Non mi giudicate – 2022

Come tutti gli anni è giunto il momento di tirare le somme di questo 2022. Sono 72 i miei album usciti quest’anno e quindi candidabili per la breve selezione che troverete qui sotto. Come sempre, ma quest’anno in particolar modo, è stato difficile scegliere per alcune categorie. Forse anche a causa nel gran numero di album, molti di più del 2021. Avrei voluto dare spazio su questo blog ad altri album ma anche sulle recensioni ho dovuto fare delle scelte, spesso a malincuore. Ma tutto ciò mi ha aiutato a restringere la rosa dei candidati per questa lista. Ecco dunque svelati i miei personalissimi migliori album del 2022. Buona parte degli esclusi lì trovate comunque tutti qui: 2022. E i restanti? Li trovate un po’ qui, su Bandcamp, e un po’.. chissà dove.

  • Most Valuable Player: Aldous Harding
    Pochi altri artisti sono paragonabili a lei. Con il suo Warm Chris si conferma una delle più originali cantautrici della sua generazione. Una di quelle che si faranno ricordare a lungo. Ascoltare per credere.
    Amore è il nome del gioco
  • Most Valuable Album: Palomino
    Il ritorno delle First Aid Kit è segnato da un album eccezionale. Probabilmente il più bello della loro carriera sotto tutti i punti di vista. Positivo e solare ma venato di una malinconica maturità.
    Lascia che il vento ti riporti a casa
  • Best Pop Album: Dance Fever
    I Florence + The Machine danno vita ad un album potente ma allo stesso tempo fragile e insicuro. Le difficoltà del lockdown ci mostrano una Florence Welch meno dea e più mortale.
    Welch la Rossa, il diavolo e la voce d’oro
  • Best Folk Album: To Have You Near
    Categoria colma di ottimi album. Alla fine però l’angelica voce di Hannah Rarity riesce a spuntarla sulle contendenti. Il suo è un folk moderno ed emozionante che prende ispirazione dalla tradizione.
    Un vento pieno di ricordi
  • Best Country Album: No Regular Dog
    Pochi dubbi sul migliore album di questa categoria. Kelsey Waldon ci regala un album solido nel quale ogni canzone si completa con le altre, dove non c’è un solo passo falso. Non so quante volte l’ho riascoltato.
    Consunto come un vecchio paio di jeans
  • Best Singer/Songwriter Album: Loose Future
    Altra categoria affollata di ottimi album. Ho voluto premiare il coraggio di Courtney Marie Andrews di rinnovarsi e trovare nuove strade. Il risultato è ottimo come lo è sempre stato per questa cantautrice americana.
    La vita è migliore senza piani
  • Best Instrumental Album: Beatha
    Quest’anno ho ascoltato album prevalentemente strumentali più del solito. La mia scelta ricade però su quello di Tina Jordan Rees, stimata musicista scozzese, che debutta da solista con le sue composizioni originali.
  • Rookie of the Year: Iona Lane
    Con Hallival questa cantautrice inglese debutta con un album che è una finestra sulle bellezze della natura ma anche sugli uomini che la abitano, arrivando infine a noi stessi. Un folk moderno e senza tempo.
    Brutale bellezza avvolta dalle mareggiate occidentali
  • Sixth Player of the Year: Katie Spencer
    Quando ascoltai The Edge Of The Land non avrei mai pensato di inserirlo tra i migliori di quest’anno. Ma pian piano è cresciuto e ogni tanto mi chiama ancora a sé ed io ritorno piacevolmente da Katie.
    Come il gelsomino la sera
  • Defensive Player of the Year: Erin Rae
    Non poteva mancare questa cantautrice con il suo Lighten Up che torna a deliziarci con la sua voce unica e le sue canzoni sincere. Un album rassicurante e familiare, dove rifugiarsi quando se ne sente il bisogno.
    Sotto un vecchio familiare bagliore
  • Most Improved Player: Hailey Whitters
    La mia scelta ricade, senza esitazioni, sull’album Raised. Il country spensierato e solare ma anche un po’ nostalgico di questa cantautrice trova qui la sua massima espressione. Semplicemente irresistibile.
  • Throwback Album of the Year: Saint Cloud
    Complice il debutto del duo Planis, ho riscoperto questo album del 2020 di Waxahatchee ovvero Katie Crutchfield. La sua voce carismatica e il suo stile particolare mi hanno conquistato subito.
    Mi ritorni in mente, ep. 86
  • Earworm of the Year: Karma Climb
    Molte sono le canzoni che mi sono ronzate in testa per un bel po’. Forse più delle altre c’è questa degli Editors, che sono tornati come sempre carichi di novità, con il loro EBM. Tom Smith è una garanzia.
    È così che ci nascondiamo dalla vita moderna
  • Best Extended Play: I Promised You Light
    Sono ben due gli EP pubblicati quest’anno da Josienne Clarke, uno di brani originali e uno di splendide cover. Ho scelto il primo solo perché ne ho scritto a riguardo da queste parti ma anche l’altro Now & Then merita un ascolto.
    Queste furono le prime luci
  • Honourable Mention: Nikki Lane
    Non potevo dimenticare lei e il suo Denim & Diamonds. Un ritorno in grande stile a distanza di anni. Una album maturo e personale che segna una svolta rock ma che non rinnega l’anima outlaw country di questa cantautrice.
    Ti farà girare e ti sputerà fuori

Welch la Rossa, il diavolo e la voce d’oro

Dieci anni. Tanto è passato da quando sono stato catturato e portato nel mondo magico di Florence +The Machine, la band progetto capitanata da Florence Welch che nel 2009 ha debuttato con l’acclamato Lungs. Il quinto album, intitolato Dance Fever, è uscito lo scorso maggio a quattro anni di distanza dal precedente High As Hope che aveva ulteriormente consolidato il sound della band. Cosa aspettarsi, dunque, da questa nuova fatica, nata nei lunghi anni di pandemia? In generale da Florence +The Machine non ci si aspettano sorprese ma un pop di qualità, riconoscibile e affascinante. Non resta che ascoltare e tornare di nuovo alla corte della regina rossa.

