Ancora un altro libro, ep. 15

Prima che finisca questo 2023 è bene che io raccolga qui le mie impressioni su gli ultimi libri che ho letto dallo scorso mese di luglio.

Il sesto volume della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind, intitolato La fratellanza dell’ordine, vede Richard e Kahlan impegnati ancora contro la minaccia dell’Ordine Imperiale. Come al solito sono costretti a dividersi e, come al solito, pensano sia per sempre. Ed ecco che il dramma della separazione inizia a diventare troppo ricorrente in questa saga. Questa volta è colpa di Nicci, una Sorella dell’Oscurità che inizialmente sembra essere un personaggio spietato e pericoloso ma poi Goodkind finisce per stravolgere tutto troppo velocemente, rendendolo anonimo. Richard, al solito, è bravo a fare tutto e questo spesso lo fa diventare prevedibile e in questa occasione anche un po’ insopportabile. La trama è meno complessa dei precedenti, con un finale insipido, piena di riempitivi (il capitolo 19 è inutilmente lungo) e carica di un significato piuttosto banale. Sappiamo bene che Goodkind voleva diffondere il relativismo ma per ora non mi sembra niente di così eccezionale. Sarebbe stato meglio si fosse preoccupato di essere meno infantile e semplicistico in alcuni passaggi e avremmo avuto un più che discreto fantasy d’intrattenimento.

Il secondo libro della trilogia di Stoccolma, intitolato 1794 e scritta da Niklas Natt och Dag, riprende le atmosfere del precedente e in parte anche le tematiche. Un thriller storico arricchito dalle descrizioni della città e dei suoi vicoli. Sembra quasi di vederla e di sentire gli odori nauseanti che le pervadono e di toccare le difficili condizioni di vita di allora. La scrittura è pulita, con capitoli spesso brevi e significativi, mai inutili. La struttura del romanzo è particolare, si passa da un punto di vista all’altro e si fanno dei passi indietro che poi permettono di comprendere meglio le vicende successive. Non mancano violenza e volgarità, le quali possono impressionare qualche lettore. Alla fine restano alcune questioni in sospeso che si concluderanno nel terzo volume.

Underworld di Don Delillo è così denso di contenuti che è difficile descrivere in poche parole che cosa racconta. I temi più ricorrenti che ho potuto cogliere sono: la spazzatura, i complotti, la guerra fredda, il nucleare, il numero tredici, l’educazione, l’arte e la cultura italo-americana. I personaggi che prendono parte a questo romanzo in realtà non sono molti e tutti entrano in qualche modo in contatto tra loro. Nella parte centrale, forse la più brillante ed eterogenea del libro, troviamo brevi spezzoni di vita americana, tutti rigorosamente scritti nello stile postmoderno di Delillo. L’autore fa avanti e indietro nel tempo, terminando, prima dell’epico epilogo, con un lungo flashback che va a chiudere il cerchio. Qualcosa rimane in sospeso, va a perdersi nel flusso di parole, negli ottimi dialoghi e nelle lunghe disamine. Ma così deve essere, è nello stile pulito e discorsivo di Delillo e nella sua visione postmoderna. Un libro che si deve leggere per il piacere di farlo, cogliendone i numerosi spunti di riflessione, e non per trovare colpi di scena (che non mancano) o per seguire una trama lineare.

Robert Harris prende in prestito l’idea di Philip K. Dick per il suo Fatherland, immaginando un mondo nel quale la Germania nazista vince la Seconda Guerra Mondiale. Il risultato è perfino migliore del precedente tentativo, più realistico e plausibile nel suo complesso. L’unico difetto è che non rappresenta davvero un valore aggiunto, anzi in un certo qual modo ne smorza la tensione. Se questo thriller fosse stato ambientato negli ultimi anni del conflitto, o subito dopo, invece che in un ipotetico 1964, a mio parere, sarebbe stato più interessante e la trama, con qualche accorgimento, sarebbe stata in piedi lo stesso. Il detective protagonista, solitario e tormentato, e la bella e brillante americana che lo aiuta nelle indagini, rendono questo romanzo piuttosto prevedibile nelle dinamiche. Il movente degli omicidi è quasi scontato, compensato però da un buon colpo di scena finale. Quello che resta è un buon thriller godibile, dal ritmo serrato e dalla particolare ambientazione ucronica ma non privo dei cliché del genere.

Il sesto volume de Le storie dei re sassoni, dal titolo La morte dei re, conferma le ottime qualità di narratore di Bernard Cornwell e il suo amore per la storia del regno d’Inghilterra. Come di consueto le note storiche ci rivelano le fonti, le quali, proprio perché esigue, permettono all’autore di prendersi numerose libertà nel rispetto della storia. Uhtred è figlio del suo tempo, intelligente ma superstizioso, irrispettoso ma fedele al suo giuramento, con comportamenti che alla morale moderna ci appaiono violenti ma purtroppo non lontani da quelli testimoniati nelle guerre di oggi. Tanto tempo è passato ma poco sembra essere cambiato. Sempre ottimo il giusto peso che Cornwell dà agli eventi paranormali e al ruolo delle donne del tempo. Lascio Uhtred alle sue avventure ancora una volta pienamente soddisfatto e con il desiderio di ritornare al più presto nelle terre della futura Inghilterra.

Il pianeta delle scimmie di Pierre Boulle, è un classico della fantascienza ormai entrato nell’immaginario comune anche grazie alle numerose trasposizioni cinematografiche. Un breve romanzo dallo stile scorrevole e serrato, con un deciso cambio di ritmo nella terza parte. I colpi di scena sono probabilmente ciò che rendono questo libro così famoso ma che però rischiano di oscurare il resto della storia che offre numerosi spunti di riflessione sul rapporto tra umani e animali. Su questo punto forse soffre di una visione un po’ datata, non più in linea con quella moderna, ma del tutto comprensibile se si considera che è stato pubblicato nel 1963.

Ancora un altro libro, ep. 14

Mi sono accorto che l’ultimo episodio di questa rubrica risale addirittura allo scorso febbraio. Credo sia arrivato il momento di riassumere qui le mie letture più recenti.

Cominciamo con La ragazza dai capelli strani, breve raccolta di racconti in cui possiamo ammirare il talento, ancora acerbo, di David Foster Wallace e la sua capacità di analisi della società moderna. Ogni racconto ha un tono e uno stile diversi, spesso con una struttura frammentata, con continui cambiamenti nel punto di vista e persino della forma. Nonostante siano passati più di trent’anni dalla sua pubblicazione, lo stile di questo autore continua ad essere innovativo e sorprendente. I periodi lunghissimi, le continue associazioni mentali e le situazioni assurde e geniali sono le caratteristiche che più emergono dalla sua lettura. Sotto la superficie c’è la volontà di Wallace di dare forma ai pensieri più complessi senza rinunciare alla sua visione lucida del mondo nel quale viviamo, una visione che è ha anticipato i tempi. Se cercate racconti con una trama ed un finale, in questa raccolta, non ne troverete nemmeno uno.

