Fuori dal tempo

Colter Wall, giovane cantautore canadese, ha esordito con uno degli album country più belli dello scorso anno, intitolato appunto Colter Wall (Questo vecchio ragazzo). Qualche settimana fa è tornato con un nuovo album, Songs Of The Plains, dal quale era lecito aspettarsi nient’altro che dell’ottimo country. Perché Colter Wall, con la sua voce unica e quasi irreale per i sui ventitré anni, è nato per fare country. La sua musica sembra non avere età, ancorata a schemi piuttosto rigidi e consunti ma in grado di conservare un fascino del tutto particolare. La prova del secondo album non si è fatta attendere, a Colter Wall bastano una chitarra e poche note per cominciare il viaggio.

Colter Wall
Colter Wall

Plain To See Plainsmen apre l’album. Una bellissima ballata, una dichiarazione d’amore per la sua amata terra. La voce di Colter Wall sembra scavare profonda nella memoria e tirare fuori sensazioni e ricordi così vividi che sembra di vederli, “Let me die in the country that I love the most / I’m a plain-to-see plainsman, and this I will boast / A heart that lies far from the East or West Coast / This plain-to-see plainsman is longin’ for home / Longin’ for home“. Saskatchewan In 1881 rievoca un mondo la vita era dura e non si esitava a sfoderare una rivoltella per difendersi dall’ennesima ingiustizia. Wall sembra poter viaggiare nel tempo, “Mr. Toronto man, go away from my door / You’ve got my wheat and canola seed, you’re askin’ me for more / Better fly ‘fore I produce my .44“. La successiva John Beyers (Camaro Song) racconta una storia di vendetta. Questo Beyers non la passerà liscia, chi canta non smetterà di dargli la caccia finché non avrà pagato con la vita. Cose che succedono, “John Beyers blew three holes in my ride / He put two in the tires and one in the side / Side panel of my 1969 / Camaro, and so it’s John I must find“. Wild Dogs è una cover dell’originale di Billy Don Burns. Una lenta ballata carica di nostalgia di un passato di uomini liberi e giovani. Colter Wall riesce ad essere ancora più intenso dell’interpretazione di Billy Don Burns, un prova incontrovertibile del suo talento, “We’d go runnin’ through the forest with the grace of an eagle / With the freedom of the wind and the strength of our youth / Just like our old friend the Indian, we’d only kill to feed ourselves / Or to protect those we loved from danger“. Calgary Round-Up è una canzone di Wilf Carter, storico cantautore country canadese. Colter Wall trasforma in una ballata il più gioioso yodel dell’originale. Il risultato la ringiovanisce soprattutto musicalmente, “We’re a jolly bunch of cowboys and we hope you are the same / We have no cares, the laws we seldom heed / Come gather in our circle and we’ll sing this round-up song / Headin’ for the Calgary Stampede“. Night Herding Song è una canzone country tradizionale. Solo voce o quasi, per un brano che incarna tutto lo spirito di questo genere. La vita è dura, sembra voler dire, “Oh say, little dogies, why don’t you lay down? / You’ve wandered and trampled all over the ground / Lay down, little dogies, lay down“. Wild Bill Hickok racconta le imprese del pistolero fuorilegge James Butler Hickok. In poco meno di tre minuti, Colter Wall, riesce a condensare la sua spericolata e leggendaria vita, “Wild Bill was born in Illinois on dry and fertile land / Pioneer of pistol ears and a dead shot with each hand / Claim he was the quickest, there’s few who’d ill-agree / If you were yet to saw this plainsman draw, still breathe like you and me“. The Trains Are Gone dipinge un paesaggio dimenticato. Basta poco, davvero poco, a questo cantautore per evocare luoghi spesso lontani da chi ascolta, “I know I’m young, I know I’m young / I’ve seen too few a settin’ sun / But the more I run the changes come / Swift as a freight train, the kind that’s gone“. Thinkin’ On A Woman sembra venire direttamente da un’epoca passata, dove tutto era più semplice e chiaro. Eppure è una canzone originale di Wall ma che riesce a cogliere le atmosfere di un tempo, “He’s been singin’ sad songs / Thinkin’ how she’s long gone / He’s treatin’ those that love him wrong / He’s ornery as the night is long / He’s been singin’ sad songs / Thinkin’ how she’s long gone / Thinkin’ on that woman / Thinkin’ on that woman“. Manitoba Man è un’altra ballata di grande impatto dove il viaggio e la vita si fondono, quasi fossero la medesima cosa, “But my time is past due and I ought to be movin’ along / I’ve been kickin’ my feet, wanderin’ these streets for too long / My good gal, she tells me she’s dreamin’ of raisin’ a son / But my time is past due, I ought to be movin’ along“. L’album si chiude con la tradizionale Tying Knots In the Devil’s Tail. Questo brano vede la partecipazione di Blake Berglund, anche lui canadese come Wall. Una canzone che rappresenta una spensierata eccezione in questo album, dove alcuni cowboys fanno fare una brutta fine nientemeno che al diavolo in persona, “So if you’re ever up in the Sierry Petes / And you hear one hell of a wail / Know it’s that Devil a-bellowin’ ‘round / About them knots in his tail / You’ll know it’s that Devil a-bellowin’ around / About them knots in his tail“.

