Dopo tutti questi anni

Ha aspettato troppo questo album prima di giungere alle mie orecchie. Savage On The Downhill è infatti del 2017 e da allora l’ho inseguito, girandoci attorno più volte ma quest’anno ho deciso finalmente di ascoltare questo album di Amber Cross. Questa cantautrice americana ha tutte le caratteristiche alle quali faccio fatica a resistere: voce da vera storyteller e musica semplice ma che va diritta al cuore. Non mi aspettavo altro ma è proprio in questi casi che le sorprese arrivano, con album recuperati in quella lista d’attesa infinita dentro la mia testa e dalla quale saltano fuori sempre cose buone.

Amber Cross
Amber Cross

Pack Of Lies apre l’album, avvicinandoci alla musica della Cross con una storia di menzogne e perdono. Fin da subito la sua voce tratteggia emozioni sincere che prendono vita grazie ad un country dallo stile impeccabile, “And I pray life is going to get easier / It won’t always be this hard / Through penitent tears I watch us fade / I never meant to do you wrong / Wish I could heal your breaking heart“. Eagle & Blue è una splendida ballata blues, velata di malinconia ma carica d’amore. Lo stile senza tempo della Cross è qualcosa di magico e perfetto, “You’d sing some say love is a flower / Some say love is a rose / If we give all we have to each other / Surely something might grow“. Tra le canzoni che preferisco di questo album, la title track Savage On The Downhill, è senza dubbio una delle migliori. Questa canzone pulsa di vita, attraversata da un’energia che sottintende una voglia di rivalsa, “I drop low into the canyon where you’re bound to be / Lying in the shadows, blending and unseen / You will know my heart and taste it’s ragged beat / When your beastly eyes set darkly upon me“. La successiva Leaving Again si affida a sonorità country nella sua forma più classica. Una storia da raccontare, una canzone da cantare, tanto basta a Amber Cross per incantare ancora, “Can I live with myself, his poor heart in my hands / I tell him I tried but he don’t understand / I know this is home but it don’t feel that way / He don’t want me to go but he drives me away“. Echoes dipinge un quadro familiare dove l’amore si è un po’ spento ma c’è speranza che tornerà. Un pezzo malinconico che ricorda lo stile di Margo Price, “Let’s go back to when you and I were young love / What’d we ever do to pass away the time / It had something to do with sunshine on a dew drowned meadow / Going walking and talking with the apple of my eye“. Trinity Gold Mine racchiude le sonorità dell’album. Amber Cross racconta una storia di emarginazione con profondo rispetto e una spiccata sensibilità. Da ascoltare, “I live out on the edge of town / Joe and I we settled down / With him I found a common ground / But no one knows about me / I guess I’m the quiet kind / The girls I like won’t give their time / They think I’m weird, they’re probably right / They don’t want to know about me“. Segue Tracey Jones, un gioiellino country che racconta la triste storia di questo ragazzo. La voce della Cross corre sul suono delle chitarre, svelando una delle ballate più belle di questo album, “Got a picture of the family when he was only three / The only one ever taken that included me / He was holding my hand standing next to his dad / On the day that he left us, that picture makes me sad“. Storms Of Scarcity è un’altra triste ballata triste, dove musica e voce compongono un sentimento di speranza. Tutto è al posto giusto al momento giusto, “Come sit by my side and wipe your weeping eyes / These hard times are more than I can bear / And here on the sand we’ll write our names inside this heart / Let the waves wash us away from here“. Paesaggi americani si dispiegano in One Last Look, evocati dalle parole della Cross e dalla musica della sua band. Un pezzo country vecchia scuola che si lascia sempre ascoltare volentieri, “These hills run deep into my bones, I know the secrets they keep / I know where the ancient souls lay wake beneath the trees / They turn around, they come and go, doing as they please / Stay with me everywhere I go, like a worn out melody“. Si chiude con Lone Freighters Wail, ballata dalle atmosfere notturne che conferma tutto il talento di questa cantautrice e ci lascia la voglia di riascoltare questo album ancora una volta.

