Come i fiori sul comodino

Lo scorso anno presi la decisione di ascoltare Just Like Leaving, album d’esordio della cantautrice canadese Bella White, a ben due anni di distanza dalla sua pubblicazione perché, in un modo o nell’altro, questo titolo me lo ritrovavo sempre quando mi mettevo alla ricerca di qualcosa di nuovo da ascoltare. L’album si affidava alla classiche sonorità bluegrass e alla cosiddetta musica appalachian, seguendo uno stile scarno ed essenziale. La sua particolarità stava nella capacità della White di rendere questo genere più moderno e contemporaneo senza, peraltro, fare nulla di clamoroso, quasi fosse una sua naturale evoluzione. Ebbene, lo scorso mese è uscito Among Other Things e io non ho voluto mancare all’appuntamento, perché ero in qualche modo sicuro che Bella White avrebbe puntato su qualcosa di più ricco e meno “banjo-centrico” del suo predecessore.

Bella White

Il nuovo corso intrapreso dalla White si intravede chiaramente in canzoni come Break My Heart, un country rock spensierato alle prese con un amore difficile, oppure Numbers, nella quale riflette sulla cose effimere della vita. Un country folk vecchio stile dà forma a Marilyn, nella quale la White esprime solidarietà con una donna che non conosce ma che è vittima di un uomo rozzo e sciocco. Anche The Way I Oughta Go richiama il classico country fatto di amori finiti e ricordi, guidato dalla voce carismatica di quest’artista. Voce che arricchisce la bella ballata Rhododendron. Le ballate sono, anche in questo album, predominanti sulle altre canzoni. Flowers On My Bedside è una ballata folk dolorosa e personale, seguita poi da Dishes ancora più essenziale e fragile. Anche The Best Of Me abbraccia le stesse sonorità e tematiche, definendo la cifra stilistica di questo album. Il country riemerge con forza in Worth My While, dove sentimenti di solitudine prendono il largo. La title track Among Other Things non è da meno e mette il sigillo all’album e ci fa apprezzare il talento di questa cantautrice in tutto il suo splendore.

Among Other Things è un album solido nel quale Bella White dimostra più sicurezza e determinazione, cercando di variare i colori a sua disposizione e riuscendo ancora una volta di bilanciare la tradizione con una spruzzata di modernità. Di fatto questa modernità sta più nell’approccio giovane, nell’immagine in sé, che nelle sonorità. Quelle restano ben ancorate al country classico e al bluegrass. Among Other Things è un album comunque più vario del precedente e per certi versi anche più orecchiabile. Bella White in definitiva mette a segno un altro colpo, riuscendo a mantenersi sulla rotta giusta e ha fare un primo significativo passo verso una carriera interessante che potrebbe riservare ben più di una sorpresa. Ma questo potrà confermarlo solo il tempo.

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Anguille

Da tempo il nome del trio folk inglese The Shackleton Trio riecheggia nella mia sconfinata wishlist di Bandcamp. Fortunatamente i tre artisti, Georgia Shackleton, Aaren Bennett e Nic Zuppardi hanno pubblicato un nuovo album, Mousehold, lo scorso maggio e ciò mi ha fatto prendere la decisione che era finalmente giunto il momento di conoscerli. Oltre al genere musicale che indubbiamente è tra quelli che preferisco, anche la copertina ha giocato il suo ruolo. Mi lascio attrarre facilmente dalle copertine e raramente mi deludono. Cosa ci avrei trovato all’interno sarebbe stato tutto da scoprire.

Shackleton Trio
Shackleton Trio

L’album comincia con la tradizionale No Road Across Mousehold conosciuta anche come The Crackshots Of Norwich, in una versione trascinante nella quale si può apprezzare l’intesa tra i componenti del trio. Non ci poteva essere inizio migliore. Segue Little Wooden Shoes, che ripropone ancora un brano della tradizione folk inglese. Le sonorità sono quelle più riconoscibili del genere e la voce della Shackleton è perfetta, leggera e sicura. Mandy Lynn è il brano strumentale scritto da Zuppardi. Il trio dimostra di saper incantare anche senza parole, rifacendosi naturalmente al folk ma con rinnovata vitalità. Wildman Peter è scritta dalla Shackleton che dà vita ad una canzone che sembra arrivare direttamente dalla tradizione. Ho sempre ammirato questa capacità dei cantautori folk e qui in questa occasione è davvero sorprendente. Hold The Line è ancora un brano strumentale di Zuppardi che si affida principalmente alle note del violino per richiamare la tradizione. Sonorità affascinanti catturano l’attenzione dell’ascoltatore che per un attimo viene trasportato altrove. Bird’s Nest Bound è una rivisitazione in chiave folk di un brano del chitarrista blues americano Charley Patton. Un tentativo riuscito di unire le due sponde dell’oceano, da sempre vicine nella musica. Byard’s Leap / Wackidoo è un brano strumentale diviso in due parti. La prima scritta da Zuppardi è una trascinante danza folk mentre la seconda è della musicista norvegese Annbjørg Lien che possiede tutte le caratteristiche del folk del freddo nord Europa. Ballad Of Barton Broad è l’ultimo dei brani tradizionali proposti in questo album e la Shackleton ci racconta una storia del passato legata alla pesca delle anguille. Le anguille sono protagoniste, oltre che sulla bella copertina, anche nella conclusiva Eel Song. Qui il trio propone una canzone originale che strizza l’occhio ad un folk più contemporaneo ed essenziale.