Florence Welch
Florence Welch

King apre le danze, con la voce inconfondibile della Welch che corre sinuosa sulle pulsazioni della musica. Una canzone profondamente personale che affronta le insicurezze e le consapevolezze della propria età, “I need my golden crown of sorrow / My bloody sword to swing / My empty halls to echo with grand self-mythology / I am no mother / I am no bride / I am king“. I mostri che albergano nell’animo emergono in Free che corre con ritmo sincopato. Le sonorità ci riportano agli esordi e ci ricordano perché questa band è così amata da allora, “I’m always running from something / I push it back, but it keeps on coming / And being clever never got me very far / Because it’s all in my head / “You’re too sensitive” they said / I said “Okay, but let’s discuss this at the hospital”“. Choreomania sottolinea in modo marcato il tema di fondo dell’album, la mania di ballare, un’ossessione irresistibile. Una canzone che va in crescendo, avanzando lenta ma costante, guidata dall’energia della Welch, “And I am freaking out in the middle of the street / With the complete conviction of someone who’s never had anything actually really bad happen to them / But I am committed now to the feeling“. La successiva Back In Town segna un momento più riflessivo e malinconico. Una canzone insolitamente scarna ed essenziale per la band, sorretta dalla voce della sua leader, “I’m back in town, why don’t we go out / And never go to sleep? / Throw our dreams out, let them pile up on the streets / I thought that I was here with you / But it was always just an empty room / ‘Cause it’s always the same“. Girls Against God continua sulle stesse sonorità ma il testo è molto personale e frammentario. Florence si lascia andare a ricordi ed immagini del passato, e lo fa con passione e sensibilità, “And it’s good to be alive / Crying into cereal at midnight / If they ever let me out, I’m gonna really let it out / I listen to music from 2006 and feel kind of sick / But, oh God, you’re gonna get it / You’ll be sorry that you messed with this“. La successiva Girl Dream Evil vira verso un pop rock in pieno stile della band. Le atmosfere oscure ribaltano il mito della ragazza dei sogni, “Am I your dream girl? / You think of me in bed / But you could never hold me / And like me better in your head / Make me evil / Then I’m an angel instead / At least you’ll sanctify me when I’m dead“. Preyer Factory è un breve intermezzo di poco più di un minuto che concede pieni poteri alla voce della Welch, “All the things that I ran from / I now bring as close to me as I can / Ripping hotel sheets with gritted teeth / My montage of lost things / My shiny trinkets of grief“. Cassandra sembra una riflessione, tra realtà e immaginazione, del periodo difficile del lockdown. Un mondo fermo dove ognuno era solo e perso,”Well, can you see me? / I cannot see you / Everything I thought I knew has fallen out of view / In this blindness I’m condemned to / Well, can you hear me? / I cannot hear you / Every song I thought I knew, I’ve been deafened to / And there’s no one left to sing to“. Heaven Is Here è un’altra canzone personale con chiari rifermenti alla carriera di artista. Breve nella durata e scarna ma originale nell’accompagnamento, “And I ride in my red dress / And time stretches endless / With my gun in my hand / You know I always get my man / And every song I wrote became an escape rope / Tied around my neck to pull me up to Heaven“. Tra le mie preferite c’è la bella Daffodil. Qui sente la versione più epica, quasi mistica dei Florence + The Machine. Tutto è ben bilanciato e ispirato. Da ascoltare, “There is no bad, there is no good / I drank all the blood that I could / Made myself mythical, tried to be real / Saw the future in the face of a / Daffodil / Daffodil“. Il singolo di punta dell’album, nonché la canzone più in linea con la consueta produzione, è sicuramente My Love. C’è poco da aggiungere, la classe e lo stile della Welch sono qui, “I was always able to write my way out / Song always made sense to me / Now I find that when I look down / Every page is empty“. Nemmeno un minuto per Restraint, nella quale Florence canta con voce sommessa pochi versi, “And have I learned restraint? / Am I quiet enough for you yet?“. Cambio di passo con The Bomb. Nonostante il titolo faccia presagire altro, ci troviamo invece di fronte ad un lento dalle tinte classiche. Una canzone d’amore come di deve, “I’ve blown apart my life for you / And bodies hit the floor for you / And break me, shake me, devastate me / Come here, baby, tell me that I’m wrong / I don’t love you, I just love the bomb“. Si chiude con Morning Elvis. Una canzone dolorosa e triste, che sembra raccontare le difficoltà di essere un’artista e soffrire sul palco come l’ultimo Elvis, “Well, pick me up in New Orleans / Pinned in a bathroom stall / Pick me up above my body / Press my corpse against the wall / I told the band to leave without me / I’ll get the next flight / And I’ll see you all with Elvis / If I don’t survive the night“.

Dance Fever è un album figlio del suo tempo che ci riporta ad una Florence Welch più umana, per così dire. Le incertezze, le insicurezze e la voglia di riscatto di questi tempi emergono da ogni strofa. Non c’è volontà di sperimentare per i Florence + The Machine, se non in brevi e rare occasioni, ma l’ennesimo tentativo riuscito di mantenere sempre alta la qualità delle loro canzoni. Questo è stato finora il loro segreto: fare sempre delle ottime canzoni, senza forse prendersi dei rischi ma del resto non hanno nemmeno il bisogno di farlo. Non ne ha bisogno Florence Welch, che si dimostra ancora un’artista irraggiungibile ma meno dea e sempre più mortale.

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Welch la Rossa e la speranza

Il loro ultimo How Big, How Blue, How Beautiful era stato uno dei migliori album del 2015. I Florence + The Machine quest’anno sono tornati con un nuovo lavoro intitolato High As Hope. Niente più bianco e nero in copertina e lo sguardo di Florence Welch è un più sereno ma non troppo. Tutto lascia presagire che le atmosfere di questo album saranno diverse dal suo predecessore. Quarto disco per il gruppo britannico, capitanato da un ormai iconica Florence Welch e da Isabella “Machine” Summers, che ha segnato come pochi altri il panorama musicale degli ultimi dieci anni. Le aspettativa per un nuovo album sono sempre alte quando si parla di questa band e High As Hope non fa eccezione considerando l’ottimo successo del capitolo precedente. Ebbene, non resta che ascoltarlo, sapendo che mi stupirò una volta di più della voce di questa ragazza.