Savage On The Downhill è un album per chi ama ascoltare quel country che racconta la vita, le sue difficoltà e le sue speranze. Si respira un’aria di familiarità, sincera che Amber Cross riesce ad interpretare sempre con passione ed energia. Questa cantautrice canta le sue esperienze e le storie che toccano le corde giuste di chi ascolta con un stile pulito e semplice, con la voce di chi ha alle spalle qualcosa che vale la pena raccontare. Savage On The Downhill è per chi ama il country folk, quello più sincero, e vuole credere, anche solo per un attimo che la redenzione è dietro l’angolo e c’è qualcuno che potrà cantarlo ancora una volta.

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Bianco avorio

Come già ho anticipato ad inizio anno, mi sono deciso ad esplorare qualche genere musicale un po’ diverso dai soliti, pur non addentrandomi in territori dai quali mi tengo ben lontano esclusivamente per gusti personali. Tra i primi risultati di questo esperimento c’è la cantautrice neozelandese Gin Wigmore. Prima di essere attratto dalla copertina del suo nuovo Ivory, uscito lo scorso anno, non sapevo nulla di lei. Non ho esitato molto a sceglierlo, incuriosito dalla varietà di sound che sembrava offrire e soprattutto da quel disegno in copertina dove i capelli della Wigmore si tramutano in un pullulante groviglio di vermi, fiori, animali morti che assumono a loro volta, le sembianze di un famelico lupo. Una scelta dark, ad opera dell’artista Liam Gerrard, che dà forma alle inquietudini di questo album.

Gin Wigmore
Gin Wigmore

Hallow Fate apre alle sonorità distorte di un rock graffiato dalla voce della Wigmore. Un inizio all’insegna del ritmo e di una tensione che pervade gran parte dell’album che attira subito l’ascoltatore in un mondo oscuro, “No god, can find a piece we lost / Can save us from these storms / In a tea cup that are drowning me / This bed, full of nails and our bones / Is a taste of all the rose / A broken wish that promised me to feel good / It feels good / It feels good to be“. Segue, in un flusso ininterrotto, Odeum, una delle canzoni più sperimentali dell’album. Le distorsioni nella voce e il soffocante tappeto sonoro ne fanno uno dei brani più dark dell’album, “Bow down and hurt / Look what you do / To the woman who loves you / But I keep hoping for the best / To the girls that you tried to fool / It’s not what you say or do / It’s all the many ways that you break us“. Tra le canzoni che preferisco c’è Beatnik Trip, dove i ritmi funky dipanano le nebbie grigie dell’inizio. Qui Gin Wigmore dà prova di saper cambiare mantenendo però un tratto riconoscibile, “I drive deep in the valley so the stars can shine / I was hoping to trip with a friend of mine / But my friend’s in trouble with the boys in blue / A mercurial tribe who decide what’s true“. Dannatamente più rock è Dirty Mercy. Vibrazioni anni ’00 scuotono l’aria, con la voce della Wigmore che scava graffi profondi. Una scarica di adrenalina di pura energia e rabbia, “Feel my wicked ways running through my veins / Take a bitter taste of a shallow grave / I watched you burn, burn, burn / Till the many breaks, and you wash away / Gonna turn, turn, turn / To a ghost of awe, that you left on me“. Cabrona riprende con più convinzione i ritmi funky abbandonati in precedenza. La Wigmore non perde il filo del discorso e continua a giocare a fare la cattiva ragazza, “Bad girl taking back the lead / Yeah I’m a bad girl / Got no room to please / Yeah I’m a bad girl / Leave you just to see how long, how long / How long will it take you to show you need a girl like me / Show you need a girl like me“. Il momento della ballata arriva con Cold Cave. A modo suo, un po’ dark e tormentato, Gin Wigmore confeziona un brano romanticamente triste, dove la sua voce assume contorni più morbidi, “Give me a night where the stars make a blanket / Give me a day drinking naked on the kitchen floor / I want the kind of love that hurts when you take it away from me / I think that now you see / You got that faking look in your pretty blue eyes“. Bad Got Me Good porta il disco su sonorità blues che ben si sposano con la voce unica della Wigmore. Alcuni espedienti vintage sono rinvigoriti dalla sua energia rock graffiante, “I don’t need all the things that you promised to give me / You can keep your broken flowers and the sorry that they came with / ‘Cause the bad got me good, now I’m stronger without you / Come on, give it up boy, you won’t get no tears from me“. Hard Luck è forse una delle canzoni che meglio rappresenta questo album. Un’amore sfortunato è l’ispirazione di questo rock dalle sfumature soul, “Wild love, were you all I need? / If we did this over, would it change who I have to be? / Tell me how to let you go without me letting you down / Feel these wounds with the tears that I’m cry, cry, cry, cry, crying for you“. La successiva Fall Out Of Love continua ad affidarsi alle sonorità soul, sempre sporcate dalle distorsioni e dalla voce della Wigmore. Un brano orecchiabile che ci traghetta verso l’ultima parte dell’album, “I’m black-eyed and blue drinking strawberry wine / (Drunk on that strawberry wine) / I carved out my heart, tried to leave you this time / (Try and I try to leave you) / Am I a fool? / (A fool, a fool for you) / Falling for you / (Every time…)“. Head To Head è in bilico tra una romantica ninnananna e un rabbioso rock. Una delle canzoni più originali di questo album che mostra i due volti della musica della Wigmore, “Oh, let me in, your doors are made for thieves like me / And oh, my skin goes flush when I think of your touch / But hell, it’s cold out and I can’t sleep tonight / But hell, it’s cold out, I need you by my side“. Segue Young Ones che rimescola le carte e si apre con il suono dei synth per esplodere subito in un rock oscuro e spezzato. Gin Wigmore sfodera tutto il suo fascino nella canzone più intensa e lunga dell’album, “Life won’t be what you ask, it’ll bury you slowly to build you again / Fight for all that you have to be the survivor and dream that you had“. Un inno al femminismo quello della conclusiva Girl Gang. La cantautrice neozelandese sconfina nel r’n’b, sapientemente condizionato da un anima rock che difficilmente si lava via. Cattive ragazze riunitevi, “It’s a girl gang / Boy, you wish you could join / It’s a sure thing / We’re taking over the world / It’s a girl gang / Boy, you wish you could join / It’s a sure thing / We’re taking over the world“.