Muovendosi tra brani originali, cover e canzoni tradizionali,  Colter Wall riesce sempre a trasportare l’ascoltatore in un mondo fatto di storie. Songs Of The Plains vuole essere proprio questo, un viaggio, fatto di parole e musica, che attraversa la sua terra giunge fino a noi. Colter Wall sembra sbucare dal passato, l’ultimo cavaliere rappresentate di un genere musicale che ha subito profonde trasformazione con il passare degli anni. L’impressione è quella di trovarsi davanti ad un incorruttibile anima country fuori dal tempo ma del quale si sente di averne un inconsapevole bisogno. Songs Of The Plains è un album nel quale Colter Wall riesce a dare il meglio di sé, dando l’impressione di poter scrivere e cantare canzoni come queste per il resto dei suoi giorni.

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Un bel niente

Risale al 2015 l’EP d’esordio della cantautrice Kaity Dunstan, conosciuta con il nome di Cloves, intitolato XIII (Fragile). Questa ventiduenne australiana ha aspettato tre anni per mettere alla luce il suo primo album intitolato One Big Nothing, uscito lo scorso settembre. Anche se quello di Cloves non è strettamente vicino ai generi musicali che preferisco, è innegabile il fatto che questa ragazza abbia una voce davvero eccezionale. Inoltre, ogni tanto, non disdegno qualche incursione in territori musicali nei quali non sono particolarmente ferrato. Fin dai primi estratti, One Big Nothing, era un chiaro prosieguo di XIII e dunque ero sicuro che ci avrei trovato la stessa sua energia e lo stesso fascino un po’ soul, un po’ rock, un po’ alternative.

