati alla sperimentazione, nella vana ricerca di un’identità. Questo non è necessariamente un problema, anzi ha reso più interessante la carriera di Tom Smith e soci, che hanno saputo assorbire bene qualche critica di troppo. Il loro settimo disco si intitola EBM, che sta per “Electronic Body Music” oppure “Editors Blanck Mass” per sancire l’ingresso di Benjamin John Power, aka Blanck Mass, in via definitiva. I singoli lasciavano intendere una forte influenza elettronica ma era chiaro che l’album nascondeva qualcosa di più sperimentale, l’ennesimo tentativo della band inglese di sorprendere e mantenersi viva senza campare di rendita dopo quasi vent’anni sulle scene.

Editors
Editors

Heart Attack apre l’album con un crescendo di pulsazioni elettroniche dal quale emerge l’inconfondibile e carismatica voce di Smith. Dichiarazioni di un amore malato e possessivo si dispiegano in una nube di suoni che si rincorrono l’uno con l’altro. Non ci poteva essere scelta migliore come primo singolo, orecchiabile ma non troppo e non lontana dalle ultime sonorità della band, “No one will love you more than I do / I can promise you that / And when your love breaks, I’m inside you / Like a heart attack / No one will love you more than I do / I can promise you that / And when your love breaks, I’m inside you / Like a heart attack“. La successiva Picturesque scioglie ogni dubbio, siamo dentro al nuovo album degli Editros. La svolta elettronica e l’apporto di Blanck Mass si fa sentire e corre a briglia sciolta con Smith che tiene insieme le stratificazioni sonore. Un esperimento interessante che stranisce ad un primo ascolto, “When your hate don’t cut it / Through the mess you started / I confess I find it picturesque / Are you livid? / When my love boils over / When my shame grows colder / It’s a mess / Picturesque“. Karma Climb invece torna alle sonorità del recente passato. Smith gioca con la voce come solo lui può fare e per qualche attimo sembra di tornare indietro nel tempo. Ancora una canzone accattivante e non troppo scontata, “Just give me cold stares, give me polluted air / ‘Round and around, we go down / A little truth or dare, euphoria or despair / Karma climbs quick without a sound“. Lo stesso si potrebbe dire di Kiss che sembra ripescato dagli anni ’80. Il primo dei brani più dance di questo album, forse fin troppo semplice e lineare ma si lascia ascoltare anche se non regge bene lungo i suoi otto minuti, “How do I feel tonight? / Light up what’s lost inside / So we’ll pass the time / In who I can’t confide / We could do anything / Oh, when I’m feeling low / If I could only sing / Any song that you know“. Silence invece è di tutt’altro tenore. Qui si rivede il lato epico e riflessivo degli Editors. La voce magnetica attira su di sé le attenzioni di chi ascolta riportandoci molto vicino alle sonorità degli esordi ma senza illudere nessuno, “Wherever you are now you’re making me feel / These walls are a real life, I miss you, I’m still / When my body aches / Gimme uncomplicated conversation / When my body aches / Gimme uncomplicated conversation“. Ci pensa Strawberry Lemonade a confondere le idee. Torna di nuovo la musica elettronica che finisce per avvolgere tutto. Smith ci guida con la voce in una foresta di suoni riuscendo a dare vita ad un ritornello orecchiabile. Un esperimento ben riuscito che soffre ancora però di una durata eccessiva, “I’m not your renegade / Strawberry lemonade / Looking for someone to get lost in / Come may / I’m not your renegade / Help me to demonstrate / All the things I don’t believe in“. A proposito di canzoni lunghe, Vibe si attesta come l’unica sotto i cinque minuti. Un canzone più danzereccia che gli Editors abbiano mai fatto. Godibile per carità ma da loro mi aspetto qualcosa di meno dimenticabile, “Just because you feel it / Don’t forget where your vibe comes from / It’s coming from a cold, hard night / Just because you feel it / Don’t forget where your vibe comes from / It’s coming from a cold, hard night“. Decisamente più dura e ruvida è l’enigmatica Educate. Toni scuri e una rabbia repressa sono gli ingredienti che questo gruppo sa mescolare bene. Anche qui ci sono echi del lontano passato che non si possono non notare, “I don’t wanna be wasting your time / Over and over / This is how we hide from modern life / Under the covers / You saved my soul with a drive / Don’t you remember / What it was when it was what it was / It was only an ember“. Si chiude con Strange Intimacy, nella quale si fanno largo le pulsazioni elettroniche per oltre un minuto e mezzo, prima che emerga la voce di Smith, anch’essa distorta. Gli Editors tutto sommato chiudono bene lasciandoci con una canzone che alterna melodia, ritmo e distorsioni con sapienza, “Strange intimacy / This party is over / Let the rain pour down on me / Eclipsing the loneliness / Of strange intimacy / This party is over / Let the rain pour down on me / Eclipsing the loneliness“.

