Ieri ho visto dei fiori

Tra le uscite dello scorso anno mi ero segnato l’album di debutto della cantautrice inglese Katie Spencer, intitolato Weather Beaten. In seguito ho dato priorità alle nuove uscite ed è finito inevitabilmente in fondo alla lista. Eppure lui era sempre lì che mi guardava, con quella foto in bianco e nero in copertina, il fiume Hull che da il nome alla città di questa artista. Così alla prima occasione, quando Bandcamp ha deciso di lasciare la sua parte sul prezzo degli album agli artisti, ho deciso di prendere anche Weather Beaten. Finalmente era arrivato il momento di ascoltare questo album e scoprire qualcosa di più oltre la copertina.

Katie Spencer
Katie Spencer

Incense Skin apre l’album facendoci subito apprezzare le doti di chitarrista della Spencer. Una canzone breve e di poche parole, che preferisce lasciare spazio alla magia della musica, “Breathe in your incense skin / It stops our smoky hearts from touching / Soothing blues eyes that have become akin / To seeing“. Drinking The Same Water continua sulla stessa scia della precedente, la chitarra in primo piano e la voce della Specer si traducono in una canzone poetica e nostalgica, “And sometimes I smile when I realise that we’re / Breathing the same air / And we’re drinking the same water / All the while, never mind I just hope / That you’re thinking of your daughter“. La title track Weather Beaten è una canzone che parla d’amore, che galleggia sulle note delle chitarra e di un clarinetto. Essenziale e delicata è tra le più belle di questo album, “I didn’t expect to see your face today / Even if I’d have wanted to I really would have looked the other way / You’re weather beaten and war torn on the inside / You’re so fresh and fruity and wide-eyed on the outside“. La successiva You Came Like An Hurricane è la storia di un colpo di fulmine guidato dalla melodia della chitarra. Katie Spencer lascia che la sua voce sia in balìa della melodia e la musica resti la principale protagonista, “You came just like a hurricane, hey hey / Ripping into new scenes / Oh ripping into new blue jeans / Now you’re a kiss on my cheek and I’m so happy“. Tra le canzoni che preferisco di questo album c’è Hello Sun. Sembra prefetta per questi mesi di lockdown in piena primavera. Piena di speranza e leggera come una brezza estiva, “Hello sun, it’s been so long / It’s May Day / April showers cannot fool us, anymore / Hello sun, wouldn’t it be nice / To spend some time together / Wouldn’t it be nice, hey“. Helsa è un brano strumentale che lascia cantare la chitarra acustica della Spencer, seguendo le atmosfere distese e malinconiche di questo album. Un’occasione per sottolineare l’importanza di questo strumento per questa artista. Tra le canzoni più belle c’è Too High Alone. Una bella melodia accompagna il canto, un testo poetico davvero ben scritto. Ogni cosa è perfettamente al suo posto, una canzone da ascoltare, “Yesterday I saw some flowers / Their heads were bent for you’re leaving / You’re heading west / That’s where you build your towers / And I know, I can already feel the party grieving“. L’unica canzone non originale è Spencer The Rover. Si tratta infatti di una rivisitazione di un brano tradizionale che va ad incastrarsi molto bene in questo album, “This tune was composed by Spencer the Rover / Valiant a man as ever I knew / He had been much reduced and he caused great confusion / That was the reason he started to roam“. The Best Thing Abuot Leaving è una canzone dalle trame più scure rispetto al resto dell’album eccetto nel finale. Ancora una volta c’è la scelta di lasciare spazio alla chitarra e limitare il testo a poche ma evocative parole, “They say the best thing about leaving is the sun upon your back / And I don’t know if I know best, so find out for yourself“. Si chiude con The Hunter. Qui la Spencer dà sfoggio del suo talento di cantautrice, confezionando un’altra canzone ricca di immagini ed ispirata, “I am not the hunter you say I am / The birds nest it’s always in my head / Never in my hand / The cuckoo flew this morning / Scratching and yawning / Discontent with rented goods“.

Weather Beaten è un album che si lascia apprezzare per molte ragioni. C’è una Katie Spencer chitarrista che viene fuori in ogni canzone e c’è una Katie Spencer cantautrice capace di scrivere testi davvero poetici ed efficaci. Queste due cose messe insieme rendono questo album un debutto eccezionale e maturo. La copertina dell’album è lo specchio delle sue canzoni, nelle quali si respira un’aria di familiarità e di straordinaria ordinarietà. Katie Spencer è un’artista da tenere d’occhio per il futuro ma già oggi ci fa sentire qualcosa di diverso e fresco nel panorama del cantautorato inglese di nuova generazione.

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Bel tempo si spera

Il nome di Josienne Clarke non è certo un nome nuovo nel panorama della musica folk e il suo ultimo album in coppia con Ben Walker, è da parecchio tempo nella mia wishlist di Bandcamp. Sul finire dello scorso anno, però, questa cantautrice è tornata alla ribalta, in questa mia lista, con il suo nuovo album da solista, intitolato In All Weather. Resomi conti che perfino il precedente One Light Is Gone del 2010 era stato oggetto del mio interesse in passato, non potevo tardarmi oltre. Dovevo affrontare e conoscere la musica di Josienne Clarke prima che finisse tra quegli artisti che “mi piacerebbe tanto ascoltare ma che probabilmente non avrò il tempo per farlo“. Ecco qui In All Weather, che dà il via alla mia personale scoperta di questa cantautrice.