Decisamente una lettura più leggera quella de La spada del destino, ovvero il secondo volume della saga dello strigo Geralt di Rivia. Si tratta ancora una raccolta di racconti ma a differenza del primo, ho trovato questo un po’ meno avvincente. Nei tre primi racconti lo strigo non ha un ruolo attivo all’interno della storia, è uno spettatore al pari di alcuni personaggi secondari, pure poco caratterizzati. Nei successivi tre invece, Geralt mette finalmente mano alla spada e rende giustizia al suo ruolo. Una raccolta divisa in due metà, una trascurabile e un po’ lenta, e l’altra più convincente e in linea con lo spirito della saga mostrato finora. Indubbiamente Andrzej Sapkowskici sa fare, il suo stile è diretto e asciutto, con una particolare attenzione ai dialoghi. Forse solo le vicende amorose tra Yennefer e Geralt risultano, a volte, un po’ stucchevoli e fuori luogo. Non mi resta che scoprire cosa riserva il primo romanzo della saga.

Solo Stephen King poteva scrivere un romanzo su di un’automobile assassina senza essere banale e grottesco. Non sapevo cosa aspettarmi da Christine ma ha saputo sorprendermi anche questa volta. Nella prima parte King definisce i personaggi, i rapporti che li legano e il contesto nel quale vivono la loro vita serena. Finché il giovane Arnie non sceglie Christine. Nella seconda parte tutto cambia e si entra in un susseguirsi di eventi che sembra impossibile da fermare. Il male che continua oltre la vita e non conosce riposo. Il passato che apre vecchie ferite e il futuro incerto dei giovani protagonisti. Il finale riserva delle sorprese nel perfetto stile di questo autore, evitando spettacolari colpi di scena. Senza dubbio tra i migliori romanzi di questo autore che ho letto finora e consigliato anche a chi vuole iniziare a scoprire il Re.

La repubblica dei ladri è terzo capitolo della saga dei Bastardi Galantuomini e quello nel quale facciamo finalmente la conoscenza di Sabetha, personaggio fin qui solo nominato. Scott Lynch ci racconta anche di più sul passato di questa banda di ladri, svelandoci l’episodio del teatro già citato nei libri precedenti. Nel frattempo ritroviamo Locke e Jean impegnati nelle elezioni nella città dei maghi. Forse queste elezioni sono un pretesto un po’ debole per portare avanti la storia, soprattutto perché non è chiarissimo il ruolo dei due protagonisti, ma alla fine si spiega tutto o quasi. Questo romanzo appare più come un prologo per quello che seguirà. Il colpo di scena finale, infatti, apre a nuovi e inquietanti sviluppi. L’unico modo per scoprire quali saranno è leggere il prossimo The Thorn of Emberlain che però è in attesa di pubblicazione da dieci anni.

La battaglia di Ravenspur, il finale della quadrilogia della Guerra delle Due Rose, è quanto ci si poteva aspettare dopo il deludente terzo volume. Conn Iggulden non riesce a dare forma al romanzo che diventa così in una sorta di docufilm, dove alcune parti sono caratterizzate da dialoghi e azione, altre, più frequenti, non sono altro che una voce fuori campo che riassume velocemente i fatti più salienti. La sensazione è che l’autore non avesse le idee ben chiare e questo a portato all’assenza di una struttura, con personaggi poco caratterizzati e approfonditi. Le riflessioni dei protagonisti sono spesso ripetitive e alla lunga annoiano, dando l’impressione che servano solo ad riempire qualche pagina in più. La gran quantità di personaggi che hanno preso parte a questo conflitto, durato trent’anni, forse avrebbe meritato ben più di quattro libri o, in alternativa, un solo libro meno dettagliato ma più chiaro di quello che ha realizzato Iggulden. Questa serie di libri si è rivelata una delusione, soprattutto dopo i primi due buoni volumi. Non entro nel merito della fedeltà ai fatti storici che sono esposti nella nota storica in chiusura ma, a ben vedere, riassume, in una decina di pagine e in modo più chiaro, le altre centinaia appena concluse. Nota a margine: il titolo italiano è fuorviante. Non c’è stata nessuna battaglia a Ravenspur, anche se ha un ruolo centrale nelle vicende. Molto meglio il titolo originale: Wars of the Roses. Ravenspur: Rise of the Tudors.

Ancora un altro libro, ep. 12

L’ultimo episodio di questa rubrica risale allo scorso luglio e da allora di libri ne ho letti diversi. Quindi direi che è arrivato il momento di riassumere qui le mie letture più recenti.

Bloodline è un romanzo storico che racconta le vicende della Guerra delle Rose, il terzo di quattro che compongono la saga scritta da Conn Iggulden. Rispetto ai due precedenti, questo non mi è sembrato all’altezza di essi. L’autore non riesce a portarci indietro nel tempo anche a causa della scarsa caratterizzazione dei personaggi, un difetto già riscontrato nel primo e nel secondo volume. Molti sono solo dei nomi e uno dei pochi personaggi di fantasia, nonché uno dei più riusciti, Derry Brewer, il deus ex machina, che spiccava sugli altri, viene inspiegabilmente relegato a poche apparizioni. In alcuni capitoli più che un romanzo sembra una cronaca, con un susseguirsi di avvenimenti che servono solo a coprire lunghi intervalli di tempo. Bloodline è un buon romanzo storico che si prende alcune libertà (è tipico di questo genere) ma prova a rimanere fedele ai fatti per quanto possibile. L’autore però appare comunque più schierato dalla parte dei Lancaster piuttosto che da quella degli York ma se si cerca qualcosa di imparziale e veritiero meglio un saggio.

Prosegue la mia avventura (tra alti e bassi) nel mondo della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind. Il quinto volume, L’anima del fuoco, ricalca la struttura dei precedenti, introducendo nuovi personaggi e nuove ambientazioni. Richard e Kahlan si ritrovano alla prese con i “rintocchi” che minacciano la presenza della magia nel mondo fantastico creato dall’autore. I pregi e i difetti rimangono gli stessi dei capitoli precedenti. Lo stile asciutto e scorrevole dell’autore contrasta con le numerose ripetizioni e banalità. Ad esempio i continui rifermenti al cibo, del tutto inutili all’interno della narrazione, e la tendenza a sottolineare le vicende amorose di personaggi, spesso ininfluenti sulla loro psicologia e sull’intreccio. Inoltre, ma forse è solo una mia impressione, Goodkind sembra avere qualche problema con la gestione del tempo. Settimane che sembrano giorni e viceversa. Le varie linee temporali non sembrano intrecciarsi a dovere e il finale mi è parso affrettato e un po’ campato in aria. Non importa, il prossimo volume chiude un ciclo narrativo e lo leggerò sicuramente ma non subito. Sono nella fase: devo sapere almeno come va a finire.