EBM è un album potente e solido, con un’idea chiara e ben realizzata. Tom Smith ormai sa che lui può reggere qualsiasi gioco e lo fa con esperienza. La presenza di Blanck Mass ha di fatto amplificato ma non stravolto le scelte stilistiche che il gruppo aveva già abbracciato negli ultimi album. Non manca qualche momento un po’ discutibile, soprattutto quando entra in scena uno strano tentativo di proporre qualcosa di dance ma dai toni dark. Gusti personali e nient’altro ma gli Editors non mi sembrano tagliati per questo genere di canzoni. Poco male però se queste sono bilanciate da altre decisamente più cattive e sporche. Non so se è una mia impressione ma ho trovato diversi rimandi al passato della band, alcuni brevi passaggi, melodie o accelerazioni che mi hanno restituito l’immagine del vecchio cuore pulsante degli Editors, che dopotutto batte ancora forte. Il cuore di una delle band più sottovalutate della sua generazione.

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Mi ritorni in mente, ep. 84

Gli Editors sono una band ormai sulle scene da più di quindici anni e nonostante non abbiano mai realizzato un album capolavoro, sono riusciti sempre a fare ottimi album. La formazione è rimasta più o meno la stessa ma in occasione del loro settimo album (e probabilmente anche per i prossimi) hanno aggregato Benjamin John Power, compositore di musica elettronica conosciuto con il nome di Blanck Mass. In passato c’era già stata una collaborazione con la band e i risultati sono stati davvero buoni.

Il nuovo album uscirà il prossimo 23 settembre e si intitolerà EBM. I primi due singoli Heart Attack e Karma Climb, promettono molto bene ed indicano la volontà di tornare alle sonorità tipiche degli Editors. Vi lascio con lo splendido video di Heart Attack, generato da un’intelligenza artificiale, sotto la guida dell’artista Felix Green. Davvero magnifico, merita più di una visione.

Pugni chiusi

Anche se a me sono sembrati di meno, sono passati tre anni dall’ultimo In Dream, quinto album della band britannica Editors. Il gruppo guidato dal carismatico Tom Smith è tornato quest’anno con la sesta fatica intitolata Violence. Quando si affronta un loro nuovo album bisogna sempre prepararsi a trovarci dentro qualcosa di diverso dai precedenti. Gli Editors sono sempre stati in precario equilibrio tra una band da stadio e il gruppo alternativo poco mainstream. Se da una parte è un bene, il non essersi piegati a facili hit alla Coldplay, dall’altra Smith e soci sono spesso tenuti poco in considerazione quando si citano le migliori band degli anni ’00. Questo Violence è dunque l’ennesimo ritorno che dal quale non sai cosa aspettarti. O forse lo sai già.