Josienne Clarke
Josienne Clarke

Si comincia con la canzone che dà il titolo all’album (Learning To Sail) In All Weather e che introduce le tematiche di questo album. La vita, con i suoi momenti difficili, è un viaggio alla ricerca di risposte che forse non arriveranno mai. La voce della Clarke è drammatica e triste, in una parola: perfetta. Seconds è una riflessione sul tempo che scorre inesorabile. I secondi diventano minuti sempre e comunque, non c’è niente che possiamo fare. Un folk moderno, semplice e delicato, con un testo sincero. The Drawing Of The Line continua sulla stessa strada, con un tono più poetico ma più scuro. La voce della Clarke appare fragile ed indifesa contro le tempeste del mare della vita. Intima ed essenziale è la successiva Leaving London. Anche qui tutto è leggero e sfuggente ma con la costante presenza di qualcosa, come di un peso. Però c’è anche la volontà e la speranza di un cambiamento. My Love Gave Me An Apple sembra aprirsi verso un cielo più luminoso. Forse quella tempesta sta passando ma la voce della Clarke non ci fa illudere, continuando ad essere tanto melodiosa quanto triste. Segue If I Didn’t Mind che con il suo piglio più rock delle precedenti, spazza via qualche nuvola. Il suono della chitarra traccia una linea che corre lungo questa canzone, che svela un punto di svolta all’interno di questo album. Host finisce però per riaffondare in una vaga disperazione. Le chitarre graffiano la superficie ed evocano una rabbia che stenta a venire fuori. A contrastare la ricaduta del buio, ci pensa Slender, Sad & Sentimental. Josienne Clarke tira fuori dal cilindro uno dei brani più luminosi di questo album. Un indie rock brillante che spicca su tutte per orecchiabilità e immediatezza. Season And Time prosegue sulla strada tracciata per questo album. Una musica, ridotta ai minimi termini, accompagna la voce della Clarke che vuole sembrare meno fragile. Walls & Hallways è una delle canzoni più belle di questo album. Josienne con la voce traccia una melodia malinconica e toccante. Tutta la poesia e il talento di questa cantautrice brillano in questo breve brano. Si gioca con la voce in Fair Weather Friends. Le parole di accavallano l’una sull’altra ma tutto dura un minuto e lascia spazio a Dark Cloud. Si ritorna sulle atmosfere buie e opprimenti che hanno caratterizzato parte di questo album. Il canto della Clarke però riesce però a stemperarle, come un raggio di sole in mezzo alle nuvole nere. Tutto si conclude con Onliness. La solitudine è un tema che ogni cantautore deve affrontare e Josienne Clarke lo fa con grazia e semplicità. Una canzone triste e solitaria ma allo stesso tempo elegante e poetica.

In All Weather è un album che ci invita a riflettere, mettendoci di fronte canzoni affatto leggere e spensierate ma mai troppo drammatiche o malinconiche. In italiano usiamo la parola tempo per riferirci indistintamente al meteo e al tempo che passa, quasi fosse scontato che le due cose sono legate l’una con l’altra. Qui Josienne Clarke sembra fare la stessa cosa. La vita è un susseguirsi di stagioni, il cielo cambia in fretta ma, come si dice, c’è sempre il sole sopra le nuvole. Josienne Clarke scrive canzoni sincere, dove la musica non prende quasi mai il sopravvento e lascia spazio alla sua voce unica, esprimendosi sempre in canzoni piuttosto brevi (solo in un paio di casi sopra i tre minuti). Sono rimasto sorpreso da questo album e da questa cantautrice, anche se non dovrei esserlo perché il suo talento è già noto da tempo. Ma questo non vale per me, ed è sempre bello quando succede.

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Di velluto e di pietra

Nel corso dello scorso anno sono state numerose le uscite discografiche che sono riuscito ad ascoltare e non tutte hanno trovato spazio in questo blog. La scorsa estate mi ero appuntato l’uscita di un interessante album d’esordio, omonimo della band inglese Velvet & Stone ma solo poco tempo fa ho avuto il piacere di ascoltarlo. Il duo, capitanato da Lara Snowdon e Kathryn Tremlett, si rifà alle sonorità folk della tradizione inglese e americana ma con un approccio alternative e moderno. Non c’è voluto molto per conquistarmi e abbandonarmi all’ascolto di questo album, sapendo già che avrei trovato ciò che stavo cercando.

Velvet & Stone
Velvet & Stone

Fisherman’s Blues apre l’album traendo ispirazione dal folk inglese. In primo piano il violino della Tremlett che guida la voce della Snowdon. Una ballata che evoca i paesaggi del Devon, la contea d’origine della band, con un bel finale strumentale che si lega alla successiva Oh Boy. Qui le sonorità si fanno più oscure e moderne. Il folk rock di questo brano è trascinante, voce e musica si rincorrono. Un crescendo che mette il luce le capacità della band e lascia incantato chi ascolta. Anche Lay Her Down preferisce il fascino del folk rock. Il violino continua a tenere le redini della musica e lascia che la voce della Snowdon si prenda la sua parte. Tanta energia anche in questo brano ma con una particolare attenzione alla melodia. Breath rallenta e offre una versione più riflessiva e intima della musica di questa band. Ci sono richiami al folk inglese e alla sua controparte americana, qui ben mescolate insieme. Una delle canzoni più belle di questo album. La successiva Walls è un’affascinante canzone nella quale la voce traccia una melodia misteriosa, supportata dal consueto suono del violino. Tutta la band spinge nella stessa direzione e il risultato è ancora una volta eccezionale. Si vira verso qualcosa di più leggero e libero con By The Water. Una progressione che sfocia verso un brillante folk pop, punto dal suono delle chitarre. Anche in questo caso, questa band dimostra di non aver nulla da invidiare al altri colleghi più in vista, confezionando una canzone orecchiabile e ben scritta. Am I Dreaming? vira verso un folk pop sognante ed etereo. C’è la volontà di sperimentare qualcosa di diverso, uscendo dai consueti binari del folk. Qui è la voce della Snowdon a prevalere su tutto e attirare su di sé, l’attenzione di chi ascolta. Una performance solida e di mestiere. Forget About The Rain è una dolce ballata, luminosa e leggera. Il violino torna a rischiarare l’album e la voce, calda e confortante, va a completare una delle sue canzoni più magiche. Tra le mie preferite c’è la conclusiva I’ll Dream Of You Tonight. La melodia del violino, tradizionale e trascinante, mi ha conquistato fin dal primo ascolto. Nel finale tutta la band è per Kathryn Tremlett è il suo strumento. Bellissimo modo di terminare un album.

Velvet & Stone è un album che racchiude anni di carriera passati prevalentemente a suonare dal vivo. Si percepisce l’affiatamento tra tutti suoi componenti, in particolare tra le due leader Lara Snowdon e Kathryn Tremlett. Laddove la prima porta il canto e le parole, l’altra porta l’inconfondibile e intramontabile fascino del violino. Velvet & Stone propongono un folk alternativo ma non lontano dalla tradizione, sia essa americana o inglese. Questo è un album da ascoltare tutto d’un fiato, che incanta per le sue atmosfere che cambiano e si trasformano, pur mantenendo un filo conduttore. Un esordio davvero ben scritto e realizzato che incuriosisce e affascina, facendoci scoprire le mille sfaccettature della musica folk.

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Come il tordo in inverno

Prima di addentrarsi nelle uscite discografiche del nuovo anno è bene soffermarsi su un album uscito lo scorso dicembre, Awake Arise: A Winter Album del gruppo folk inglese Lady Maisery composto da Hazel Askew, Hannah James e Rowan Rheingans. In compagnia di Jimmy Aldridge e Sid Goldsmith hanno dato vita ad una raccolta di brani tradizionali e non, legati al periodo invernale e alle sue festività. Questo trio al femminile mi aveva già conquistato nel 2016 con il suo Cycle, un album ispirato all’avvicendarsi delle stagioni. Awake Arise è un album speciale e molto particolare, perfetto per questo periodo dell’anno.