Florence Welch
Florence Welch

Si inizia con la poetica June. Un classico brano dei Florence + The Machine, dove la voce della Welch regge il timone della canzone. Lentamente si sale di tono, sfociando nella consueta epicità della band. Cos’altro chiedere? “I hear your heart beating in your chest / The world slows till there’s nothing left / Skyscrapers look on like great, unblinking giants / In those heavy days in June / When love became an act of defiance“. Il singolo Hunger è funziona come un orologio. Tutto procede nella direzione giusta. Positività e un pizzico di malinconia sono gli ingredienti di questo album e questo brano ne incarna al meglio le caratteristiche, “At seventeen, I started to starve myself / I thought that love was a kind of emptiness / And at least I understood then the hunger I felt / And I didn’t have to call it loneliness“. South London Forever una riflessione sulla vita, potente e lucente. Florence Welch dismette per un attimo i panni di cantautrice poliedrica per rifugiarsi in quelli più intimi e personali. Il risultato è come sempre ottimo, “And we’re just children wanting children of our own / I want a space to watch things grow / But did I dream too big? / Do I have to let it go? / What if one day there is no such thing as snow? / Oh God, what do I know?“. Il brano più interessante, perché differente dal resto dell’album, è senza dubbio Big God. La musica lascia spazio a tutta la forza espressiva della Welch. Tutta la forza e il tormento dell’amore emergono dal suo canto libero. Da ascoltare, “You need a big god / Big enough to hold your love / You need a big god / Big enough to fill you up“. Sky Full Of Song riprende le prime sonorità del gruppo. Melodie sognanti e tristemente dolci prendono forma poco a poco, trasmettendo un senso di beatitudine non affatto facile da evocare, “Grab me by my ankles, I’ve been flying for too long / I couldn’t hide from the thunder in a sky full of song / And I want you so badly but you could be anyone / I couldn’t hide from the thunder in a sky full of song“. La successiva Grace è guidata dal suono di un pianoforte e vede la Welch elevarsi al livello di cantante confidenziale, senza rinunciare alla distintiva potenza della sua voce, “I’m sorry I ruined your birthday you had turned 18 / And the sunshine hit me and I was behaving strangely / All the walls were melting and there were mermaids everywhere / Hearts flew from my hands and I could see people’s feelings“. Patricia ricalca ancora le sonorità del passato della band. Tanta energia e un ritornello orecchiabile, marchio di fabbrica inconfondibile. Florence Welch dimostra di non aver perso affatto lo smalto qualche hanno fa, “Drink too much coffee and think of you often / In a city where reality has long been forgotten / Are you afraid? ‘Cause I’m terrified / But you remind me that it’s such a wonderful thing to love“. 100 Years è un magnetico pezzo pop dove la voce della Welch guida le danze. Il resto della band la segue ma appare evanescente, in secondo piano, come spesso è accaduto in questo album, “Then it’s just too much, I cannot get you close enough / A hundred arms, a hundred years, you can always find me here / And lord, don’t let me break this, let me hold it lightly / Give me arms to pray with instead of ones that hold too tightly“. The End Of Love è una ballata accompagnata dalle note del pianoforte. Il coro nel ritornello è pura energia, esaltazione di un brano pop di razza, “And in a moment of joy and fury I threw myself / In the balcony like my grandmother so many years before me / I’ve always been in love with you / Could you tell it from the moment that I met you?“. La conclusiva No Choir cattura l’attenzione con il suo inizio a cappella per poi lasciarsi andare ad un sound leggero e sognante. Il canto potente della Welch da corpo ad una musica impalpabile, “There will be no grand choirs to sing / No chorus could come in / About two people sitting doing nothing / But I must confess / I did it all for myself / I gathered you here / To hide from some vast unnameable fear“.

Con High As Hope i Florence + The Machine non si prendono il rischio di alzare ulteriormente l’asticella della loro carriera. Danno una mano di colore al suo monocromatico predecessore e rispolverano, in parte, il sound degli esordi. Florence Welch si prende la scena, come sempre, ma questa volta non è lei a prevalere sulla band. Piuttosto è “la macchina” ha fare un passo indietro, lasciando che la carismatica rossa si possa muovere liberamente. High As Hope è in definitiva un album che soddisfa le attese ma che lascia intendere la volontà di non forzare troppo la mano come successe con Ceremonials nel 2011. Florence Welch si riconferma una delle donne più carismatiche e di talento del scena musicale internazionale e questo album dimostra che non ha bisogno di un accompagnamento epico per emergere. High As Hope non ferma i Florence + The Machine e rilancia la sfida per il prossimo futuro.

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Non mi giudicate – 2015

Avanti un altro. Anche quest’anno è diventato vecchio quanto gli altri ed è ora di cambiarlo. Come ogni trecentrosessantacinque giorni ci ritroveremo festeggiare l’arrivo di un anno migliore di questo. O almeno si spera. Il mondo cambia e forse noi non siamo pronti, forse non lo saremo mai. L’importante è cercare di passare il guado e anche questa volta pare che l’abbiamo sfangata. Me lo auguro sia così per tutti voi. Non resta che rimboccarci le maniche e affrontare altri trecentrosessantacinque (anzi trecentrosessantasei questa volta) giorni con rinnovato entusiasmo, come succedeva sempre ad ogni Settembre di fronte al nuovo anno scolastico. Ma basta con questa digressione, meglio voltarsi indietro per l’ultima volta e vedere un po’ cosa ci ha offerto di bello quest’anno di musica. Per la prima volta in questo blog ho deciso di premiare alcuni artisti o album che mi sono particolaremente piaciuti, ispirandomi ai premi NBA. Non mi piace dare voti o fare classifiche ma faccio uno strappo alla regola (“Sono abitudinario, non mi giudicate, siete come me” cit.). Ovviamente per decretare chi è meglio di chi avrei dovuto ascoltare tutta la musica uscita quest’anno, nessuno escluso. Come avrei potuto farlo? A mancare è soprattutto il tempo ma anche la voglia di ascoltare tutto (ma proprio tutto). Dunque la mia è una visione ristretta a ciò che ho voluto e potuto ascoltare dal primo Gennaio a oggi. Chi non è d’accordo… bhè se ne faccia una ragione.