Mousehold è uno di quegli album che mi ricorda perché ho iniziato ad amare il folk tradizionale, le sue sonorità e le sue storie. Quando si rende necessario leggere le note dell’album per comprendere quali siano le canzoni tradizionali e quali no, significa che è stato fatto un ottimo lavoro e che fare musica folk tradizionale non significa semplicemente prendere vecchie canzoni e riproporle di nuovo, quasi fosse un dovere tramandarle. Significa innanzitutto comprenderne lo spirito e saperlo riprodurre di nuovo, infinite volte, provando anche ad inserire sonorità bluegrass o tipiche del genere americana. Non importa se quella canzone è stata scritta ieri o cent’anni fa. The Shackleton Trio lo hanno compreso perfettamente e ci regalano uno degli album folk più belli e affascinanti di quest’anno.

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Impolverato e sfinito dal sentiero solitario

Lo scorso anno ho avuto il piacere di scoprire una cantautrice country, che per troppo tempo ha atteso nella mia whislist. Quando ho saputo che Brennen Leigh avrebbe pubblicato un nuovo album non me lo sono lasciato scappare. Questa volta però non è sola ma è accompagnata dalla band country Asleep At The Wheel attiva dagli anni ’70. Il titolo dell’album è Obsessed By The West ed è chiaro che cosa ci avrei trovato dentro. Country, western, bluegrass, americana e tutto ciò che ci può portare nel mitico west degli Stati Uniti.

Brennen Leigh
Brennen Leigh

L’apertura è affidata a If Tommy Duncan’s Voice Was Booze, una canzone che vuole essere un omaggio agli anni ’30 e ad uno degli esponenti di spicco della musica country di quei tempi. Se la sua voce fosse alcolica, dice la canzone, sarei sempre ubriaca, “If I had an old cast iron stove I’d whip us up a rhubarb pie / With berries and cream, wouldn’t that be a dream / Then I could lay right down and die / If I had a time machine I’d set it to ‘39 / And if Tommy Duncan’s voice was booze I’d stay drunk all the time“. In Texas With The Band ci racconta di quanto sia bello suonare in Texas. Una canzone allegra e con il giusto swing, che vede la partecipazione di Ray Benson, “I’ve rode on trains and aereo-planes / Ate steak and calamari / Shook the hands of diplomats / And played their fancy parties / Well I don’t mean to gripe or brag / Sure, the high life has been grand / But I’d trade my wage just to be on stage / In Texas with a band“. La successiva If I Treated You Like You Treat Me ci parla di un amore finito male. Qui c’è Emily Gimble ad alternarsi con Brennen Leigh e il risultato è una canzone country dalle melodie vintage, “If I treated you like you treat me / You’d run away and cry / You’d be wiping your little eyes / You’d be telling me goodbye and walking out the door“. Anche Same Dream è una canzone che parla d’amore. Un malinconico country classico, impreziosito dalla voce melodiosa della Leigh, “When you first said you loved me I knew I felt the same / But I was scared because I’d barely healed from an old flame / I made you wait too long, dear, and at last you gave up trying / But maybe some day we’ll dream the same dream at the same time“. Segue Tell Him I’m Dead, che vede la partecipazione di Katie Shore, è un brano spensierato e divertente che vuole farla finita con un amore che non ha funzionato, “If you think you’ve found your mister right, you’re wrong / He’ll love you fast and hot but not for long / For a while I held onto him tight / But if your eye’s on him I won’t put up a fight / I’d rather cuddle with a cactus, all curled up in my bed / And if he comes around, tell him I’m dead“. La title track Obsessed With The West è una splendida ballata dedicata ad un territorio ricco di fascino ma anche duro e spietato. Brennen Leigh ci porta lontano come solo lei sa fare, “I’m obsessed with the west, that ruleless old gal / Always coming or going, she can’t be corralled / Her buzzing cicadas, her chalky white rocks / Her high dancing grasses, her black buzzard flocks“. Comin’ In Hot è una divertente cavalcata di chi vive sempre di corsa, rincorrendo chissà cosa. Un canzone che scaccia i pensieri tristi, “And when It’s my appointed date / To stand up at those pearly gates / Much as I hate to make him wait / Tell old Saint Pete I’m running late / I’m coming in hot, I may not be there on the spot / My eyes are propped open and my nerves are shot / Lordy hang on, I’m coming in hot“. I Was Just Thinking Of You è un lento che sembra aver viaggiato nel tempo per giungere fino a noi. Una nostalgica canzone d’amore, semplice e dolce, “Yesterday I went by that old place we used to go / It’s exactly the same as it was all those lifetimes ago / Then just for a laugh I played that old song we once knew / Funny, I was just thinking of you / Funny, I was just thinking of you“. I Don’t Want Someone Who Don’t Want Me è una canzone leggera che racconta di un amore non corrisposto o forse no. Brennen Leigh è perfetta, la sua voce pulita corre veloce senza esitazioni, “When I first met you baby I was smitten by your charm / It felt so good to be the one a hanging on your arm / I might regret forever that I had to set you free / But don’t want someone who don’t want me“. Tra le mie preferite di questo album c’è Riding Off Onto Sunset Boulevard. Il canto melodioso e malinconico da vita ad una bellissima canzone in stile western che ci fa viaggiare con la fantasia, “I rode into town one day / Dusty, broke and tired / Worn out from the lonesome trail / A working man for hire / It’s been a couple weeks now / Since I’ve had a decent meal / The cowboy boots I’m wearing / Are rubbing blisters on my heels“. Decisamente tutt’altro tono in You’re Doing It Wrong. Una canzone spensierata e ironica che dimostra la versatilità di questa cantautrice, “You’re doing it wrong / All day long / You came from so far away / But you never left Waterloo, IA / You missed the point / And all the greasy joints / You’re headed on to Rome / You should have just stayed home / You’re doing it wrong“. Cosa dire poi della conclusiva Cottonwood Fuzz? Un ricordo d’infanzia luminoso e gioioso. Un gioliellino tenuto per ultimo, “And the cottonwood doing what the cottonwood does / Cottonwood fuzz, light as a feather / Soft as the summer nights that we spent together / If I can’t stop smiling honey it’s because / Love’s floating on the air like cottonwood fuzz“.