Editors
Editors

Cold apre l’album, affidandosi alle sonorità tipiche della band, nella quale ritroviamo l’elettronica che torna a concedere spazio alle chitarre. Un brano pop rock dalle tinte scure e non può essere altrimenti quando si ha che fare con gli Editors, “It’s a lonely life, a long and lonely life / Stay with me and / Be a ghost tonight, be a ghost tonight / But don’t you be so cold“. Se c’è una canzone che avrei voluto sentir fare da anni a questo gruppo, questa potrebbe essere proprio Halleluia (So Low). Testo criptico ma soprattutto un piglio energico e distorto. Finalmente la band di Tom Smith ritrova la scossa giusta, esprimendosi in una delle migliori canzoni di questo album, “You sold me a second hand joke / Young man, where there’s fire there’s smoke / Your mouth is fire and smoke / Just don’t leave this old dog to go lame / This life requires another name“. La title track Violence permette al gruppo di tirare fuori di nuovo i synth e tornare ai sui standard volutamente più epici. Oltre sei minuti di canzone nella quale la tensione è costante senza picchi. Un finale strumentale arricchisce e completa il tutto, “Baby we’re nothing but violence / Desperate, so desperate and fearless / Mess me around until my heart breaks / I just need to feel it / Baby we’re nothing but violence / Desperate, so desperate and fearless / Desperate and fearless“. Darkness At The Door è un vibrante rock che da un po’ di luce all’album. Un ritorno prepotente delle chitarre scorre come sangue nelle vene della musica degli Editors. Un altro gran pezzo da ascoltare, “This old town still gets out of line / Darkness at the door to greet me / This old town still gets out of line / Darkness at the door to greet me“. Nothingness si affida alla voce magnetica di Smith, ricalcando le orme del precedente album. Gli Editors nuotano in acque sicure ma riescono comunque a mantenere alta l’attenzione dell’ascoltatore, “I’m not mining for gold / But insecurity / Fooled by a trick of the light / Are you there? / I’m not breaking the mould / I wouldn’t fill it / Hold my life in your hands / If you dare“. Il singolo Magazine è un’invettiva verso i potenti corretti. Ancora una volta la band di Birmingham dimostra di avere tanta energia da mettere in musica, mescolando con attenzione degli ingredienti, “Now talk the loudest with a clenched fist / Top of a hit list, gag a witness / It takes a fat lip to run a tight ship / Just talk the loudest with a clenched fist“. Nonostante sia da diversi anni che circola questa canzone, No Sound But The Wind, non era mai stata pubblicata in un album. Originariamente scritta per la colonna sonora per un film della saga di Twilight, trova finalmente il suo posto in questo album. Una ballata romantica al pianoforte che mancava da un po’ nella loro musica, “Help me to carry the fire / We will keep it alight together / Help me to carry the fire / It will light our way forever“. Counting Spooks ci riporta ai fasti di In This Light And On This Evening anche se meno oscura e opprimente. Un ritornello che spicca sul sottofondo musicale, che nel finale si trasforma in un ritmo disco, “It’s getting late / The skyline’s a state / This city’s tired like we are / We’re holding it together / Counting spooks forever / I’m just so tired of numbers“. Chiude l’album, Belong, dove gli Editors sfoderano un lato più poetico e solitario. Un aspetto inedito e poco sfruttato dalla band. Un brano allietato da un accompagnamento orchestrale, interrotto dai riff elettrici delle chitarre, “In this room / A wilderness / You’re the calm / In that dress / Circling birds / Spits of rain / Rest your head / On the windowpane“.

In Violence (in copertina le prime due lettere VI compongono il numero sei romano, ad indicare il sesto album) gli Editors sembrano fare pace con sé stessi. Limitandosi a proporre solo nove canzoni, sono riuscita a conciliare le diverse anime dei loro album precedenti. Non hanno rinunciato né alle chitarre né ai synth, dando così uniformità all’intero lavoro non solo al suo interno ma anche rapportato con il resto della loro produzione. Tom Smith e la sua band sono tornati con grande energia in quello che sembra essere una sorta di album di transizione dove la strada da intraprendere non è ancora stata decisa. Quando si parla degli Editors non si sa mai se ne troveranno una, ma non è detto che questo sia una cosa negativa. Violence si tratta, a mio parere, dell’album più convincente della band dai tempi di In This Light And On This Evening e fa ben sperare per il futuro di questo gruppo da sempre messo alla prova da pubblico e critica.

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Paura di cadere

Non ricordo quanto tempo sia passato dalla prima volta che ascoltai una canzone degli Editors, una versione acustica di Smokers Outside The Hospital Doors per MTV. Forse era il 2007 o il 2008 quando mi innamorai della voce di Tom Smith e di quel gruppo che è ritornato quest’anno con l’album In Dream. Si tratta del quinto della loro discografia, il secondo con la nuova formazione priva del chitarrista Chris Urbanowicz. Il precedente The Weight Of Your Love del 2013 era il risultato di un recupero dei brani scritti con l’ex chitarrista durato quattro anni. Un album che lasciò qualche perplessità e qualche buona sensazione per il futuro ma che deluse molti fan legati al quel sound dei primi due album. Questa volta il gruppo è partito da zero cercando di trovare un’identità nuova, che passa sempre dalla voce del leader Tom Smith. Eccoci dunque di fronte a In Dream, ennesimo cambio di direzione per la band inglese, ennesimo tentativo di trovare una definitiva consacrazione.