Cloves
Cloves

L’iniziale Bringing The House Down detta il ritmo dell’album, svelando ci tutto il fascino della voce calda di Cloves, capace di essere sia delicata che graffiante. Un mix di stili in equilibrio tra loro, “I can see it burning out / And I won’t stop trying to fuel that fire in you / Feel it burning out / And I won’t stop trying to keep that fire burning“. Wasted Time è una ballata rock che racchiude quel malessere che fa da sfondo all’album. La Dunstan modula la voce, affondando e levando la lama in una ferita ancora aperta, “And I’m cruel to be kind / Don’t like it but you let it down / But you let me down / You’re not on my mind / Don’t like it but you let go / ‘Cause you’ll never know“. Better Now sembra esprimere un momento di pace interiore ma troppo fragile per durare. Bordate di chitarra spezzano l’incanto creato ad arte, contrastando con il resto del brano. Da ascoltare, “Then I hear you leave / And I’m happy / Just for a moment I’m free / Then it dawns on me / Then our time has passed / Now it won’t last / And I’m getting nowhere fast / That’s a fact“. Con California Numb, la Dunstan, affonda le unghie con un rock bello tirato. La sua voce si adatta morbida ad ogni forma che la musica le presenta, mantenendo una venatura di rabbia apparentemente insanabile, “I’m just a face in the crowd / We took a life for a ride / I’m California numb, and I’m damaged by the sun / If you could only see me now / You can hear the punchline / That I don’t like my face / Or how I’m turning out“. Pulsazioni rock, aprono la bella Hit Me Hard. Cloves confeziona uno dei brani più immediati e orecchiabili dell’album con echi anni ’90, “And I’m an honest drunk / We’ve got a lot to talk about / You were everybody’s sign / It’s funny how it’s working out“. Frail Love, è uno delle due canzoni provenienti dal precedente EP. Una splendida ballata pop, cucita sui virtuosismi, mai eccessivi, della voce delle Dunstan. Una canzone di una purezza disarmante, dimostrazione di un innato talento, “But I can’t live it like I’m living / I can’t live a lie / I’m giving up more than I should / Forgive me for my frail love / And I can’t live it like I’m living / I can’t wait up nights / So tell me once and it’s enough / Forgive me for my frail love“. Con Kiss Me In The Dark , Cloves affronta la propria sessualità, con sensibilità e altrettanta energia. Questa giovane cantautrice interpreta il brano con una sicurezza e determinazione invidiabili, “It’s been a while since somebody made me gay / It’s not a simple love affair / And I hope that you know, you won’t stop me coming over / ‘Cause I feel better when you’re there“. La successiva Up And Down sottolinea il tema portante dell’album. Cloves ammalia con la sua voce, muovendosi sinuosa tra sferzate rock e i ritmi della ballata, “Now I’ve wasted the day / Made no plans by to slowly waste away / And over and over, it never ends / And I guess I’ll just get back into bed“. Anche Don’t You Wait arriva direttamente dal suo EP. Un’altra ballata rock con un tocco soul dato dalla voce della Dunstan. Tutte le sue peculiarità le potete trovare qui, “Do me a favor just keep me near / Don’t you remember when you said what I wanted to hear? / I’m not so clever, but I know it’s real / If I left without you I don’t know if I’d ever heal“. Chiude l’album la title track One Big Nothing. Le chitarre sostengono la fragilità delle voce di Cloves, spezzata da un sentimento difficile da spiegare, “Looking back over my shoulder / I fear you’re not far behind / And every day you’re getting closer / Am I out of time? / Will anybody even notice / The blood all over my eyes? / ‘Cause it’s bringing into focus“.

One Big Nothing è un album nel quale viaggia sottotraccia un malessere, un profondo vuoto difficile da colmare. Cloves prova a dare voce (e che voce) a qualcosa che non sì può racchiudere in una sola canzone. I vari aspetti della sua musica e dei suoi testi spingono tutti in questa direzione. One Big Nothing non è un album leggero nei contenuti ma con il suo modo di presentarsi, così accattivante e un po’ maledetto, aiuta a sopportare un altrimenti difficile percorso interiore. La giovane Kaity Dunstan gioca, o forse no, con un atteggiamento un po’ disfatto e decadente. Qualunque che sia l’origine di tutto questo, Cloves dimostra di essere artisticamente più matura della sua età e di non avere nulla da invidiare alle colleghe ben più note di lei. One Big Nothing è una prova maiuscola che può rappresentare l’inizio di una carriera interessante.

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Ma come fanno i marinai…

Kelly Oliver è stata tra le prime cantautrici con le quali mi sono avvicinato alla musica folk, anche quello tradizionale. Dopo il suo esordio This Land (Adamantina) nel 2014 e il successivo Bedlam (Perdere la testa), il nuovo album, intitolato Botany Bay, vede la cantautrice inglese alle prese con il folk tradizionale. Un disco composto da dieci brani tratti dalla tradizione, in particolare quelli legati alla sua contea di Hertfordshire, molti dei quali raccolti da Lucy Etheldred Broadwood (1858 – 1929), fondatrice della Folk Song Society. Botany Bay è quindi doppiamente interessante per me, perché si tratta comunque del nuovo album di Kelly Oliver, che è tra le cantautrici folk che preferisco, e un album di folk tradizionale che è un territorio musicale nel quale c’è sempre qualcosa da scoprire.