Sid Goldsmith - Lady Maisery - Jimmy Aldridge
Sid Goldsmith – Lady Maisery – Jimmy Aldridge

Si comincia con la bella Sing We All Merrily. Una rivisitazione di un brano tradizionale che racchiude tutte le cose belle che l’inverno porta con sé, lo stare insieme, le festività e le luci che illuminano la stagione più buia e fredda dell’anno, “Sing we all merrily and sing with good cheer / For the day we love best of the days of the year / Bring out the holly, the box and the bay / Deck out our cottage for glad Christmas Day“. Segue Up In The Morning Early / The Christmas Road. Una prima parte è dedicata ad una canzone tradizionale raccolta da Robert Burns che poeticamente descrive la bellezza del paesaggio invernale. La canzone è intervallata da una lettura di uno scritto di Laurie Lee tratto dal suo libro intitlato Village Christmas, “Up in the morning it’s not for me / Up in the morning early / When all of the hills are covered with snow / I’m sure that it’s winter fairly“. Bring Hither Now the Holly Bough è una canzone che fa la sua prima apparizione nel 1872. Qui l’inverno diventa l’attesa del ritorno della bella stagione, passata in compagnia festeggiando l’arrivo del Natale, “We’ll wake the viol’s merry strings while tempest clouds advance / And while the pane cracks with big hail we tread the careless dance / Thus shall the soul’s warm summer shine ‘til changeful earth we leave / And the Yule fire and the wassail cup shall cheer our Christmas Eve“. Breve intermezzo recitato Carol Reading / Shortly Before 8.30pm anticipa Hail Smiling Morn. Una canzone cantata a cappella, pescata ancora dalla tradizione inglese, è un inno alla luce contro l’oscurità dell’inverno, “Hail! smiling morn, smiling morn, / That tips the hills with gold, that tips the hills with gold, / At whose rosy fingers open wide the gates of heaven, the gates of heaven, / At whose rosy fingers open wide the gates of heaven“. La successiva Winter Berries passa in rassegna le bacche che caratterizzano questa stagione. Una musica accompagna questo elenco nel quale vengono citate le piante che le producono e il loro colore. Segue a ruota un altro brano tradizionale intitolato The Old Churchyard. Un’altra bella versione di una canzone che ha visto molte versioni, qui particolarmente evocativa e magica, “I know that it’s vain when our friends depart / To breathe kind words to a broken heart; / And I know that the joy of life is marred / When we follow lost friends to the old churchyard“. The Bear Song è una canzone originale che ricalca le sonorità della tradizione. Un accompagnamento musicale semplice ed essenziale fa da sfondo alla voce della Rheingans. Night Came Early è un breve passaggio recitato, tratto sempre dal libro di Laurie Lee. The King riprende con la tradizione. Racconta dell’usanza di catturare un scricciolo, il re degli uccelli, per celebrare la fine dell’inverno, “Joy, health, love, and peace be all here in this place / By your leave we will sing concerning our king / Our king is well dressed in the silks of the best / With the ribbons so rare, no king can compare“. Da Day Dawn / Like As The Thrush In Winter è un brano strumentale intervallato dalla lettura di una poesia di Edmond Holmes. Una intermezzo musicale che scalda il cuore nelle fredde giornate invernali. Segue The Snow It Melts The Soonest che simboleggia il passaggio alla primavera da un punto di vista femminile. Una chitarra accompagna la voce melodiosa della Askew che incarna alla perfezione la drammaticità di questa canzone, “Oh the snow it melts the soonest when the winds begin to sing / The corn it ripens fastest when the frosts are setting in / And when a young man tells me that my face he’ll soon forget / Before we part, I’ll tell him now, he’ll be sure to follow yet“. Snow Falls è una rivisitazione di una canzone di John Tams. Uno dei pezzi più belli e affascinanti di questo album, dalla musica al canto, tutto è perfetto, “And the snow falls / The wind calls / The year turns round again / ‘Til then put your trust in tomorrow my friend / For yesterday’s over and done“. C’è anche spazio per la ricetta del wassail tratta dal libro Food in England di Dorothy Hartley. Il wassail è una bevanda alcolica calda, in questo caso si tratta di birra, al quale vengono aggiunte zucchero, spezie e infine le mele cotte. Segue Cornish Wassail che celebra proprio questa bevanda e il rito che l’accompagna. Una canto corale a cappella, gioioso e trascinante, “It’s Happy New Year, and long may you live / Since you’ve been so kind and willing to give / Long live our wassail, wassail, wassail, wassail / And joy come to our jolly wassail“. Heading For Home è una cover dell’originale di Peggy Seeger. Una riflessione sulla vita, lenta e delicata, ispirata dal clima invernale. Questo gruppo riesce ancora una volta a dare il meglio con semplicità e passione, “My face to the sky, my back to the wind / Winter is entering my bones / The day has been long and night’s drawing in / And I’m thinking of heading for home / And I’m thinking of heading for home“. L’album si chiude con Hope Is Before Us, ispirata da William Morris e i suoi Chants for Socialists del 1885. Una canzone di speranza e resistenza, “Come shoulder to shoulder, for the world grows older / Help lies in none but you and I / Hope is before us, so let our chorus / Bring joy at last to all our lives!“.

Awake Arise: A Winter Album è un qualcosa di più di una semplice raccolta di canzoni, è un compendio sull’inverno, le sue feste, le difficoltà e le gioie che porta con sé e che magicamente si ripetono ogni anno. Ci sono i suoi simboli, le sue usanze e i misteri di una stagione tanto magica quanto dura. Le Lady Maisery trovano in Jimmy Aldridge e Sid Goldsmith i compagni perfetti per un’avventura affascinante. Un album dove trovare dell’ottima musica folk ben interpretata e suonata. Un album che definirei prezioso, che scalda in cuore di chi ascolta. Perfetto per un regalo ma anche da ascoltare soli, da tenersi stretto come un album fotografico a noi caro. Awake Arise: A Winter Album ha chiuso il mio 2019 e mi accompagnerà in questo nuovo anno ancora lungo tutto l’inverno.

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Non mi giudicate – 2019

Un altro anno è passato e sono qui per fare il punto su quanto di meglio è passato per le pagine di questo blog. Ogni anno è sempre più difficile fare delle scelte ma è bello poter passare in rassegna i dischi ascoltati e i libri letti. Ecco qui sotto, le mie scelte. Chi è rimasto fuori lo potete trovare comunque qui 2019. Ho aggiunto una nuova categoria per gli album esclusivamente strumentali, che quest’anno si sono aggiunti alla mia collezione.