Editors
Editors

No Harm reintroduce i synths abbandonati da In This Light And On This Evening ma più leggeri e meno opprimenti. Smith si prende la scena con la sua voce inconfondibile e da forma ad una canzone essenziale ed intensa. Un gradito ritorno alle atmosfere oscure, tipiche del gruppo, “The fever I feel, the fake and the real / I’m a go-getter / My world just expands / Things just break in my hands / I’m a go-getter“. La successiva Ocean Of Nigth è portatrice di un po’ di luce, notturna e lontana. Quasi ci culla veloce verso una notte senza fine, trasfortati da una confortante melodia. In sottofondo la voce femminile di Rachel Goswell (Slowdive) che duetterà più avanti con Smith. Una delle migliori dell’album, “Wasting on nothing / Effortlessly, you appear / Sound of the thunder / Reverberate in your ears / This is a slow dance / This is the chance to transform / Pause for the silence / In habit, the calm of the storm“. Forgiveness fa tanto anni ’80. Sembra di tornare indietro e ritrovare gli Editors che conosciamo. C’è energia e rabbia che non sfocia in un sound epico nel quale Smith e soci sono talvolta caduti, “The line in the sand ain’t drawn for everyone / The flag in your hand don’t make you American / Stripping your soul back, be forever young, forever young / Forever young“. Salvation apre con gli archi e continua con l’elettronica facendo galleggiare Smith in un’aria densa. Il ritornello è un’esplosione, un cambio di marcia carico di energia che spezza l’equilibrio. Una buona canzone, forse un po’ frammentaria ma potente, “Son, you were made to suffer / Oh, but the morning comes / Oh, when the light is failing / Temptation takes you to / Salvation / Swimming with the swarm of electric stars / Salvation / Deliverance is ours by the light of the stars“. Il pezzo forte dell’album è sicuramente Life Is A Fear, pulsazione elettroniche ci catturano e ci trascinano tra laser e luci stroboscopiche. Tom Smith ancora una volta non disdegna il falsetto ma non manca di cantare a piena voce. Da ascoltare, “Every siren often my lullaby / Every heartbeat functioning thrown to the night / I’m quenched in your light / And see the floor rising through a dream / Forgotten thoughts lost in a memorable theme / And soaked to the skin“. The Law è essenziale e minimalista, dove trova posto Rachel Goswell con la sua voce fredda. Anche se c’è tutta l’intenzione di sperimentare, forse questo brano è un po’ debole e sottotono. Lecito aspettarsi di meglio dagli Editors, “What’s that accent? Where are you from? / What are you drinking? How’d I get some? / Sinking my teeth into something new / Doing what my maker taught me to“. Our Love è troppo disco per i miei gusti. Quel falsetto poi è troppo. No, questa non mi piace e più l’ascolto e più mi convinco che non fa per me. La salvo solo per il finale, “All eyes on you now / The cigarette burning, the taste of ash in your mouth / I understand, I understand / This ain’t a dream, it’s your world caving in (I always knew) / Your world caving in (I always knew)“. Ma gli Editors si riscattano con la bella All The Kings. Si torna a sentire Smith in tutto il suo splendore, che insegue il ritmo e la melodia, è questo che voglio sentire. Il brano si chiude con un estratto da Harm, canzone contenuta nella versione deluxe, “The place where we met is haunted by thieves / Sifting through memories, from the foreign leaves / Oh, bank us your soul, now race with the clock / Immunity over, take a moment, then stop“. Una ballata triste e profonda come solo gli Editors sanno fare è racchiusa in At All Cost. La voce di Smith è fredda e lontana, tutto è rallentato e confuso. Senza orpelli nè distrazioni, essenziale, “When I’m calm / And oh, I’d lie / And all my doubts are dead / Take me back to then / Don’t let it get lost / Don’t let it get lost / At all cost / At all cost“. Chiude l’album Marching Orders, lunga marcia che sfiora gli otto minuti. Una canzone epica e malinconica. Una bella canzone che dimostra che questo gruppo ha ancora qualcosa da dare. Un saluto perfetto, “I used to write down my dreams / Now they’re gone when my eyes open on you / Well even though you’ve fucked up / There’s still the makings of a dreamer in you“.