Obsessed By The West è un viaggio nella musica country e folk americani, e Brennen Leigh è nata per tutto questo. La sua voce è ferma e capace di dare la sfumatura giusta ad ogni canzone. Rispetto al suo predecessore, questo è ancora più vivo, brulicante di vita e di amore. Un album irresistibile che non può non piacere, al di là delle preferenze riguardo al genere musicale. Qui si vedono confermati tutti i cliché della musica country ma in questo caso è un pregio più che un difetto. Obsessed By The West ci porta in un mondo che forse non esiste più, o forse no, o semplicemente può esistere ancora se lo vogliamo.

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Lettere d’amore alla prateria

Questo album è rimasto a lungo nella mia wishlist e solo in occasione dell’ultimo Bandcamp Friday, mi sono deciso ad acquistarlo. Prairie Love Letter aveva tutte le caratteristiche che mi piace trovare nella musica country ma, come spesso mi accade, la lunga carriera della cantautrice americana Brennen Leigh mi aveva fatto esitare. Non per chissà quale motivo ma semplicemente perché preferisco scoprire un artista dai suoi primi passi piuttosto che entrare quando lo spettacolo è già iniziato. A volte però è giusto fare uno strappo alla regola per evitare di perdersi qualcosa che vale la pena ascoltare davvero. Mi sono bastati pochi minuti per capire che era proprio quello che andava fatto.