  • Most Valuable Player: Rachel Sermanni
    Con il nuovo So It Turns questa cantautrice scozzese ritrova ispirazione e cresce sotto ogni aspetto, come artista, come donna e soprattutto come madre. Un ritorno che mi è piaciuto molto, nel quale ho ritrovato un’amica.
    Rachel Sermanni – What Can I Do
  • Most Valuable Album: Designer
    Fin dal primo ascolto non ho esitato a definire Designer come l’album dell’anno. Aldous Harding raggiunge la perfezione nell’equilibrio tra il suo folk acustico dell’esordio e l’astrattismo moderno. Consigliatissimo.
    Aldous Harding – Zoo Eyes
  • Best Pop Album: Norman Fucking Rockwell
    Lana Del Rey non sbaglia un colpo e non vuole fare la pop star. Sempre più lontana dall’apparire come una femme fatale, questo album racchiude uno spirito poetico trapiantato in un presente decadente e alla deriva.
    Lana Del Rey – Fuck it I love you / The greatest
  • Best Folk Album: Enclosure
    Le sorelle Hazel e Emily Askew realizzano un album che attraverso brani tradizionali lancia un messaggio attuale. Attraverso un accompagnamento musicale essenziale e la voce di Hazel, le Askew Sisters ci fanno riflettere.
    The Askew Sisters – Goose & Common
  • Best Country Album: The Highwomen
    Il supergruppo con Amanda Shires, Natalie Hemby, Maren Morris e Brandi Carlile sia aggiudica il premio con un mix di canzoni dall’anima country ispirata dai maestri del passato. Il tutto segnato da un’ispirazione femminista.
    The Highwomen – Redesigning Women
  • Best Singer/Songwriter Album: Lucy Rose
    Il suo No Words Left è un album difficile da affrontare. Così personale ed intimo che lascia l’ascoltatore un senso di impotenza. Lucy Rose riesce più di tutte a trasmettere sé stessa attraverso le sue canzoni.
    Lucy Rose – Treat Me Like A Woman
  • Best Instrumental Album: The Reeling
    La giovane musicista Brìghde Chaimbeul con la sua cornamusa ha incantato tutti riuscendo a mescolare tradizione e modernità. Questa ragazza nel suo piccolo sembra avere tra le mani il futuro della musica folk.
    Brìghde Chaimbeul – An Léimras / Harris Dance
  • Rookie of the Year: Jade Bird
    Come poteva essere altrimenti. Jade Bird con il suo esordio si è rivelata una delle promesse più lucenti del panorama musicale inglese e non solo. Una ragazza che punta alla sostanza e rifiuta le mode passeggere. Da non perdere.
    Jade Bird – I Get No Joy
  • Sixth Player of the Year: Emily Mae Winters
    Premio dedicato alla sorpresa dell’anno. In realtà il talento di questa cantautrice inglese era già emerso fin dal suo esordio folk, a sorprendere invece, è la sua scelta di virare verso un sound più americano. Coraggiosa e vincente con High Romance.
    Emily Mae Winters – Wildfire
  • Defensive Player of the Year:  Janne Hea
    Questa cantautrice norvegese ritorna dopo tanti anni con Lost In Time e lo fa riproponendo la sua formula vincente: semplicità, sincerità e poesia. Ho ritrovato un’artista che ho ascoltato per anni, in attesa di questo ritorno.
    Janne Hea – Lost In Time
  • Most Improved Player: Joseph
    Le sorelle Closner con il loro Good Luck, Kid brillano per energia e affiatamento. Un album pop curato nei dettagli che oscilla tra passato e presente, portando le Joseph ad un livello superiore rispetto a questo fatto sentire finora.
    Joseph – Green Eyes
  • Throwback Album of the Year: Savage On The Downhill
    Ho inseguito questo album della cantautrice americana Amber Cross per anni. Non mi ha deluso. Per niente. Tanta buona musica country folk, diretta e sincera. La voce della Cross è unica e non vedo l’ora di ascoltare qualcosa di nuovo da lei.
    Amber Cross – Trinity Gold Mine
  • Earworm of the Year: Benefeciary
    Il ritorno della band canadese dei Wintersleep con In The Land Of è un davvero un bel album. Ogni singola nota è ispirata dall’amore per il nostro pianeta. Questa canzone in particolare ci ricorda che siamo beneficiari di un genocidio.
    Wintersleep – Beneficiary
  • Best Extended Play: Big Blue
    Bess Atwell ritorna con un EP che rinfresca il suo sound in attesa di un nuovo album che spero arrivi presto. Questa cantautrice inglese conferma con questo disco tutto il suo talento e la sua voce unica.
    Bess Atwell – Swimming Pool
  • Most Valuable Book: Infinite Jest
    Non ci poteva essere che Infinite Jest come libro dell’anno. Il capolavoro di David Foster Wallace ancora oggi, a distanza di mesi, mi ritorna in mente con le sue storie assurde, tristi e tragicomiche.

collage

Dove vanno le anatre?

Prima che si concluda questo anno, c’è ancora tempo per consigliare un po’ di buona musica. Your Company è uscito lo scorso 29 novembre, a tre anni di distanza da Staring At The Starry Ceiling debutto delle due sorelle Mabel e Ivy Windred-Wornes, che insieme formano il duo Charm Of Finches. Queste due giovani cantautrici australiane con il loro folk delicato e sognante mi avevano fatto una buona impressione fin da subito e non avevo mancato di riportarlo, a suo tempo, su questo blog. La notizia di un loro nuovo album mi ha incuriosito e, desideroso di scoprire l’evoluzione della loro musica, mi sono precipitato subito ad ascoltarlo. Ecco dunque uno degli ultimi di dischi dell’anno, che va ad aggiungersi alla mia collezione.