Ivory è il quarto album di Gin Wigmore ma è il primo che ascolto della sua discografia e non posso fare confronti con quanto a fatto in precedenza ma posso dire che mi è piaciuto. Nonostante non rientri nella mia personale comfort zone musicale è bello poter assaggiare qualcosa capace ancora di sorprendermi. Ivory mantiene un sound di fondo ben fermo lungo tutta la sua durata, grazie anche alla voce della Wigmore, ma spazia su più generi musicali, impegnando l’ascoltatore nel tentativo di inquadrarla. Ovviamente tutto ciò è inutile quando si ha a che fare un un’anima rock come Gin e scegliere una sola canzone per convincervi che è vero, non è stato facile.

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Nei sogni più selvaggi

Mentre Francia e Italia stanno passando una piccola crisi diplomatica, questo blog nel suo piccolo, e del tutto casualmente, prova a riconciliarsi con i cugini francesi. Il mese scorso infatti è uscito l’album di debutto della cantautrice francese Amelie McCandless intitolato The Stranger e quale occasione migliore per farne una recensione? Questa ragazza ha scelto il cognome di Christopher McCandless, protagonista della storia vera narrata nel libro Into The Wild di Jon Krakauer, per esprimere il suo amore per tutto ciò che riporta alla bellezza e libertà della natura. Il suo EP Wild Memories pubblicato nel 2013 anticipava le sonorità di un album che si è rivelato poi molto interessante.