In Dream è un album nel quale gli Editors decidono di guardarsi indietro e provare qualcosa di nuovo. Il paragone con In This Light And On This Evening vale solo per l’uso preponderante dei sintetizzatori sulle chitarre, perchè questa volta si intravede una luce in fondo al tunnel. Gli Editors sono tornati con la voglia di fare bene e ci sono riusciti ma manca ancora quell’identità che permetterebbe loro di staccarsi una volta per tutte dai loro modelli. Restano vittime della critica che sembra aver perso fiducia in questo gruppo, troppo simile a tanti suoi predecessori. No, In Dream, non è ancora l’album perfetto, quella pietra miliare che segnerà la loro carriera. Gli Editors sembrano destinati a scrivere album sempre ottimi, a volte buoni, ma non sembrano destinati a sfornare un capolavoro. Con questo album, la nuova formazione, ha stabilito le nuove linee guida per il futuro, affidandosi a Tom Smith e al suo carisma. Proprio lui, che campeggia da solo in copertina, come non era mai successo finora. Gli Editors restano ancora un gruppo dai tratti indefiniti ma paradossalmente in grado di sorprendere.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Mi ritorni in mente, ep. 27

Nei giorni scorsi i britannici Editors hanno rivelato una nuova canzone che anticipa il loro quinto album. Il titolo è No Harm e ancora una volta Tom Smith e soci hanno saputo sorprendere. Il singolo è stato trovato da un fan, dopo una sorta di caccia al tesoro, in una compilation della PIAS, nella quale era presente come traccia nascosta. Dopo i primi due album, gli Editors, hanno continuato a ricercare sempre qualcosa di nuovo. Questa No Harm sembra uscire dal loro terzo disco, In This Light And On This Evening, dopo che l’ultimo The Weight Of Your Love ci aveva mostrato degli Editors più pop-rock e orecchiabili. Un ritorno a sonorità più complesse e scure, che a mio parere vuole esprimere un nuovo inizio per la band. L’addio di Chris Urbanowicz a metà delle lavorazioni di The Weight Of Your Love aveva costretto il resto del gruppo a rimettere mano alle canzoni, allungando così la distanza tra i due album a quattro anni. Forse la semplicità e l’immediatezza del quarto album è il risultato di una rielaborazione avvenuta in tempi brevi. Ecco che The Weight Of Your Love è risultato un album piacevole ma un mezzo passo indietro nell’evoluzione del gruppo.

Questo quinto lavoro ha permesso agli Editors si ripartire da zero con la nuova formazione e No Harm è il risultato. Sinceramente la canzone non mi dispiace e con questa la smetteranno di paragonarli agli U2 (anche se qualcuno già ha iniziato a paragonarli ai Radiohead).  No Harm è solo un assaggio e aspetterò l’album prima di giudicare l’ennesima svolta del gruppo. Gli Editors hanno un posto speciale nella mia musica e questo brano ha risvegliato il mio interesse verso di loro.

Mi ritorni in mente, ep. 21

Ecco un’altra uscita da appuntare sul calendario di questo mese. Ottobre si sta rivelando ricco di uscite interessanti. Primo in ordine di tempo, la versione Deluxe di Aventine di Agnes Obel il 6 e Rachel Sermanni con Live in Dawson City il 13. La cantautrice scozzese ha anche finito di registrare il nuovo album che vedrà la luce il prossimo anno a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Il 20 è il turno dei To Kill A King che pubblicheranno un EP, intitolato Exit, Pursued By A Bear contenente cinque canzoni inedite che anticiperanno molto probabilmente un nuovo album in uscita nel 2015. La settimana successiva, il 27, mi sono segnato un interessante debutto folk della giovane cantautrice Kelly Oliver, intitolato This Land. Il giorno successivo ci saranno ben due uscite, l’atteso Fumes di Lily & Madeleine e Blood I Bled EP delle The Staves.

Se sarà un Ottobre ricco, si prevede un 2015 altrettanto carico di nuove uscite. Amy MacDonald ha cantato un nuova canzone, in occasione del concerto a favore dell’indipendenza della Scozia, intitolata The Leap Of Faith, già la seconda di quest’anno. Sarebbe molto strano non ascoltare il suo quarto album il prossimo anno. Anche gli Editors si chiuderanno in studio in Scozia per preparare il quinto lavoro a detta loro più dance dei precedenti ma senza snaturare le caratteristiche della band. Speriamo bene.