Questo è uno di quei libri che compaiono un po’ per caso mente si cerca altro ma che sentiamo il bisogno di leggere subito, lasciando in attesa altri libri che aspettano il loro turno da mesi, se non addirittura anni. 1793 è un romanzo storico che segna il debutto dello scrittore svedese Niklas Natt och Dag. Si potrebbe definire un giallo o un thriller storico ma in realtà è qualcosa di più di questo. La coppia di investigatori, il tisico Cecil Winge e il reduce Mickel Cardell, è quella classica. La mente e il braccio. Entrambi sono ben integrati nel contesto storico in cui vivono, la Stoccolma del 1793. Più originale è la struttura del romanzo, che non segue semplicemente le indagini e, nella parte centrale, lascia che sia il lettore a scoprire parte della verità con occhi diversi, con gli ultimi capitoli che servono a chiudere il cerchio. Lo stile dell’autore è incalzante e condito da ottimi dialoghi. Le scene forti non mancano e la violenza potrebbe disturbare i lettori più sensibili ma nel contesto rende tutto più vivido. Un ottimo esordio che tiene sulle spine fino all’ultima pagina ma non privo di qualche difetto, come le ripetizioni, le espressioni ricorrenti e qualche colpo di scena di troppo. Leggerò sicuramente il suo seguito che si presenta come una storia indipendente ma in continuità rispetto a questo libro. Ovviamente, come d’uopo, anche questa è una trilogia.

Altro che di trilogia si tratta, quella del Le Storie dei Re Sassoni che è arrivato al suo tredicesimo volume. Modestamente non sono nemmeno arrivato a metà con Il signore della guerra, quinto libro di questa serie di romanzi storici del maestro Bernard Cornwell. Nonostante si tratti del quinto capitolo di una lunga saga, questo autore riesce a mantenere alto il livello della narrazione, anche grazie agli elementi storici inseriti in essa. Data la scarsità di evidenze storiche, il nostro non manca di dare spazio alla fantasia ma lo fa senza mai risultare poco credibile come avviene spesso in alcuni romanzi storici d’avventura. Il protagonista Uhtred, nonché voce narrante, è sempre più spavaldo e strafottente almeno nelle apparenze ma la sua fedeltà a re Alfredo è messa ancora una volta a dura prova. Le note storiche dell’autore, seppure brevi, sono sempre interessanti perché chiariscono cosa è vero e cosa no del romanzo appena terminato. Non vedo l’ora di tornare con Uhtred sulle colline inglesi per vedere cosa ne sarà del sogno di Alfredo.

Chiudo in bellezza con un capolavoro ovvero Lonsome Dove (le prime edizioni in Italia avevano l’inspiegabile titolo di Un volo di colombe). In questo grande romanzo western affrontiamo, insieme ai ranger Call e Augustus, un lungo viaggio che ci porterà dal Texas al Montana di fine ‘800. Tra personaggi indimenticabili e dialoghi cinematografici (non a caso è nato come sceneggiatura), Larry McMurtry ci fa conoscere la dura vita sulla pista. Si sente, tra le sue righe, la polvere delle pianure, il caldo torrido, la tensione dei pericoli, i sogni e le speranze degli uomini. Nonostante la mole e il ritmo lento, questo romanzo scorre senza intoppi tra scene divertenti e altre tristi e dolorose. Ci sono numerose riflessioni sulla vita e la morte, sempre ben inserite nel contesto e alleggerite dalla simpatia di Gus e di altri personaggi bizzarri. La capacità di McMurtry di dare “voci” differenti a ciascun protagonista ha dell’incredibile (non per niente questo romanzo vinse il premio Pulitzer nel 1986). Difficile lasciare i suoi protagonisti al loro destino e infatti esiste un seguito che leggerò sicuramente (anche se mi dicono inferiore), perché questa strana compagnia di cowboy già mi manca. Qui sotto un paio di citazioni che mi sono segnato.

– Dove credi che andrà a finire Jake?
– In una fossa, come me e te.
– Non so perché continuo a farti domande.

– Avete fretta di arrivare da qualche parte. È un grosso errore andare di fretta.
– Perché? – domandò Joe. Quasi tutto ciò che diceva il viaggiatore lo lasciava perplesso.
– Perché la nostra destinazione è la tomba. Chi va di fretta di solito ci arriva prima di chi procede con calma.

Ancora un altro libro, ep. 10

Dopo gli ottimi Imprimatur e Secretum, il terzo capitolo delle avventure di Atto Melani e del “ragazzo” senza nome, intitolato Veritas, si rivela essere un passo indietro rispetto ai precedenti romanzi scritti dalla coppia Monaldi e Sorti. Sempre ottima la ricostruzione storica ma stavolta si eccede con la fantasia e la presunzione. La morte dell’imperatore Giuseppe I è un pretesto debole che costringe gli autori ad aggiungere carne al fuoco per tenere in piedi la storia. In particolare la nave volante, con tanto di autopilota, mette a dura prova la sospensione dell’incredulità che, in un romanzo storico, non dovrebbe essere necessaria (o almeno non quanto un fantasy). Senza contare che resta un mistero la sua utilità all’interno della storia. La serie di omicidi è eccessivamente prevedibile e inutilmente brutale. Il colpevole viene svelato con un colpo di scena copiato pari pari da “I soliti sospetti” (film che all’epoca fu rivoluzionario ma rivisto oggi non più di tanto). Mi è parso inoltre che la prosa sia più moderna che nei precedenti ma forse è solo una mia impressione, così come lo sono le numerose ripetizioni degli stessi concetti. Mi spiace scriverlo ma questa volta Monaldi e Sorti hanno toppato e non di poco. Veritas resta un thriller di pura fantasia, con un intreccio debole, supportato però, come sempre, da un’immensa documentazione.

Sono tornato da Scott Lynch che ci porta per mare nel secondo capitolo dei Bastardi Galantuomini, intitolato I pirati dell’oceano rosso (Red Seas Under Red Skies). La struttura del romanzo resta la stessa del primo libro Gli inganni di Locke Lamora: Locke e Jean mentre stanno mettendo a segno uno dei loro colpi, rimangono invischiati in affari più grossi di loro. Chi conosce poco o nulla di termini marinareschi si troverà confuso quanto i protagonisti, lo stesso autore ammette poi di aver fatto un po’ confusione e di essersi inventato qualche termine. L’intreccio è il punto di forza di questa serie che, tra truffe, intrighi e tradimenti, tiene incollato il lettore fino al finale che lascia alcune questioni in sospeso per i volumi successivi. Linguaggio forte e violenza, ma anche molta ironia, restano i tratti distintivi di un fantasy fuori dagli schemi. Il mondo creato da Lynch si arricchisce di nuovi particolari e parole (ottima la traduzione), facendoci scoprire le sue regole e sui meccanismi che sovvertono quelli del nostro. Ora non mi resta che il successivo La repubblica dei ladri che finora è l’ultimo pubblicato da Lynch. Il prossimo The Thorn Of Emberlain pare sia di prossima pubblicazione ma è così da qualche anno ormai. Forza Scott ce la puoi fare!