  • Most Valuable Player: Laura Marling
    Quest’anno è iniziato con un grande ritorno. Quello di Laura Marling, sempre meravigliosa nonostante abbia ritoccato il suo sound. Avere venticinque anni e cinque ottimi album alle spalle non è cosa da tutti. Soprattutto essere già diventati così influenti è ancora più raro. La migliore.
    Laura Marling – False Hope
  • Most Valuable Album: How Big How Blue How Beautiful
    I Florence + The Machine quest’anno hanno sfornato un album grandioso. Un grande riscatto, carico di emozioni ed energia. Florence Welch con la sua voce domina incontrastata, inimitabile e unica. Senza dubbio l’album più forte dell’anno, da ascoltare se non l’avete ancora fatto.
    Florence + The Machine – Delilah
  • Best Pop Album: Light Out The Dark
    Il secondo album Gabrielle Aplin è convincente e lancia la giovane cantautrice inglese tra quegli artisti da tenere assolutamente d’occhio in futuro. Anzi forse il futuro è già qui. Io ho avuto la fortuna di scoprirla agli esordi, prima del suo debutto e sono molto contento che abbia trovato la sua strada.
    Gabrielle Aplin – Light Up The Dark
  • Best Folk Album: The Firewatcher’s Daughter
    Forse considerare folk The Firewatcher’s Daughter è riduttivo, lo stesso vale per Brandi Carlile ma dovevo assolutamente inserire la cantautrice americana in questa lista. Brandi Carlile migliora con gli anni e il successo di questo album se lo merita pienamente. Una voce emozionante senza eguali.
    Brandi Carlile – Wherever Is Your Heart
  • Best Singer/Songwriter Album: Tied To The Moon
    Rachel Sermanni è tornata con Tied To The Moon, riconfermandosi come cantautrice di talento e sensibilità. Anche per lei è arrivato il momento di cambiare sound ma lo fa con attenzione senza strappi con il passato. Voce e chitarra acustica è una ricetta semplice ma eccezionale quando si parla di questa giovane cantautrice scozzese.
    Rachel Sermanni – Banks Are Broken
  • Rookie of the Year: Lael Neale
    Tra gli esordi di quest’anno è difficile scegliere quale sia il migliore. Voglio premiare la cantautrice americana Lael Neale che con il suo I’ll Be Your Man ha dimostrato di saper scrivere canzoni magiche ed emozionanti. Spero per lei che in futuro possa avere più visibilità perchè è un’artista che non merita di stare nascosta.
    Lael Neale – To Be Sad
  • Sixth Man of the Year: Kacey Musgraves
    Per sesto uomo si intende colui il quale parte dalla panchina ma dimostra di avere un ruolo importante nella squadra. Kacey Musgraves partiva da un buon album ma niente di eccezionale. L’avevo quasi accantonata quando il suo secondo Pageant Material la eleva a country star. Kacey saprà sicuramente deliziarvi con la sua musica.
    Kacey Musgraves – Are You Sure ft. Willie Nelson
  • Defensive Player of the Year:  The Weather Station
    Ovvero l’artista più “difensivo”. Tamara Lindeman e il suo Loyalty la riconferma come cantautrice intima e familiare. Sempre delicata, non cerca visibilità e successo ma solo un orecchio al quale porgere le sue confidenze. Un piacere ascoltare The Weather Station e lasciarsi abbracciare dalla sua musica.
    The Weather Station – Way It Is, Way It Could Be
  • Most Improved Player: The Staves
    Niente da dire. Le tre sorelle inglesi Staveley-Taylor sotto l’ala di Justin Vernon hanno fatto un album che ruba la scena al buon esordio. If I Was è malinconico ma anche rock, le The Staves non sono mai state così convincenti e abili. Speriamo che in futuro la collaborazione di ripeta perchè abbiamo bisogno di voci come quelle di Jessica, Emlily e Camilla.
    The Staves – Steady
  • Throwback Album of the Year: Blonde
    L’album Blonde della cantautrice canadese Cœur de pirate è del 2011 ma solo quest’anno ho avuto il piacere di ascoltarlo. L’ho ascoltato a ripetizione per settimane, catturato dalla voce dolce e dai testi in francese di Béatrice Martin. Un album pop dal gusto retrò che ha trovato il suo erede (più contemporaneo) in Roses, pubblicato quest’anno.
    Cœur de pirate – Ava
  • Earworm of the Year: Biscuits
    Non avrei voluto che un’artista apparisse in due categorie diverse ma non posso fare a meno di premiare Biscuits di Kacey Musgraves. Mi ha martellato la testa per settimane.“Just hoe your own row and raise your own babies / Smoke your own smoke and grow your own daisies / Mend your own fences and own your own crazy / Mind your own biscuits and life will be gravy / Mind your own biscuits and life will be gravy“.
    Kacey Musgraves – Biscuits
  • Most Valuable Book: Moby Dick
    In questo blog, saltuariamente, scrivo anche di libri. Non tutti quelli che leggo durante l’anno ma quasi. Senza dubbio Moby Dick è il migliore. Un classico, un libro a tutto tondo. Non è una semplice storia, non è un avventura ma un’esperienza come lettore. Un’enciclopedia sulle balene, dialoghi teatrali, scene comiche e drammatiche, digressioni filosofiche. Tutto in un solo libro.

