Mi ritorni in mente, ep. 1

Capita spesso che una canzone ci giri in testa per l’intera giornata. Personalmente mi capita che anche un solo verso di una canzone si riproponga per intere settimane. Ho deciso così di pubblicare un post quando succede. In questi ultimi giorni è la frase “And your smile is not like mine / It disappears from time to time / But I believe in you / Everything you’ll ever do” che tiene banco nella mia testa. Forse è semplicemente la rima che funziona. Non saprei. Poi scatta la musica che fa tanto “effetto stadio”. In genere non amo questo genere di effetto ma se tale canzone è cantata da Amy MacDonald non ho nulla da obiettare. Your Time Will Come chiude il suo secondo album ed è perfetta allo scopo. La voce di Amy è la cosa che più amo della sua musica e probabilmente non mi rendo conto che il suo accento scozzese gioca un ruolo non indifferente. Se ascolate una sua intervista faticherete a starle dietro con l’inglese, a tratti sembra abbia un accento vagamente tedesco! Anche l’apertura del brano è sovente un verso che mi rimbalza in testa, “Oh the wind is gently blowing / As the light begins to fade“.

Nient’altro da dire se non consigliarvi di ascoltare questa canzone. La scelta del video è azzeccata, perfetta per la canzone. Dimostra che Amy ce la fatta e semplicemente, con la sua voce, ci augura altrettanto anche per noi, “So soon your time will come / Get out while you’re still young / May all your dreams come true / For someone like you“.

La prima trasmissione di Jon

Non sai mai cosa aspettarti quando un membro di una band esce momentaneamente dal gruppo per lavorare ad un album solista. Questa volta è “uscito dal gruppo” il tastierista/chitarrista e seconda voce della band canadese Wintersleep alla quale si era aggregato nel 2006. Il suo nome è Jon Samuel e lo scorso anno ha pubblicato il suo primo album da solista. Non potevo perdere l’occasione di ascoltare questo First Transmission soprattutto perchè arrivare ad un artista nuovo tramite un altro che già conosci produce spesso ottimi risultati. Jon Samuel ne è la conferma. Essere un componente di una band indie, non particolamente famosa quantomeno da questa parte dell’oceano, e pubblicare un disco solista con una piccola etichetta indipendente, significa rimanere piuttosto nascosti, rischiando di passare inosservati. Per fortuna nessuno passa inosservato in Internet e tutti possiamo avere la possibilità di ascoltare First Transmission.

Se si sceglie di lavorare ad un progetto solista, molto probabilmente significa che si ha intenzione di fare qualcosa di diverso da quanto si farebbe all’interno del gruppo. Jon Samuel non fa eccezione. La traccia di apertura da il nome all’album e chiarisce fin da subito la strada che ha voluto intraprendere Samuel. Voce, chitarra e poco più per confezionare atmosfere che trasmettono solitudine, amore e poesia in un clima di vaga desolazione che parte dal cuore dell’uomo fino ai limiti dell’universo. Il secondo brano, To Love, è chiaramente inspirato dall’amore ed è una delle tracce più piacevoli dell’intero lavoro. Relic ricama atmosfere incantate, rese inafferrabili dalla voce delicatamente black di Jon. La poesia è spezzata dalla inquietante Follow The Leader dove un loop di chitarra ci perseguiterà fino a che il suono diventerà distorto disperdendosi nel nulla. Se quest’ultima da un assaggio di rock, la successiva NADA ci darà dimostrazione che aver lasciato da parte per un momento la chitarra acustica non è stata affatto una brutta idea. Il ritornello vi entrerà in testa grazie alla capacità di Jon di troncare le frasi ottenendo un piacevole effetto. Con Crater torna su un terreno più cantautorale e folk per una ballata lenta ma efficace dove la desolazione di uno spazio infinito ne è il tema principale, Sucked into a black hole/Where I may roam/Forever around in the dark”. Darkwood è il pezzo più pop e da un sound vagamente nipponico sebbene i primi 30 secondi sembrerebbero non proporre nulla di nuovo di quanto già sentito in precendeza. Curiosamente una reprise della prima traccia si piazza quasi al termine dell’album e anche il suo titolo, End Transmission, non lascia spazio a dubbi. Una spruzzata di elettronica e di tastiere per la canzone più lunga, Man Who Fell To Earth dove ricorre ancora il tema dello spazio ma questa volta niente di desolante, “I want to hold onto a rocket ship/As it’s launched into space/It wouldn’t melt my face”. Chiude la splendida ballata Maelstorm Lyrics in un duetto con la voce femminile di Erin Passmore, anche lei cantautrice indie della medesima etichetta.