Se con La svastica sul sole, Philip K. Dick non mi aveva pienamente convinto, con Ubik ho capito perché questo autore è così amato. La capacità di Dick nel creare una storia dalla struttura solida ma allo stesso tempo confusa, è il punto di forza di questo libro. Ambientato nel 1992, che all’epoca rappresentava un futuro relativamente lontano, l’umanità ha trovato il modo di mantenere in semivita le persone in punto di morte e avere contatti con loro. Tutto ruota attorno alla vita e alla morte e a questo stato di sospensione innaturale. Nella prima metà del romanzo Dick ci confonde con termini presi in prestito dalla fantascienza dell’epoca per poi, nella seconda, accelerare il ritmo e trovare numerosi colpi di scena. Un romanzo che corre senza sosta, senza passaggi a vuoto, che soffre solo di un immaginario fantascientifico ormai obsoleto ma continua ad offrire spunti di riflessione. Probabilmente leggerò altro di Dick ma l’impressione, leggendo opinioni qua e là, è che Ubik resta il punto più alto della sua produzione.

Ancora un altro libro, ep. 8

Prima che finisca anche questo anno mi sembra doveroso dare spazio anche alle mie letture. Questa rubrica infatti è ferma dallo scorso maggio e mi sembra il momento adatto per ricapitolare qui tutti i libri che ho letto da allora.

Cominciamo con Il diavolo e l’acqua scura di Stuart Turton che ci porta nel 1634 a bordo della misteriosa Saardam, una nave mercantile diretta ad Amsterdam. Dopo l’ottimo Le sette morti di Evelyn Hardcastle non vedevo l’ora di buttarmi su questo romanzo, il secondo dell’autore. Anche se potrebbe sembrare un giallo storico, la ricostruzione storica è appena accennata, per stessa ammissione dell’autore, in modo da concedere più spazio a trama e personaggi. Turton riesce sempre a creare una tensione costante nei suoi romanzi, disseminando indizi e intrecciando le vite dei vari protagonisti. Tutto molto bello se non fosse che l’impianto narrativo messo in piedi dall’autore si sofferma spesso su alcuni dettagli e lascia tempo al lettore di ragionare troppo sulla soluzione del mistero. Questo smorza la sorpresa finale, che di fatto arriva in anticipo se si escludono man mano i possibili sospettati. Va dato atto però a Turton di non lasciare nulla al caso e sono sicuro che saprà migliorarsi nei prossimi romanzi.

Il filo della spada è quarto capitolo delle avventure di Uhtred durante la nascita del regno d’Inghilterra. Bernard Cornwell è un grande narratore che questa volta lascia più spazio alla fantasia. Un’ambientazione meno vasta rispetto al solito e un obiettivo chiaro, rendono questo romanzo scorrevole e appassionante. Nuovi personaggi e vecchie conoscenze si alternano mantenendo alta la qualità di questa saga. Non vedo l’ora di continuare a seguire le avventure di questo signore della guerra, sempre diviso tra re Alfredo e il richiamo degli dei pagani.

Al mio radar dei classici gotici, per qualche motivo, è sempre sfuggito Il monaco di Matthew Gregory Lewis. Romanzo del 1796, ricco di tutte le caratteristiche del genere gotico. Fantasmi, demoni, tentazioni e cripte ammuffite fanno da sfondo alla torbida storia del monaco Ambrosio. Lewis riserva diversi capitoli agli altri personaggi che girano attorno a Lorenzo, i buoni della storia, e per un attimo ti fa credere che forse stai leggendo il libro sbagliato. Ma poi riprendono le vicende del monaco e tutto torna. Lettura scorrevole, anche grazie alla traduzione, cosa non scontata per un’opera di fine ‘700, con vivide descrizioni degli aspetti più macabri. Ma quando si parla di sesso, molto è lasciato all’immaginazione. Ritmo serrato e ben congegnato che ti tiene incollato fino al diabolico finale. Peccato per le parti in versi che non aggiungono nulla alla storia anzi spezzano inutilmente la narrazione e sembrano più un spot per l’autore che vuole vendersi come poeta.

Prosegue la mia avventura nella saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind che vede sempre protagonisti Richard e Kahlan con l’aiuto del mago Zedd. Il tempio dei venti è poco vario nelle ambientazioni e comunque alcune di questa già viste in precedenza e soprattutto piuttosto lento rispetto agli altri. Kahlan a volte va in paranoia e Richard sembra tanto risoluto ma basta poco per fargli cambiare idea. La storia è piuttosto debole ma resta comunque una lettura piacevole. La violenza gratuita rende questo fantasy adulto anche se il linguaggio usato da Goodkind non sconfina mai nel volgare. E non ne capisco sinceramente il perché. Incredibile ma vero nell’edizione italiana manca un intero capitolo ma non preoccupatevi, non si nota nemmeno. Questo è chiaramente un segno che il romanzo ha qualche pagina di troppo comunque.

I Wu Ming con L’armata dei sonnambuli danno il meglio in questo romanzo storico ambientato nei primi anni della rivoluzione francese. Tre protagonisti, le cui storie convergono nei capitoli finali, e un antagonista, si muovono in una Parigi instabile e confusa. Ci sono momenti horror vagamente paranormali, scene d’azione e le immancabili riflessioni sociopolitiche, il tutto intervallato da documenti, articoli di giornale e gazzettini vari. Divertenti i resoconti sgrammaticati ma genuini di chi “in piazza c’è stato davvero”. Forse un’introduzione alla situazione in Francia sarebbe stata d’aiuto per districarsi tra le varie fazioni ma si può porre rimedio comunque per proprio conto. Come al solito i Wu Ming mostrano l’altra faccia della Storia, supportati da una documentazione a volte esile ma ricca di fascino e mistero, senza disdegnare scene di puro intrattenimento.

Primo libro di DeLillo che leggo dopo averlo sentito associare a David Foster Wallace. In Rumore bianco ho notato delle somiglianze tra i due ma DeLillo fa uso dell’ironia più raramente, limitandola alle situazioni più grottesche. Un romanzo raccontato in prima persona, fatto di episodi e salti temporali brevi ma frequenti. L’autore sembra scegliere le parole una per una, senza lasciare nulla al caso. Un romanzo che parla di morte, ne è pervaso dalla prima all’ultima riga. Questo perché il protagonista ne è terrorizzato e non riesce a smettere di pensare ad essa. Più si va avanti nel racconto e meno trovano spazio le battute un po’ nonsense del postmodernismo, a beneficio di un ritmo più serrato. Non un libro semplice da leggere ma sicuramente ricco di spunti di riflessione. Mi sono rivisto spesso nei pensieri e nelle idee del protagonista e un po’ mi ha fatto impressione. Leggerò senza dubbio altro di DeLillo.