A conti fatti, ho premiato un po’ tutti. Chi è rimasto escluso è solo perchè altrimenti avrei dovuto inventarmi una categoria per ognuno di essi! Sarebbe stato sinceramente un po’ patetico oltre che inutile. Un altro anno è qui davanti, carico di musica nuova e meno nuova da ascoltare e riascoltare. Ci saranno tanti graditi ritorni…

Buon 2016.
Anno bisesto, anno funesto. 😀

Welch la Rossa e le cause perse

Dalla prima volta che ascoltai Lungs dei Florence + The Machine sono passati tre anni, il turno di Ceremonials arrivò subito dopo. Sono passati quattro anni dall’uscita di quest’ultimo album e Florence Welch e il suo seguito sono tornati in grande stile. Questo How Big, How Blue, How Beautiful era molto atteso, soprattutto per scoprire quale direzione averebbe preso la sua musica. Dopo un periodo un po’ tormentato, Florence ha raccolto le idee e le ha riversate in questo album. Molti, io compreso, temevano che il terzo album della cantante inglese avesse come obiettivo quello di scalare le classifiche e far ballare la folla. Partendo dalla copertina, però, si può intuire che così non sarà. Florence ci guarda dritto negli occhi in modo enigmatico e in una posa poco spontanea. Sembra volerci dire qualcosa o è semplicemente un invito all’ascolto. Abbastanza per convincerci che dietro questa copertina c’è un album più profondo e sincero dei precedenti.

Florence Welch
Florence Welch

Apre il disco il potente indie rock di Ship To Wreck. Un sonno tormentato quello della Welch tra squali e orche ma con tutta l’intezione di uscirne. L’energia è quella dell’esordio ed è davvero bello poter tornare ad ascoltare la sua voce magnetica. Bentornati Florence + The Machine, “And oh my love remind me, what was it that I said? / I can’t help but pull the earth around me, to make my bed / And oh my love remind me, what was it that I did? / Did I drink too much? / Am I losing touch? / Did I build this ship to wreck?“. What Kind Of Man è il singolo di lancio e segna il passaggio da Ceremonials a questo album. Ancora tanto rock condito con l’epicità tipica del gruppo che però non si fa prendere la mano come è successo talvolta in passato. Un gran pezzo, “To let me dangle at a cruel angle / Oh my feet don’t touch the floor / Sometimes you’re half in and then you’re half out / But never close the door / What kind of man loves like this / What kind of man / What kind of man loves like this / What kind of man“. La successiva è la titletrack How Big, How Blue, How Beautiful dedicata al cielo di Los Angeles. Lo stile è quello di primi Florence + The Machine e il tempo sembra essersi fermato, archi e fiati riempiono l’aria e accompagnano la sempre straordinaria voce della Welch, “What are we gonna do? / We’ve opened the door, now it’s all coming through / Till we see it too / We’ve opened our eyes and it’s changing the view / Oh, what are we gonna do? / We’ve opened the door, now it’s all coming through / How big, how blue, how beautiful“. Queen Of Peace si apre con una bella melodia di fiati che si fonde con il consueto pop epico del gruppo. Un brano che distende i nervi e riempie i polmoni, cucito addosso alla voce e al carisma della Welch. Non si può chiedere di più,  “Suddenly I’m overcome / Dissolving like the setting sun / Like a boat into oblivion / Cause you’re driving me away / Now you have me on the run / The damage is already done / Come on, is this what you want / Cause you’re driving me away“. Con i piedi per terra Various Storms & Saints ci riporta alla realtà. Un’evanescente ma calda ballata notturna resa dolce dalla voce della Welch che si mantiene al di sotto le consuete vette per non rompere l’atmosfera. Una prova di maturità, se mai ce ne fosse stato il bisogno, “But still you stumble, feet give way / Outside the world seems a violent place / But you had to have him, and so you did / Some things you let go in order to live / While all around you, the buildings sway / You sing it out loud, ‘who made us this way?’“. Delilah sembra riferirsi ai problemi con l’alcool che hanno colpito Florence Welch e che l’hanno trascinata in brutto momento. Questo album vuole testimoniare la sua rinascita, “It’s a different kind of danger / And the bells are ringing out / And I’m calling for my mother / As I pull the pillars down / It’s a different kind of danger / And my feet are spinning around / Never knew I was a dancer / ‘Till Delilah showed me how“. In Long & Lost la voce della Welch è delicata ma oscura. Le atmosfere sono fumose e indefinite, una canzone che mostra un altro lato della band, più intimo e meno roboante, “Is it too late to come on home? / Are all those bridges now old stone? / Is it too late to come on home? / Can the city forgive? I hear its sad song“. Caught è sulla stessa lunghezza ma è più viva e pulsante. Un’altra bella canzone che s’incastra perfettamente in questo album, che ci riporta ancora agli esordi dei Florence + The Machine, “And I’m caught / I forget all that I’ve been taught / I can’t keep calm, I can’t keep still / Pulled apart against my will“. Third Eye è un esplosione di energia, anche questa molto vicina al sound del debutto. Florence torna a sfoderare tutta la potenza della sua voce, lasciandosi trascinare dalla musica, corale e ricca. Una delle canzoni di questo album che mi ha ricordato perchè mi sono innamorato di questa band, “Hey, look up! / You don’t have to be a ghost, / Here amongst the living. / You are flesh and blood! / And you deserve to be loved and you deserve what you are given. / And oh, how much!“. Le acque si placano con St. Jude, “il santo patrono delle cause perse”, un brano d’atmosfera che sembra dispendersi nell’aria, tattenuto soltanto dalla voce sicura della Welch, “St. Jude, the patron saint of the lost causes / St. Jude, we were lost before she started / St. Jude, we lay in bed as she whipped around us / St. Jude, maybe I’ve always been more comfortable in chaos”. Chiude l’album Mother, dedicato a Madre Terra, energica e potente come sempre. Questa volta è il testo, più della musica e della voce, a rendere questa canzone perfetta per chiudere questo How Big, How Blue, How Beautiful, “Mother, make me / Make me a big tall tree / So I can shed my leaves and let it blow through me / Mother, make me / Make me a big grey cloud / So I can rain on you things I can’t say out loud“. Nell’edizione Deluxe compaiono altri tre brani: Hiding che ricalca quando sentito nel precedente Ceremonials, Make Up Your Mind che non avrebbe sfigurato affatto tra le undici titolari e Which Witch che invece sarebbe apparsa fuori contesto.