Intanto mi ascolto questa nuova Oh, My Love dei To Kill A King che segna una svolta rock dai toni scuri per la band inglese. Un gradito ritorno per una delle più piacevoli scoperte dello scorso anno.

Musica egoista e fantasmi

“Perchè non fate un altro album come Automatic For The People?” – “Perchè lo abbiamo già fatto!”. Questa era la risposta di Peter Buck alla solita domanda dei fans. Una domanda simile sarà stata rivolta spesso anche al leader degli Editors, Tom Smith. Forse la band inglese non ha ancora sfornato quello che si potrebbe considerare il loro capolavoro. Questo The Weight Of Your Love non si può definire tale ma non si può nemmeno considerarlo un brutto album. Prima di ascoltarlo ho letto parecchie recensioni piuttosto fredde o addirittura negative. Poche altre trovavano The Weight Of Your Love un album ben riuscito contenente le migliori canzoni mai scritte dalla band. Indubbiamente questo quarto lavoro è diverso dai precedenti tre, così come il terzo era diverso dai precendenti due. In sostanza gli Editors hanno mantenuto le stesse sonorità solo per The Back Room e An End Has A Start. Dopo l’addio del chitarrista Chris Urbanowicz il cambio di rotta era praticamente obbiligato. Buona parte delle canzoni presenti in questo album sono state scritte quando Chris era ancora nel gruppo e le modifiche che hanno subito tali brani sono state piuttosto pesanti, nonostante il fantasma della sua chitarra aleggi ancora tra le note. Quattro anni, tanto è il tempo passato dall’ultima fatica, possono essere troppi e si rischia di snaturare le canzoni se ci si mette troppo mano e troppo spesso. I nuovi Editors invece di fare una cover dei vecchi Editors hanno preferito dare nuova vita alle loro stesse canzoni. Il risultato è un cambio di marcia mirando al mercato oltre oceano mietendo, al tempo stesso, più seguaci possibile anche nel vecchio continente.

Editors
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Il brano d’apertura The Weigth, che originariamente era omonimo dell’album, ha sonorità più vicine al passato della band nelle quali però la voce di Tom Smith torna ad essere al centro, “I promised myself / I wouldn’t talk about death“. Il nuovo corso degli Editors si può intravedere nella successiva Sugar, canzone d’amore dai toni scuri che hanno reso famosa la band, “There’s sugar on your soul,/ You’re like no one I know,/ You’re the life of another world“. Il singolo Ton Of Love è il brano più fuori contesto dell’album e come singolo sarà anche potente ma convince poco ed sinceramente ha convinto poco anche me. Non a caso Ton Of Love è un tentativo isolato di proporre un rock più frizzante ma non nelle corde di Smith e soci, “Taken by force,/ Twisted fate, /Well, what weighs more,/ Down on your plate“. Si insiste con le canzoni d’amore e la mielensa What Is This Thing Called Love cantata in un inedito falsetto di Smith è estrema quanto la precedente ma nella direzione opposta. Forse Tom ha cercato di emulare Michael Stipe quando cantava Tongue ma l’effetto non è dei migliori, “What is this thing called love that you speak? / Cause we’re out of it. / We’re out of it“. Honesty è una ballata che dimostra che gli Editors sanno ancora scrivere buone canzoni, “Out of my window it echoes my heart / I’ve been checking for change since the start / Collide into me, I could do with a fight / Collide into me, cause it feels right “. La canzone che secondo il gruppo è il fulcro dell’album è Nothing, un’accorata ballata che punta tutto sulla voce di Smith e in fin dei conti rappresenta l’album meglio di qualsiasi altra canzone, Every conversation within you / Starts a celebration in me / Till I got nothing left / I got nothing left “. Un po’ di energia e di ritmo nella spensierata Formaldehyde sicuramente uno dei brani che cattura fin dal primo ascolto, “I’m yours to dissect / Now does every heartbeat / Burn white heat in your blood? / Formaldehyde“. Con Hyena si torna al rock classico, quello che piace a tutti, la voce di Smith, la batteria di Ed, il basso di Russel, le chitarre e tutto il resto si unisce per creare una canzone carica di rabbia ed energia. Uno dei brani più riusciti dell’album, “But don’t you understand? / The hunger makes the man. / With all that lies in front of us, / The world looks so ridiculous to me”. Questa doppietta rock è destinata a rimanere isolata fino alla fine dell’album che riprende con una snaturata Two Hearted Spider. Non penso che questa nuova versione sia da buttare ma è profondamente diversa a quella che abbiamo potuto ascoltare lo scorso anno quando Chris era ancora chiamato in causa. Ha perso parte dell’energia e della spigolosità che il chitarrista uscente gli conferiva ma se ci dimentichiamo per un attimo della versione originale, Two Hearted Spider, resta comunque una buona canzone, “Every move you make, / Breaks me, breaks me. / Every smile you fake, / Breaks me, breaks me“. Con The Phone Book il gruppo si da al folk-rock americano e il risultato non è affato male, “Sing me a love song / From your heart or from the phonebook“. Bird Of Pray entra di diritto tra le migliori canzoni dell’album nonostante il testo (d’amore) un po’ banale e scontato “You are a shiver / The gold and the silver / My heart is a church bell ringing“. Non aggiunge nulla la bonus track Get Low, contrariamente a Comrade Spill My Blood e The Sting. Quest’ultima, come per Two Hearted Spider, è stata purgata della chiarra di Chris con risultati più soddisfacenti.

