Mi ritorni in mente, ep. 12

In questa settimana sono stato incuriosito da un ritorno. In qualche modo che non ricordo, sono incappato di nuovo nella musica della cantautrice canadese Cœur de pirate. Gli ho concesso un paio di ascolti su Spotify. Sinceramente non ricordavo cantasse in francese! Ho subito pensato: ma che fai, ascolti musica francese? Innanzi tutto lei è canadese però, sì, canta in francese. E ci tiene particolarmente a sottolinearlo. Francese o no, mi è piaciuta. Non mi sarei mai aspettato di trovare intereressante un album di canzoni in francesi. In men che non si dica ho scaricato il suo album d’esordio dalla sua pagina di Bandcamp (il cambio con i dollari canadesi è favorevole). Ora che ci penso, ad un primissimo ascolto, di qualche tempo fa, Cœur de pirate era finita dritta nella mia personale ignore list ma non mi è dato sapere per quale motivo. Forse il francese è uno di quelli.

Nonostante abbia già ascoltato un paio di volte su Spotify Cœur de pirate, è troppo presto per tirare le somme sull’album. Attualmente ha all’attivo un secondo album di inediti e uno di cover uscito quest’anno. Ho la tendenza di desiderare tutta la discografia di un artista e quindi mi sembrava corretto partire dall’esordio, anche perchè non sono un amante delle cover in generale. Eccolo dunque nella mai libreria virtuale pronto per essere ascoltato.

Cannibali con le posate

Dopo aver ascoltato il loro EP My Crooked Saint mi sono precipitato verso il loro primo album, intitolato Cannibals With Cutlery pubblicato in versione deluxe lo scorso Ottobre. I To Kill A King sono una band di Londra nata nel 2009 e arrivata fino ad oggi con un paio di cambi rispetto alla formazione originale. Dopo un paio di EP e qualche apparizione a fianco dei più noti Bastille, il gruppo a dato alle stampe questo album. Come al solito sono stato attratto dalla voce particolare del leader Ralph Pelleymounter e da quel mix di folk e rock che mi piace. La versione che ho è quella deluxe che contiene delle tracce aggiuntive già pubblicate nei precedenti EP ma in versioni differenti.

To Kill A King
To Kill A King

Non si può chiedere di meglio alla traccia di apertura I Work Nights And You Work Days con tanto di orchestra che mette in mostra tutta la capacità espressiva del gruppo, “I go, I go home / Just to see your face / To see that it’s not changed”. Cold Skin vira verso tonalità indie-rock dal sapore british. A questo punto si può intuire la costante ricerca del ritornello perfetto in ogni canzone, “They know, we know / We’re not kidding anyone except ourselves / Stop this world for 5 minutes / What kind of chances do we give ourselves?”. A seguire la meravigliosa Funeral. Una dolce amara riflessione sulla morte. Senza dubbio una dei migliori brani di questo album e uno dei più difficili da far uscire dalla testa, “I must make more friends / They’ll be hanging at my funeral / Just to make my parents proud / Just to make my parents smile”. Anche la successiva Wolves non scherza. I To Kill A King fanno ancora centro, “Wolves will keep you warm / If you convince yourself you’re one”. Piccolo intermezzo squisitamente folk con Cannibals With Cutlery che verrà ripresa in secondo momento, “A cannibal with cutlery is a cannibal still / Though you choose to forget that”. Ancora un po’ di indie-folk con Beside She Said nella quale il testo prende il sopravvento sulla musica con una sorpresa nel finale, ““And besides,” she said / “We got time left, we’re only half dead / We’re only half dead,” so goodnight / Goodnight”. Gasp/The Reflex punta ancora sul ritornello e la voce di Ralph Pelleymounter confezionando un salisendi ben riuscito. Choices rallenta il ritmo e si adagia quasi esclusivamente sulle parole, salendo poi nel finale dai toni che ormai abbiamo imparato ad associare ai To Kill A King, “I never took away your crutch / Just became it day by day / Blood fillin’ up our boots / Whats the use in talking?”. Marcatamente indie-rock la successiva Rays dal solito ritornello appiccicoso, “Wash away my mistakes, wash away my mistakes / These ray-ay-ays, ray-ay-ays”. Forse la canzone più poetica di questo album è questa Children Who Start Fire, che dimostra ancora l’ottima capacità di songwriting del gruppo , “I heard you burnt yourself again, / Lighting fires with someone else. / Just because you’re cold, / Just because you’re bored, / Just because you can”. Frictional State non propone niente di nuovo di quanto ci ha già proposto il gruppo, se non un’altra bella canzone con un finale festivaliero, “There’s no hole in my head / Accusation: I just ain’t the family type / Falling short and you’ve got better plans / Escape artist and you just undermine”. Un piccolo capolavoro si nasconde sotto il nome di Family, la melodia e l’inimitabile voce di Pelleymounter si uniscono per creare una sorta di canzone manifesto di questo album, “The difference between a rut and a grave is an inch / Caught in between the earth and a rock like a pinch”. Altre tracce si aggiungono alla versione deluxe. Come la poetica Letters To My Lover (The Dylan Fan) e l’insolita, almeno rispetto a quanto proposto finora dalla band, Standing In Front Of The Mirror. Trovano spazio anche alcuni brani già pubblicati in precedenti EP come We Used To Protest / Gamble e Howling.