How Big, How Blue, How Beautiful è un gran bel ritorno. Florence Welch è tornata quell’artista carica di energia e potenza che abbiamo conosciuto in Lungs. Il successivo Ceremonials non è poi tanto lontano ma appariva più freddo impersonale. Questo nuovo lavoro non è un compromesso tra i due ma qualcosa nato più da un esigenza espressiva che per il semplice scopo di fare un album da classifica, che i Florence + The Machine hanno dimostrato di saper fare. Questo passo indietro dalle luci della ribalta, fa onore prima di tutto alla sua leader, che ha messo da parte i toni epici e barocchi, per scendere nel profondo della sua anima. Una lotta contro se stessa. Tutto questo senza rinunciare ad essere quella Florence che insieme a The Machine ha incantato il mondo con la sua straordinaria voce e carisma.

Futuro prossimo

Questo mese ci sono state parecchie novità musicali che anticipano altrettanti album in uscita quest’estate o più avanti in autunno. In particolare ci sono tre nuove canzoni che mi hanno sorpeso. Rachel Sermanni ha finalmente annunciato il suo secondo album in maniera definitiva a distanza di tre anni dal precedente Under Mountains. Inizialmente era previsto per Febbraio (con tanto di pre-order) poi il dietro front. Forse Aprile, anzi no, Maggio (con pre-order). Falso allarme. Silenzio. Ora la data è il 10 Luglio (con pre-order, di nuovo) e dovrebbe essere quella definitiva. Nel frattempo è anche cambiata la copertina che ora riporta uno dei disegni della stessa Sermanni. Anche la Sermanni, dopo Laura Marling, sfodera la chirarra elettica e tira fuori Tractor, il primo singolo tratto da Tied To The Moon. Una Sermanni diversa e più pop ma comunque riconoscibile. Sono piacevolmente sorperso dal cambio di direzione ma sono anche sicuro di ritrovare qualche bella ballata folk all’interno dell’album.

Anche Lucy Rose è pronta a pubblicare il suo secondo album intitolato Work It Out previsto per il 6 Luglio. Dopo aver espresso dubbi sul suo primo singolo Our Eyes, la cantautrice inglese ha diffuso un’altra canzone intitolata Like An Arrow. Questa Lucy Rose mi piace di più. Like An Arrow è un’evoluzione del precedente Like I Used To del 2012. Lucy ha messo ha segno un punto a suo favore e sono più fiducioso riguardo questo album.

Questa settimana è stato il turno di Gabrielle Aplin che ritorna in grande stile con Light Up The Dark. Il singolo è già di dominio pubblico mentre per l’album c’è da aspettare fino al 18 Settembre. Il suo ultimo album English Rain pubblicato nel 2013 ha avuto un bel successo e anche a me è piaciuto molto. Anche lei ha deciso di cambiare direzione. Non resiste al fascino della chitarra elettrica e mette insieme un brano pop rock molto piacevole. La sua voce è sempre graziosa e misurata in contrasto con lo sfondo musicale. Non vedo l’ora di ascoltare Light Up The Dark e apprezzare meglio l’avvenuta maturità di questa giovane cantautrice.

Anche la canadese Béatrice Martin aka Cœur de pirate ha annunciato il suo terzo album. Uscirà il 28 Agosto e s’intitolera Roses. Il singolo che l’anticipa è stato rilasciato in due versioni Carry On, in lingua inglese, e Oublie-Moi, in francese. Da quanto dichiarato del Béatrice stessa e da quanto è possibile sentire, Roses non sarà molto diverso dal suo predecessore Blonde del 2011. Quindi non resta che aspettare per ascoltare un altro bell’album di Cœur de pirate. Io personalmente continuo a preferirla quando canta in francese e non è ancora ben chiaro se questo album sarà completamente in questa lingua oppure no.

Il prossimo mese non mancano nuove uscite. Subito il 1 Giugno il nuovo dei Florence + The Machine, How Big How Blue How Beautiful e poi in 23, il secondo di Kacey Musgraves intitolato Pageant Material. Sicuramente in aggiunta salterà fuori qualcos’altro e qualcosa mi sono già segnato, ad esempio il nuovo di Kelly Oliver anticipato dal singolo Jericho e Heavy Weather di Billie Marten. C’è da aspettare ancora un po’ per il nuovo degli Editors che molto probabilmente uscirà ad Ottobre. Pochi e frammentari i rumors che rigurdano rispettivamente il quarto e sesto album di Amy Macdonald e dei Wintersleep. La cantaurice scozzese ha dichiarato di aver terminato la scrittura delle nuove canzoni e adesso si sta godendo la vita in attesa del prossimo tour. La sua casa discografica avrebbe voluto avere l’album prima dell’estate ma Amy ha detto che è impossibile e a noi fans non resta che sperare per questo autunno. Anche i Wintersleep sono pronti ma mancano le prove di un’imminente uscita. Tempo fa sembrava pronti a rivelare almeno il singolo a Febbraio, salvo poi rimangiarsi tutto e ripiegare su un generico autunno. Questa è un po’ la situazione che mi aspetta per i prossimi mesi. Il 2015 si prevedeva ricco di uscite e novità, e così sarà.

Mi ritorni in mente, ep. 25

La scorsa settimana il gruppo britannico Ellen And The Escapades ha annunciato ufficalmente di essersi sciolto. Da tempo di vociferava che il loro secondo album sarebbe uscito quest’anno e contenesse il singolo Lost Cause ma è evidente che qualcosa è andato storto. Quali siano i motivi non è dato saperlo. Mi dispiace non poter tornare ad ascoltare nuove canzoni da questo gruppo. Lo scorso anno ho potuto apprezzarlo grazie al loro album d’esordio All The Crooked Scenes, che poi è di fatto anche l’ultimo. Sono sicuro però, che Ellen Smith continuerà da sola la sua carriera o insieme a qualche altro gruppo. Terrò d’occhio l’evolversi della vicenda.