Charm Of Finches
Charm Of Finches

The Bridge va a rispolverare le sonorità del suo predecessore. Un Natale triste e chiari rifermenti ad una vita spezzata, ci fanno apprezzare i temi più maturi affrontati dalle sorelle. Un inizio davvero eccezionale, “You once told me you wondered what it would be like to fly / You once told me you wondered what it would be like to die / Taken to the air / You began your endless flight“. Il singolo Lies si poggia sulla due voci che si rincorrono l’una con l’altra. Una canzone essenziale ma capace di suscitare immagini complesse e sensazioni contrastanti, in un delicato folk dalle tinte scure, “I do hope the clouds will blow over soon / So you will abide by my every rule / You’ll find someone to crawl into their empty heart / Whisper in their little ear / Tell to them your little lies and all their fears“. La successiva Fish In The Sea percorre le stesse strade affrontando un doloroso abbandono. Un indie folk dalle influenze moderne ma non lontano dallo stile classico delle Charm Of Finches, “Well I was just some other fish in the sea / And you’d find some other better than me / And when the sunlight faded I was just as grey / As anybody else you’d see any day“. Her Quiet Footsteps è la mia preferita di questo album. Una canzone malinconica con una melodia perfetta, supportata dalle voci delle due ragazze cresciute non solo artisticamente. Anche qui un approccio moderno le aiuta con esiti ancora migliori, “Was I ever the fighting one? / I couldn’t say that I feel that way / I am only the healing one / Holding my own hand / With shaking arms“. Segue Paint Me A Picture, guidata dal suono di una chitarra. Le due voci si uniscono e cantano un altro triste ritornello, esempio perfetto della loro musica, “So paint me a picture and I’ll tell you what I see / I see the pain in your eyes when you’re staring back at me / And oh how could I break it, trust built from the bone / And now I know your side of the story I struggle to see my own / I struggle to see my own“. In The Gloaming ci fa sprofondare ancora di più del notturno mondo della coppia. Qui le due ragazze evocano la sfuggente bellezza della notte e del suo regno di sogni e inquietudini, “Fingers on the cold glass / Frosted over now that summer’s passed / Lengthened shadows in the gloaming / Oh your body chills me to the bone“. Con I’ll Wonder le Charm Of Finches riscoprono i loro modelli, in primis le First Aid Kit, che qui sembra quasi di sentirle. Uno dei brani che si fa apprezzare anche per la particolare cura della parte strumentale, “I know that we’re both aching to run away from all that’s held us back / Was just a matter of time till we were forced to wear the courage that we lack / Fear of the unknown and being left alone“. Slip Like Water ci da la prova definitiva delle maturità di queste due sorelle. Ancora un abbandono fa da sfondo ad una delle canzoni più ispirate e ben scritte di questo album, “Despite your ability to please her / You won’t find her smiling / Pleading to stay quiet / But you tell her it’s worth it / We’ll all watch in silence / Feeding you with confidence / You hold her future in your bare hands“. Where Do The Ducks Go? è una domanda che sorge spontanea quando ci si trova di fronte allo scenario di un lago ghiacciato. Un’occasione per porgersi delle domande che forse non troveranno mai risposta, “When it gets so cold that the lake turns to glass’ / Oh where do the ducks go? is all I ask / And what do the fish do? / Are they frozen in?“. Good Luck On Your Own, che vede la partecipazione di Cian Bennet, trova nuove soluzioni musicali che ricordano un Bon Iver degli inizi. Ancora una prova di maturità ed attenzione ai dettagli, “Guess I have to go good luck on your own / Oh the tears that flow from your face of stone / Oh the storm in you hidden from all view / Try to find the calm that lies before you“. L’album si chiude con la title track Your Company. Il suono di un banjo accompagna le voci delle ragazze che fanno della semplicità il loro punto di forza, sapendo tracciare delicate melodie, “Now, now that all’s been said and done / And the battle’s lost and won / And you who’ve lent us your ears / Do forgive our frailties / And if you like you’ve slumbered here / Songs but drifting on the air“.

Your Company ci presenta delle Charm Of Finches decisamente cresciute sotto ogni aspetto. Dalla musica ai testi, passando da una produzione più ricca e dettagliata. Le sorelle Windred-Wornes fanno un grande passo in avanti, lasciandosi pian piano alle spalle le sonorità di quegli artisti che le anno ispirate. Qui trovano una identità meglio delineata, scegliendo un naturale profilo malinconico ed oscuro, profondamente sincero. Non c’è spazio per canzoni leggere o troppo positive. Your Company affronta temi toccanti, carichi di sentimento, senza essere stucchevole o ripetitivo. Le Charm Of Finches possono considerarsi soddisfatte di questo album e ripagate dello sforzo. Questo è solo l’inizio di una carriera sempre più da tenere sott’occhio.

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Ogni stella in cielo

Chiudo con Dori Freeman, la lunga lista di nuovi album che sono stati pubblicati dopo l’estate. Settembre è stato un mese particolarmente ricco di novità che sto ancora ascoltando oggi. Il nuovo Every Single Star segue l’ottimo Letters Never Read del 2017 che mi aveva fatto conoscere questa cantautrice americana che, con il suo country in equilibrio tra gioia e malinconia, mi aveva conquistato. La sua sensibilità e la sua capacità descrivere le piccole cose semplici della vita sono, fin dalla prime battute, caratteristiche di questo album e della sua produzione fin qui. Questo suo terzo disco non poteva mancare nella mia collezione e, anche se con un po’ di ritardo, sono qui a scriverne.

Dori Freeman
Dori Freeman

Si comincia con la bella That’s How I Feel. Qui Dori Freeman prova a spiegare con parole semplici ed immagini, cosa si prova quando si è lontani dalla persona amata. Un country classico ma che funziona sempre, “One bird fallen far from the nest / One heart beating wild through a breast / One child sat away from the rest / That’s how I feel when I’m without you“. All I Ever Wanted affronta le difficoltà di un amore che ha perso un po’ della sua forza. La voce della Freeman, dolce e triste, si muove leggera in un country melodico d’altri tempi, “I’ve been growing tired but you don’t seem to care / You left out the scissors so I cut my hair / Leaving in your navy suit like a millionaire / Once upon a time, you won me a teddy bear“. Like I Do è una lettera d’amore per la figlia. La Freeman cerca di esprimere tutto l’amore che prova per lei, con un canto confortevole e materno, in una musica brillante e gioiosa, “Yellow  hair like a marigold / Big ol’ heart waiting to unfold / Your little hand in mine I hold / I’ll be here ‘til you wanna let go“. Con You Lie There si torna all’amore e alle sui dolori. Una canzone malinconica e poetica che mette in luce la sensibilità di quest’artista e il suo talento a mettere in musica le emozioni, “If I told you that I love you / Would you walk away? / Tell me that you’d stay / I can see you’re almost crying / I swear I’m trying / To find a way“. La successiva Another Time è un ottimo esempio di come la Freeman riesca a mescolare gioia e tristezza nella stessa canzone. La nostalgia qui prende il sopravvento, risultando piacevole, “Sat in the back‚ we were singin’ / Voices like bells‚ they were ringin’ / I know those boys were all dreamin’ / Of us / Did I, did I know you in another time / Laughing, locked arm-in-arm drinking too much wine“. Go On è una ballata triste, una riflessione sulla vita e sul tempo. Qui Dori Freeman tira furori la sua vena più triste senza risultare mai patetica e facendo provare una forte empatia con chi ascolta, “Maybe you’ll come around and change your ways / That fog you’re living in might finally raise / I know within you there is good deep down / But I’m done looking for a thing I never found“. Darlin’ Boy è un country vecchia scuola. Una ballata d’amore, calda e sentimentale, nella quale trova spazio la malinconia. La Freeman è perfetta con la sua voce innocente ma carica di emozione, “Now there’s a spark in the touch of your hand / I didn’t feel it before / I swore I’d fight it and never invite it / But I can’t deny it no more“. Walls Of Me And You dà lo spunto per il titolo dell’album ed è una canzone su un amore fallito ma nel quale vive ancora una speranza. Dori Freeman percorre la sua strada, la sua musica, continuando nel migliore dei modi, “It’s time to tear it down, burn it to the ground / It wasn’t sound, it wasn’t true / It was bound to fall, nothing left at all / Between the walls of me and you“. 2 Step vede la partecipazione di Teddy Thompson, che in coppia con la Freeman crea una delle canzoni più deliziose di questo album. Una dichiarazione d’amore per due, “You  can say that you don’t love me / I know that you do / I could walk away / But I’ll come running back to you / I  fall every time / I’m yours and you’re mine“. Chiude l’album la bella ballata I’ll Be Coming Home che racconta la difficoltà di essere mamma ed stare sempre in viaggio per lavoro. Ma la Freeman rassicura tutti che prima o poi tornerà a casa, “I’ll be heading down the road / But I don’t want to go / You know I’d go penniless / To stay and watch you grow / Still, a living must be made / On a microphone / I may be a little late / But I’ll be coming home“.