Brennen Leigh
Brennen Leigh

Don’t You Know I’m From Here apre l’album ed è subito chiaro il suo tema. I ricordi della propria terra, di una città lasciata anni fa ma dove ancora resistono salde le radici della Leigh. Una malinconica canzone country ma è solo l’inizio, “I left here full of vinegar back in ‘99 / Guitar in my back seat, big time on my mind / My desire to leave the old me in the dust could not have been more sincere / I looked down my nose at friends, turns out I might need them again / Don’t you know I’m from here“. La successiva Billy & Beau racconta di uno sfortunato amore omosessuale tra due ragazzi. Un amore mai dichiarato ma del quale, chi canta, ne era a conoscenza, nonostante i silenzi dell’amico, “The heart wants to go where the heart wants to go and you can’t undo it / Billy never told me so but I just knew it / Billy loved Beau“. The John Deere H è una spensierata ballata country, una dichiarazione d’amore per… un vecchio trattore. Una canzone così sincera e naturale che non c’è modo di dubitare su ciò che ci racconta questa cantautrice, “The H was made in a factory down in Waterloo / But my dad had got her second hand from some folks that we knew / She wasn’t sleek and she wasn’t fast, took a while to get her going / But she beat a horse and a hand held plow for cutting hay and hoeing“. The North Dakota Cowboy è un altro gioiellino country che racconta di questo ragazzo dagli occhi verdi del quale si invaghì Brennen, o chi per lei, molti anni fa. Un bel giorno se ne andò ma rimase sempre giovane nei suoi ricordi, “His eyes were green as Norway pines, his laughter warm and pure / But he felt a burden in his mind even love could not have cured / And that North Dakota cowboy, handsome, young, adored / Rode off into the prairie sky in his rusty yellow Ford“. Bastano poco meno di due minuti per esprimere tutta la bellezza e la forza della musica country in Yellow Cedar Waxwing. Sono ancora i ricordi d’infanzia ad ispirare le canzoni della Leigh, questa volta è un uccello giallo che noi chiamiamo beccofrusone dei cedri, “There’s a yellow Cedar Waxwing on the Juneberry bush / In the golden sunlight shining through the trees / God made the birds and flowers, He is everywhere we look / God loves the Cedar Waxwing; all the more He’ll care for you and me“. Little Blue Eyed Dog è un incalzante bluegrass che racconta come un cagnolino randagio abbia cambiato la vita a chi lo ha salvato. Una canzone fatta di bei sentimenti e tenerezza, “In some God forsaken Texas town / Looky here, what have I found / A little brown and blue eyed hound / Running in a hail storm / Ain’t it funny what the Lord can do / I thought that I was saving you / Now I’m wondering who rescued who / Welcome to your new home“. Di tutt’altro tenore I Love The Lonesome Prairie. Questo album è appunto un “lettera d’amore alla prateria” e questa canzone, lenta e melodiosa, ne è l’emblema. Meravigliosa, c’è poco altro da aggiungere, “I love the lonesome prairie / Where the grass rolls like waves on the sea / The lonesome prairie wind is like a lifelong friend / No, the prairie’s not lonesome to me / Oh the prairie’s not lonesome to me“. Non sarà come la città ma proprio per questo che è bella Elizabeth Minnesota. Una vita semplice e immersa nella natura, che potrebbe far storcere il naso agli amanti della città, che non possono capire, “I love my dad’s homegrown tomatoes and my grandma’s scalloped potatoes / Elizabeth Minnesota is my home / Well you might call me hillbilly but what you think don’t matter really / Elizabeth Minnesota is my home“. Prairie Funeral racconta con sorprendente vividezza e sensibilità un funerale di molti anni fa. Non mancano i racconti e la musica che unisce chi ha accompagnato quest’uomo per l’ultimo saluto, “It was a funeral on the prairie, all his children gathered round / Put him in a horse drawn wagon, drove him into town / In the dark of February snow covered up the ground. / In a pioneer church made out of sod we sang A Mighty Fortress Is Our God“. Tra le mie preferite c’è sicuramente la bellissima You’ve Never Been To North Dakota. Un affascinante viaggio fatto di immagini del North Dakota, una canzone d’altri tempi, pura e semplice. Da ascoltare, “Have you looked up and read the note / Aurora Borealis wrote / While you were gently sung to sleep by a coyote / Felt your joints get stiff and cold / To let you know you’re growing old / Then you’ve never been to North Dakota“. Non c’è spazio ai sentimentalismi in Pipeline, c’è una terra da difendere. Chiunque tu sia non farai passare il tuo oleodotto. Il messaggio è semplice ma c’è ancora qualcuno che non vuole capire, “You got big ideas and a great big paycheck / And a closet full of designer suits / Custom shoes of Italian leather / But you ain’t laying no pipeline / But you ain’t laying no pipeline / But you ain’t laying no pipeline through this land“. Si chiude con Outside The Jurisdiction Of Man. Una canzone molto bella, triste e solitaria, che lascia incantati per la sua durezza, “So let my remaining time all pass / On a blanket of swaying prairie grass / And then won’t you bury me ‘neath the work of God’s own hand / Outside the jurisdiction of man“.

Prairie Love Letter è un album meraviglioso. è davvero difficile descrivere a parole quello che queste canzoni ti lasciano dentro. Brennen Leigh non ne sbaglia una e, tra ricordi d’infanzia, storie e messaggi, ci racconta l’amore per la sua terra, per quelle praterie desolate ma anche ricche di vita. Le capacità si songwriting di quest’artista sono a dir poco eccezionali. Raramente ho trovato una tale capacità di ritrarre i ricordi con le parole con tanta vivacità e sentimento. Sì lo so, non c’è nulla di nuovo in tutto questo. Si tratta pur sempre di country, bluegrass, americana ma ogni volta, ogni benedetta canzone, mi sorprende come fosse la prima volta. Un sentito grazie a Brennen Leigh e a chiunque abbia collaborato a questo album. Perché è qualcosa di speciale, davvero.

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Fare a pezzi e ricostruire

Devo ammettere che in questi mesi ho dovuto cambiare le mia abitudini, come tutti del resto, e anche se ormai non lavoro più da casa da diverse settimane, ho abbandonato la mia routine e quindi ridotto il tempo che dedico all’ascolto di nuova musica. Fortunatamente le nuove uscite scarseggiano e ho così tempo per recuperare qualche disco pubblicato all’inizio di quest’anno sventurato. Come nel caso di Tear Things Apart, debutto solista di Carolyn Kendrick, cantautrice americana di stanza in quel di Nashville, Tennessee. Si tratta di un EP di sei brani, che mi ha attratto fin dall’inizio per la sua copertina semplice e naturale, e che ad un primo ascolto sembrava celasse del buon folk americano. Invece si è rivelato una sorpresa, molto più vario di quanto le etichette possano descrivere.