Da parecchio tempo non leggevo Deaver e La scimmia di pietra è una delle prime indagini di Lincoln Rhyme che mi ero lasciato indietro. Ne ho letti molti ma questo non mi ha lasciato particolarmente soddisfatto. Ho intuito il principale colpo di scena con largo anticipo ma la spiegazione di Deaver lascia qualche buco e il resto è poco credibile. La prevedibile imprevedibilità di questo autore non è un meccanismo perfetto e ogni tanto si inceppa. Resta una lettura piacevole e tornerò di nuovo sulla scena del crimine con Linc e Amelia.

Una cosa divertente che non farò mai più è il reportage di David Foster Wallace a bordo un una crociera superlusso ed è irresistibile. Tutto il talento di questo scrittore condensato in poche ma divertenti pagine che raccontano la sua esperienza in modo lucido e dettagliato. Sono molti i passaggi che strappano una risata sincera. La capacità di DFW di scrivere di ogni cosa che gli passa davanti a gli occhi e per la testa con una facilità disarmante ed efficacia, è sorprendente. Difficile comprendere cosa sia stato “romanzato” e cosa no ma la mia idea è che la penna di questo autore sia più vera del vero e anche questa volta, nella sua superficiale leggerezza, sia riuscita a scavare nella profondità dell’animo umano e della cultura americana e occidentale. Consigliato a chi vuole scoprire lo stile di DFW senza impegno.

Con Le creature del buio – Tommyknockers, Stephen King si dà alla fantascienza ma senza rinunciare al suo immaginario horror. Perfetta come sempre la costruzione dei personaggi che popolano Haven, anche se in un paio di occasioni si dilunga troppo e inutilmente. King riesce a rendere verosimile perfino una storia che racconta di dischi volanti, arricchendola di dettagli. Gli alieni ci sono ma non si vedono mai per davvero e l’idea della mutazione è ben congegnata. Lettura scorrevole come di consueto per King anche se lui stesso lo considera il peggiore dei suoi. Il finale un po’ assurdo e sopra le righe toglie un po’ di magia ma poco male, c’è tanto di buono in questo libro.

Ancora un altro libro, ep. 6

L’ultimo episodio di questa rubrica risale a gennaio e quindi è arrivato il momento di raccogliere qui le impressioni sulle letture che ho affrontato in questi mesi. Dopo aver salutato, solo temporaneamente, il buon David Forster Wallace, mi sono dedicato al secondo capitolo della saga di Dune, scritta da Frank Herbert, intitolato Il Messia di Dune. Questo capitolo della saga fantascientifica di Dune è più breve del precedente ma decisamente più lento. Non che il primo sia tutto azione e dialoghi ma questa volta è la trama a non essere particolarmente brillante. Herbert indugia troppo sulle visioni di Paul e Alia, non sfruttando appieno gli intrighi del complotto, lasciando che tutto si risolva da sé o quasi. Paul Atreides, conosciuto anche come Muad’dib, il Kwisatz Haderach, è dotato, più di altri, del potere di avere visioni del suo futuro che si confondono e si sovrappongono, rendendole di difficile interpretazione. Arrakis passa in secondo piano, dando più spazio all’Imperatore, sacrificando così il fascino di questo pianeta che ha reso speciale il primo capitolo. Ci sono anche molti aspetti interessanti ne Il Messia di Dune, ad esempio l’introduzione del personaggio di Hayt, il ghola creato dal Bene Tleilaxu, ovvero un clone di Duncan Idaho, uno dei protagonisti del primo Dune. Anche la presenza di nuove razze e creature dimostrano la vivace fantasia di Herbert. In definitiva, questo libro mi ha dato l’impressione di essere un’introduzione ai futuri sviluppi della saga che non abbandonerò certo ora.

Stephen King trova sempre spazio tra le mie letture e questa volta lo fa con la raccolta di racconti brevi, A volte ritornano. Il Re mette in mostra tutte le sue doti tecniche e la sua vivida immaginazione in questi venti racconti. Alcuni sarebbero poca cosa in mano ad altri autori ma non nella sua. Altri invece sono dei piccoli capolavori, ad esempio Jerusalem’s Lot (che anticipa Le notti di Salem), A volte ritornano, Il compressore, Camion o Il cornicione, solo per citarne alcuni. Quest’ultimo mi ha fatto sudare freddo, letteralmente. Come non citare Risacca notturna che getta le basi per un capolavoro come L’ombra dello scorpione. I figli del grano è un altro di quelle storie che solo King sa imbastire, così come il commovente L’ultimo piolo. Nonostante sia stata prima volta che leggevo questa raccolta, leggendo Il bicchiere della staffa (collegato sempre alla vicende di Jerusalm’s Lot) ho avuto l’impressione, molto forte, di conoscere già la storia. A meno che lo zio Steve non sia venuto a farmi visita nel sonno, sussurrandomela all’orecchio (ne dubito ma non lo escluderei), è probile che l’abbia letta in qualche libro di antologia che si leggono a scuola. Cos’altro aggiungere? A King basta una semplice idea per imbastire una storia fatta di personaggi credibili che si muovono in un mondo fatto di dettagli che lasciano il lettore senza fiato.

In seguito sono tornato sulla saga storica che racconta della Guerra delle Due Rose, scritta da Conn Iggulden e in particolare il suo secondo libro intitolato Trinity. Questo capitolo è più ricco di battaglie e azione rispetto al precedente, oltre al fatto che ci sono meno personaggi e ciò rende la storia più lineare e più coinvolgente. L’autore riesce nella non scontata impresa di rimanere imparziale quando narra le vicende tra le due fazioni dei Lancaster e degli York. Non ci sono buoni o cattivi, entrambi hanno le loro buone ragioni per combatte contro ciò che ritengono ingiusto. Spesso mi sono trovato in d’accordo con York per poi subito dopo fare lo stesso con la regina Margherita, sposa di re Enrico VI dei Lancaster. Come succede spesso nei romanzi storici, dove protagonisti sono persone realmente esistite, la loro fine non è dettata dal sentimento dell’autore ma dal corso della Storia. E questa riserva dei colpi di scena. Una lettura scorrevole che trasporta il lettore in un altro mondo dove tutto sembrava avere più valore e il tempo scorreva più lento ma inesorabile, in un’Inghilterra ancora alle prese con le ferite della Guerra dei Cent’anni.