Every Single Star è un album personale e delicato, nel quale Dori Freeman affronta due temi a lei molto cari e tra loro molto vicini, l’amore e la maternità. Questa cantautrice dimostra che dalle piccole cose semplici della vita nascono canzoni altrettanto semplici e sorprendenti. Dori Freeman canta sempre con voce serena, mai troppo triste o troppo gioiosa, carica di speranza e sentimento. Questo album racchiude l’essenza di questa cantautrice e della sua musica, nostalgica di un country che si ispira alle origini e alla sua predisposizione ad essere un genere sincero e confidenziale. Every Single Star è un album godibilissimo sotto ogni punto di vista e una conferma ad alti livelli per questa cantautrice.

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Il gioco degli specchi

Dopo la pubblicazione della raccolta Phases del 2017, che racchiudeva il percorso artistico della cantautrice americana Angel Olsen, che sua volta seguiva l’album MY WOMAN dell’anno precedente, ha visto la luce il nuovo All Mirrors. Fin dal singolo di presentazione del album era chiara la scelta di fare un passo indietro rispetto alle ultime sonorità indie pop e abbracciare qualcosa di più ricercato ma allo stesso tempo vicino agli esordi. Angel Olsen è ormai una certezza nel panorama cantautorale femminile e ha dettato alcuni stilemi che molte provano ad imitare. Questo album appare come il suo progetto più ambizioso ed artistico nel vero senso della parola.

Angel Olsen
Angel Olsen

Lark inzia sommessamente richiamando le sonorità tipiche dalla Olsen. Addentrandosi poi nella canzone il ritmo e la melodia esplodono, così come la voce, in un tripudio etereo di suoni. Un amore problematico, difficile da dimenticare è il motore di questa canzone, “Wishing we could only find one another / All we’ve done here is blind one another / Hate can’t live in this heart here forever / Have to learn how to make it together“. La title track All Mirrors affronta il passare del tempo con un vago senso di disperazione e rassegnazione. Angel Olsen usa la sua voce affilata per fa emergere un disagio profondo, sostenuta da una musica cupa e orchestrale. Uno dei migliori brani di questo disco, “Standing, facin’, all mirrors are erasin’ / Losin’ beauty, at least at times it knew me / Standin’, facin’, all mirrors are erasin’ / Losin’ beauty, at least at times it knew me / At least at times it knew me / At least at times it knew me“. Too Easy è una canzone indie pop delicata e sognante che rappresenta una delle variazioni più significative del disco. C’è però sempre quella atmosfera monocromatica che lo caratterizza, “I’m not alone I’m not / The real truth of it all / Is that I haven’t lost / After the wait, come down / I looked around and found something else / Something that was bigger than us / Bigger than us“. New Love Cassette vira verso un rock dove la musica distorta e dai toni bassi fa da sfondo al canto sussurrato e sfuggente della Olsen. Una canzone d’amore lineare ma sporcata da sontuoso accompagnamento orchestrale, “I’m gonna help you see when you’re hard to find / Gonna gather strength, give you all my mind / Wanna show you my love all the time / Wanna hold you close and let you lie“. La successiva Spring accende una piccola luce nella grigia tensione di questo album. Le sonorità retrò sono un territorio nel quale la Olsen si sa muovere, riuscendo sempre a metterci del suo, “Show me a love that / Won’t ever leave / Or look for another / One to deceive / I’m beginning to wonder / If anything’s real / Guess we’re just at the mercy / Of the way that we feel“. What It Is riprende il filo di un indie rock che accende l’album. Si ritrovano tutte le caratteristiche di questa cantautrice, come le chitarre e il canto melodioso e sommesso ma con l’aggiunta degli archi, la costante del disco, “It’s easy if you tell the truth / But knowing what it is it’s not enough / And knowing that you love someone / Doesn’t mean you ever were in love“. Impasse spezza l’album, rallentando il ritmo e abbassando di nuovo le luci. Dopo un inizio sottotono, l’orchestra torna protagonista e la Olsen si lancia in un’interpretazione sofferta di grande impatto, “You think this is what I wanted when I said / I’m just living in my head / I’m just living in my head / I’m just working for the name / I never lost anyone / I never lost anyone / I never lost anyone“. Tonight è uno dei brani che più ricordano gli esordi della Olsen. La voce appena accennata che tratteggia la melodia e la musica che cresce pian piano. Un inno alla ritrovata serenità e alla scoperta di sé stessi, “I like the air that I breathe / I like the thoughts that I think / I like the life that I lead / Without you / Without you / Without you / Without you“. Con Summer ritroviamo una Angel Olsen dalle tinte indie, anche un po’ folk, e delicatamente elettroniche. Una canzone intensa ma elegante e misteriosa, nonché una delle più mature di questo album, “And all those summer days were like a dream / Woke me from a restless sleep / Made me quiet, had me weak / And all the weight of all the world came rushing through“. Segue Endgame, nella quale troviamo la voce della Olsen, solitaria ed inafferabile. Anche questa volta riesce a dare prova del suo talento, tracciando una melodia quasi esclusivamente con la voce, che è di fatto, è lo strumento musicale più in evidenza in questa occasione, “Life carries on just like a song I sing, but I don’t know / I walk away from all the noise and I’m on my own / I don’t know how to speak with you, I’d rather be alone / But somehow whenever I do, I wonder why so long“. Si chiude con Chance, ballata solitaria e notturna. Il passato affiora dalla sua musica e dal canto, tutto è perfettamente in armonia. Così classico, così moderno, “I’m leaving once again / Making my own plans / I’m not looking for the answer / Or anything that lasts / I just want to see some beauty / Try and understand / If we got to know each other / How rare is that?“.