Amelie McCandless
Amelie McCandless

Il singolo Neil In Boredomland è un brillante folk pop, venato da una vaga tristezza nella voce della McCandless. Si delineano subito le caratteristiche principali di questa artista, compresa una particolare attenzione alle scelte musicali, “Carry on, Carry on, Fly straight away / Carry on, / No need for maps or compass. / Carry on, Carry on, Fly straight away / Carry on, / Time over there doesn’t exist. / Carry on, Carry on, Carry on, Carry on, / Fly straight away“. La successiva Skipping Stones è un poetico folk carico di immagini di una natura incontaminata, convogliate da una musica affascinante e misteriosa. Una delle canzoni più belle dell’album. Da ascoltare, “When I go for a walk beside the lake / The skipping stones I make sound like heart beatings / Faster and stronger; like heart beatings / When you come next / All the things I’ve built for you / All the things you meant for me / All the things I did for you / Lost in dark blue“. A Dark Secrets è uno splendido pezzo folk rock, illuminato dalla voce della McCandeless. Trascinante ed orecchiabile, questa canzone mette in luce tutto il talento di questa cantautrice, “In the whole silence of the plain, we sometimes hear rustles…carried by the wind. / A secret…A dark secret… / When the dark side of the moon comes out… / The Unfortunates Animals Company, ghosts or survivors, about a long gone story…“. La title track The Stranger vira verso un territorio più rock, vicino a quello dei Cranberries. Un alone di misterioso fascino pervade il brano lungo tutta la sua durata, avvolgendo l’ascoltatore. Lost Falling Leaf rallenta il ritmo e si affida ad un folk guidato dal suono della chitarra. Amelie McCandless si immerge in un folk moderno ed elegante di grande impatto. La successiva Sleepless Night si apre con un coro che introduce il canto solista dell’artista francese. La seconda parte della canzone è caratterizzata da cambi di ritmo e di sonorità che virano verso un incalzante indie rock. Beyond Your Wildest Dreams ritorna ad un folk immaginifico condotto dal suono etereo della chitarra. Un richiamo ancora al rock anni ’90, sulla scia di un nuovo revival portato avanti da molti artisti. Foggy Song è una delle canzoni probabilmente più originali dell’intero album. Il suono delle chitarre e del banjo accoglie il canto della McCandless. Segue un ritornello supportato da un coro di voci di bambini che segna uno dei punti più curiosi e affascinanti di questo esordio. Breaking Bad continua sul sentiero folk tracciato in precedenza. Una canzone orecchiabile che coniuga testo e musica nel migliore dei modi, dove ancora una volta si è scelto di spezzarla in due parti. Chiude l’album Under The Big Three ballata folk dalle tinte scure accompagnata dalle note ipnotiche di una chitarra acustica. Amelie McCandless gioca con il suono delle parole del ritornello, dando vita ad una deliziosa melodia.

The Stranger è un esordio maturo e ispirato, che nonostante la natura folk racchiude al suo interno numerose varanti al genere. Amelie McCandless si rifà a sonorità anni ’90 grazie anche ad una incredibile somiglianza della sua voce con quella della compianta Dolores O’Riordan. Anche se molte canzoni hanno sonorità rock, il procedere dell’album è volutamente lento, diverse raggiungono i cinque minuti e mezzo, quasi a sottolineare la lenta potenza della natura che tutto pervade. Non è facile inquadrare The Stranger ed è per questo che ad ogni ascolto si possono cogliere nuovi particolari che depongono a favore del talento di cantautrice di Amelie McCandless e non la ingabbiano nei cliché di un genere ben definito. Libera, insomma, come la natura a creato ciascuno di noi.

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Cinque colpi delle dita, ep. 2

