Prima che finisca questo 2023 è bene che io raccolga qui le mie impressioni su gli ultimi libri che ho letto dallo scorso mese di luglio.
Il sesto volume della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind, intitolato La fratellanza dell’ordine, vede Richard e Kahlan impegnati ancora contro la minaccia dell’Ordine Imperiale. Come al solito sono costretti a dividersi e, come al solito, pensano sia per sempre. Ed ecco che il dramma della separazione inizia a diventare troppo ricorrente in questa saga. Questa volta è colpa di Nicci, una Sorella dell’Oscurità che inizialmente sembra essere un personaggio spietato e pericoloso ma poi Goodkind finisce per stravolgere tutto troppo velocemente, rendendolo anonimo. Richard, al solito, è bravo a fare tutto e questo spesso lo fa diventare prevedibile e in questa occasione anche un po’ insopportabile. La trama è meno complessa dei precedenti, con un finale insipido, piena di riempitivi (il capitolo 19 è inutilmente lungo) e carica di un significato piuttosto banale. Sappiamo bene che Goodkind voleva diffondere il relativismo ma per ora non mi sembra niente di così eccezionale. Sarebbe stato meglio si fosse preoccupato di essere meno infantile e semplicistico in alcuni passaggi e avremmo avuto un più che discreto fantasy d’intrattenimento.
Il secondo libro della trilogia di Stoccolma, intitolato 1794 e scritta da Niklas Natt och Dag, riprende le atmosfere del precedente e in parte anche le tematiche. Un thriller storico arricchito dalle descrizioni della città e dei suoi vicoli. Sembra quasi di vederla e di sentire gli odori nauseanti che le pervadono e di toccare le difficili condizioni di vita di allora. La scrittura è pulita, con capitoli spesso brevi e significativi, mai inutili. La struttura del romanzo è particolare, si passa da un punto di vista all’altro e si fanno dei passi indietro che poi permettono di comprendere meglio le vicende successive. Non mancano violenza e volgarità, le quali possono impressionare qualche lettore. Alla fine restano alcune questioni in sospeso che si concluderanno nel terzo volume.
Underworld di Don Delillo è così denso di contenuti che è difficile descrivere in poche parole che cosa racconta. I temi più ricorrenti che ho potuto cogliere sono: la spazzatura, i complotti, la guerra fredda, il nucleare, il numero tredici, l’educazione, l’arte e la cultura italo-americana. I personaggi che prendono parte a questo romanzo in realtà non sono molti e tutti entrano in qualche modo in contatto tra loro. Nella parte centrale, forse la più brillante ed eterogenea del libro, troviamo brevi spezzoni di vita americana, tutti rigorosamente scritti nello stile postmoderno di Delillo. L’autore fa avanti e indietro nel tempo, terminando, prima dell’epico epilogo, con un lungo flashback che va a chiudere il cerchio. Qualcosa rimane in sospeso, va a perdersi nel flusso di parole, negli ottimi dialoghi e nelle lunghe disamine. Ma così deve essere, è nello stile pulito e discorsivo di Delillo e nella sua visione postmoderna. Un libro che si deve leggere per il piacere di farlo, cogliendone i numerosi spunti di riflessione, e non per trovare colpi di scena (che non mancano) o per seguire una trama lineare.
Robert Harris prende in prestito l’idea di Philip K. Dick per il suo Fatherland, immaginando un mondo nel quale la Germania nazista vince la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è perfino migliore del precedente tentativo, più realistico e plausibile nel suo complesso. L’unico difetto è che non rappresenta davvero un valore aggiunto, anzi in un certo qual modo ne smorza la tensione. Se questo thriller fosse stato ambientato negli ultimi anni del conflitto, o subito dopo, invece che in un ipotetico 1964, a mio parere, sarebbe stato più interessante e la trama, con qualche accorgimento, sarebbe stata in piedi lo stesso. Il detective protagonista, solitario e tormentato, e la bella e brillante americana che lo aiuta nelle indagini, rendono questo romanzo piuttosto prevedibile nelle dinamiche. Il movente degli omicidi è quasi scontato, compensato però da un buon colpo di scena finale. Quello che resta è un buon thriller godibile, dal ritmo serrato e dalla particolare ambientazione ucronica ma non privo dei cliché del genere.
Il sesto volume de Le storie dei re sassoni, dal titolo La morte dei re, conferma le ottime qualità di narratore di Bernard Cornwell e il suo amore per la storia del regno d’Inghilterra. Come di consueto le note storiche ci rivelano le fonti, le quali, proprio perché esigue, permettono all’autore di prendersi numerose libertà nel rispetto della storia. Uhtred è figlio del suo tempo, intelligente ma superstizioso, irrispettoso ma fedele al suo giuramento, con comportamenti che alla morale moderna ci appaiono violenti ma purtroppo non lontani da quelli testimoniati nelle guerre di oggi. Tanto tempo è passato ma poco sembra essere cambiato. Sempre ottimo il giusto peso che Cornwell dà agli eventi paranormali e al ruolo delle donne del tempo. Lascio Uhtred alle sue avventure ancora una volta pienamente soddisfatto e con il desiderio di ritornare al più presto nelle terre della futura Inghilterra.
Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, è un classico della fantascienza ormai entrato nell’immaginario comune anche grazie alle numerose trasposizioni cinematografiche. Un breve romanzo dallo stile scorrevole e serrato, con un deciso cambio di ritmo nella terza parte. I colpi di scena sono probabilmente ciò che rendono questo libro così famoso ma che però rischiano di oscurare il resto della storia che offre numerosi spunti di riflessione sul rapporto tra umani e animali. Su questo punto forse soffre di una visione un po’ datata, non più in linea con quella moderna, ma del tutto comprensibile se si considera che è stato pubblicato nel 1963.