Infine ho letto AIR: La storia di Michael Jordan scritto dal giornalista americano David Halberstam. Non è il genere di libro che leggo di solito, perché le biografie, soprattutto di personaggi contemporanei, non fanno per me. Ma mi è stato regalato in quanto sono un appassionato di pallacanestro, o di basket come diciamo erroneamente noi italiani, e quindi è per questo che si trova nella mia libreria. Il titolo originale, Playing for Keeps: Michael Jordan and the World He Made, rende meglio l’idea del suo contenuto rispetto alla versione italiana. Non racconta infatti la vita di Michael Jordan, anche se copre il periodo che va dall’università al secondo ritiro, ma piuttosto la sua ascesa sportiva e dei cambiamenti che ha portato, non solo nella pallacanestro, ma in tutto lo sport. L’autore si sofferma sulla forza di volontà si quest’uomo di vincere, di eccellere, in qualsiasi cosa che fosse una finale NBA o una partita a carte. Per buona parte del libro il giornalista salta avanti e indietro nel tempo senza un apparente motivo. Infatti la lettura è più scorrevole e appassionante quando poi i fatti vengono raccontati in ordine cronologico. Le parentesi sulle altre squadre, oltre ai Bulls, sono interessanti e curiose e danno una panoramica più ampia della NBA degli di fine anni ’80 e ’90. L’unico grosso difetto sono le numerose ripetizioni e la tendenza ad insistere su concetti già espressi in precedenza, oltre ad una traduzione non sempre perfetta, a mio parere. Mi sarebbe piaciuto anche un inserto fotografico, come spesso accade in questo genere di libri, e un albo d’oro che riassumesse la carriere di MJ ma non c’è niente di tutto questo. Un libro per appassionati insomma, se non si basket, di sport in generale.

Ancora un altro libro, ep. 3

Non c’è solo musica in questo blog e chi mi segue da qualche tempo lo sa. Ho sempre dedicato un po’ di spazio anche alle mie letture. Ultimamente cerco di riassumere in un solo post le mie impressioni sui libri che ho terminato di recente. Non sono un avido lettore, non divoro libri come se non ci fosse un domani ma mi prendo il mio tempo cercando di non spezzettare troppo la lettura. Per la verità accumulo titoli più di quanto riesca a leggerne, soprattutto ora che mi sono dotato di un lettore di ebook.
Ma veniamo al dunque e partiamo dal libro che ho iniziato successivamente alla pubblicazione dell’ultimo episodio di questa rubrica, ovvero Manituana di Wu Ming. Si tratta del terzo libro che leggo del collettivo italiano, celebre per il bestseller Q, e devo dire che non mi ha entusiasmato molto. Racconta, da un punto di vista insolito, le origini dell’indipendenza americana, ovvero quello dei nativi americani e gli alleati inglesi. La prima parte e piuttosto lenta, non è una novità per i Wu Ming, ma la storia non decolla mai davvero. Alcuni personaggi sono un po’ piatti, poco caratterizzati e alcuni di loro realmente esistiti. Molto bella la parte ambientata a Londra, ricca e divertente anche se fine a sé stessa. Ciò che segue questo intermezzo oltreoceano manca però di ritmo. Il finale è tirato per le lunghe e non aggiunge nulla. Un romanzo che fa riflettere su chi siano stati i buoni e chi i cattivi nella storia americana ma non uno dei migliori Wu Ming.
Probabilmente Le sette morti di Evelyn Hardcastle dell’esordiente Stuart Turton è il libro che più mi ha tenuto incollato alle sue pagine da un paio d’anni a questa parte. Un ottimo giallo dai toni classici ma decisamente originale nella forma. Il protagonista rivive per sette volte, incarnandosi ogni volta in un diverso personaggio, la giornata che porta alla morte della giovane Evelyn Hardcastle. L’obiettivo è scoprire il colpevole prima che le sette vite siano terminate. Nonostante sia complesso l’intreccio delle reincarnazioni, Turton riesce a renderlo solido, a prova di errore. L’ho letteralmente divorato, grazie alla sua tensione costante e la scrittura scorrevole. Davvero un debutto notevole. Da leggere senza distrazioni però, perché le azioni dei vari personaggi si intrecciano e si sovrappongono più volte e potrebbe essere difficile seguirle.
Spinto dai consigli di Stephen King, ho letto L’incubo di Hill House di Shirley Jackson. Non è il primo romanzo di questa autrice che leggo e sapevo che cosa aspettarmi. Infatti non ci sono state sorprese. Un buon romanzo, breve e scorrevole, forse invecchiato non proprio benissimo. La Jackson è brava a dare voce ai pensieri e alle ansie della protagonista ma spesso si dilunga troppo sulle conversazioni tra gli ospiti della casa. Il finale riserva qualche colpo di scena ma, a mio parere, la situazione precipita troppo velocemente. Consigliato ma non aspettatevi un horror di azione o indagine.
Ultimo ma non ultimo, L’incendiaria di Stephen King. Sto procedendo in ordine cronologico con le opere del Re e questo era il turno della bambina dai poteri pirocinetici. Non tra i migliori libri di King che ho letto finora ma pur sempre un ottimo libro. Bello il legame tra padre e figlia, reso ancor più bello dalla capacità di questo scrittore di descrivere il mondo dei bambini. In generale ho trovato la storia un po’ debole e prevedibile ma King con il suo talento salva tutto, caratterizzando come sa fare solo lui i pochi personaggi di questo libro. L’idea della Bottega, una agenzia governativa segreta che indaga sul paranormale, mi è sembrata un po’ abbozzata e il Re poteva sfruttarla meglio. Ma chi sono io per criticarlo?

Ancora un altro libro, ep. 2

Avevo concluso lo scorso anno, dando qualche consiglio letterario. Sono passati sei mesi da allora ed è arrivato il momento di aggiornarvi riguardo alle mie letture. In questi primi mesi del 2020, caratterizzati da quella cosa di cui sarete al corrente un po’ tutti, non hanno visto incrementare di molto il numero di libri che ho letto. Sopratutto perché non ho mai smesso di lavorare, per la maggior parte del tempo da casa, e quindi ho smesso di leggere comodamente in treno. Non so quando riprenderò a fare il pendolare ma per il momento cerco di leggere nei ritagli di tempo e la sera. Ma non voglio dilungarmi oltre e passerei ai fatti.

Il primo libro che ha aperto questo nefasto 2020 è Dune di Frank Herbert. Non sono un appassionato di fantascienza ma ero attratto da questo romanzo perché ho letto a riguardo opinioni entusiastiche. Il fatto che sia stato pubblicato 1965 può far pensare ad una fantascienza datata e non più credibile (cosa vera solo in alcuni dettagli insignificanti, come i libri su microfilm). Invece, essendo ambientato in un lontano futuro, circa 24.000 anni, mette in crisi chiunque voglia fare delle previsioni. All’inizio si fa un po’ fatica ad entrare nel mondo creato da Frank Herbert. Tanti nomi, spesso di derivazione araba e latina, tante usanze e personaggi. Piano piano però si entra nello spirito del libro. Ed è sorprendente come nel 1965, Herbert abbia anticipato tanti temi oggi molto attuali: ecologia, sfruttamento delle risorse e guerra santa. Un libro ricco di tematiche, affrontate all’interno di un thriller fantascientifico dalla tensione costante. Per scelta dell’autore, alcuni passaggi temporali non vengono raccontati e questo a volte spezza la lettura e lascia spaesati. Un libro che fa riflettere anche se non si è appassionati di fantascienza come me. Leggerò anche il seguito, conscio del fatto che l’intera saga copre un arco temporale di 16.000 anni! Attendo il film in arrivo (forse) entro l’anno con interesse.