Carolyn Kendrick
Carolyn Kendrick

Si comincia con la title track Tear Things Apart, una bella canzone dal gusto classico del folk americano. Una canzone positiva e luminosa, con un accompagnamento ricco e vario ma leggero come una brezza estiva, “I like to tear things apart / Then build them right back up again / I like the feel of the hammer and the nails / In the palm of my hand / It don’t matter if I do the same thing / Over and over again / I like to tear things apart / And build them right back up again“. La successiva Come With Me è una canzone d’amore delicata ed elegante. Anche qui gioca un ruolo fondamentale la musica, che si tiene lontana da qualsiasi definizione, apparendo più libera, “I’m a metaphor, you’re like a simile / I’m a healthy pour and you’re like the glass that / Holds me, holds me / Holds me, holds me / Won’t you hold me, hold me“. Con Mesquite Street, la Kendrick ci sorprende con il suo swing. Rimane davvero poco del folk a stelle e strisce, rivelandosi una sorprendente variazione all’interno di questo EP e sottolineando la versatilità di quest’artista, “Way down on mesquite street / Tequila’s flowing like water and wine / Why don’t we mosey on over / Cause you know we ain’t alive for a long time“. Stick Around rientra in carreggiata, deliziandoci con una bella canzone sulla forza dell’amore. Vibrazioni rock pervadono questo brano ma la voce delle Kendrick addolcisce il tutto, dandogli un nuovo equilibrio, “Just a little longer and I know the feeling will pass / If you wait just a little longer / You can sweep all your worries about us / Underneath the rug, shouldn’t my love be enough / Please stick around, even when the going’s tough“. Un po’ di bluegrass con Little Lorrie. L’amore su una pista da ballo corre veloce, al ritmo di questa canzone. La Kendrick ci regala il lato più folk della sua musica, grazie anche al suo inseparabile violino, “Little Lorrie, little Lorrie’s got her dancing shoes / Little Lorrie, little Lorrie’s got the rhythm and the blues / And the oohs and the aahs, she knows what she wants / I know that she doesn’t want me“. Si chiude con Silver Dagger, una canzone tradizionale cantata con voce eterea e malinconica. Una ragazza costretta dalla famiglia a rinunciare al suo amato, è il tema di questa triste ballata, reinterpretata con un piglio moderno ma rispettoso, “Don’t sing me love songs, you’ll wake my mother / She’s sleeping here right by my side / In her right hand lies a silver dagger / She says that I can’t be your bride“.

Tear Things Apart è stato davvero una sorpresa per me. Nonostante le basi siano vicine al folk americano, o americana, Carolyn Kendrick riesce sempre a discostarsi un po’ da esse, rendendo questo EP vario e, per questo, interessante. C’è la tradizione ma anche una visione più moderna dell’essere autrice ed interprete delle proprie canzoni. Sei brani che racchiudono un background musicale più vasto di quello che possono lasciare intendere. Spero solo che, visti i tempi, questo Tear Things Apart possa vere un seguito al più presto, perché questa artista mi ha incuriosito con la sua versatilità e la particolare attenzione alla musica.

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Non guardare giù

Questo gruppo di New York mi ha incuriosito subito grazie al suo sound bluegrass che da sempre mi attrae ma che non sono mai riuscito ad esplorare a sufficienza, virando verso qualcosa di più country o folk. Siccome l’estate concede qualche pausa nelle abituali uscite discografiche, è bene impiegare questo tempo scoprendo qualche nuovo artista e, perché no, un genere musicale al quale siamo poco avvezzi. I Damn Tall Buildings sono tre ragazzi e una ragazza al loro secondo album, intitolato Don’t Look Down, uscito lo scorso Giugno. Basso, banjo, violino e chitarra sono più che sufficienti a dare vita al loro bluegrass, dallo stampo classico ma presentato con un piglio giovane e moderno.