Dallo scorso agosto, a tanto risale l’ultimo episodio di questa rubrica, ho visto altri film. In particolare quelli che mi ero appuntato di vedere già da tempo. Dopo aver affrontato parte della filmografia di Tarantino, ho scelto di concedermi una pausa da lui e vedere qualcosa d’altro. Ad esempio Miss Sloane: Giochi di potere diretto da John Madden con Jessica Chastain nel ruolo di una infaticabile lobbista che prova a mettersi contro la libera vendita delle armi da fuoco negli USA. Un film molto parlato ed inizialmente piuttosto intricato. Un buon mix tra la vita privata di Miss Sloane e le vicende di questo legal thriller che si conclude con un immancabile e ben riuscito colpo di scena finale. Consigliato a chi ama i thriller con poca azione e una trama complessa. A chi piace il contrario, tanta azione e poche parole, c’è Atomica Bionda (infelice traduzione italiana di Atomic Blonde della quale si perde l’assonanza con atomic bomb) di David Leitch. Una spietata spia interpretata da Charlize Theron si trova coinvolta in una storia di spionaggio e controspionaggio poco prima del termine della Guerra Fredda. Tratto dalla graphic novel The Coldest City, il film è un’appassionante sequenza di scene d’azione dal ritmo serrato e molto realistiche. Un altro bel film di spionaggio è Red Sparrow tratto dal romanzo Nome in codice: Diva di Jason Matthews. Una glaciale Jennifer Lawrence è un ex ballerina che è costretta ad diventare una spia russa dalla spiccata attitudine seduttiva. Forse un po’ troppo lungo ma ben congegnato anche se non a tutti è piaciuto. Personalmente mi è sembrato un buon film con un finale davvero sorprendente. Un altro thriller drammatico da non perdere è sicuramente Animali Notturni diretto dallo stilista e regista Tom Ford. Tratto dal romanzo Tony and Susan di Austin Wright, racconta tre storie in una. Susan (Amy Adams) riceve dall’ex marito Edward il manoscritto del suo romanzo. La vita di Susan e ciò che prova leggendolo è ambientato nel presente, nel mondo reale. Poi c’è la storia del romanzo dove un certo Tony (Jake Gyllenhaal) e la sua famiglia rimangono vittime di una banda di malviventi. Tra questi due flussi narrativi vanno ad infilarsi alcuni flashback che raccontando la storia d’amore tra Susan ed Edward. Le tre storie si fondono insieme tenendo incollato lo spettatore fino ad un finale discusso, che potrebbe risultare inaccettabile per chi non ha compreso il senso del film. Consigliatissimo, da notare la magistrale interpretazione di Michael Shannon. Sempre con Amy Adams, ho visto The Arrival. Diretto da Denis Villeneuve, non è il classico film di fantascienza con gli alieni cattivi ma con una trama interessante anche se un po’ confusa. Altro film molto discusso ma che io ho trovato semplicemente geniale è Madre! di Darren Aronofsky con Jennifer Lawrence e Javier Bardem. Non posso dire nulla riguardo alla trama perché sarebbe troppo, meglio vederlo, rimanere senza parole e poi andarsi a leggere il suo vero significato. Un film crudo e visionario, senza colonna sonora e tutto ambientato in una casa in mezzo al nulla. Altro bel film di un paio di anni fa è Tre Manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh con una Frances McDormand che cerca giustizia per la morte della figlia. Un film drammatico, anzi una commedia o forse nessuna delle due che tiene col fiato sospeso fino alla fine. Da vedere.

Le delusioni sono arrivate con altri film, come il nuovo Tomb Raider che vede Alicia Vikander nei panni dell’inossidabile Lara Croft. La bella attrice svedese ha il faccino pulito e l’aspetto di un adolescente, che non aiutano affatto a renderla credibile nel ruolo della spavalda Lara. La trama la conoscete tutti, è sempre la stessa di tutti i film d’avventura alla Indiana Jones. Anche Lucy di Luc Besson mi ha lasciato un po’ perplesso. Una Scarlett Johansson in formissima prova a tenere in piedi un film inutilmente celebrale e fantascientifico, oltre che colpevolmente affrettato. Vedetelo solo se vi piacere vedere la bella Scarlett sullo schermo. Potete farlo anche con Ave, Cesare! dei fratelli Cohen. Senza dubbio ne hanno fatti di migliori i due, ma Josh Brolin e George Clooney sanno fare il loro mestiere in un’ambientazione anni ’50 davvero suggestiva. Infine la delusione più grossa arriva da Sin City di Frank Miller. Consigliatomi da un amico che lo descriveva con il più bel film mai girato negli ultimi cinquant’anni (non con queste parole ma il livello del film sembrava essere quello), è un film a episodi realizzato per renderlo graficamente il più vicino al fumetto originale. Proprio questo realismo falso e le battute scontate ne hanno fatto una dei film più noiosi e irritanti di questo giro. So che piace a molti ma personalmente l’ho trovato mal riuscito.

Chiudo qui per questa puntata ma ho in lista altri film da vedere in un prossimo futuro nei ritagli di tempo. Non mancherò di riportarli qui. Promesso.