Nonostante il gruppo sia attivo da 2009, solo dopo 4 anni ha deciso di pubblicare il primo album e in un certo senso si sente. I To Kill A King hanno già una loro identità ben delineata, un leader forte come Ralph Pelleymounter che rende riconoscibile il gruppo. Una musica ricca e ispirata, a cavallo tra il folk-rock e l’indie-rock condizionata inevitabilmente dalla influenze british. I To Kill A King mi danno la sensazione di essere un gruppo convinto dei propri mezzi e con alle spalle una bella gavetta. Sono convinto che faranno strada e lasceranno il segno nel panorama folk-rock negli anni a venire.

Le fredde notti del Nord

In attesa che il gruppo svedese Holmes dia alle stampe il nuovo album, il più presto possibile, inizio a portarmi avanti ripercorrendo la loro discografia. In realtà si tratta di un passo indietro perchè ho voluto ascoltare l’album che ha preceduto l’ultimo Burning Bridges del 2012. Sono tornato indietro di due anni e ho ascolatato Have I Told You Lately That I Loathe You. Titolo a dir poco curioso che gioca anche sull’assonanza tra “loathe” e “love” ma da significato opposto. L’ultimo album della band non è stato immediato ma dopo ripetuti ascolti è entrato dritto tra i miei preferiti. Ero naturalmente incuriosito da questo Have I Told You Lately That I Loathe You ma anche un po’ spaventato. Ho creduto che avrebbe sortito gli stessi iniziali effetti di Burning Bridges e ne sarei quindi inizialmente stato deluso. Non è andata così ma ci è andato vicino.

Holmes
Holmes

L’apertura con True Lies è un’anticipazione di quello che gli Holmes hanno in serbo per il futuro. Chitarra e un pizzico di fisarmonica fanno da sfondo alla voce inconfondibile del leader Kristoffer Bolander. Lo stesso vale per la successiva Voices And Vices ma c’è più intensità e una buona dose di orecchiabilità. I Still Remember rappresenta invece l’altra faccia di questo album. Una faccia che ha le caratteristiche si troveranno più raramente due anni più tardi. Calde ballate malinconiche per le fredde notti nel Nord. Sì, rende l’idea. Afar è ancora più lenta e distesa ma le atmosfere sono le stesse, perfino più pervase da quel senso di conforto che il gruppo sa trasmettere alla perfezione. Si ritorna a qualcosa di più vicino all’inizio dell’album con la bella Malysz. Per ascoltare quel rock “americano-scandinavo” che li ha resi noti si deve aspettare The Strangest Calm, nella quale la voce di Bolander e le chitarre elettriche si mescolano alla perfezione. Una delle migliori dell’album. Con 46 il gruppo ritorna su ritmi più lenti affidandosi alla fisarmonica (il marchio di fabbrica), rischiando però di ripetersi. Anche la successiva Olis è della medesima pasta e se non è giornata ci si sente quasi in obbligo a saltarla. Per fortuna poi c’è Blod, dalle sonorità a là R.E.M. che ci risveglia come si deve. Ancora più forte l’influenza americana (ancora una volta R.E.M.) nella lenta (!) A Bad Aubade. Questa volta il risultato è migliore e si fa ascoltare volentieri ma il colpo di grazia potrebbe arrivare con l’immancabile canzone di oltre cinque minuti. Piano e voce per l’eterea Breathing. Una bella canzone, per carità, ma forse una di troppo ma poco male visto che chiude l’opera.

Il successivo Burning Bridges risulterà più rock e meno malinconico senza rinunciare alle caratteristiche tipiche del gruppo. Chitarre, fisarmonica ci sono sempre ma mescolate per ottenere un risultato diverso. L’unico difetto è forse l’eccessiva lentezza di alcuni brani che tendono a confondersi l’uno con l’altro. In generale però questo Have I Told You Lately That I Loathe You non affatto male. Bisogna, in alcuni casi, trovare il momento adatto per ascoltarlo. Data la natura di alcune canzoni mi è risultato un po’ indigesto ai primissimi ascolti ma successivamente, anche grazie al fatto che già conoscevo gli Holmes, ho potuto apprezzare meglio le sfumature di questo lavoro. Non sono rimasto deluso, nient’ affatto, ma solo un po’ perplesso dalla volontà del gruppo di viaggiare con il freno a mano tirato. Forse gli Holmes sono sempre stati così e sono cambiati solo con l’ultimo Burning Bridges ma io non posso saperlo. Lo saprò solo ascoltando i due album precedenti e lo farò.