Damn Tall Buildings
Damn Tall Buildings

Late July ci introduce all’album. Ritmo trascinante sulle note dell’inconfondibile suono del banjo. Max Capistran e i suoi compagni suonano da anni insieme e la loro intesa si sente, sembrano suonare uno vicino all’altro anche in studio. La successiva I’ll Be Getting By vira verso un country folk veloce ed orecchiabile. Un brano corale dove le voci si uniscono e le musica corre veloce. Bastano un paio di minuti ai Damn Tall Buildings per farsi ricordare. Had Too Much vede al microfono Sasha Dubyk, che con il suo tratto femminile di trascina in un bluegrass vecchio stile, leggero ed incalzante. Canzoni come questa dimostrano la duttilità di questo gruppo, nonché le loro capacità tecniche. Segue Morning Light che non ha intenzione di rallentare il ritmo. Le voci del gruppo si uniscono ancora ma lasciano anche spazio anche alla musica, guidata questa volta dalla melodia blues del violino. Angeline’s Blue Dream inizia con il suono del banjo e apre a scenari di ampio respiro di cui è capace il folk americano. La voce di Sasha Dubyk guida il gruppo con sicurezza e carisma. Una delle canzoni più belle di questo album. Ma tra le mie preferite non posso dimenticare Words To The Song. Un eccezionale esempio dello stile e della musica di questo gruppo. Melodie folk e blues si fondono dando vita ad un altro brano orecchiabile e ben eseguito. Evan corre sui binari di un blues d’altri tempi addolcito ma non troppo dalla voce della Dubyk. Tanta energia in una delle canzoni più oscure di questo album. Loving Or Leaving riaccende la luce e dà vita ad una bella serata bluegrass. Tutto il gruppo appare unito, compatto guidato stavolta da Avery Ballotta, dove il ritmo e la melodia si fondono e si consumano velocemente come una fiamma nel giro di un paio di minuti. Allison è la prima di quelle che si possono definire ballate. La band riprende fiato e lascia l’ascoltatore immerso in una malinconica magia. Nota personale: le note del violino mi hanno fatto salire un brivido lungo la schiena. Chissà perché. River Of Sin è un bluegrass da manuale, essenziale, che gioca sull’intesa del gruppo. I Damn Tall Buildings ci sanno fare, su questo non c’è dubbio. Se avevate paura di annoiarvi ci pensa Green Grass And Wine a riportarvi sui binari giusti. Torna il rimo veloce, torna il banjo a condurre il gioco. C’è poco tempo, poco spazio, bisogna sbrigarsi. Can’s You Hear Me Calling è l’unica cover di questo album. L’originale di Bill Monroe trova nuova vita ed energia ma sopratutto corre più veloce con Sasha Dubyk al comando. Location oltre ad essere l’ultimo brano dell’album è anche il più lungo. Una lenta ballata folk malinconica e bucolica che arricchisce il repertorio del gruppo, questa volta rappresentato da Avery Ballotta.

Don’t Look Down è un album che si lascia apprezzare per la sua capacità di non distrarre l’ascoltatore, grazie ad un ritmo spesso veloce e la verve simpatica del gruppo. L’alternanza delle voci maschili e quella femminile aiuta a dare sempre nuovi sbocchi alla musica dei Damn Tall Buildings, che non si accontentano di fare soltanto bluegrass. Gli strumenti musicali sono pochi, non ci sono effetti speciali o particolari virtuosismi. Qui tutto è semplice, familiare. Una musica genuina che non vuole sorprendere sull’originalità ma sul talento e sulle capacità di un gruppo unito, dove tutti marciano nella stessa direzione. Don’t Look Down è un album da ascoltare e riascoltare per poterne scoprire le sue potenzialità e la personalità del gruppo.

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Mi ritorni in mente, ep. 51

Questo album l’ho ascoltato per la prima volta la scorsa estate ma finora non aveva trovato spazio su questo blog. Nelle mie scorribande su Bandcamp sono stato attratto dalla sua copertina, sulla quale il cranio di un cervo giace nelle acque di qualche torrente. Quando ho ascoltato la prima canzone ho subito riconosciuto una voce famigliare. Si trattava infatti di un componente della band canadese Murder Murder, ovvero Barry Miles.

Questo album intitolato Whatever In Creation risale al 2016 raccoglie nove canzoni squisitamente dal sapore americano. Sonorità bluegrass e splendide ballate malinconiche sono il piatto forte in casa Miles. Da non perdere canzoni come Vermillion Gold e Shine Over The Mill. Da sottolineare anche la presenza di Where The Water Runs Black successivamente riproposta in un’altra versione con in Murder Murder. Un album on the road e nostalgico come testimoniano canzoni come Trouble On The Mainline e Albuquerque. Un album da non lasciarsi scappare per gli appassionati del genere e non.

Spalle al muro

Dopo l’ottimo album From The Stillhouse (Fuori legge), che ho consumato a forza di ascoltarlo, la band canadese Murder Murder è tornata quest’anno con il suo seguito intitolato Wicked Lines & Veins. Questi sei ragazzi dell’Ontario sono pronti a raccontarci storie dove nessuno ha scampo e farci calare in un mondo elettrizzante. Nonostante avessi piena fiducia in questa band, ritenevo difficile bissare le atmosfere così lucide ed evocative di From The Stillhouse senza ripetersi. Invece i Murder Murder hanno saputo fare anche di meglio. Ora non resta che ascoltare il nuovo album e ancora una volta sperare di uscirne vivi.