Una piacevolissima sopresa questa di Jon Samuel. Un album indie come non se ne sentono in giro. Un album coerente che ci fa conoscere quel capellone sempre piegato sulle tastiere intento a riempire il suono dei suoi Wintersleep. Un album semplice ma sorprendentemente efficace e ricco di atmosfere. Chissa se si tratta solo di una vena di inspirazione passeggera ma personalmente non lo credo e spero si possa passare più presto al bis. Di queste semplici e belle canzoni c’è ne un disperato bisogno.

Million Dollar Bad Girl

Ora che il 2012 ce lo siamo lasciato alle spalle, ci possiamo voltare e prenderlo nella sua interezza. Chiudendolo in un’ipotetica scatola, nella quale tutti i mesi sono in ordine, mi sono accorto di aver dimenticato un pezzo. In realtà lo avevo già quando era il suo momento, l’avevo rigirato tra mani e con una faccia un pò perplessa lo lasciai da parte, non certo con l’intenzione di conservarlo. All’alba del 2013 è ritornato alla ribalta e di nuovo ci sono cascato. Qual è stata la voce femminile del 2012 insieme ad Adele? Semplice, Lana Del Rey. Mi potevo far scappare uno dei personaggi dell’anno? No, certo che no. Ho usato la parola “personaggio” non a caso, infatti la sua immagine è stata costruita prima dell’uscita del suo album d’esordio Born To Die. Un’immagine da bad girl di successo ancor prima che il successo arrivasse. Questo è un buon motivo per odiarla, odiare la sua artificiosità. Suvvia, basterebbe considerarla semplicemente una maschera, un personaggio appunto. Una volta compreso che si tratta di una mezza messinscena potrete dare il benvenuto al “Magico Mondo di Lana”. Un po’ come si trattassae di un film insomma. Come dire che Jack Nicholson non ci piace perchè è un pazzo violento in Shining. Quello era Jack Torrence non Jack Nicholson, dico bene? Non vi piace Elizabeth Woolridge Grant perche troppo finta e trash? Ma questa non è Elizabeth Woolridge Grant questa è Lana Del Rey, l’alter-ego. A questo punto è lecito chiedersi se Lana esista davvero o sia solo finzione. Per avere una risposta bisognerebbe prima di tutto ascoltare le sue canzoni, perchè Lana è prima di tutto una cantante. Ma anche su questo si potrebbe stare a discutere. La sua scelta di cantare con quel tono basso rende Lana Del Rey quanto meno riconoscibile e originale rispetto alle colleghe che gli contendono il trono di reginetta della serata. Forse è proprio il modo di cantare che segna la linea di demarcazione tra la sua immagine di bad girl un po’ già vista e la sua sostanza, che nel suo caso prende forma nelle canzoni.