Intanto questo mese sono cambiate un po’ le carte in tavola per quanto riguarda le nuove uscite che mi interessano. A partire da Rachel Sermanni che aveva fatto intendere che Tied To The Moon sarebbe uscito alla fine di questo mese e invece è tutto rimandato a Maggio. Speriamo sia la volta buona anche perchè non è l’unica. Le tre sorelle The Staves avevano annunciato l’uscita del loro If I Was per l’inizio di Febbraio salvo poi rimandare tutto al 23 Marzo. Ancora in via del tutto ufficiosa il nuovo album di The Weather Station, intitolato Loyalty, dovrebbe essere pubblicato il 5 Maggio. Notizia di pochi giorni fa è l’annuncio dell’atteso terzo album dei Florence + The Machine dal titolo, How Big How Blue How Beautiful previsto per il primo di Giugno. Nell’attesa delle nuove uscite annunciate e poi rimandate ascolto quella che è l’ultima canzone degli Ellen And The Escapades, Lost Cause.

Mi ritorni in mente, ep. 19

Un anno e più è passato dall’uscita dell’album d’esordio di Gabrielle Aplin. Ascolto ancora oggi English Rain con piacere e devo ammettere che mi piace più di allora. Una canzone però si ripropone spesso nella mia testa e questa canzone è Take Me Away, bonus track dell’album in questione. Trovo che questo brano sia uno dei migliori della giovane cantautrice inglese. Una canzone semplice e sincera, riproposta di recente da questo video realizzato durante le registrazioni dell’album d’esordio. Spero che la Aplin torni il prossimo anno con un nuovo album. Il 2015 si prospetta ricco di nuove uscite per me, anche perchè questo si è rivelato un po’ magro.

Anche se a dire il vero un’uscita che mi riguardava c’è stata. Si tratta di Ultraviolence di Lana Del Rey, artista della quale avevo già scritto su questo blog nel Gennaio dello scorso anno. Non mi era affatto dispiaciuta, l’ho sempre considerata “a simple prop to occupy my time” (cit.) e niente di più. Questo suo secondo album non è che lo attendessi con la bava alla bocca e infatti mi sono deciso solo ora ad ascoltarlo. L’estate non ha portato novità particolarmente interessanti e allora rieccoci con Lana Del Rey. In aggiunta già, che c’ero, mi sono impossessato di Birthdays di Keaton Henson, Magnolia EP di Wilsen e Native Dreamer Kin delle Joseph. Tutti ascolti “alla cieca” e vada come vada. Questa estate ho dovuto riempirla con un po’ di nuova musica e mi dedicherò all’ascolto di questi album non prima di passare per i Patch & The Giant, Bille Marten e Laura Marling. Così mi preparo per le nuove uscite dell’autunno (forse qualcosa anche in Agosto e Settembre potrebbe arrivare), per il quale, voci di corridoio, è previsto il nuovo di Florence + The Machine. Vabbè, ora non pensiamoci, mi sono fatto una bella scorta per le prossime settimane. Ora però faccio un passo indietro e ritorno ad ascoltare Gabrielle Aplin.

Take me away from the demons in my brain
Take me out to the world
Take me out into the day
And let me find
My peace of mind

Il ritorno di Welch la Rossa e la sua macchina

“Dog days are over”, cantava Florence Welch anche se quei giorni di canicola non sono ancora del tutto finiti. Più di un anno fa, sempre con la canicola, ho ascoltato e apprezzato l’album d’esordio del gruppo inglese Florence + The Machine capitanato dalla rossa Florence Welch. Lungs è stato un album del quale ho ammirato la varietà delle canzoni e la splendida e potente voce della sua interprete e mi ero ripromesso, sull’onda del successo che aveva riscosso nelle mie orecchie, di attendere prima di passare al successivo Ceremonials. Ho rimandato più volte il momento del primo ascolto tanto quasi da dimenticarmene. Ceremonials era diventato “l’album che ascolterò più avanti” per antonomasia. Siccome non mi piace ascoltare più album per la prima volta contemporaneamente, solo per rendere il momento più unico possibile, altri titoli si sono accumulati in lista d’attesa. Ultimamente questa lista si riempiva più lentamente e ho cominciato a guardarmi indietro. Florence + The Machine aspettavano il loro turno da parecchio tempo ormai. Era giunto il momento di togliere il velo su Ceremonials.

Florence Welch
Florence Welch

Only If For A Night apre l’album e detta le basi per il nuovo corso della band che ha sentir bene non è poi tanto distante dall’acclamato Lungs, And I had a dream / About my old school / And she was there all pink and gold / And glittery / I threw my arms around her legs“. Tutte le caratteristiche dei maestosi brani dei Florence + The Machine sono presenti in questa canzone e le restanti non fanno eccezione. Le precedenti atmosfere più indie-rock e spensierate hanno lasciato il posto a sonorità teatrali, in grado di dominare il palcoscenico, garantendo alla Welch il ruolo di protagonista. Nel singolo di punta Shake It Out la voce vibrante della cantante fa venire i brividi, anche grazie alle atmosfere oscure ed eleganti e si candida per essere una delle migliori canzoni di questo album, “And every demon wants his pound of flesh / But I like to keep some things to myself / I like to keep my issues strong / It’s always darkest before the dawn“. Fu What The Water Gave Me ascoltata dal vivo in versione acustica a farmi appassionare alla musica dei Florence + The Machine e la versione di studio non è da meno. Florence Welch da ancora una volta il meglio di sè soprattutto con l’interpretazione, “Lay me down / Let the only sound / Be the overflow / Pockets full of stones“. La successiva Never Let Me Go è uno dei brani più pop, piacevole ma nulla di particolarmente originale, “And it’s breaking over me, / A thousand miles down to the sea bed, / I found the place to rest my head “. Breaking Down ci riporta alle atmosfere del precedente album con qualcosa di più spensierato ma allo stesso tempo oscuro, con un inedita Welch che canta quasi sussurrando, “I can see it coming from the edge of the room / Creeping in the streetlight / Holding my hand in the pale gloom / Can you see it coming now?“. Con Lover to Lover si ritorna ai Florence + The Machine classici con i virtuosisimi della rossa leader, “There’s no salvation for me now, / No space among the clouds, / And I’ve seen that I’m heading down, / But that’s alright“. No Light, No Light appare come un’eredità di Lungs, un’altra bella canzone da aggiungere alla classifica con un ritornello ben riuscito e trascinante, “No light, no light in your bright blue eyes / I never knew daylight could be so violent / A revelation in the light of day “. Anche Seven Devils si può aggiungere senza dubbio tra le migliori canzoni dell’album nonchè la più dark con una musica perfetta per un film horror, “Seven devils all around you! / Seven devils in my house! / See they were there when I woke up this morning / I’ll be dead before the day is done“. Un po’ più rock ma nemmeno tanto la successiva Heartlines che non prensenta nulla di nuovo di quanto già sentito, “Just keep following! / The heartlines on your head! / Just keep following! / The heartlines on your head! / Keep it up! “. Spectrum non è da meno e rappresenta anch’essa la voglia di realizzare brani trascinanti e maestosi, “Say my name, / And every color illuminates, / We are shining, / And we’ll never be afraid again“. Con All This and Heaven Too si placano gli animi e Flornce si presenta meno oscura e più luminosa, “It talks and tongues and quiet sighs and prayers and proclamations, / In the grand days of great men and the smallest of gestures, / In short shallow gasps!“. Leave My Body è la perfetta sintesi di Ceremonials ed è perfetta per chiudere il cerchio, “I don’t need a husband, don’t need no wife / And I don’t need the day, I don’t need the night / And I don’t need the birds, let them fly away / And I don’t want the crowds, they never seem to stay“.