Murder Murder
Murder Murder

Si comincia con Sharecropper’s Son, storia di un giovane che perde il suo lavoro come mezzadro. Un rabbioso bluegrass dove nel finale, per disperazione, il ragazzo sembra far fare una brutta fine al suo padrone, “A quarter pasture on a rich man’s farm / Turn the rich man’s soil / Six feet deep and six feet long / Turn the rich man’s soil / I turned a rich man’s soil“. La successiva Pale Rider Blues è una cavalcata veloce e senza sosta. Un ritmo sincopato fa da sfondo ad un scarica di parole, veloci come proiettili. I Murder Murder dimostrano di essere in splendida forma, “Mean mister called the marshal and he come for blood / That dirty old marshal, he come for blood / So they dam up creeks, and dry up the floods / ‘Til the hacks and the buggies wade in the mud“. Non possono mancare ballate come The Last Daughter. Una torbida storia di famiglia, che si srotola veloce fino al triste epilogo. I Muder Murder danno alla canzone la giusta tensione, senza fronzoli, “Old Mr. Baer and his mean old mare / And five of his pretty little daughters / Went down to the river while the sun burned high / To fill five barrels full of water“. Un’altra ballata, questa volta disperata e graffiante, è Reesor County Fugitive.  Cinque minuti intensi e un’interpretazione eccezionale dove il racconto prende il sopravvento sulla musica. Da ascoltare, “And if today the good lord’s burning hand / Should take me to the promised land / At least I know I’m going home / Either way I’m going home tonight“. La title track Wiked Lines & Veins è un accattivante blues, un viaggio in un mondo inospitale e spietato. Una delle canzoni più oscure e affascinanti di questo album, “Wicked lines and veins / Mark the north side of the plains / They’ve got nothing left to claim / Not even God, his eternal right“. Un amore al limite raccontato in Goodnight, Irene. Un vero e proprio outlaw country che viaggia sulle ali del banjo e del violino. Nel finale un omaggio al classico omonimo di Lead Belly, “Irene was hard, she packed a knife, / and she swore like a trucker / She ran the scams on all the boys in from the bay / She wore her hair in Monroe curls and boys she was a beauty / I could not look away“. Il singolo I’ve Always Been a Gambler racchiude dentro di sé tutte le caratteristiche di questa band. Un bel country accattivante, carico di immagini. Uno dei pezzi forti dell’album, “I’ve always been a gambler, I always play to win / And I’ll be sure to cut your throat if I see you again / Won’t you lay your money down, / now won’t you make peace with your sins / Cause I can tell that you’ve been ‘round too long“. The Death Of Waylon Green è l’ultimo canto di un condannato a morte. Voce graffiante e melodie rock scorrono come sangue in questa murder ballad, inquieta e vendicativa, “If I could bring that Waylon Green / back to life again / I’d do so just to kill him twice / And then I’d lay my head“. A tutta velocità con Cold Bartender’s Wife. Una spirale di follia e gelosia, nella quale le parole colpiscono veloci come una scarica di pugni. Senza pietà, “She held him up on a cool clear night / And she robbed him of his life / You may pass through town but don’t mess around / With the cold bartender’s wife“. Una donna si fa giustizia da sola in Shaking Off The Dust. I Murder Murder fanno un’altra vittima, raccontando la sua storia con spietata lucidità, “Cars rolling by / Young couples in love / The winds come blowing and they’re kicking up the dust / He wore a tattoo that read “hard as stone” / One day she woke up and found some fire of her own“. Si chiude con una bella ballata country intitolata Abilene. Una triste storia nonché una delle più belle ballate mai scritte da questo gruppo, “Once I had a darling wife / Her name was Abilene / She had hair like ravens’ feathers / And eyes of olive green / If she ever looked at me with sadness / Her sadness I would end / And if she’d cried for nothing / I’d fire into the wind“.

I Murder Murder ti inseguono e ti mettono con le spalle al muro. Con Wicked Lines & Veins si fanno strada a colpi di bajo e violino, colpendo ripetutamente, senza sosta. Che siano veloci cavalcate o lente ballate, i Murder Murder sanno come tenere banco, incantando l’ascoltatore con le loro storie dal finale tutt’altro che lieto. Wicked Lines & Veins è un grande ritorno che prosegue nel solco scavato dal precedente From The Stillhouse ma che è in grado di trascinare, con maggiore convinzione, chi ascolta in uno scenario tormentato e inquieto. Se avete quaranta minuti da concedere ai Murder Murder fatelo. Non ve ne pentirete. E visti i tipi, non lo prenderei solo come un consiglio.

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Fuori legge

Definiscono la loro musica come bloodgrass, una musica dalla quale nessuno esce vivo. Interessante, mi sono detto, quando per la prima volta ho letto di questo gruppo. I Murder Murder sono sei ragazzi canadesi che si presentano con ballate che spaziano dal country al bluegrass, riuscendo subito ad accendere la curiosità con il loro gusto retrò e tradizionale ma fuori legge e un po’ cattive. In men che non si dica ci ritroviamo immersi nelle foreste dell’Ontario, tra risse da bar, storie sfortunate, di gelosia e tradimenti. Il tutto raccolto nel loro secondo album, pubblicato nel 2015 e intitolato From The Stillhouse.