All Mirrors, oltre ad essere un nuovo capitolo della carriera di Angel Olsen, è anche l’album che più la rappresenta. C’è il suo lato indie rock, quello più pop e folk. C’è anche un revival di sonorità del passato, oltre ad un approccio moderno. L’uso preponderante degli accompagnamenti orchestrali danno una nuova dimensione alla musica di questa cantautrice, senza soffocarla con inutili orpelli. Uniche costanti in un album così vario, sono la voce inconfondibile della Olsen e le atmosfere in bianco e nero che lo pervadono. All Mirrors è l’album che consacra definitivamente Angel Olsen tra le cantautrici di razza, anche se non c’era bisogno di ulteriori conferme vista la sua discografia. Il mio rapporto con la Olsen rimane lo stesso di sempre. Sono affascinato dal suo stile ogni volta che l’ascolto ma tendo ad ascoltarla solo in determinate circostanze, senza distrazioni. Se non conoscete Angel Olsen, questo All Mirrors, è un buon punto di partenza per scoprirla.

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Una figlia del vento

Anche se Michaela Anne è un nome nuovo tra le pagine di questo blog, la sua musica fa parte della mia collezione già da qualche tempo. Il suo Bright Lights And The Fame uscito nel 2016, mi ha fatto conoscere questa cantautrice americana dalle sonorità tipicamente country e allo stesso tempo giovani e moderne. Lo scorso settembre è uscito Desert Dove, seconda tra le sue pubblicazioni più importanti, la quarta partendo dal debutto del 2011. Questo album segna un passaggio importante per Michaela Anne, il tentativo di entrare a far parte di quel country più in vista e rivelarsi per una delle sue stelle più promettenti.

Michaela Anne
Michaela Anne

By Our Design apre il disco con un bel country carico di sentimenti. La voce della Anne è dolce e melodiosa con quella venata malinconia che la contraddistingue. Una canzone sulla bellezza di una vita e di un amore semplice, “Straight jobs and steady pay / Were never in our cards to play / Late nights and songs to sing / And long drives are our trade / Chasing mountain highs and painted skies / Will keep us on our way“. One Heart è una canzone d’amore che forse si sta bruciando troppo in fretta. Qui si sentono delle sonorità più rock, ammorbidite dalla voce della Anne. Una canzone che ha la forza della giovinezza ma l’esperienza della maturità, “So I lean in close, I can’t help myself / I’m telling all the secrets that I shouldn’t tell / Like a high I’m chasing, you’re the drug I choose / Now I’m all-in blind with everything to lose“. La successiva I’m Not The Fire è un bel country vivace, che richiama le tonalità del precedente album. Non solo, dunque, canzoni d’amore ma anche qualcosa di diverso, nel quale la Anne non sfigura affatto, “Now your house is burning under your feet / While your eyes are burning holes in me / Can’t fight that a flame that you stoke / I’m not the fire, I’m just the smoke / I’m not the fire, I’m just the smoke“. Child Of The Wind affronta le difficoltà e le gioie di una vita sempre in viaggio. Michaela Anne non nasconde quale siano le due facce della medaglia scegliendo di cantare come lavoro, “On the road in California / With the windows all rolled down / I’m driving by myself / But I’ve got a friend in every town / Sure, I might get lonesome / When the desert turns to night / But just like every new kid knows / Looking out at highway signs“. Tattered, Torn And Blue (And Crazy) è una ballata country che richiama le sonorità del passato. Ancora l’amore è il protagonista. Questa volta è tormentato e difficile, la voce della Anne è leggera ma segnata da un profondo sentimento di tristezza, “I had a friend, but she turned her back on me / Never told me why, just decided to leave / So I’m still waiting, hoping to find / Someone to love me through the hardest of times“. La title track Desert Dove è un piccolo gioiellino racchiuso in questo album. Una storia da raccontare e da interpretare, che lascia spazio all’immaginazione e all’emozione. La canzone più matura e affascinante tra queste, “I met a dove in the desert / Her name was Madeline and she was aglow / Her dress was white and off her shoulders / She told me of the many men she’d known“. Ad alleggerire un po’ l’atmosfera ci pensa Run Away With Me. Un altro vibrante country nel quale la Anne canta il desiderio di un amore libero e avventuroso, sempre con la sua voce pulita ma forte, “Headed east through Arizona / Where the cactus flowers bloom / They grow wild just like our love / Like me and you / Let our friends worry about us / Wonder where we’ve gone off to / We go where they’ll never find us / Me and you“. Two Fools è un lento country che si affida ad uno schema ben rodato. Pedal steel e chitarre creano un’atmosfera d’altri tempi, il canto fa il resto. Una canzone piacevole, pervasa da un senso di nostalgia ed anche un po’ di rassegnazione, “Don’t hold me too close if we dance at the bar / I won’t look in your eyes, I’ll keep my gaze fixed somewhere afar / Someone might see and think we’re in love / They won’t understand we’re just two fools / Who can’t say enough is enough“. If I Wanted Your Opinion sotto l’apparente piglio divertito della canzone si palesa un messaggio femmista. C’è qualcosa di più di un bel faccino ed il desiderio di sistemarsi con un uomo. Qui la Anne rivedica il suo diritto di essere donna, fare le sue scelte e pensare con la sua testa, “I’m not a poster on the wall, I’m not a porcelain doll / I think it’s funny how you think you run the show / Don’t try to tell me how to be, I’m not some puppet on a string / And if I wanted your opinion, you would know“. Somebody New si affida a sonorità più moderne e pop. L’amore continua ad essere il motore di questo album. Michaela Anne dimostra ancora una volta la sua sensibilità e attenzione alle piccole sfumature della vita, “I think I lost my mind like the selfish kind I hate / Or maybe I just listened to myself to know our fate / If it’s in the face of another that we love and live / I saw myself in yours ‘til I had no more to give“. Si finisce con la semplicità di Be Easy. Una canzone triste ma carica di conforto. Sono canzoni come così che possono far apprezzare davvero l’abilita di cantautrici come questa, “When you’re all alone and no one’s ‘round to hear you out / You can call me up any night or day, I will come around / When bitterness and pain have darkened your heart and mind / I will love you just the same as when you are full of light“.

Desert Dove è un passo in avanti per Michaela Anne, sia musicalmente che nelle tematiche. La sua scrittura si fa più raffinata ed attenta, rimanendo legata alle sonorità country, non senza affrontarne altre più contemporanee. Questo è un album nel quale le ballate più lente ben si mescolano con un country più vivace e giovane. Michaela Anne con la sua voce riesce ad alleggerire e allo stesso tempo sottolineare i sentimenti che pervadono le sue canzoni. Desert Dove è davvero un buon album nel suo complesso ma anche preso singolarmente, canzone per canzone. Un album che potrebbe dare il via ad una fase importante della sua carriera e, per noi fan, il piacere di poterla riascoltare di nuovo.