Note di un viaggio

A distanza di tre anni dal suo debutto solista intitolato Between River And Railway (Un po’ di tempo insieme), la cantautrice scozzese Claire Hastings è tornata quest’anno con un nuovo album. Il tema del disco è il viaggio, da qui il titolo Those Who Roam, rappresentato da dieci canzoni folk, tradizionali e non, ma tutte accomunate dalla stile e dalla voce inconfondibile di questa ragazza. Il precedente album è stato uno dei più belli di quell’anno ed ero certo di ascoltare, anche questa volta, dell’ottima musica folk anche grazie agli ottimi musicisti che l’accompagnano. Tanto folk è passato per queste orecchie negli ultimi tre anni ma Claire Hastings resta una delle migliori rappresentati di questo genere musicale.

Claire Hastings
Claire Hastings

The Lothian Hairst è una ballata del XIX secolo e racconta dei lunghi viaggi che dovevano affrontare i lavoratori dei campi che andavano a falciare il grano. La scelta musicale conferisce un sound vicino al folk contemporaneo ma la voce pulita ed educata della Hastings ci riporta alle melodie della tradizione. Anche Jack The Sailor si rifà alle ballate tradizionali, trasformandola in una trascinante canzone guidata dal suono del violino e della fisarmonica. La voce incantevole della Hastings ci trasporta in un viaggio avventuroso e affascinante. Seven Gypsies è una ballata della quale esistono molte versioni. Quella di Claire Hastings è brillante ed orecchiabile, arricchita da un accompagnamento musicale eccezionale. Sailin’s A Weary Life è un versione eterea ed essenziale di un altro brando tradizionale. Inizialmente viene usato un approccio più moderno che piano piano lascia spazio alla melodia della voce. La prima canzone originale di questo album, scritta della stessa Hastings, è Fair Weather Beggar. Una ballata irresistibile e dolce che racconta la storia di un artista di strada che non non sopporta la pioggia. In questi brani si può ascoltare come anche nelle nuove composizioni, Claire Hastings riesca a trasmettere le sensazioni e il sound del folk tradizionale. Logie o’ Buchan è stata scritta nel XVIII secolo da George Halket. Qui musica e canto sono molto fedeli alla tradizione. Un brano che incanta l’ascoltatore affascinato dalla lingua scots e il suo suono unico e riconoscibile. Noble Helen Of Cluden è la seconda delle due ballate scritte dalla Hastings. Ispirata ad un personaggio, realmente esistito, presente nel romanzo The Heart of Midlothian di Sir Walter Scott, è una canzone che potrebbe essere stata scritta secoli fa, a dimostrazione di una tradizione musicale ancora viva. Jamie Raeburn racconta la storia di un fornaio che viene accusato di essere un ladro e condannato ad emigrare, probabilmente in Australia. Una musica essenziale ed elegante, sostiene la voce melodiosa e dolorosa delle Hastings. Una delle migliori canzoni dell’album. La successiva King Of California è di tutt’altro tenore. Un brano che celebra la corsa all’oro americana. Una canzone molto bella e trascinante, addolcita da un canto luminoso e positivo. L’album si conclude con la canzone più breve dell’album ma che meglio racchiude il suo tema principale, Ten Thousand Miles. Conosciuta anche con il titolo di Fare Thee Well ed ispirata ai versi del bardo Robert Burns, la versione della Hastings è quasi esclusivamente eseguita con la voce, dimostrando tutta la delicatezza delle sue dote vocali.

Non è cosa nuova poter ascoltare album folk che vuole raccogliere una serie di canzoni accomunate da un tema. In Those Who Roam è quello del viaggio ma anche della separazione, della lontananza. Claire Hastings accompagnata da musicisti di tutto rispetto prova a rinfrescare e a tenere viva la tradizione musicale scozzese senza avere paura di portare un po’ di modernità in più di un’occasione. Rispetto al suo predecessore Between River And Railway, si può notare una produzione più ricercata e attenta a far emergere maggiormente le capacità vocali di questa cantautrice. Those Who Roam è un album che è uno dei primi candidati ad essere tra i migliori del genere folk di quest’anno, dando una prova ulteriore del talento di Claire Hastings.

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