Murder Murder
Murder Murder

Si parte con l’incalzante Sweet Revenge, una stroria di vendetta a bordo di un treno nero che viaggia senza sosta. Un brano che evoca immagini nitide dei paesaggi western di frontiera, “I dream I am flying out through the pines / Through to the Devil’s mouth / There’s some folks down there, they gotta pay for their sins / Eye for an eye, blood for blood / Sweet revenge“. Where The Water Runs Black è una straordinaria ballata guidata da un violino e accompaganta da un’immancabilie banjo. Una voce tagliente e carismatica ci racconta una stroria di tradimento. Una delle migliori canzoni dell’album che trova la sua perfezione nella sua tradizionalità e melodie famigliari, “And if you wanted I could take you / I walked that road ‘til the water runs black / I loved that woman but she left me lonely / She broke my heart, lord, she never turned back“. Si nasconde una storia di violenza sotto il titolo di Evil Wind. Facile lasciarsi ingannare dalle melodie gioiose ma è solo un’apparenza. I Murder Murder sono divertenti e spietati, “Well now I can’t remember / what was going through my head / My blood turned to fire / And my face turned red / And I flew into that room / Like a moth to a torch / An evil wind, an evil wind is gonna blow“. Duck Cove è una triste ballata che mette in luce tutto il talento di questa band, in grado di raccontare storie e mettendole in musica. Tutto suona tradizionale tuttavia allo stesso tempo c’è qualcosa di nuovo nel loro modo di porsi, “I never felt so low, / I looked through the port hole / And I saw the drop boat / headed for Duck Cove / The thought of my lover / out with another / Somebody else than the / one who has loved him“. Una storia di riscatto nella bella Movin On, una delle canzoni più positive dell’album. I Murder Murder spingono sempre sul pedale dell’acceleratore, sono un treno in corsa tra le foreste dell’Ontario, “I got friends in Brown and Hardy / And a brother down in Carling / I got family up north in Sudbury / Everybody knows / that I can’t set foot back in Mowat / There’s folks there’d like / to get their hands on me“. When The Lord Calls Your Name è una ballata lenta e strappalacrime. I Murder Murder propongono una canzone dal sapore vintage con una grinta e intensità di grande impatto, “So gather the angels, / and sing us a prayer / When his sights are upon you, / you can’t hide anywhere / Now accept and rejoice him, / not with pride, not with shame / And you’ll know my intentions, / when the lord calls your name“. The Last Gunfighter Ballad è la cover di un classico country scritto da Marty Robbins. La versione dei Murder Murder è più brillante e scanzonata dell’originale, “Stand in the street at the turn of a joke / Oh, the smell of the black powder smoke / And the stand in the street / at the turn of a joke“. Tanto breve quanto bella, Half Hitch Knot. Irresistibile ballata up tempo, dove le parole escono veloci, scappa anche qualche parolaccia. Cattivi ragazzi, “You’re a polite motherfucker / with your hands tied up / Like a barnyard pig just about to get stuck / The knife’s coming down if you like it or not / You won’t never get out of my half hitch knot“. La successiva Alberta Oil è una classica murder ballad, veloce e senza respiro. Ancora una volta i Murder Murder sono irresistibili in tutto e per tutto, “He was buried with his passport / in a black Alberta ditch / His life was cut far too short / by a cold Alberta bitch / We all knew what had happened / and it gave us all a fright / He was buried with his passport that night“. Bridge County ’41 è una bella ballata blues. Senza dubbio una delle canzone più intense di questo album, storia di un contrabbandiere, fuori legge come questo gruppo, “The law found me in the middle of the night / When I’s lyin’ on my back / in the pale moonlight / Couldn’t tell if I was dead or alive / Until they caught that little hint of blood / in my eye“. Chiude l’album un’altra ballata intitolata Jon & Mary. C’è poco altro che posso aggiungere arrivati alla fine di queste undici canzoni, se non avvisarvi che la tentazione di ricominciare dall’inizio è forte, “I parted with things / that I never though I’d sell. / It’s got to where I barely recognize myself. / The boy I was is gone, / it’s written on my face. / All the time that he spent dying, / her beauty never waned“.

Questo From The Stillhouse ci porta altrove, velocemente come un treno a vapore. I Murder Muder sembrano venire dal passato, ci riempiono le orecchie di buona musica, dal sapore d’altri tempi, sporca e impolverata. Hanno la faccia da duri come gli eroi dei film western ma un animo buono. Una particolarità di questo gruppo è che non hanno un vero proprio frontman ma si alternano al microfono dando ad ogni brano un’impronta personale e diversa. Qui sotto trovere una versione live di Bridge County ’41 ma non posso fare a meno di consigliarvi di ascoltare l’album completo, se volete essere anche voi per un attimo dei fuori legge, sporchi e impolverati.