I Florence + The Machine si confermano come uno dei gruppi più originali degli ultimi anni e Florence Welch è ormai una star inimitabile. La band ha voluto percorrere la strada tracciata precedentemente da canzoni come Cosmic Love o Drumming Song ovvero canzoni maestose per il pubblico di stadi e festival. C’è anche un pizzico di dark in più in questo secondo lavoro, caratteristica, che sommata alla precedente, rende più omogenea l’intera opera. Mentre Lungs spaziava dall’indie-rock al punk, dal gospel al soul fino al pop, Ceremonials ha poche variazioni e ciò rende l’album un po’ piatto soprattutto al primo ascolto. Una recensione di qualche tempo fa chiudeva con la frase “è partendo da dischi del genere che poi arrivano i veri capolavori” e speriamo sia vero. Sicuramente Ceremonials è un album che divide. L’ascoltatore stesso può vederlo in due modi. Anche io inizialmente l’avevo trovato un po’ troppo barocco ma ascolto dopo ascolto si è rivelato un album che rappreasenta una conferma della generosità del gruppo e della sua leader Florence Welch.

Le mezze stagioni

Si potrebbe affermare che, in un certo senso, l’anno inizi in queste settimane. Non sempre un anno inizia a Gennaio, quello scolastico, ad esempio inizia a Settembre. Ebbene l’imminente arrivo della primavera che sancisce di fatto la fine dell’inverno che ci trasciniamo dietro del 2012, segna un nuovo inizio. Anche se si dice che le mezze stagioni non ci sono più, personalmente sono quelle che preferisco. Sarà perchè sono un eterno indeciso e stare li nel mezzo mi fa sentire a mio agio. Quando non si sa di cosa parlare si comincia sempre a farlo con il meteo e le stagioni. Perchè non di politica come dicevano i miei carissimi R.E.M. in Pop Song 89, “Should we talk about the weather? / Should we talk about the government?”. Ma forse è meglio lasciar perdere la politica di questi tempi (ci sarà mai un tempo in cui ne potremo parlare bene?). Ogni giorno che passa mi sembra di vedere Orwell e Huxley, ovunque si trovino ora, che scuotono la testa in senso affermativo con un sinistro sorrissetto che sembra dire “Vedi? Avevamo ragione… e la chiamavano fantascienza“. Chi ci può salvare? Ci restano Supergiovane e Shpalmen.

Ma a proposito di musica, che cosa si vede all’orizzonte? Un pò di cosette interessanti. Si parte con gli Editors che dall’ultimo album sono passati 4 anni e un chitarrista in meno. Sembra che finalmente abbiano finito di registrare, chissà se prima dell’estate si potrà ascoltare almeno il singolo. Non mi lancio in previsioni perchè in passato lo fatto e ho fallito miseramente. Sempre da questa parte dell’oceano è pronta Gabrielle Aplin che sinceramente devo ancora inquadrare ma non potrò farlo prima del 13 Maggio, giorno di uscita del suo primo album, English Rain. Un’altra donna quest’anno ha imbracciato (?) il suo pianoforte e ha cominciato a registare il suo secondo album. Il nuovo sigolo di Agnes Obel si potrà, molto probabilmente ascoltare a Maggio e per l’album mi toccherà aspettare fino a dopo l’estate. C’è dell’altro? Sicuramente qualcosa ancora da scoprire arrivera nel frattempo, compreso il nuovo di Anna Calvi. Quattro album nuovi per il 2013, un bel bottino. Per ora ho ancora lì in sala d’attesa per il loro turno, il secondo di Florence + The Machine e un ancora inesplorato esordio della mia coetanea Lucy Rose. Poi poco tempo fa è riemersa dalle sabbie anche Brandi Carlile che la scorsa estate aveva levato le tende ben presto da quello spazio che ho tra le orecchie, lasciandosi dietro la sola Turpentine. L’ho rincorsa per restiuirgliela e sono stato folgorato nel mezzo del cammino dall’album The Story. A proposito di folk rock, dai Paesi Bassi sono arrivati quattro ragazzi ai quali ho concesso qualche ascolto ma non abbastanza per trarre conclusioni. I Mister And Mississippi hanno però tutte le carte in regola. Ancora un controllino e possono passare anche loro la dogana. Prima finisco di assaporare gli ultimi inediti di Lana Del Rey dei quali ho già le idee chiare ma che nel frattempo sta preparando un album nuovo anche lei.

Buon inizio…