Kelly Oliver
Kelly Oliver

The Miser & His Daughter apre l’album. Racconta la storia di una ragazza che si innamora di un giovane marinaio. Il padre, nella canzone è l’avaro, fa imbarcare il ragazzo su una nave per separarlo dalla figlia. Ci sono tutte le caratteristiche della musica della Oliver che dà nuova vita alla tradizione, “It’s of an old miser in London did dwell, / Who had but one daughter that a sailor loved well. / And when this old miser was out of the way / She was courting her sailor by night and by day“. Segue la title track Botany Bay che racconta il triste destino dei condannati in esilio sulle coste australiane, spesso anche per reati di poco conto. Qui troviamo il suono del banjo e dell’armonica a bocca in primo piano. Trees They Do Grow High è probabilmente la canzone più bella di questo album. Racconta la storia di un matrimonio che finisce con la morte prematura del giovane marito e padre. L’interpretazione di Kelly Oliver, così addolorata, è perfetta e la musica essenziale lo è altrettanto, accompagnandola per oltre sei minuti, “At the age of sixteen he was a married man, / And at the age of seventeen he was a father to a son, / And at the age of eighteen the grass grow over him, / Cruel death soon put an end to his growing“. The Bold Fisherman riporta un po’ di allegria con la storia di una donna che scambia un nobile per un pescatore. Il ricco signore, nonostante lo scambio persona poco lusinghiero, decide comunque si sposare la ragazza. In Dark Eyed Sailor si racconta di due innamorati rimasti a lungo separati che inizialmente non si riconoscono. Lo stile è quello della Oliver dei precedenti due album ed è perfetto per la canzone, “It’s of a comely young lady fair / Was walking out for to take the air. / She met a sailor all on her way; / So I paid attention, to hear what they did say“. The Bramble Briar una vera e propria murder ballad dove due fratelli uccidono l’amante della sorella. La musica è carica di tensione mistero con la voce della Oliver che avanza furtiva, “In Bruton town there lived a farmer, / Who had two sons and a daughter dear. / By day and night they were contriving / To fill their parents’ heart with fear“. In Lady Margaret si racconta la storia di Lady Margaret, appunto, e del suo promesso sposo William che finirà per sposare un’altra donna. La donna morirà di crepacuore, come spesso succede nelle ballate folk, per poi tornare come fantasma e tormentare il traditore. Solo voce per questa canzone che si sorregge su un effetto di echi molto moderno, che sembra uscito direttamente dall’ultimo Bon Iver. Un tocco di modernità davvero ben riuscito. Curioso anche il caso di Cuckoo’s Nest. Il tema della canzone è piuttosto evidente leggendo il testo originale e Kelly Oliver decide di eliminare l’ultima strofa che racconta la definitiva sottomissione di una donna alle richieste dell’uomo. Un altro modo di rendere moderna una canzone tradizionale in modo intelligente, “Some like a girl who is pretty in the face, / And some like a girl who is slender in the waist. / But give me a girl that will wriggle and will twist: / At the bottom of the belly lies the cuckoo’s nest“. Caroline & Her Young Sailor Bold è un’ altra storia d’amore, questa volta a lieto fine. La giovane Caroline lascia tutto per partire per mare con il suo amato marinaio. Kelly Oliver sfodera tutta la sua voce, seguita dalla band che rende questa canzone una delle più orecchiabili e trascinanti di Botany Bay, “It’s of a rich nobleman’s daughter, / So comely and handsome we are told. / Her parents possessed a large fortune / Of forty-five thousand in gold. / This noble man had but one daughter, / Caroline was her name we are told. / One day from her drawing-room window, / She admires the young sailor bold“. Chiude l’album Died Of Love dove una donna viene abbandonata dall’uomo che la messa incinta. Lei distrutta dal dolore vorrebbe morire e lasciare il suo figlio all’uomo. Ancora una ballata triste come molte altra ballate della tradizione inglese.

Botany Bay racchiude tutta la storia e la magia del folk tradizionale, rinnovando questi aspetti con un piglio fresco ed un accompagnamento musicale ricco e potente. Kelly Oliver con la sua voce cristallina per dare forma ad ogni brano, interpretando in maniera impeccabile i sentimenti che ognuno di essi porta con sé. Questo dimostra un rispetto sincero del loro significato e del periodo storico dal quale provengono. C’è anche voglia di sperimentare ma soprattutto di diffondere alle nuove generazioni il patrimonio folk inglese. Sono sicuro che Kelly Oliver saprà trarre nuova ispirazione per i suoi futuri inediti da un album come Botany Bay, che segna un altro passo in avanti nella crescita di quest’artista. Come è successo per me, potrebbe succedere anche a voi di avvicinarvi al folk tradizionale grazie a Kelly Oliver e a questo album.