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Porte girevoli e mezze verità

Le tre sorelle Closner, Allison, Meegan, e Natalie hanno alle spalle due album con i quali hanno dimostrato di essere cresciute molto, arricchendo e sviluppando il loro pop. Il loro terzo album Good Luck, Kid uscito lo scorso settembre prometteva, già a partire dai singoli, ulteriori sviluppi. Seguo le Joseph dal 2014 e ogni volta sono sicuro di trovare dell’ottimo pop al femminile, energico e vivace nelle loro canzoni. Se la svolta marcatamente pop del precedente album si fermava a pochi brani, qui le tre sorelle si lasciano trasportare dal dolce richiamo del genere musicale più famoso ed indefinito di sempre. Non resta quindi che fare altrettanto, premere play e alzare il volume.

Joseph
Joseph

Il singolo di punta, Fighter, apre l’album con una bella dose di energia. Il ritmo esplosivo e le chitarre si scatenano in un ritornello orecchiabile. Queste tre ragazze mettono subito le cose in chiaro e tracciano le linee guida di tutto l’album, “Wide eyes, eyes wide / I want a fighter / Don’t lie this time / I need a fighter / You’re my bright side / I want it brighter / Don’t leave me in the dark / Don’t leave me in the dark“. La title track Good Luck, Kid è un pop dalle venature elettroniche. Le atmosfere notturne e le immagini che si susseguono veloci fanno di questa canzone una delle più sorprendenti di questo album. Un’ottima prova per le Joseph che dimostrano di saperci fare, “They handed you the keys / The driver’s seat is yours now / There’s nothing left to lean on / You’re the queen from here on out / No time for doubt / Good luck, kid“. Si rallenta con Green Eyes ma è un illusione. Il ritornello è un liberatorio pop rock ben bilanciato con la melodia delle strofe. Impareggiabile l’energia e la capacità di queste ragazze di non strafare mai, “Could’ve been the way / The moonlight hit the dashboard / Passenger window rolled down / That got me thinking / There’s something we should talk about / It’s not worth waiting out“. Le chitarre battono il tempo in In My Head. Le Joseph cantano all’unisono con la consueta forza ed energia. Un pop martellante ma addolcito da un’attenzione particolare per la melodia, “I’m trying to read your body language ‘cross the table / Wish I could see behind your eyes into the future / Cause here in my mind / Think I’m starting to try / I hope you can’t tell“. NYE richiama il pop anni ’80 nel quale le tre ragazze sembrano a proprio agio. Un lento da discoteca ben fatto e piacevole da ascoltare, con un testo semplice ma ispirato, “I don’t really feel a whole year older now / I’m still shaking but I’m bolder now / I need you to hold me even closer now / I know we’ll make it another year / But I don’t know how“. La successiva Revolving Door torna su sonorità più affini alle produzioni precedenti. Ritmi lenti e melodie in primo piano veicolano l’emozione nelle voci del trio americano, che non si risparmia in energia, “I forgave you for your mistakes / Somehow I’m the one who paid / Don’t you know it’s such a let down / I made it easy for you / She kept coming around / In a revolving door / Won’t someone let me out now / And make this go away“. Half Truths è una delle mie preferite. La batteria conduce, la chitarra tratteggia la melodia fino ad un esplosivo ritornello. Ancora una volte le sorelle Closner bilanciano alla perfezione le strofe più lente e riflessive, con il ritornello pop, “I’m in danger and I’m safe / Running fast, standing in place / I’m both things at the same time / And I don’t think it’s lying / To say half truths / So I have to tell myself to get through“. Presence è la più oscura dell’album. Qui l’anima rock prende il sopravvento, rivelandosi con il suono della chitarra elettrica. C’è ancora la notte che incombe su questa canzone, come in gran parte di questo album, “I was sitting in the backseat / Looking out the window / Riding in the fast lane / Not sure who was driving / I blink my eyes / The scene is gone“. Without You è la rappresentazione di questo album. Tutta la vitalità del gruppo emerge prepotente e scalda il cuore. Una ritornello da cantare a squarciagola, “Once you know something you can’t unknow it / Once you feel the buzz of a lightning strike / Once you see something you can’t unsee it / You’ve never been happier to lose a fight“. Un momento riflessivo con Side Effects. Le Joseph uniscono le loro voci, in una sola melodia, il risultato è straordinario. C’è tutta la dolcezza e sensibilità di queste ragazze, “First note you played on that midnight piano / Our voices raised, holding the stars in place / The first mile on the first road where we let go / First time we let our hearts race“. Segue Enough In Your Eyes. Pulsazioni elettroniche aprono uno dei brani più ambiziosi e originali di questo album. Le voci delle Joseph scivolano su un tappeto di suoni minimali, aprendo la strada verso nuovi territori sonori da esplorare, “Why do I hand you my pride / Give away what’s rightfully mine? / Why do I wait for you to say / When to slump my shoulders / Or stand up straight?“. Shivers torna su un pop più in linea con l’album. Questa volta però le ragazze fanno a meno di un ritornello liberatorio e optano per mantenere la tensione costante, più con il canto che con la musica, “Did I make it up / Everything I trusted? / Cause now it’s burning from the edges / Here the fire comes / Making ash and dust out of / Everything that made sense“. Room For You chiude il disco ed è una accorata ballata pop. Niente elettronica o ritmi sostenuti, solo le tre voci e un accenno di chitarra, “I hope to God the world will make some room for you / I hope you’re seeing colors that that world sees through / You know I’ll be right here holding this dream for you / I hope to God the world will make some room for you“.

Good Luck, Kid può rappresentare un punto di svolta per la carriera delle Joseph. Dopo il timido esordio in bilico tra folk e pop, e la successiva dimostrazione di preferire quest’ultimo, le sorelle Closner, con questo disco, lo abbracciano definitivamente. Lo fanno con  forza ma anche con sentimento, attraverso i testi mai banali che spesso risultano orecchiabili. La loro musica è trascinante e carica di speranza, non gioiosa o allegra, ma semplicemente viva. La copertina dell’album, dove le tre ragazze siedono in un automobile che sembra sfrecciare tra le luci della notte, rappresenta bene le atmosfere  al suo interno. Good Luck, Kid a mio parere è il miglior album delle Joseph, il primo nel quale le ho trovate particolarmente libere di esprimersi, senza la paura di staccarsi troppo da quel pop familiare e intimo con le quali sono nate. Il loro futuro è nelle loro mani e questo è solo il primo passo nella direzione giusta.

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