Non può un fedele lettore di Stephen King, non provare a leggere qualcosa di Shirley Jackson. Abbiamo sempre vissuto nel castello è un romanzo piuttosto breve e non strettamente horror come si potrebbe pensare. Infatti qualcuno potrebbe restare deluso dal fatto che c’è poca azione e colpi di scena clamorosi. Il classico libro che si deve leggere per il piacere di farlo, solo così si può arrivare al finale che, in qualche modo, cambia la prospettiva delle vicende raccontate e ci fa salire un brivido lungo la schiena. Sono rimasto sorpreso dalla capacità della Jackson di introdurci lentamente nella vita delle due sorelle Blackwood, rendendoci partecipi della loro vita privata e di un passato pesante. Ho già altri libri della Jackson pronti da leggere e non vedo l’ora di affrontare ancora quest’autrice piuttosto enigmatica.

Mi è stato regalato La svastica sul sole di Philip K. Dick. Conosciuto anche come L’uomo nell’alto castello (traduzione letterale del titolo originale), racconta di una storia alternativa nella quale i tedeschi e i giapponesi vincono la seconda guerra mondiale. Primo romanzo di Dick che leggo e forse non l’ho compreso appieno. L’idea dei nazisti che vincono la seconda guerra mondiale è stata all’epoca a dir poco geniale ma secondo me molto poco approfondita. Per volontà dell’autore, vengono presentati al lettore vaghi accenni alle conseguenze di questo evento che avrebbe cambiato la storia. Le vicende dei personaggi danno l’impressione che si possano intrecciare ma più le pagine scorrono e più è forte la sensazione che non sarà così. Il ruolo dell’uomo nell’alto castello tutt’ora mi sfugge. Sembra che Dick abbia buttato lì un’idea, ottima peraltro, ma ha lasciato che altri gliela rubassero negli anni a venire. Non mi ha entusiasmato, devo essere sincero, e per il momento non ho intenzione di leggere altro di questo autore.

Ho proseguito anche con il secondo volume della saga de La Spada della Verità di Terry Goodkind, intitolato La Pietra delle Lacrime. Cosa dire, lo stile di Goodking è scorrevole ed è piacevole leggere le avventure di Richard e Kahlan. Tanta magia, combattimenti e uno sguardo diretto ad un lettore adulto o quasi. Piuttosto corposo ma mai troppo lento, anche se c’è qualche ripetizione di troppo. Non un capolavoro ma un buonissimo libro che intrattiene e a tratti fa anche riflettere. Una saga fantasy controversa scritta da un autore controverso ma sono anche io tra quelli a cui piace, almeno finora. Se volete una lettura estiva di svago ma non troppo, questa saga potrebbe fare per voi. Continuerò sicuramente con il prossimo volume ma non subito.

Non poteva deludermi e non l’ho ha fatto, Secretum della coppia Monaldi e Sorti. Un altro giallo/thriller storico molto accurato e interessante, sopratutto per le vicende storiche connesse. Gli stessi protagonisti del precedente Imprimatur sono alle prese con un conclave imminente e la successione al trono di Spagna. Suggestive le ambientazioni romane, molto dettagliate, nel quale si svolgono le loro avventure, narrate in un linguaggio settecentesco. Sempre precise e sorprendenti le note storiche che sono il punto di forza di questa serie di romanzi. Il vero colpo di scena lo offre la storia e non tanto il romanzo in sé. Se non avete mai letto Monaldi e Sorti vi consiglio di farlo subito anche se richiede un po’ di impegno. Non vedo l’ora di tornare a leggere di Atto Melani e il “ragazzo” senza nome.

La delusione è arrivata con Il Re in Giallo (o Il Re Giallo), raccolta di racconti di Robert W. Chambers. Precursore delle tematiche di H.P. Lovecraft e altri autori è tornato alla ribalta in tempi recenti dopo un periodo nel dimenticatoio e, senza offesa, forse c’era un motivo. I primi racconti che fanno riferimento al Re in Giallo sono i migliori. Poi questa raccolta include altri racconti decisamente meno coinvolgenti. Chambers si perde in lunghe descrizioni che non aggiungono niente ai racconti e annoiano il lettore. I personaggi sono solo dei nomi sulla carta, vanno e vengono confondendosi tra loro. Ho letto Poe e Lovecraft ed altri autori simili ma Chambers l’unico che mi ha messo in difficoltà. Ho fatto fatica ha finirlo e ammetto di aver saltato qualche pagina di descrizioni negli ultimi racconti. Non proprio consigliato a meno che lo volete leggere per beneficio di inventario e colmare il buco nella vostra libreria tra Poe e Lovecraft.

Infine sono ritornato sui romanzi storici con Conn Iggulden e il suo Stormbird, il primo di una serie di quattro romanzi ambientati in Inghilterra alla fine della guerra dei Cent’anni. Le vicende narrate aprono le porte a quella che sarà ricordata come la Guerra delle Due Rose. Davvero ben scritto e scorrevole, sopratutto nei dialoghi. Il linguaggio è forse un po’ moderno ma sicuramente più accessibile. Una sorpresa che mi ha ricordato un altro grande autore di romanzi storici come Bernard Cornwell. Quest’ultimo di sofferma più sui dettagli delle battaglie mentre Iggulden preferisce soffermarsi sulle vicende politiche e sugli uomini che hanno deciso la storia. L’autore si prende qualche libertà rispetto alla realtà me ne rende conto nelle note storiche al termine del romanzo.

Quarantadue

I miei post riguardanti le mie letture sono andati sempre più diminuendo su questo blog. Un po’ perché tendo dare priorità alla musica e un po’ anche perché non sono un avido divoratore di libri. Mi piace leggere la mattina in treno, qualche volta la sera e cerco di farlo regolarmente. Approfittando di un periodo in cui ci sono poche nuove uscite musicali è giunto il momento di fare un breve riassunto di quanto letto negli ultimi mesi. E anticipare i titoli giù pronti sulla mia libreria.

Parto dalla Storia di re Artù e dei suoi cavalieri di Thomas Malory. Pubblicato intorno al 1470 è un tentativo del misterioso Malory di riunire, in forma di unico romanzo, tutte le storie e le avventure dei cavalieri della tavola rotonda e del loro re, Artù. Malory prova a mettere tutto in un ordine cronologico credibile, cercando così di sostenere la veridicità storica dell’esistenza del noto re. Storia di re Artù e dei suoi cavalieri risulta, soprattutto in lingua originale, molto ripetitivo e pesante. La nuova traduzione italiana prova a rendere più scorrevole il racconto ma non snatura la sostanza dello scritto di Malory. Un libro ricco di fascino ma nel quale si possono incontrare alcune difficoltà di lettura. Non per tutti ma chi ha l’ardore di affrontare le sue pagine scoprirà tutto quello che c’è da sapere su Sir Lancillotto, Sir Pasifal, Sir Tristano e Isotta, Sir Galahad e tutti i cavalieri alla corte di re Artù e la regina Ginevra.