Questi sono i nuovi Editors che vogliono dimostrare che non hanno paura di cambiare. Hanno dichiarato di fare musica in modo egoistico, l’importante è, quindi, che le canzoni piacciano prima di tutto a loro stessi. Anche se può sembrare strano questo loro modo di vivere la musica mi piace. Forse questo The Weight Of Your Love non soddisfa tutti e delude qualcuno ma è stato lo stesso anche per il suo predecessore, il quale oggi viene ritenuto il migliore. Personalmente trovo questo album ben riuscito nel quale gli Editor hanno cambiato registro mantenendo un’anima dark inalterata o forse un po’ più ruffiana. In definitiva è un album di rottura che vuole allontanare e far dimenticare lo spettro dell’ex chitarrista. Un’album che ha qualche grosso difetto e qualche grosso pregio. Un nuovo punto di partenza per una nuova band che vale quanto un esordio. Pensare che gli Editors potrebbero produrre 15 album con fecero i loro (e i miei) amati R.E.M. dimostra che questo quarto lavoro non è che un piccolo passo in avanti della loro carriera.

Tonnellate di musica

Il quarto album degli Editors si intitola The Weight Of Your Love e sarà pubblicato il 1 Luglio di quest’anno. Ieri è stato il giorno nel quale è stato possibile ascoltare per la prima volta il singolo A Ton Of Love, con tanto di video già pronto e postato su youtube. L’album sarà disponibile in due verisioni quella standard e quella deluxe con due cd. Curiosamente dalla versione standard è stata esclusa una tra quelle nuove canzoni che erano state rivelate con largo anticipo ovvero The Sting. La tracklist è composta da 11 brani:

  1. The Weight
  2. Sugar
  3. A Ton Of Love
  4. What Is This Thing Called Love
  5. Honesty
  6. Nothing
  7. Formaldehyde
  8. Hyena
  9. Two Hearted Spider
  10. The Phone Book
  11. Bird Of Prey

Nella versione deluxe sono state inserite, oltre a The Sting anche due nuove canzoni, Get Low e Comrade Spill My Blood, più le versioni acustiche di Hyena e Nothing.

Il singolo A Ton Of Love rappresenta la scelta di virare verso un rock più classico e meno sperimentale. Se da una parte ci hanno guadagnato in immediatezza dall’altra potrebbero aver perso un po’ di originalità. A Ton Of Love è però solo un singolo e potrebbe non rappresentare al meglio l’intero album. L’obiettivo di un singolo è proprio quello di promuovere l’album e quindi più è orecchiabile e meglio funziona. Qualche fan che appartiene alla categoria “il primo album era meglio” ha già tirato fuori parole come mainstream e commerciale. Sempre le solite cose insomma. Personalmente A Ton Of Love mi piace e sono sicuro che funzionerà come singolo anche se il titolo fa pensare a tutt’altro tipo di canzone. L’idea di acquisitare la versione deluxe mi solletica da ieri sera anche se la copertina della versione standard la preferisco. Ma che importa la copertina! Bentornati Editors!