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Tra terra e acqua

Il mese di settembre si è rivelato ricco di tante nuove uscite, in particolare album d’esordio ai quali, come questo blog può testimoniare, non posso resistere. Se aggiungete il fatto che l’album in questione lo aspettavo da almeno due anni, allora niente e nessuno poteva tenermi lontano da questo Namer Of Clouds. L’album segue l’ottimo EP Tide & Time (Prossima fermata) del 2016, che vedeva la giovane cantautrice inglese Kitty Macfarlane debuttare con cinque canzoni tra cover e originali. Anche per lei è arrivato il momento di misurarsi con un album e ritagliarsi un posto nel panorama sconfinato del folk inglese e non solo. Le premesse per riuscirci non le mancavano già allora ma dopo due anni, Kitty Macfarlane, non ha potuto che migliorare.

Kitty Macfarlane
Kitty Macfarlane

Starling Song ci introduce delicatamente nello scenario costiero che definisce l’atmosfera dell’album. Un brano introduttivo di poco più di due minuti, guidato dalla voce unica della Macfarlane. I suoni della natura, soprattutto il canto degli storni, si mescolano alla musica appena accennata. La title track Namer Of Clouds si ispira alla vita di Luke Howard che nell’800 classificò i vari tipi di nuvole, dandogli i nomi che ancora oggi vengono usati. Kitty Macfarlane fa notare la straordinaria capacità di quest’uomo di dare un nome a qualcosa di così sfuggente e mutevole. La successiva Seventeen è una riflessione personale sul tempo che passa. Un tema caro a questa cantautrice che in questa occasione dà riprova di abilità e talento, con un folk moderno e delicato. Sea Silk ci porta qui in Italia, più precisamente in Sardegna. Chi parla, in italiano, all’inizio del brano, è Chiara Vigo, maestra nella tessitura del bisso. Kitty Macfarlane esce dalla sua terra e racchiude in una canzone tutto lo splendore dorato di questa speciale seta prodotta da un raro mollusco. Un’arte millenaria che sta scomparendo e come spesso succede chi non è italiano riesce ad apprezzarla più di quanto noi italiani sappiamo fare. Morgan’s Pantry è una canzone tradizionale che racconta la leggenda secondo la quale degli spiriti, usciti da una cascata, condurrebbero alla morte gli sventurati marinai di passaggio lungo il Canale di Bristol. Il canto della Macfarlane è carico di mistero ed emerge dal suono continuo dell’acqua, che scompare, come le onde del mare, nel finale. Una canzone interpretata in maniera moderna ed originale. Glass Eel usa l’immagine della migrazione delle anguille per raccontare un’altra migrazione, quella degli uomini oltre i confini delle loro terre. Kitty Macfarlane fa quello che deve fare un buon cantautore folk, raccontare il presente attraverso il passato, le radici dell’uomo e la sua natura. Così come succede in Wrecking Days già ascoltata nel precedente EP, ma qui riproposta in una versione nuova. L’aggiunta del suono della chitarra elettrica le conferisce una nuova forma ma non ne intacca la sostanza. Dawn & Dark si affida a sonorità più folk e tradizionali per creare una sorta di ninnananna che richiama sempre il tema del tempo. Ancora una volta al centro c’è la voce della Macfarlane che incanta con il suo vibrato e il timbro morbido. Frozen Charlotte è una triste canzone tradizionale nella quale una giovane donna che muore letteralmente di freddo a bordo di una carrozza. Il suo promesso sposo, sconvolto, morirà di crepacuore, seguendola così nella tomba. Man, Friendship è una delle più belle canzoni. In questo brano è più evidente il sentimento ambientalista che muove questo album. Il legame tra folk e rispetto per la terra si rinnova anche nelle nuove generazione di cantautori. Chiude l’album Inversnaid è ispirata da una poesia omonima di Gerard Manley Hopkins. Un ode alla natura selvaggia e al dovere dell’uomo di preservarla. Una poesia del 1881 ma dal tema più che attuale.

Namer Of Clouds va ad aggiungersi alla lunga lista di esordi di quest’anno, eccellendo per la qualità dei testi e nelle sue scelte stilistiche. Come avevo già avuto modo di notare al tempo dell’uscita di Tide & Time, Kitty Macfarlane si rivela essere una cantautrice abile ed ispirata. Ogni piccola emozione, un suono, una storia diventano i grandi temi delle sue canzoni. La scelta musicale di alcuni di questi è funzionale al messaggio stesso, è parte della scenografia di un album che segna una tappa importante delle sua carriera. Kitty Macfarlane vuole essere prima di tutto una cantautrice, il folk con le sue trame fungono da mezzo per il suo messaggio. Un messaggio giovane, semplice ed ambientalista che auspica un futuro migliore ripartendo dal passato.

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