Lana Del Rey
Lana Del Rey

Born To Die non è esattamente un esordio per Elizabeth “Lizzy” Grant ma si può considerarlo tale per Lana Del Rey. Il successo per lei è arrivato attraverso la rete conquistando i fan con Video Games accompagnata da un video apparentemente amatoriale e malinconico, nella quale maliziosamente esorterà “Go play a video game”. Sarà proprio questa canzone il fulcro attorno al quale girerà l’album. Infatti il singolo Born To Die non fa altro che confermare la tendenza anche nel testo, “You like your girls insane”. Se non vi è chiaro quale sia il terreno di caccia di Lana Del Rey ci perserà lei a ricordarvelo di nuovo con Blue Jeans, dichiarazione di amore eterno in linea con il suo stile, “I will love you till the end of time / Love you more / Than those bitches before “. Atmosfere malinconiche, un po’ dark, anni ’50-’60, atteggiamenti da pin up faranno di Lana Del Rey una rivelazione dello scorso anno. Se avete sentito almeno una volta queste tre canzoni si potrebbe dire che avete ascoltato almeno una volta l’album Born To Die. Non significa che gli altri brani siano trascurabili ma il cuore dell’album sta tutto lì. A me sono bastate Video Games e Blue Jeans per convincermi che non avevo davanti la classica stellina pop del momento. Riascoltandola ho compreso quanto al sua immagine possa indurre i perbenisiti ad odiarla indiscriminatamente. Io stesso quando ho ascoltato per la prima volta l’album credo di non essere nemmeno arrivato fino alla fine. Ho riprovato e sono riuscito ad apprezzare quello che alcuni hanno definito un capolavoro mancato. Altri lo cosiderano semplicemente “una cagata pazzesca “(cit.). Personalmente trovo che Lana Del Rey sia un interessante esperimento che vorrebbe portare un certo tipo di musica tipicamente di nicchia, come il “chamber pop”, a più orecchie possibili e per farlo sceglie la via più facile, ovvero proporre una ragazza dagli atteggiamenti provocatori e dalla faccia poco pulita. Infatti è impossibile non notare il fatto che Lana Del Rey abbia subito interventi al naso e alla bocca per apparire ancora più sexy e provocante, e se vogliamo le danno un’aria affacinante e misteriosa. Se ciò non vi turba siete pronti ad ascoltare il resto dell’album. Off To The Races è il primo tentativo di cimentarsi in un abbozzato stile hip-hop che si salva nel ritornello grazie alla voce “da ragazzina”, una delle armi nel suo arsenale, e le ambientazioni da bella vita “Swimming pool glimmering darling white bikini off with my red nail polish / Watch me in the swimming pool bright blue ripples”. Poi il piacevole ascolto, ma niente di più, di Diet Mountain Dew grazie soprattutto alle rime del ritornello, “Diet mountain dew, baby, New York City / Never was there ever a girl so pretty”. Poi è il turno di National Anthem senza infamia e senza lode e se avrete la pazienza di arrivare in fondo a questo tentativo di realizzare una canzone epica, potete passare ad ascoltare Dark Paradise dove si può sentire qualcosa in perfetto stile Del Rey, “Everytime I close my eyes / It’s like a dark paradise”. A seguire l’interessante Radio che ricama le atmosfere dei brani di punta, insieme a Carmen che però rischia di risultare un po’ noiosetta. Million Dollar Man ricalca perfettamente l’anima vintage dell’artista, adatta come sottofondo di una scena in un malfamato locale di qualche file “gangsta” ma niente di memorabile, contrariamente a Summertime Sadness che si fa ricordare perchè ancora una volta Lana torna a fare quello che gli riesce meglio in un clima di malinconico addio, “I got my red dress on tonight / Dancing in the dark in the pale moonlight / Got my hair up real big beauty queen style / High heels off, I’m feeling alive”. Chiude la versione “base” dell’album il brano This Is What Makes Us Girls che raccoglie un po’ tutte le sonorità del lavoro anche il suo stentato reppare e nel testo è chiaro che alle ragazze come Lana piace divertirsi “Sweet sixteen and we had arrived / Baby’s table dancin’ at the local dive / Cheerin our names in the pink spotlight / Drinkin’ cherry schnapps in the velvet night “.