Ho continuato poi con Q il primo romanzo del collettivo di scrittori italiani denominato Wu Ming. Allora il romanzo fu pubblicato sotto lo pseudonimo di Luther Blissett che raccoglie un più ampio numero di artisti. Si tratta di un romanzo storico ambientato durante gli anni che seguirono la pubblicazioni delle novantacinque tesi di Martin Lutero. Da una parte troviamo il protagonista senza nome (o dai molti nomi), un eretico in fuga per l’Europa e dall’altra il suo nemico, la spia della Chiesa che si fa chiamare Q. Dopo una prima parte in cui i due protagonisti operano l’uno all’insaputa dell’altro, il romanzo decolla quando le due figure si scoprono nemici. Q è un romanzo che ti tiene incollato pagina dopo pagina, nel quale si respira l’aria pesante di quegli anni spesso dimenticati ma dei quali ancora oggi ne vediamo le conseguenze. Consigliato a chi vuole leggere qualcosa di impegnato ma allo stesso tempo svagarsi in questo gioco pericoloso tra il fuggitivo e la spia.

Dopo questi due libri era giunto il momento si svagarsi un po’. Ci voleva qualcosa di divertente, assurdo, fantastico. Potrete trovare tutto questo sotto un unico titolo: Guida Galattica per Autostoppisti. In particolare l’edizione che unifica la trilogia in cinque parti (!) scritta di Douglas Adams e rimasta incompiuta a causa della sua prematura scomparsa. Le avventure del terrestre Arthur Dent e dell’alieno Ford Prefect sono le cose più divertenti che abbia mai letto. Spesso, anzi sempre, fuori da ogni logica o ordine cronologico. L’universo là fuori è grande, grandissimo, oltre ogni comprensione e può succedere di tutto. Perfino che la Terra venga distrutta (o forse no). Ci sono momenti in cui vi ritroverete a ridere da soli e altri in cui rimarrete perplessi per le assurdità che ci sono scritte (ma tutte rigorosamente e scientificamente giustificate). Anche se la fantascienza non vi appassiona è un libro da leggere anche solo per scoprire la risposta alla domanda fondamentale sulla vita, l’universo e tutto quanto.

In questi giorni sto leggendo Il Silmarillion di J.R.R. Tolkien chiudendo così il cerchio dopo Il Signore degli Anelli e Lo Hobbit. Lettura affatto leggera ma di un fascino indescrivibile. Prossime letture: La fattoria degli animali di George Orwell e Dolores Claiborne di Stephen King. Con una certa curiosità ho acquistato anche Imprimatur, primo romanzo della coppia italiano Monaldi e Storti. Infine un’altra raccolta di racconti della bravissima Daphne Du Maurier. Insomma, ho ancora molto da leggere, avventure da affrontare, luoghi da visitare e personaggi da conoscere.

Notizie false

Dopo aver letto Il nome della rosa (Penitenziagite) poco più di un anno fa, avevo comprato Il cimitero di Praga pochi mesi prima della scomparsa di Umberto Eco. Ho scelto questo libro approfittando di un’offerta senza sapere di cosa si trattava. Rimasto per diverso tempo nella mia libreria, solo il mese scorso l’ho aperto, addentrandomi nel diario delle avventure di Simone Simonini. Eco ricostruisce la sua vita attraverso tre punti di vista differenti. C’è un Narratore che dà una collocazione alle vicende del diario di Simonini e cerca di mettere un po’ ordine nei momenti meno chiari della narrazione. C’è poi il diario, tenuto da un anziano Simonini che ripercorre la sua esistenza cercando di recuperare la memoria degli ultimi giorni. Ogni tanto si intromette in questo diario tale abate Dalla Piccola, che si rivelerà fin da subito essere una seconda personalità dello stesso Simonini. La trama va avanti tra flashback e le ricostruzioni del Narratore in un vortice di eventi non sempre semplici da seguire. Il risultato è un viaggio nella storia d’Italia e d’Europa tra il 1830 e il 1898.

Simonini è un falsario, che svolge il suo lavoro al sicuro nella sua attività di antiquario di copertura. Eco muove Simonini tra i principali eventi storici dell’epoca partecipando anche alla spedizione dei Mille. Il personaggio di Simonini è un antieroe senza scrupoli disposto ad uccidere o a far uccidere per soldi, ed è uno dei pochi personaggi di fantasia che compaiono nel libro. Gli altri sono tutti realmente esistiti ed è proprio questo che rende questo romanzo incredibile. Il romanzo affronta con una sottile ironia l’ascesa degli ideali antisemiti che hanno caratterizzato la prima metà del novecento. Simonini si impegna per diffondere l’odio verso gli ebrei, costruendo ad arte falsi che li mettono in cattiva luce. Il suo grande progetto è la descrizione di una riunione tra potenti ebrei che smaschererebbe il loro progetto di conquista del mondo. Il suo sogno si realizza in quello che oggi conosciamo come i Protocolli dei Savi Di Sion. Un documento sul quale si baseranno i principi dell’ideologia nazista. Eco crea il personaggio di Simonini come fosse il deus ex machina di tutto il falso di quegli anni. Il contorno è composto da personaggi reali, che davvero anno falsificato e inventato qualsiasi cosa pur di cavalcare il nemico del momento, fosse la Chiesa, i massoni, gli ebrei o i comunisti, plasmando il corso della storia.

Il cimitero di Praga è una lettura a tratti divertente e satirica, nella quale alcuni lettori malpensanti potrebbero rimanere disgustati dall’odio antisemita che pervade ogni pagina. Io al contrario l’ho trovato un libro che vuole smascherare le false credenze, alimentate da uomini senza scrupoli, mossi dal denaro e dal potere. Si può rivedere in questo romanzo l’odio che oggi si sta diffondendo verso la cultura mussulmana. Eco vuole metterci in guardia, per evitare che la storia si ripeta. Perché oggi si fa un gran parlare delle cosiddette fake news che altro non sono che false notizie messe in giro da megalomani e malintenzionati. Nel ottocento si diffondevano attraverso riviste sovversive o clandestine, oggi tutto avviene più velocemente e semplicemente attraverso i social network. Il cimitero di Praga è un libro perfetto per il momento storico che stiamo vivendo, un viaggio in un periodo storico confuso che mette in dubbio la storia che conosciamo, quella italiana ed europea. Se il lettore ha la pazienza di mantenere il filo narrativo tracciato dalle tre voci del romanzo, scoprirà una lettura molto interessante, perfino divertente, ed illuminante di uno dei più grandi scrittori italiani.

Umberto Eco
Umberto Eco