Una volta ascoltata l’opera prima di Elizabeth “Lizzy” Woolridge Grant aka Lana Del Rey sarete pronti a giudicarla al di là del suo personaggio ed intravere la ragazza che c’è dietro, forse un po’ timida o forse no, portata al successo dal padre o forse no, bad girl o forse no. Tutto questo è Lana Del Rey. Mi piace più di quanto mi aspettassi e tutto sommato non è affatto male soprattutto per quelle canzoni come Blue Jeans e Video Games. Il futuro per lei è una strada tutta da scoprire, costellata di successi e celebrità. Se non accetta compremessi con l’hip-hop, che ormai invade il mercato discografico, e il suo mondo dorato, Lana Del Rey portebbe rappresentare una delle novità discografiche pronte a far discutere i critici più rigidi e a far impazzire quelli più curiosi. Per chiudere prenderò in prestito l’intro di Diet Mountain Dew  che rende bene l’idea di ciò che penso di Lana Del Rey: “You’re no good for me. Baby you’re no good for me. You’re no good for me. But baby I want you, I want you”

Ben più di due parole

Due anni fa ho dato inizio al blog con il primo post. Prima di questo avevo fatto altri tentativi ma dopo i primi due post non sapevo più cosa scrivere, così cancellavo tutto e li chiudevo. Infine sono giunto qui su WordPress è ho iniziato a scrivere della musica che mi piaceva e mi piace tuttora. Anche questa volta mi sono bloccato quasi subito. Già ha Febbraio sembravo aver esaurito gli argomenti e lo stop è durato fino a Giugno, nel quale tessevo le lodi di It. Poi il passo del blog è stato piuttosto regolare. Mese dopo mese, post dopo post è arrivato all’età di due anni. Non poco per un blog nato senza alcuno scopo. Col tempo ha preso sempre più forma e mi sono accorto di scrivere più di musica che di altro. Proprio la musica che non è mai stata tanto importante come per me come in questi due anni. La musica ha qualcosa di speciale, “music will provide the light you cannot resist” come dicevano i R.E.M.. Proprio loro che mi hanno fatto scoprire la Musica e mi hanno dato un motivo di aprire un blog dedicato alle loro canzoni. Ora Remfiles giace incompiuto ma ancora disponibile, segnato dal post di rigraziamento datato 22 Settembre 2011, “call it a day“.

Poi l’arrivo alle mie orecchie di Amy MacDonald, ritrovata chissà dove dopo il suo passaggio in Italia. L’attesa e l’arrivo del suo terzo album. Stesso discorso per i Wintersleep, anche se loro li conoscevo ben prima di aprire questo blog, insieme agli Editors. Lo so sono ripetitivo riguardo la mia musica ma per me è impossibile dimenticarsi di questi amici che ti accompagnano, si fanno attendere, ti sorpendono e ti deludono, perchè no. Trovarne di nuovi è diventata l’anima di questo blog, l’ispirazione per scrivere e condividere le sue pagine con chi le legge. Anche Agnes Obel l’ho conosciuta e ne ho parlato nei miei post. Proprio questi ultimi hanno iniziato a registrare i nuovi album proprio all’inizio di quest’anno. Tante altre voci si sono aggiunte al coro di questo 2012 che è già passato. Troppo velocemente, come al solito. La musica serve anche a questo, fa passare il tempo più velocemente ma ne intrappola sempre un pezzettino da conservare nel cassetto. Qualche volta ho scritto anche recensioni (se così si possono chiamare) di libri e ho intenzione di continuare a farlo. Oltre alla musica e ai libri ho scritto anche di altro e non è escluso che possa succedere di nuovo in futuro.

Lo scorso anno mi ero ripromesso di scrivere più spesso e così è stato e non ho intenzione di smettere. Non so il motivo per il quale si dovrebbe aprire un blog ne avrei mai pensato di doverlo fare, però mi piace e anche se non sempre trovo qualcosa di interessante da postare continuerò ad impegnarmi come ho fatto finora. Queste pagine sono lì a dimostrare che di parole ne ho scritte parecchie, nemmeno io oso immaginare quante, eppure a volte escono da sole così veloci che scorrendo le righe non mi rendo conto di averle scritte. Non importa se sono a corto di argomenti o di idee (anche in questo post non avevo idea di cosa scriverci) mi basta iniziare. Mi serve solo scrivere. Scrivere.